Homepage

Premi il tasto destro per l'indice del sito In-Assenza

LA A-SCIENZA E TEOREMI IN-ASSENZA

Lettera-saggio
(Aprile 1993)

II Lettera-saggio
(Ottobre 1993)

III Saggio sull'Assenza
(Febbraio 1994)

Interludio dell'Assenza
(Aprile 1994)

Sunto del IV Saggio
di Luciano Eletti

Aggiornamenti dell'Assenza
a cura dei ricercatori del Centro Studi Assenza

 

 


per scaricare .doc

Paolo Ferrari

 

INTERLUDIO DELL'ASSENZA: un'infrastruttura (vuota), una via mediana d'ausilio e svelamento perché la lingua dell'Assenza nuova sia raccolta (e pensata) e, nel giusto tempo, eventualmente parlata

 

In codesto numero di Zeta ho deciso di porre un intervallo - l'Interludio dell'Assenza -, un'infrastruttura (vuota), una speciale meditazione -astratta*- sulla lingua dell'Assenza che faccia da mediazione - una via intermedia - che giustamente meni alla lettura e alla comprensione della scrittura dei Saggi.
M'è sembrato opportuno rallentare il ritmo della serie, come aprire un ulteriore varco perché la nuova espressione, la lingua che differente si mostra - è altrimenti - ed ha il compito di ribaltare nel modo intero l'idea secondo la quale l'universo è pensato e vissuto - l'universo tout-court, nella sua costituzione a fondamento - possa essere assimilata e, persino, parlata nella sua condizione peculiare d'assenza.
Come già nei Saggi ho ampiamente esposto, il progetto avviato differisce dalla sfera delle consuete interpretazioni relative alla comprensione e alla conoscenza della realtà: esso è impegnato sui fondamenti atti a modificare radicalmente - con lo svuotare, l'annullare la realtà finora esistita, per mezzo d'un nulla particolare, un nulla attivo e positivo, con l'astrarla d'altra e più compiuta astrazione, mutando per intero le condizioni di essere, vivere e morire, così come finora nella storia evolutiva e culturale si sono non giustamente attuate, causa la loro accentuata concretizzazione, risultato d'una mediazione insufficiente - una troppo povera e caduca attività pensante ed affettiva (astratta) della specie homo così come fino ad ora s'è espressa per mezzo del suo apparato nervoso, l'encefalo, ultimo nato.
A tale fine nasce una lingua nuova, dalle modalità inconsuete d'espressione e di comunicazione: il significato si mostra e subito si dilegua, il suono è avvertito e subito tace.
L'intero discorso, quando sia còlto giustamente, non lascia tracce avvinghiate alla memoria consueta: alla fine tutto è scomparso, tranne un'impronta aperta e astratta, grande quanto un universo, silenziosa, appartenente a un livello come mai finora s'era appalesato.
Ha origine un rapporto diverso tra chi legge e ascolta e il testo ch'è scritto: non più l'accumulo delle cose ha significato, non la loro immagine figurata; si scava (assente) un sostrato ch'è nulla, un linguaggio privo del suo essere evidente: una lingua vuota che ad altro appartiene: è dell'universo che non ha opposizione.
Ciò equivale ad anticipare gli inizi: la lingua si pone (è) in anticipo rispetto alle cose delle quali pronuncia il nome e comunica il senso.
Una lingua, allora, che si approfonda in (un) nulla, in quel nulla attivo di cui ormai anche la scienza delle origini tratta.
Ma non solo è nulla la lingua, d'un nulla mai conosciuto, d'un vuoto non esperito: il tessuto del ciclo di vita e di morte è da mutare nel suo fondamento. La lingua a quel ciclo si riferisce e ad esso risponde: allora, modificando quel senso, ponendolo in un luogo più astratto, vivendo e morendo d'un vivere e morire non identici alla cosa concreta, - una vita e una morte che non siano oggetti, immagini d'una realtà proiettata ubbidiente e non critica nei confronti dei parametri tramite i quali gli uomini pensano, osservano e impongono dati e fatti-, è possibile parlare e ascoltare una lingua dai princípi e dalle pause inconsuete. Se tale mutamento avvenisse, anche l'oggetto di cui la lingua tratta avrebbe radicale cambiamento. L'aver pensato e parlato nel modo più aperto e astratto è nell'evoluzione delle specie il principale segno con cui homo si manifesta, specie distinta da ogni altra precedente grazie all'invenzione della lingua astratta, articolata, parlata e cantata. E' anche la condizione a fondamento per cui tale specie ha avuto origine e così profondamente s'è differenziata, tanto da dar luogo a un universo - quello del pensiero e della consapevolezza - mai prima esistito.
S'è voluto nei nostri saggi come fondare un nuovo universo, l'universo della lingua astratta-astratta, vuota e capace d'includere il nulla e ogni tratto - il nulla (l'assente) e ogni tratto (quanto s'è ritenuto giustamente o falsamente esistente) -, nulla escluso, una condizione da sempre trattenuta fuori e oltre la vita, al di là o al di qua della morte e della coscienza.
Parlare e scrivere astratto-astratto è comporre la vita dove non è, è astrarre la morte, diversa dall'essere la morte concreta e manifesta. Dare, pertanto, origine a un intero universo diverso da quello che l'io fisico e naturale ha prospettato, accumulando cosa su cosa.
E' superare l'infelicità, inventando - generando - un mondo mai nato, che sia l'intermedio, espressione d'una cultura dell'assenza, del vuoto, perché la realtà così com'è sia sostituita da una condizione diversa, non fissa, non rigida, non riflessa da un io che non sa sentire, vedere, comprendere; non è pronto ad esprimere affetto (astratto e concreto).
Qualora pensassimo e parlassimo una lingua al cui fondo non c'è nulla - c'è (il) nulla: un nulla attivo e creatore, una lingua che, pur parlando di cose, non s'esaurisse in queste e in esse non s'identificasse -, la lingua non fosse un oggetto né il rimando a qualcosa, non un simbolo, non suono né immagine e la parola fosse talmente 'astratta' da non essere altro che un battere vuoto e silenzioso atto al fare e disfare istantaneo del mondo e del niente, e così fosse già antimondo, allora forse potrebbe smuoversi la fissità eterna dei soggetti, scardinarsi e superarsi la presenza di quell'io che ha imposto la legge d'un universo non intero, e non vuoto, non capace d'una differenza e d'un distacco sufficienti a che la realtà - la vita, la morte e l'universo che da queste è sollecitato - potesse appartenere ad altro, alla differenza, all'inclusione vasta, alla non necessità compulsiva dell'esistenza e delle sua immanente e costrittiva concretizzazione.
Com'è, allora, una simile lingua? Quale rapporto intrattiene con chi legge? Chi è che la scrive? In che modo la si riscrive vuota** - essa si scrive di nuovo in assenza**?
A siffatte domande è pressoché impossibile dare una risposta esauriente, perché, come ormai è noto, il campo di cui esse trattano non è quello cui la cultura e il pensiero umani sono abituati e abilitati nella fase attuale dell'evoluzione.
Perciò debbono essere prese e portate da un altro lato, oltre la storia di vita e di morte.
Per rispondere ad esse debbo immergermi ulteriormente in una diversità - paradossalmente entro un'uguaglianza più uguale che ci sia - non nota all'attuale. Generare così dal di qua e dal di là una trama del discorso e dell'idea tale da porre il trait-d'union perché nulla** sia anche la cosa, e la cosa, appena pronunciata o scritta, subito sparisca senza lasciar traccia di sé evidente.
La lingua deve comunicare, ma anche subito sparire, mai occlusa nella mente di chi ascolta e di chi legge.
Il mondo deve tacere; occorre sospenderlo non una, non due, diverse volte prima di poterlo dire. E, nominato, mai di sé deve coprire il foglio, mai deve ruotare - nel modo e nel tempo consueti, quando si parla, si pensa, s'agisce in seconda battuta, nel tempo imperfetto, fallace e concreto, così come di solito esso è percepito ed elaborato -, non deve rigirarsi su se stesso, non deve portare il suo riflesso, bensì il suo anticipare.
Allora ogni luogo è spostato d'un poco, una distanza infinita, diversamente dal vincolo noto, ogni io è relativo, ogni parola è senza accento, ovvero è appoggiata in un altrove che non è l'evidenza del testo.
Anche l'enunciazione d'un principio non può restare; altrove deve liberare la sua assenza, l'ubiquità di cui partecipare. La scrittura è ovunque; non è qui; non è lì; non è altrove; è assente, mancante pure di sé.
Gli enunciati non sono nel loro proporsi, niente sono: allora (sono) qualcosa, tuttavia privati dell'oggetto del loro disporsi, della cosa, del loro comunicare: dicono il loro principiare senza fissarsi.
Manca il soggetto e manca l'oggetto: il ritmo del tempo è causato da relazioni non manifeste, mai pronunciate all'esterno. Una complessa e 'vuota' simultaneità d'intenti, di parole, di trasparenze e di spessori, di pronomi, di soppressioni o aggiunte di verbi, di modificazioni sintattiche del tempo, di vibrazioni e di accentuazioni in mezzo alla frase, d'indugi, accelerazioni o sospensioni sul principiare e sul finire delle proposizioni principali o secondarie, d'immissione di avverbi e congiunzioni in posti non consueti, infine di veggenze in tempo simultaneo e futuribile e assente, è ciò che mi sembra rendere possibile una tessitura di tal tipo, così come me lo sta suggerendo l'indagine quotidiana dei traduttori dell'équipe del Centro Studi che, in modo sottile e acuto, coinvolto e coinvolgente, nel rispetto del distacco che tale compito richiede, insieme con alcuni collaboratori esterni, stanno lavorando da tempo al tentativo della traduzione assente, o in assenza. E' possibile, mi fu domandato, tuttora mi domando insieme con gli altri che stanno operando a tal fine, tradurre in altre lingue ciò che nella lingua dell'Assenza s'esprime, un nuovo livello del dire e del significare, del risuonare, del vivere e del morire, una nuova lingua madre, capace e paziente, sollecita e precisa - non tollera errori della coscienza -, distaccata e capiente d'un contenitore senza bordi, né fondi che facciano rumore, dalla forma e dal contenuto vuoti: ad ogni istante l'intero e il particolare trasmutano, ogni opera e pensiero esistono - se occorre che sia così - di nuovo e in un nuovo linguaggio; ogni volta, a ogni lettura, a ogni pensiero in rapporto essa s'annulla e ricomincia daccapo - ha un nuovo inizio (una nuova fine) - così come chi con essa si coinvolge nella giusta misura.
Mai la traccia rimane, a meno che chi legga e la pensi, di quella si voglia appropriare e in una rudimentale scatola - la mente impropria - la fissi per non lasciarsela scappare.
La lingua nuova s'approfonda entro il distacco, il più ampio e acuto distacco che si sia mai realizzato: la madre - la lingua madre - è disposta fuori del consueto contatto; è coinvolta, coinvolgente, ma senza fusione. E' assente, dell'assenza sensibile e astratta, non comunica per mezzo di 'cosa'.
Il discorso a nulla appartiene, se non alla relazione astratta - una relazione senza legami - che con quella s'intrattiene.
Ma allora, è possibile tradurre un tal fatto? Si può portare, senza ridurla, un'assenza tanto profonda e vitale sulla sponda della lingua di cui si dispone e con cui si vuole parlare? E' possibile traghettare senza perdere nulla, senza nulla disperdere, lasciando silenzio dove si parla in tale eccezione?; la 'cosa' acconsente a perdere il ruolo che le fu affidato, a recedere mansueta, senza eccessivo scalpore dalla sua millenaria tirannide?
E' possibile tradurre una scrittura in presa diretta, pur intrecciata da una mediazione infinita con l'attività nuova dell'ideare? Alla fine, spesso non doma, essa segue, dopo un serrato e vibrante lottare, senza esclusione di colpi, avendo imparato a sostenere impavida e giustamente cava le vibrazioni infinitesime, le pause e le sollecitazioni, le assenze, le astrazioni che sorgono da un'idea che, vuota, ha sostituito per intero il soma compatto e concreto.
Si compone di mille inizi, così come sono le possibili e già attuate fini; è, tuttavia, già da subito capace di terminare - è già pronta a finire al primo istante - perché intera e vuota s'è costruita in un tempo speciale - un tempo non tempo, una cavità entro cui porre scavato il tempo consueto, pronto ad essere già oltre il presente.
Alle domande suddette mi pare di poter incominciare a rispondere che sì, è possibile, forse non nel modo globale; tuttavia con una buona riuscita.
E' stato importante lavorare a stretto contatto con chi è traduttore (in lingua francese, in lingua inglese).
E' necessario nel nostro caso e per il momento - siamo agli inizi - che chi opera in tal senso abbia iniziato ad avere conoscenza, qualche intuizione pure del nuovo livello del pensare e del suo linguaggio: è importante che la seconda lingua appresa - l'Italiano - si sia formata avendo nei suoi fondamenti il metodo relativo dell'Assenza. E che codesto livello intrattenga buoni e distaccati rapporti - consci e inconsci - con la lingua madre, prima nata e appresa.
Darò, in altra sede, i risultati del suddetto lavoro, in modo dovizioso e ampio, perché mi sembra che essi costituiscano notevole interesse sia per quanto riguarda il campo specifico del tradurre, sia, in senso più generale, per ciò che concerne la scienza dell'astrazione.
Appare sempre più esplicito che il discorso che riguarda la lingua e il suo completarsi s'addice bene, anzi è dello stesso genere di quello della sanità mentale e fisica della specie.
Tale concetto è legato a un'idea di vita e di morte, a una loro condizione che non sono consone al grado d'evoluzione più 'astratto' in cui la specie già s'è inoltrata con l'acquisizione del linguaggio articolato e capace di progetto.
Dato un sistema ammalato, in particolare di una malattia mentale, è nostra esperienza quotidiana quanto sia necessario, anzi indispensabile, introdurre in esso una quantità vasta e complessa d'informazioni capaci di nuove relazioni, ricche d'intelletto e d'affetto, perché la malattia, dopo moltissime resistenze e irrigidimenti, accetti di cedere, lasciando il posto a un tessuto più profondo e più sano rispetto a quello che il sistema precedentemente possedeva.
La nostra ricerca, soprattutto di recente, ci porta a pensare che ciò possa essere valido anche per quanto concerne la malattia del soma, oltre che la malattia della mente o della psiche. Stiamo lavorando attorno a un modello generale della malattia e della salute più duttile, complesso e astratto, dalla forma e dai contenuti più generali che tengano meglio conto del livello cui la specie è approdata, dopo aver inventato il linguaggio astratto e la cultura: in essa s'è così costruito il distacco che ha scavato il solco della differenza. Quello è troppo angusto, questa è insufficiente e non risolta: la contraddizione è quotidiana relativamente allo stato naturale dell'evoluzione da cui la specie proviene; la natura è luogo rigurgitante di concretezza tanto onerosa quanto poco feconda e insana per una specie che da quella ha iniziato a separarsi. La specie homo sapiens s. è ammalata.
Aprire la strada a nuovi linguaggi; far abbassare la guardia con la quale il soma e la mente finora si sono protetti seguendo un'idea biologica ormai superata è il nostro progetto. Permettere che un varco si faccia, perché una differenza - l'assenza - si mostri entro cui comprendere la parola non pronunciata né pensata, esclusa addirittura dal contesto di vita (e di morte), è nostro intendimento: far sì che siano inclusi entro la lingua della specie nuovi segnali, sentimenti, espressioni, quelli d'un nulla che tende a farsi cosciente, è il futuro probabile della specie se questa deve procedere nella direzione già intrapresa da quando si scavò il linguaggio astratto e la cultura conseguente. E' equivalente a comprendere un distacco più aperto, a portare il tessuto della vita cosciente ad accettare entro le maglie il dolore grandissimo di quel distacco specifico che è insito entro il morire, quand'esso si faccia materia 'astratta' pronta a far parte del vivere più ampio.
Astrarre la morte è importante, perché il territorio che ad essa finora appartiene divenga luogo del pensiero: si facciano questi corpo e mente vuoti a sufficienza perché la nuova lingua, più aperta e libera, più vuota e astratta, incominci a parlare senza ritrarsi di fronte al morire, finora senza alcuna espressione che lo contenga e lo faccia parlare.

Voglio interrompere per il momento un tale argomentare teorico che ci porterebbe assai lontano e che riprenderemo nei prossimi saggi - è questo un Interludio! -, per presentare alcuni aspetti della nostra ricerca concernenti i linguaggi che solitamente vengono associati all'attività detta dell'arte.
Li ritengo per ora una delle vie praticabili, una mediazione sufficientemente valida al fine di tradurre in un modo intellegibile ed esperibile la lingua astratta e vuota dell'Assenza nella lingua più concreta e satura com'è quella attualmente pensata, scritta e parlata dalla specie ancora incapace d'un'attività/passività più matura e 'astratta'. Chiamai le opere nate dal nuovo linguaggio, una volta scherzosamente "Trappole per umani", per esprimere il fatto che di tutto facevo, moltissimi linguaggi andavo praticando, perché, alfine, gli uomini, ritrosi e diffidenti quali sono, si lasciassero prendere e incominciassero a trasmutare insieme con me.
Presento la prima pagina disegnata e colorata - qui, in bianco e nero - d'una raccolta musicale che sto preparando con l'aiuto dell'amico pianista e collaboratore M° Carlo Balzaretti, primo interprete (oltre me) della musica nuova: è un'Album astratto per la Gioventù', fatto di brevi o brevissimi pezzi astratti per pianoforte, semplici nel loro linguaggio esecutivo, d'una certa complessità in quello dell'attività del pensiero e dell'affetto (astratti).
Ci sembra opportuno che i giovani musicisti, il più presto possibile, accedano al nuovo linguaggio dell'Assenza e da subito apprendano a pensare la musica (e insieme con essa, la nuova condizione di vita e di morte) nel senso più astratto e aperto, oltre l'idea musicale fino ad ora dominante, troppo legata a una sensibilità e a un'attività razionale concrete in eccesso, povere della significazione più ampia e 'vuota'; abbiano così già nel loro primo bagaglio culturale e musicale composizioni dalla relazione complessa, astratta tra suoni (assente), distaccata il più possibile - nella distanza, nella differenza all'infinito - dai referenti fisici (dal timbro, dalle altezze, dal tempo, dalla dinamica, eccetera).
Ritengo essere la musica, in particolar modo la Musica dell'Assenza, luogo nel campo delle cosiddette arti nel quale si può esplicare massimamente il linguaggio dell'Assenza, la lingua capace del nulla.
Già nella musica nota, quella detta classica o cólta, talvolta anche in altre forme musicali, ad esempio, in quella orientale, si può ascoltare ad un ascolto specifico un livello altro, che molto s'avvicina a quello dell'Assenza.
L'ascolto deve disporsi in modo nuovo, essere vuoto, appartenere a tale proprietà: occorre che l'ascoltatore sia perfettamente nel silenzio astratto, dove i suoni si staccano da loro stessi, le note e le relazioni tra di esse abbandonano i loro rapporti prefissati da una lunghissima tradizione e dall'origine stessa del suono entro la materia; la musica s'apre nei territori vuoti dell'Assenza insieme con chi l'ascolta: entrambi, musica e ascoltatore sono astratti, nel campo ch'è ora sgombro d'ogni istante del tempo, d'ogni particella di spazio, d'ogni essenza e concrezione del suono. Appartengono a una realtà più duttile e vuota, priva di quel suo consueto divertimento sonoro - una sorta di rumore che talvolta diviene musica - di cui solitamente è rivestita per apparire al mondo diligente e dalla buona forma.
Ma tale luogo è per il momento osservabile e usufruibile soltanto dall'osservatorio speciale in cui mi sono posto e dal quale sto parlando e scrivendo: tópos dell'Assenza, del nulla, dell'antimorte.
Così ho pensato di inventare, come mettere al mondo, una musica particolare, la musica dell'Assenza, la quale risuonasse già nel suo luogo speciale, senza che le occorresse liberarsi di se medesima per accedere ad esso. Ho pensato a un linguaggio musicale, le cui relazioni - intervallari, ritmiche, dell'altezza e dei timbri udibili all'ascolto normale - fossero già 'astratte', appartenessero, cioè, all'antimondo, fossero antisuoni, antinote, antiritmi, in modo che in chi si ponesse in ascolto con la giusta attenzione, ben disposto a permettere l'accesso nel proprio sistema del nuovo, che è la lingua del nulla e dell''assenza', potesse essere indotta in modo diretto la mutazione nel sistema linguistico che in essi opera di consueto: una siffatta musica introduce linguaggi e informazioni diversi dai dispositivi sensoriali, percettivi e razionali noti e normalmente usati. I nuovi linguaggi oltrepassano e si pongono più a fondo - su un livello più 'astratto' e affettivo, altro da quello usuale, come sostenendolo e raccogliendolo da sotto e anticipandolo - non delle loro componenti fisiche - il timbro, l'altezza, il ritmo. La musica dell'Assenza ha insito, date le nuove capacità relazionali (assenti) che si generano fra le note, fra le altezze, le intensità e le sue infinite modulazioni, pur nel breve periodo, un nuovo livello d'informazione, vuoto, senza che occorra astrarlo perché si manifesti.
Mentre nella musica consueta è possibile, talvolta, con un procedimento particolare dell'ascolto capace di astrazione superiore, raccogliere il livello che è nulla e ha (il) nulla del suono, nella musica dell'Assenza ciò avviene in tempo primo: il livello del nulla, in cui il suono, la lingua sono altro, sono già di fatto operanti; basta ascoltarli senza opposizione.
Presentiamo due riproduzioni in bianco e nero che rappresentano due compact discs, contenenti composizioni della Musica dell'Assenza. Essi sono stati registrati presso la sala di registrazione del nostro Centro Studi, sito in Via Stromboli, 18, a Milano, e prodotti dallo stesso, per ora in piccola serie, a scopo di studio. La sala di registrazione ha un'acustica particolare, consonante con le variazioni finissime, persino con quelle che s'attuano nella differenza del pensare per assenza, oltre la sensibilità ordinaria dell'udito e del pensiero consueti.
Il primo contiene brani della suddetta musica da me composti alla fine del '93; sono composizioni per pianoforte semplice (in un sol luogo, in un sol tempo complessi), per pianoforte raddoppiato (in più luoghi, in più tempi simultanei) e per pianoforte e sintetizzatori.
Il secondo è dedicato quasi interamente al 'Raddoppio': è questa una tecnica compositiva alla base della polifonia occidentale e consiste nella duplicazione simultanea d'un suono o di una melodia all'unisono o secondo intervalli prestabiliti.
Nella Musica dell'Assenza tale tecnica diviene invece situazione compositiva autonoma e specifica, essendo la seconda linea musicale - il secondo livello (della musica) dell'Assenza - che risuona simultaneo alla prima, non una semplice duplicazione della prima - evento sonoro subalterno -, ma composizione completa e definita essa stessa generatasi in modo vieppiù 'astratto' e vuoto nella simultaneità che si instaura con il risuonare del primo livello (della musica) dell'Assenza.
Ciò induce un ulteriore grado dell'Assenza, essendosi realizzato un campo simultaneo a più voci 'vive' e assenti, tale da aprirsi a una profondità in precedenza non esistita, perciò mai udita.
Una tale forma compositiva è stata usata anche per il poema "Europa, o l'Assenza".
Sia il pezzo per pianoforte iniziale che fa da apertura, sia il poema sono costituiti da due livelli astratti e vuoti, 01 e 02, capaci di generare campi dell'Assenza che in sé costituiscono quella differenza opportuna perché il ciclo di vita e di morte muti nelle sue relazioni a fondamento, troppo concrete fin dal loro principiare.
Un'ultima notizia: mi sembra d'aver finalmente risolto un enigma la cui soluzione mi stava a cuore.
Sul lato destro della mia stanza da lavoro, dove principalmente svolgo la mia attività di terapeuta, sul piano chiaro e lucido d'una cassettiera è appoggiata da anni una 'sconfitta': chiamo così una particolare serie di espressioni dell'arte pittorica e scultorea, da me fatte tra l''84 e l''86: esse significano la sconfitta dell'essere, con l'iniziale apertura alla via dell'assenza.
Alla base di quest'opera sta scritto: "La malattia della specie". (L'angolo del mio studio con la 'Sconfitta' è qui riprodotto in fotografia).
Da quella posizione in tutti questi anni non l'ho mai mossa; spesso mi domandavo perché non mi decidessi a spostarla; amo cambiare di posto e sostituire continuamente i miei lavori, perché la loro relazione con me e con lo spazio del Centro Studi segna l'iter che insieme col nuovo livello dell'Assenza sto compiendo.
Mi rispondevo che non dovevo ancora farlo e che, poi, avrei capito.
Finalmente, l'altra sera, così è stato. Dopo aver completato quasi l'Interludio qui presentato e dopo che avevo portato a termine il Seminario che mensilmente ho con gli studenti e ricercatori impegnati nel nuovo campo dell'attività pensante, ho capito che quell'opera, la 'sconfitta' dal nome: "La malattia della specie", si riferisce a quanto andavo scoprendo da ultimo.
Nessuna delle malattie da me prese in considerazione - dalla schizofrenia al tumore - ha un ruolo così importante nella specie da condizionarla in modo radicale, come la malattia che io chiamo 'morte concreta, o morte autistica'.
La specie non ha ancora appreso a morire nel modo più consono e sano per essa; non conosce e non esperisce una morte più astratta e silenziosa, così come dovrebbe mostrarsi con l'accadere della 'mors abstracta', da noi così nominata.
Homo sapiens muore d'una morte tuttora simile a quella delle altre specie naturali, pur essendo egli consapevole, almeno in parte, di tale evento, a differenza di ogni altro vivente.
Egli è sottoposto a un siffatto ciclo e, così passivo, non s'apre a un possibile nuovo approccio, all'accettazione più partecipe d'un morire cosciente, perché il cessare non sia soltanto un finire incosciente.
Egli non opera per ora consapevolmente perché si generi, oltre l'attuale, un campo più vuoto e incavato nel soma, perché l'assenza - la mente, il pensare più astratti - possa disporsi e la specie decisamente si stacchi da quel tema concreto di vita e di morte, cui tuttora si stringe, forse perché timorosa, acritica, ignara, per lo più, d'un possibile nuovo balzo che le appartiene e che la farebbe certamente più sana e meno infelice.

* I termini 'astratto, astrarre' assumono nei nostri scritti un significato peculiare: come scavare entro, fare più assente e vuoto, meno saturo, meno occupato da cosa ciò cui si riferisce. Quest'ultimo perde la traccia dell'essere 'cosa' e incomincia a ruotare, svuotandosi e spostandosi verso il lato dell'Assenza.
Vedere anche i numeri 21/22, 23/24 e 25/26 di Zeta.
** Le parole 'assente', 'nulla', 'vuoto', 'astratto' sono sinonimi dal particolare campo espressivo e semantico: tutti stanno dallo stesso lato, quello dell'Assenza, del nulla. Differiscono l'un l'altro per il fatto di disporsi in modo non uguale e ripetitivo, inducendo 'campi' di relazioni a spessore e significato variabili entro il discorso e la realtà che nuovi vanno componendosi a mano a mano che si procede dall'Assenza più vuota e astratta.