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LA A-SCIENZA E TEOREMI IN-ASSENZA

Lettera-saggio
(Aprile 1993)

II Lettera-saggio
(Ottobre 1993)

III Saggio sull'Assenza
(Febbraio 1994)

Interludio dell'Assenza
(Aprile 1994)

Sunto del IV Saggio
di Luciano Eletti

Aggiornamenti dell'Assenza
a cura dei ricercatori del Centro Studi Assenza

 

 


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III Saggio sull'Assenza:
un approccio non noto alla differenza dal ciclo di vita e di morte consueto

 

Con il nuovo saggio che qui presentiamo - il III sull'Assenza - vogliamo ulteriormente coltivare il campo che a tale condizione appartiene, perché essa più comprensibile, chiara, duttile e accogliente alla specie dell'uomo attuale si mostri -il tessuto si faccia e, simultaneamente, sparisca -, e la proprietà che ne deriva - l'essere meno, l'essere vuoto, il niente e l'assentarsi, il distacco estremo senza morirne - meno ostica risulti al senso storico ed evolutivo, al paradigma scientifico e sociale, per ora, dominanti. Così, con il farsi e il non farsi, con l'essere e il non essere ci conduca dove la vita ha ancora da principiare e la morte - così come di consueto si presenta - cessi di porre il suo tratto di cancellazione tanto imperfetto e vacuo da ingenerare il timor panico negli uomini da sempre.

Della realtà quasi infinite interpretazioni si sono date, provate e riprovate lungo il corso dei secoli della storia, e ancora se ne daranno fintantoché il pensiero umano sarà quello che da sempre è e non diversamente s'originerà, essendosi ruotato e mutato nei fondamenti.

E' d'altronde indispensabile, secondo i nostri assunti, che la realtà - il mondo delle cose e il pensiero che le presuppone - si presenti con una così ampia e varia gamma di possibilità, sia pure parziali, non definitive, perché in essa in tal modo ci si possa muovere, la si possa sperimentare, rinnovare, forse, e in essa ci sia lo spazio per respirare, vivere e, anche, morire. Se la realtà e l'attività pensante che la presuppone fossero ancora più rigide e ottuse, maggiormente strette e striminzite di quanto quotidianamente siano, se gli oggetti del mondo e della conoscenza fossero meno numerosi, se la molteplicità fosse ridotta, allora il dolore della vita sarebbe ancora più cupo, la prigionia più asfissiante per la specie homo sapiens s. che di quella realtà si nutre e della quale, giorno dopo giorno, saggia il contenuto e, in parte, lo costruisce, ribadendone flebili il senso e il fondamento.
L'umana specie è infaticabile: senza requie, mattone su mattone, con costruzioni e distruzioni, con ripensamenti, distorsioni, slanci, regressioni e, talvolta, con faticose decisioni muove la Storia e da quella si fa guidare e, insieme, giudicare. Ma il mondo è cosa, è fisso e si frantuma senza respiro; non c'è intervallo, non c'è pausa, non interezza, non c'è silenzio, non c'è l'Assenza, non esiste strada che porti in questo altrove sospirato, ma mai realmente voluto. Non bastano la ragione, l'affetto della specie attuale, perché il mondo si sollevi e, vuoto e libero, meno infelice si compia.
Non basta técne, non sono sufficienti gli oggetti della scienza - gli strumenti teorici e tecnologici -, i progressi delle idee e delle forme, perché si dia pace e dovuta chiarezza per quella parte dell'attività della mente che aspira ad essere vuota, numinosa e astratta, distaccata certamente da quel soma ingombrante - gli manca il niente cosciente - che la natura comporta - esso è cosa e non altro - e del quale si muore in quel modo inconsolabile e vano, che la coscienza umana ogni giorno rigetta da sé e dall'universo intero, tranne qualche eccezione.
L'umana specie è, per lo più, infelice e non compiuta.
Il pensare è teso e affannato; la mente è immersa nel concreto; i sensi sono ingombranti: per essi non esiste futuro; la coscienza è offuscata, anch'essa senza ampiezza opportuna. L'idea langue fragile, spesso impotente.
Lì fuori se ne sta il mondo, irraggiungibile e ben poco amato. Non c'è in esso misura adeguata; non il sentimento e la ricchezza profonda del significato. E' in attesa recluso, limitato da vincoli di fasi precedenti non compiute dell'evoluzione, ormai inadeguati alla nuova condizione della coscienza e dell'astrazione. Sono quelle le tracce di cui la natura dell'animale, del vegetale e dell'oggetto inerte senza vita né esistenza per milioni e milioni di anni ha di sé improntato la realtà e da quelle pure il pensiero più astratto dipende.
E l'uomo, che da quelle specie discende, ancora non si stacca; mancano la forza e la ragione sufficienti.
Forse la giusta consapevolezza. Non c'è chiara la volontà di spezzare gli antichi legami con cui egli è vincolato all'eterno retaggio di vita e di morte, senza che altro possa accadere.
Unicamente di quella natura e genere egli si sente partecipe che dal ciclo della nascita (e della morte) vogliono alimento; del nulla, della separazione ha terrore, così come di tutto ciò che sia realmente diverso da sé, dissimile da quanto finora egli stesso ha conosciuto e in sé, soltanto, secondo la propria misura, ha saggiato e concepito.

Vogliamo ora fare un salto, superando i limiti suddetti, tentare di sciogliere i vincoli cui l'umano pensiero con la sua storia è soggetto.
Vogliamo mostrare un nuovo livello dell'attività/passività del pensare da cui deriva una nuova condizione dell'essere, ovvero del non essere, che abbiamo chiamato 'Assenza' e che mai finora è esistita.

Nei saggi precedenti avevamo assunto la nuova condizione - l'Assenza, la condizione d'un 'diverso nulla' - entro il sistema evolutivo, costruendo un'ipotesi per la quale essa - l'Assenza - avrebbe potuto rappresentare l'ulteriore stadio dell'evoluzione di homo sapiens s., ora in fase di stallo, bloccato in un passaggio non compiuto, espressione non definitiva del lunghissimo iter evolutivo che ha portato all'esistenza del linguaggio e dell'ideazione astratti e simbolici.
Avevamo messo in luce come l'attuale fase della specie non avesse portato a compimento le capacità specifiche di tale specie, come essa dipendesse da un soma tanto concreto e come l'universo visibile e invisibile consistesse d'una realtà fatta di cosa, e non di niente, ugualmente all'attività pensante che ad essa presiede.
Avevamo osservato come non fosse sufficiente il distacco tra uomo e animale, così come da figlio e da madre, così come sarebbe utile per favorire quell'intervallo, quel campo vuoti entro cui la mente può formarsi e disporsi, dando vita all'astrazione, facoltà che ponemmo come paradigmatica in homo sapiens s.
Essa nasce come frutto d'una condizione di distacco, dalla quale discende la capacità di produrre orizzonti non ciechi, quali dovevano essere quelli che avevano occluso il mondo fino alla specie animale, prima dell'evento evolutivo che generò la consapevolezza affettiva e razionale della specie homo.
Ci eravamo interrogati, e in questa interrogazione avevamo coinvolto il lettore, se fosse possibile saltare quel blocco che poneva la specie umana in una condizione di sofferenza, forse persino di malattia, dati i legami cui sono vincolate la realtà interiore e quella esteriore dell'attuale fase di specie, confinata entro limiti erronei e vincolata a certi presupposti biologici, psicologici e intellettivi non affatto validi né certi, espressione quasi unicamente di condizioni di mancanza, di timore, di ignoranza, di non compiuta maturazione affettiva, sessuale, intellettuale e, forse, anche somato-cerebrale.
Come se la specie avesse preso per buoni certi limiti, freni e blocchi inibitori, che ne disegnano i fondamenti, ma che, in realtà, la soffocano, e li avesse scambiati per vincoli reali ed efficaci dai quali non si può prescindere, pena la distruzione e la morte, e su di essi avesse costruito l'immenso complesso della sua Storia.
Ci si è trovati in una situazione per lo meno paradossale, a mano a mano che è emerso il tema dell'errore e dell'originarsi da esso della grande costruzione delle idee e della forma che la specie sapiens ha prodotto.
C'è sembrato una sorta d'inganno crudele al quale la specie ha cercato e tuttora cerca di ovviare costruendo un mondo con le caratteristiche d'una realtà per certi aspetti, e non secondari, basata sui criteri che derivano ancora da una natura animale da cui la specie homo non ha deciso di separarsi in modo definitivo. Come se homo sapiens avesse proiettato all'esterno e si comportasse al proprio interno secondo certi presupposti forse anche di origine psicobiologica che sono tuttora dell'animale, e non il risultato del distacco definitivo da quello.

Giunti a codesto punto, vogliamo che il nostro discorso si sviluppi e si ampli nel modo più aperto, idoneo a contenere quanto l'umano pensiero con la sua vicenda ha finora esplicato e così lo disponga - se possibile - sul nuovo livello, dov'è una prospettiva del tutto diversa nella sua radice, non comparabile - se non attraverso la relazione per 'assenza', come già dicemmo nei saggi precedenti - con alcuna interpretazione finora intervenuta a fare e confortare la Storia.
Il metodo d'interpretazione e ogni altra considerazione metodologica appartengono alla logica e agli schemi che dipendono dalle categorie del pensiero e della mente e da essi discende il giudizio di validità circa una certa proposizione, una certa osservazione e comprensione - esistenza - d'un mondo.
Ora noi vogliamo porci al di fuori e oltre siffatti recinti sorti a baluardo e conservazione degli assunti e dei criteri di validità che la ragione - il pensiero logico e astratto, con il suo linguaggio - ha premesso ed entro i quali ha pure racchiuso e teorizzato la condizione ciclica del vivere e del morire.
Ma, allo stesso tempo, la nostra intenzione non è affatto quella di lasciarci andare a procedimenti irrazionali che ci sembrano, per lo più, illusori, poveri di ideazione costruttrice e progettuale; il più delle volte scadenti per quanto concerne l'unità complessiva, la qualità d'informazione, di cui la specie ha sempre più necessità; intrisi sovente d'ignoranza e di scarso spessore etico.
Il nostro modello resta quello del metodo razionale e, in particolare, quello del metodo scientifico. Tuttavia non vogliamo che la nostra ideazione e il nostro progetto si esauriscano in quello; esso ha i limiti d'una ragione ch'è, come detto, vincolata a categorie le cui caratteristiche sono intrinseche al tessuto linguistico, psicologico, sociale e biologico d'una specie non ancora adulta, nel senso di matura, ovvero d'una specie che è vecchia, invecchiata senza mai rescindere del tutto i legami con chi la precedeva.
La ragione e la coscienza - ancora relativamente cieca - intellettuale e affettiva della specie homo, pur essendo proprietà recenti in termini di anni rispetto agli abissi temporali dell'evoluzione, sono, tuttavia, già obsolete, essendosi sviluppate in fretta grazie alla nascita del linguaggio verbale astratto che ha fatto da veicolo più efficace che non quello puramente di trasmissione somatica naturale, avendo inventato la cultura così da procedere per apprendimento e memoria anziché attraverso le vecchie vie, esclusivamente naturali.
Queste facoltà umane sono intrinseche alla struttura somatica della specie, la quale segue tuttora i cicli naturali della nascita, della crescita e della morte.
Tali condizioni a priori rispecchiano il bisogno di stabilità e di forma che la specie manifesta abitando essa un universo fisico alla relazione con il quale dedica grande parte della propria esistenza, investendo forze intellettuali e ricchezze materiali allo scopo di impossessarsi dei suoi segreti, anche metafisici, e delle sue risorse materiali.
Malgrado sia sufficientemente evidente la limitazione entro cui la specie si dibatte e i suoi procedimenti cognitivi e affettivi in modo palese siano radicati in fondamenti relativi, vincolati a condizioni particolari, specifiche di specie, è ben difficile che la comunità degli scienziati, così come quella dei filosofi o dei letterati o dei sacerdoti, sia disposta a interrogarsi seriamente sui propri presupposti; è ben difficile che si accetti che i fondamenti su cui poggia il sapere umano entrino in una crisi radicale come sarebbe utile, ammettendo l'impossibilità d'una conoscenza certa del mondo e della realtà, schiudendo per la specie la porta per un'evoluzione ulteriore o, almeno, confutando il sistema universo così com'è attualmente per disporlo in un modo tale che sia ammessa un'alternativa realistica a quello.
A nostro parere, la sola considerazione del fatto che la mente umana non è in grado di pensare - esperire - direttamente e, tantomeno, d'elaborare il niente, stando all'interno d'un sistema siffatto, un sistema diverso dall'oggetto già noto, e ignorato, e, in gran parte, rimosso, ovvero non si sappia nulla di quanto esiste al di fuori della cosa di cui è costituito l'universo, dato dai contenuti della mente e della conoscenza umane, è manifestazione d'un limite di macroscopica evidenza, del quale, per lo più, è taciuta l'importanza, forse per non scuotere troppo i fondamenti su cui poggia il sapere consolidato.
Non che a noi interessi poi tanto conoscere il niente e le sue eventuali proprietà; il niente è ancora categoria della mente e della sua limitatezza.
C'interessa, invece, far comprendere come il sistema finora vigente della conoscenza e, con essa, dell'esistenza sia imbrigliato a causa di certi presupposti mai fino in fondo discussi, di certe categorie a priori, e così lo sia anche il mondo che si conosce e in cui si continua a vivere e morire.
Neppure ci preme proporre un altro punto di vista, ovvero un'ulteriore interpretazione circa la realtà, ché essa è colma e stracolma di tali teorizzazioni.
Non è ancora così esplicito che cosa per noi sia importante quando proponiamo il nuovo metodo che implica un nuovo stadio del sentire, del conoscere e dell'essere, ovvero del non essere. Forse soltanto per trovarci in (buona) compagnia in un luogo dove nulla è, nulla ha l'imperativo di compiersi (nel modo dell'oggetto noto). Un luogo che è ricco d''assenza', d'informazione e di significato, che non ha bisogno d'inizio né di fine avendo in sé, nel proprio tessuto privo d'evidenza, la forma necessaria a che l'essere sia, ovvero non sia, senza, per necessità, dover transitare attraverso le categorie d'una mente a cui occorre l'esistenza d'un corpo, d'un ente fisico e materiale, ovvero spirituale, perché si dica che la cosa è, invece che sospendere l'atto e accettare, assumendo la nuova consistenza assente, propria di codesto non essere particolare.
Forse la nostra è una sfida, una sorta di provocazione, di ribaltamento dell'attuale sistema; tuttavia è certo e quasi maturo il tempo in cui alla cosa, all'universo non occorre che sia premessa la qualifica d'esistenza. Non c'è necessità che esso sia tale, pensato e identificato nel modo con cui finora è stato.
L'universo può starsene vuoto e assente, altro, ugualmente al nostro pensare assente, che se ne sta sulla soglia (dell'Essere) senza oltre quella precipitare: non gli occorre essere oggetto materiale né esperienza spirituale.
Sono queste categorie d'una mente invecchiata troppo in fretta o nata già tale, inabile a stare sulla soglia dov'è l'espressione (vuota) della differenza ch'è vuota, invece che satura - ricolma - , non soggetto né oggetto di mondo, avendo dato e ricevuto (la) traccia.

Potrebbero forse i nostri assunti risuonare paradossali: l'uscire da un sistema, quale quello della specie homo e, con il suo medesimo modo di parlare e di astrarre, il proporre una dimensione nuova in cui quel pensare non è più valido, o, almeno, ha perduto gran parte del suo significato.
Potrebbe apparire persino scandaloso quel nostro metterci al parapetto, avanti alla soglia donde osservare come le cose, ed anche le idee, divenendo (dal nulla) si chiudano per sempre nel tragitto che s'attua lungo le vie della mente, del corpo e della memoria, fissandosi nel modo degli oggetti incompiuti e senza scampo, poiché nel loro cammino hanno perduto la proprietà dell'essere un'impronta (vuota) del nulla.
C'è, tuttavia, da osservare come ciò di cui trattiamo non sia poi così dissimile da quanto è narrato dal Mito della Caverna di Platone, in cui gli uomini incatenati entro il buio di quel luogo possono accedere solamente alle ombre della realtà che dal di fuori si proietta nell'oscurità della loro naturale condizione, mentre all'esterno la luce del giorno chiara risplende a illuminare il mondo.
Così, sottraendoci alla fissità di noi stessi nella cosa (e nello spirito), avendo accettato e imparato ad essere della proprietà del 'niente', della medesima nientità-astrazione di cui il mondo e il pensare il mondo sono costituiti, viviamo d'una condizione particolare e, forse, privilegiata, per la quale nulla è (dato), e nulla è fissato; la realtà è d'un vuoto astratto e assente così che non sia necessario assumere l'identità entro il corpo concreto, il tempo e lo spazio consueti, conseguenza e causa di quello.
Equivale allo stare in ascolto delle cose del mondo, contemplandone e saggiandone l'origine, senza la costrizione del procedere ponendo l'inizio. Un tal luogo è libero, ma non casuale o caotico: in esso esiste la scelta più ampia e, poiché il tempo e lo spazio sono altri da quelli noti - non vincolati all'oggetto così come l'oggetto da essi descritto non s'oppone concluso - il progetto possiede sue leggi specifiche che lo definiscono; ad ogni istante esso vuoto procede, non dipendendo altrimenti che dalle regole che esso a mano a mano contiene e dispone. Le scelte possibili sono infinite, eppure vincolate al nuovo atto pensante che, a mano a mano, si compie, obbediente e, al medesimo tempo, unico creatore di se medesimo e delle regole a cui rigorosamente, e in modo non passivo, s'attiene, aperto su tutti i versanti, idoneo a che il nuovo livello nel migliore dei modi s'inveri.

Ampliamento del Principio d'Inclusione: oltre la 'cosa' del ciclo di vita e di morte

Vogliamo ora ulteriormente indagare alcuni modi secondo i quali il pensare dell'Assenza si pone, a differenza di quello fin qui espresso dalla specie. Vogliamo confrontarne, se possibile, le misure, gli spazi, le assenze e le presenze, i punti, i luoghi in comune, se ce ne sono, e i più distanti.
Abbiamo proposto, nel I Saggio sull'Assenza, un nuovo principio, da noi denominato Principio d'Inclusione, onde tener conto di tutta quella dimensione - un intero, più interi - mai accolta entro il sistema di conoscenza e di esperienza - della vita e della morte - a causa d'un evidente deficit delle capacità d'astrazione e di comprensione proprie del sistema noto homo sapiens s., incapace del pensare e dell'esperire vuoti.
Secondo tale principio, qualora la realtà - l'universo noto - sia pensata (e osservata) da un luogo d'osservazione adatto - fuori e diversamente da quell'universo - quella realtà è simultaneamente - nella simultaneità 'astratta', assente * - modificata nei suoi presupposti fondamentali secondo le nuove proprietà attinenti al tipo d'osservazione. E poiché una siffatta osservazione è del tipo vuoto, assente, (essendo) totalmente differente da ogni altro tipo d'osservazione nota all'universo consapevole di homo sapiens s., la modificazione che s'ingenera nel nuovo universo sarà di quel tipo, cioè vuota, assente, altra rispetto a ogni universo noto.
Ciò significa che la nascita di un nuovo universo (del tipo da noi indicato) implica come conseguenza la trasformazione dell'universo precedente, nella direzione d'un maggior livello d'astrazione, ovvero della nascita d'una dimensione (maggiormente) vuota, capace del nulla, dell'assenza.
Se osserviamo il campo dell'evoluzione, il passaggio da uno stadio all'altro di tale iter implica ad ogni passo un livello più vuoto dell'universo, un campo di maggiore astrazione, con una diminuzione dell''effetto concretizzante' da parte della 'cosa materia universo'.
L'attività pensante, il linguaggio verbale astratto, la consapevolezza, il sistema psicologico e affettivo di homo sapiens s. sono l'effetto e, al medesimo tempo, i generatori di campi maggiormente vuoti, più astratti  (*) rispetto allo stato della 'materia universo', se così possiamo chiamarla, luogo concreto e povero di spazio vuoto, prima che il livello del pensiero astratto di forma facesse schiudere, almeno in parte, gli orizzonti della realtà fino allora, per lo più, ciechi e ingombri di cosa.
Il pensare astratto, così come la consapevolezza e l'affetto cosciente, a nostro avviso, implicano grandi cambiamenti nelle situazioni di organizzazione di base, di controllo e di relazione propri delle condizioni intrinseche alla materia (biologica) che costituiscono l'assetto delle specie che precedono homo sapiens s.
E' possibile pensare che entro l'organismo biologico animale (e vegetale) si sia dovuto generare uno spazio (assente), con l'attuarsi d'un vuoto, al fine di disporre d'un livello maggiore d'astrazione, qual è quello della specie homo. E per ottenere ciò sia stato necessario transitare attraverso fasi di estinzione, dove la materia cessando dà spazio con il cedere parte della propria 'cosità': il pensare è certamente meno 'cosa' di qualsiasi altro atto o condizione si sia materializzata al mondo. Perché ciò si rendesse possibile è dovuto allora accadere che la condizione della materia (biologica) avesse, di necessità, accettato uno stato analogo o equivalente, parallelo a quello di morte, pari a una nuova categoria della morte - la morte astratta e consapevole - , stato nel quale si attua, per fasi successive di estinzione entro
la struttura della vita - che ha la prevalente proprietà di cosa - , attraverso successive 'assenze', ovvero tramite successive assunzioni del venir meno (consapevole), la trasformazione dell'universo (fatto di) cosa biologica in universo 'minore cosa biologica', un universo capace di pensiero e di coscienza. Come se per l'attività pensante cosciente si fosse dovuta creare una sorta di nicchia scavata entro l'organizzazione della materia che la precede e questa avesse dovuto cedere, accettando il suo venir meno, almeno limitatamente a tale nuova situazione.
Diciamo "limitatamente" per sottolineare il fatto che con l'evento determinato dalla nascita del pensiero cosciente e astratto, pur essendosi modificati i presupposti dell'organizzazione precedente - di tutto un sostrato dell'universo precedente - tuttavia, secondo i nostri assunti, la nuova attività cosciente e autocosciente non ha ottenuto lo spazio, come sarebbe stato doveroso e necessario concederle perché la nuova specie esistesse integra.
L'attività pensante e cosciente, la condizione affettiva e razionale, propri della specie homo, in particolare della specie homo sapiens s., sono deficitarie: non hanno 'pervaso' e sostituito secondo la loro condizione di (maggior) assenza l'intero sistema somatico, lasciando, invece, ad esso ancora la guida d'antica specie naturale che impone agli organismi viventi l'eterna fissità del ciclo di vita e di morte, così poco astratto e tanto povero di gradi di libertà.

Ma com'è possibile una morte astratta e consapevole per un sistema che non ha consapevolezza e astrazione?
Ciò è possibile soltanto dal punto di osservazione di cui diciamo e per il Principio d'Inclusione da noi proposto; allora, quanto stiamo dicendo della possibilità d'una 'morte astratta', è valido unicamente nel caso in cui sia stato posto il nuovo luogo dell'osservazione, fuori del sistema noto.
Soltanto pensando (o osservando) da codesto luogo è possibile 'astrarre' la morte, considerare vuoti i vari passaggi d'estinzione - solitamente carichi di 'condensazioni concrete' - che per successive fasi hanno condotto l'organismo biologico ad essere adatto, cessando di sé, ad accogliere l'attività pensante, ovvero a generarla come parte integrante di sé.
Difatti, finora, la morte è stata ed è una condizione di forte compressione, di materialità dall'abnorme concretezza, di disordine entropico, uno stato simile a una sorta di assoluta e totale chiusura autistica della mente e del corpo, per la quale l'organismo, cessando proprio di quelle qualità che ne fanno un organismo vivente e, perciò, rispetto alla materia inanimata che è, in generale, del tutto povera d'informazione, perde della qualità di un ente astratto, capace di qualche grado d'assenza (d'astrazione).
Dal nostro punto di osservazione, possiamo constatare come la materia (biologica) attraverso i vari passaggi in cui si sono verificati gli eventi della cessazione, dell'estinzione, della morte abbia appreso da questi ad 'astrarre da sé', come a poter dimenticarsi, a formare quella dimensione dell'assenza che è una sorta di scavo, di trasformazione in negativo della sostanza positiva, così come essa è solita manifestarsi ed essere, in tal modo, pensata.
Spingendoci ancora oltre, ovvero da una parte opposta, contraria, inversa a quella precedentemente descritta, possiamo anche dire che l'assenza da cui ha preso l'avvio la formazione della coscienza, del pensiero astratto di homo sapiens, può essere pensata, fin dall'inizio, osservando da un 'luogo astratto', come costituita di stampo, di calco, di immagine al negativo (senza essere tale, perché in codesto luogo non esiste l'opposto), dal quale non occorre che qualcosa ulteriormente si generi per rotazione e si faccia positivo, spinto con ciò a occupare lo spazio e il tempo non più vuoti, d'un universo che si fa pieno e contrario. L'assenza è un alcunché che non nasce dalla cosa; è, perciò, nulla, un nulla che non solo è la cosa che s'è sottratta; non solo è la mancanza di cosa o l'ignoto come solitamente è pensato.
Il nulla dell'assenza è un nuovo stato della materia e del pensiero che la pensa; è un nuovo universo che non è fatto di alcunché e che non ha origine in nulla, se non, transitoriamente, nella modificazione radicale del 'pensare la materia', del 'pensare la cosa', del pensare tout-court e, con ciò, del vivere, dell'esistere, del morire.
Proviamo a pensare, per analogia, tale condizione - sperimentiamo una siffatta modalità d'approccio - come a un vuoto che ha sostanza, che ha la medesima sostanza del nulla; che è, altresì, differente dal nulla, essendo un nulla pensato in un sistema del pensiero che è privo di pensiero (noto) ed è differente da qualsiasi struttura pensante esistente.
Si ha, così, quella differenza che pone l'alterità totale di cui stiamo dicendo, e che abbiamo anche chiamato 'distanza all'infinito' e distacco - relazione per assenza.

Nuove considerazioni, allora, è utile porre circa il ciclo di vita e di morte: si rende necessario che il vivere sia pensato ed esperito nel modo più astratto, analogamente al morire.
Alla luce dei fatti considerati ha ben poco senso, a nostro parere, l'idea che da alcune parti delle scienze biologiche si fa presente circa l'evoluzione futura della specie attuale homo sapiens s. Ipotizzare che questa consista essenzialmente in modificazioni somatiche, così come era avvenuto fino all'avvento di homo sapiens e, che, secondariamente, ci sia qualche mutazione nelle strutture relative alle attività superiori, più astratte, ci sembra di scarso interesse.
Non è di facile soluzione il compito di chi volesse daccapo proporre nuove strutture e nuove funzioni fuori dal contesto e dall'uso consueti, ed è anche per ciò che dell'evoluzione futura ben poco si parla, per lo più ritenendosi lo stadio cui è giunto homo sapiens s. come l'ultima tappa e definitiva d'un lungo e laborioso cammino biologico.
Si dovrebbe, come abbiamo visto, uscire dal sistema homo per poter dire qualcosa di sensato circa la sua evoluzione senza rimanere intrappolati entro il medesimo orizzonte definito dai vincoli che la specie ha intrinseci: ciò è, forse, altamente improbabile al momento, ma non impossibile, così come proponiamo. Uscire e sorpassare i limiti entro cui la specie si dibatte implica il nuovo livello dell'Assenza: lungo il cammino si esprimono stati simili a profonde mancanze entro gli spazi ultimi dell'essere, in piena coscienza, con tanto affetto; distacchi progressivi proprio entro il luogo in cui si forma l'idea, attive assunzioni del vuoto mentre s'attraversano lande desolate e doloranti da sempre occupate dallo stato di morte. Ma il pensiero cosciente nulla di sé deve cedere, se non della sua origine troppo piena: esso, adeguandosi, anche con grande sforzo e, pure, sofferenza, non deve deragliare dal suo cammino di conoscenza e di affetto; anzi si rafforzi, poiché mai deve scomporsi né frammentarsi. E' assorbita la proprietà del nulla entro l'oggetto del soma e della psiche finora concreti, e li trasforma, dando così l'avvio a un nuovo senso, del tutto diverso fin nelle radici, un diverso vuoto che ha in sé il finito e il non finito, ben risolto, una realtà risplendente, e aperta, della quale, ancora, non si conosce il confine.
Occorre accettare, durante il tragitto, fenomeni idonei a conquistare la morte, equivalenti al morire-assentarsi entro lo stato biologico, perché questo venga meno, spostandosi e differendo per distacco da sé medesimo: muta l'antico soma 'astratto', accingendosi ad essere vuoto, simile a un nulla diffuso, altro dallo schema di vita e di morte, di idea di mondo e di cosa, che non sono altro che il risultato d'una lunghissima fase di concretizzazione nell'evoluzione della materia vivente, non idonea, né preparata ad essere niente.
Si comprende, ora, nel modo più ampio come la nicchia entro cui s'era scavata (finora) la mente, data la storia del soma concreto, sia del tutto insufficiente a generare una più completa espressione della nuova categoria del vuoto, che nasce con quella.
Come se da un lato si fosse sviluppata in modo abnorme la struttura che sorregge l'attività cosciente - una corteccia asimmetrica e ricchissima di interconnessioni al suo interno - e dall'altro non si fosse creato un posto adeguato entro il sistema fatto di corpo, una cosa (quasi) concreta, retaggio d'una realtà che fu "deserta e vuota", com'è detto all'inizio del Genesi.

Ma, allora, quale pensare, come fare, dove andare? Quale vivere e quale morire?

Cercheremo di dare iniziali risposte a cotante domande: proveremo a indicare nuove vie di comprensione e di attuazione delle entità psicologiche e somatiche che debbono apprestarsi a lasciare il posto ad altri, ulteriori pensieri, coscienza e astrazione. Indicheremo allora che cosa sia la specie di mezzo: la specie che conduce la transizione verso quel luogo dov'è nulla; luogo della nientità in cui nulla necessita perché sia mondo.
Luogo ch'è difficile da comprendere e assumere dalla mente, dalla ragione e, ancora di più, dal sentimento e dalla sensazione, così come ora si pongono: un luogo non luogo, tempo non tempo nel quale il pensare cessa d'essere tale, la coscienza ha appreso il morire, insegnando al soma che, per ora, la contiene, una dimensione di vita e di morte, diversa da quanto esso conosce come espressione d'un'evoluzione pensata e esistita in eccesso di concretezza e in mancanza d'assenza.
Ci sembra importante che la specie sia più sana, in generale, nella psiche e nel corpo e che, perciò, apprenda al suo fondamento quel piano d'assenza, quel 'mancare astratto' di vita (e di morte) che potrebbe essere la via interessante a che essa acquisisse un nuovo livello non soltanto dell'intelligere e della coscienza, ma anche, e soprattutto, dell'affetto e del soma più assenti, capaci in tal modo di sostituire gli antichi e non più validi meccanismi preposti a difesa dell'organismo biologico, eredità d'un mondo naturale di cui è utile venire a cessare.
E' importante che la specie, così come ha appreso a scandire la parola e a conoscere il mondo oltre il bisogno naturale, un nuovo assetto si dia e un nuovo rapporto, nella fase di transizione, si crei tra psiche e corpo, tra coscienza astratta e cosa concreta.
Nel mentre si fa l'anticosa, l'antipensare, il nulla che è vuoto, privo d'inizio, della necessità di tracciare il proprio percorso, è utile pensare a una struttura (vuota), un tessuto più ampio e aperto che faccia della specie una specie più sana e matura, più adatta a staccarsi da quel ciclo di vita e di morte - e di malattia - a cui finora è soggetto il mondo, per lo più, incosciente.

Se a fondo consideriamo le strutture psicobiologiche della specie, notiamo come la coscienza sia ancora quella iniziale, nata, forse, per meglio adattarsi a un ecosistema mutato, e il corpo sia controllato e difeso da meccanismi, quali il sistema immunobiologico, d'antica origine animale, e perciò, regolato dalle leggi di quel sistema che, a sua volta, dipende dai meccanismi ciclici della natura.
L'uomo ha inventato il linguaggio verbale e astratto, la coscienza e l'intelligenza e questi si sono scavati una piccola nicchia nel sistema naturale biologico: non hanno, tuttavia, ancora inventato nulla che lo protegga meglio dalla sofferenza, dalla malattia e dalla morte entropica.
E' importante, a nostro parere, che esso apprenda il nuovo livello del pensare, dell'essere vivo e consapevole, in modo che una nuova protezione, o meglio condizione d'apertura relazionale e d'affetto si faccia, come sistema adatto a permettergli nella transizione atti di vita, di coscienza, di nascita e, infine, di morte più 'astratti', migliori, più integri sul piano dell'affetto e dell'intelletto rispetto a come finora è stato. L'uomo attuale non è l'ultima tappa dell'evoluzione; è soltanto un vago inizio; egli si trova in una sorta d'intoppo da cui occorre disincagliarsi e progredire secondo temi più avanzati e astratti, secondo direttrici a più aperto e complesso raggio, diversamente dal modo troppo angusto secondo il quale nacque incompleto il pensiero nel passaggio dall'animale, dal quale non s'è consumato il distacco dovuto.
Se il corpo e la psiche - il sistema psicobiologico insieme con il suo universo - apprendessero davvero ad essere vuoti, cavi dell'eccesso di cui per ora sono costituiti a causa d'un'evoluzione che fu incapace d'essere altra, assai simile, forse, all'assenza, come avrebbe potuto essere quando al principiare della coscienza e del pensiero a codesto stato, per pochi tratti, si fece cenno, allora un nuovo progetto ricco d'affetto, completo d'una mente più astratta, sensibile e capace della differenza, sarebbe possibile, essendosi estinto l'oggetto concreto, fondamento d'una specie imperfetta e incapace d'aprirsi al proprio finire.

Europa

Per terminare, se mi è ancora concesso dire, vorrei introdurre il poema 'Europa, o l'Assenza', dal sottotitolo: "Poema in soccorso di vita e di morte, di veglia e sonno in eccesso e non cosciente dell'umana specie tanto immatura e così poco felice" , dello stesso autore di codesto saggio e di prossima pubblicazione presso Campanotto Editore.
E' un poema dalle vaste proporzioni, nel quale, prendendo lo spunto dalla caduta del muro di Berlino e, perciò, dalla possibilità della formazione d'un mondo con minor tendenza alla frammentazione e alla difesa, si narra e si canta d'una dimensione di realtà - l'Assenza - più completa e ampia, maggiormente astratta e vuota, che venga a soccorso della specie homo sapiens s. nella costruzione dell'Europa e dell'universo che nuovo può nascere. Esso, anziché ridursi alla cosa, si ampli e si trasformi nel niente, per quanto è possibile, e comprenda il passato e anche il futuro dell'uomo, essendo pensato assieme al tempo e allo spazio, al di fuori di quelli - nella dimensione d'intemporalità ed iperspazialità - , diversamente dalla memoria che noi conosciamo. Di tale alterità, che nasce dalla scansione 'astratta' e libera, quasi 'vuota' - d'altro tempo e d'altro spazio -, dei versi e della Musica dell'Assenza per duplice pianoforte, su due livelli (vuoti, assenti), che apre il poema, noi confidiamo che la specie si faccia 'portatrice assente' e del nuovo tessuto si sostanzi per attraversare più sana e meno infelice, più ardita e preparata al futuro dal complesso disegno, sulla soglia del quale essa è sospinta perché sia idonea a superare l'attuale ingiusto, non docile confine.
Del poema suddetto pubblichiamo qui di seguito le pagine-copertina interne che fanno da apertura al testo, in generale, e allo spartito musicale, pezzo per pianoforte doppio, ovvero per due pianoforti (vuoti): E. U. R. O. P. A.

 

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