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10 aprile 1997

 VI Seminario 'Sui margini dell'Assenza' 1996-1997

La nascita del pensare come valore del segno (-)
Esplicazione evoluzionistica congrua a una funzione assenza (A)

 
Paolo Ferrari:
Incomincerò con l'introdurre il Seminario e anche la composizione del Seminario perché stasera, come è già scritto nel programma generale dell'inizio dell'anno, dopo Susanna e me interverrà anche Luciano Eletti che penso porrà un'ulteriore introduzione al tema in termini di ampia domanda, credo, all'anti(anti)sistema di cui sto parlando.
Nel corso degli anni, dopo un inizio in cui il tema era trattato soprattutto da me, è intervenuta a mano a mano poi Susanna Verri, e adesso è come il punto d'inizio di ogni Seminario, e pone un luogo.
Stasera parlerà, parleremo, io non so ancora bene come, dove, da che parte andrò, comunque il tema è la nascita del pensiero dal segno meno (-). Vogliamo porre l'attenzione, la fondazione - che non è fondazione, che comunque è libertà di cambiare, di essere altro - di un alcunché che ha come suo valore e come sua espressione il segno meno (-). Vogliamo dimostrare - la parola è fin troppo grossa -, vogliamo mostrare, manifestare il fatto che la nascita del pensiero in Homo, e quindi la nascita di questa specie, di questo genere e quindi poi specie Homo s. - la cui caratteristica è un'attività pensante astratta, è il linguaggio che ne è il connettivo, che è pure derivazione, origine-derivazione di questa nuova attività -, nasce come luogo meno (-), ovvero come differenza da un alcunché.
Come abbiamo fin troppo ormai detto - ma questo continuerò a ripeterlo, credo, per tutta la vita -, la grande difficoltà di mostrare l'esistenza di un'altra attività, di un'ulteriore attività oltre a quella del pensiero, a quella del pensaaare, a quella dell'astrarre comunemente, è il fatto che comunque il pensiero umano - l'attività umana essendo ancora legata a delle strutture biologiche, legata a una storia evoluzionistica - pensi ancora e sempre per accumulo, cioè ogni cosa che viene pensata viene aggiunta ad altro, ogni idea che viene posta come superamento della situazione attuale pensante o della situazione in generale della storia umana è comunque un accumulo, è un'aggiunta. Voglio dimostrare che esiste un'altra possibilità che invece è una sottrazione. Vogliamo dimostrare che esiste uno scarto, uno scarto da qualcosa; questo scarto da qualcosa è quello che io ho chiamato, nella sua massima esplicazione, Assenza. Assenza è di per se stessa 'scarto da', e in quanto assente è assolutamente 'scarto da', è un assoluto, o potrebbe essere assente da qualche cosa, assente dal pensiero presente o dall'attività presente, e comunque è un assoluto, cioè è un sine ligame, è oltre i legami che si sono attualmente presentati nel sistema attuale Homo sapiens. C'è nella cultura, già nella cultura occidentale, una serie di posizioni che indicano il fatto dell'esistenza di un qualche cosa che sia sottratto, un qualche cosa che sia meno (-) il quale meno (-) non toglie nulla a quello che c'era prima, ma aggiunge. Ma aggiunge nel senso che ne allarga ancora di più l'aspetto e lo fa sprofondare in un'alterità la quale alterità non è un impoverimento del sistema ma, possiamo dire, tra parentesi, un arricchimento, e comunque è altro rispetto a quello che c'era in precedenza. Il pensiero è - come dirà, penso, Susanna prendendo lo spunto da un filone del pensiero psicoanalitico -, il pensiero nasce da un qualche cosa che si fa assente, e perciò il titolo abbastanza complicato, complesso della serata attuale è La nascita del pensare come valore dal segno (-). Esplicazione evoluzionistica congrua a una funzione assenza, (A). Ciò significa che la nascita del pensare, avendo questo segno meno (-), essendo essa stessa nascente da un segno meno (-) e quindi da un anfratto e quindi da un alcunché che non c'è, che è assente, è un elemento che è congruo a una certa funzione che noi abbiamo chiamato Assenza, funzione Assenza che, secondo una serie di teoremi che sto a mano a mano andando a dimostrare, ha accompagnato l'evoluzione, il processo biologico del sistema vivente. Una delle sue caratteristiche fondanti è quella del pensiero: l'evoluzione è arrivata a un certo punto fino a formare un alcunché che viene chiamato pensiero. Questo pensiero non è un'aggiunta, questo pensiero nasce da un luogo vuoto, e questo è il nostro pensare attuale. Ulteriormente a questo pensare attuale c'è un ulteriore passaggio che io ho chiamato Assenza, ma quest'Assenza non è soltanto questo ulteriore passaggio, è anche un alcunché che tiene probabilmente vincolato, legato, è capace di mostrarsi in tutto il sistema evoluzionistico degli organismi biologici viventi.
Susanna, a te la parola.


Susanna Verri: Circa questa questione della nascita del pensare come valore dal segno meno (-), io avevo pensato di portare questa sera, col mio intervento, alcuni riferimenti a quello che il pensiero psicoanalitico, come ha accennato prima Paolo, ha espresso, in alcune sue correnti, in relazione alla nascita del pensare che è argomento tipico di una corrente psicoanalitica, cioè in particolare di quella kleiniana, che ha colto ciò che Freud aveva cominciato a esprimere circa la nascita del pensare a partire dal principio di realtà e quindi dall'accettazione della frustrazione di cui avevamo parlato nell'altro Seminario, cioè due Seminari fa.
Sto seguendo, in questi miei interventi, un filo, un filo che si sviluppa all'interno del discorso di Paolo e che sta toccando alcuni punti che mi sembrano fondamentali per i temi che vogliamo comprendere, e in particolare il filo della contrapposizione principio di realtà-principio di piacere e di ciò che avviene nel momento in cui si forma, e come avviene che si formi, l'acquisizione del processo di realtà che implica la frustrazione e che implica - come vedremo questa sera -, all'interno di questa frustrazione, lo sviluppo del pensiero.
Bion, che è il pensatore, lo psicoanalista a cui volevo principalmente rifarmi questa sera, allievo di Melania Klein di cui ho parlato nell'altro Seminario, sviluppa una teoria del pensare in cui il pensiero viene definito come l'accoppiamento con una frustrazione. E dunque, tra le varie teorie, egli sceglie questa via per cui quando quello che lui chiama una preconcezione, cioè l'esistenza di una disposizione innata a delle aspettative, cioè come una sorta di pensiero vuoto in senso kantiano lui dice, quindi una predisposizione non ancora riempita da un oggetto, l'aspettativa di un qualche cosa, che lui chiama precognizione, incontra una realizzazione, incontra cioè un oggetto reale: nel caso che questo oggetto reale sia una mancanza, si sviluppa il pensiero.
Nell'esperienza del bambino, nell'esperienza del neonato, si parla... noi parlavamo l'altra volta in termini simbolici, quindi di seno, di seno materno che è il primo oggetto con cui ha a che fare il bambino nel suo sviluppo, è il primo oggetto di desiderio, è il primo oggetto possibile anche di frustrazione. E dunque per Bion il pensiero si sviluppa nel momento in cui è data la possibilità di accettare la prima frustrazione, cioè il fatto che il seno materno possa anche non essere disponibile. Esiste cioè, di fronte alla possibilità del seno che non è disponibile a soddisfare il bisogno, una gamma di eventi che possono poi, da questo primo fatto, svilupparsi, e che procedono a seconda di come ci sia l'elaborazione di questa frustrazione oppure no. Nel caso che la frustrazione non venga accettata o non venga tollerata, Bion dice, in particolare, cominciano ad avviarsi tutte le spinte di fuga, di meccanismi, lui dice, di evacuazione, cioè di meccanismi volti a far sì che questa frustrazione non venga percepita e non venga più vissuta. Avvengono dunque tutta una serie di meccanismi inconsci per cui si hanno delle identificazioni proiettive successive, cioè dei meccanismi per cui l'io si separa e proietta fuori di sé l'oggetto cattivo, come avevamo visto nell'altro Seminario, e da questo può equiparare quindi l'allontanamento dell'oggetto spiacevole al soddisfacimento del suo bisogno.
Questo è forse un discorso che diventa un pochettino tecnico, però è un discorso molto interessante perché vuol dire che quando si instaurano questi meccanismi di fuga, di evacuazione, avvengono tutta una serie di modalità per cui ogni pensiero verrà equiparato a un oggetto negativo e quindi, se non è data quella possibilità iniziale di accettazione della frustrazione, il pensiero non si potrà sviluppare; si potrà invece sviluppare nel caso in cui sia data la possibilità di vivere la frustrazione, sia dato quello di cui Freud aveva appunto parlato, che aveva definito come accettazione del principio di realtà, come entrata nel Principio di realtà.
La questione delle identificazioni proiettive è stata vista poi da Melania Klein come un eccesso di un meccanismo che per altri versi fa parte anche del processo normale del neonato ma che se invece è in eccesso è accompagnato da un elemento di onnipotenza tale per cui viene bloccata ogni possibilità di apprendimento dall'esperienza. Cioè la possibilità di apprendere dall'esperienza, dice Freud, e dice poi Bion in particolare, si sviluppa solo nel caso in cui sia possibile che la frustrazione venga elaborata e quindi venga tollerato un grado successivo e possibile di insoddisfazione, e su questo piano allora può fondarsi un rapporto con quella che è l'esperienza, con quella che è la realtà contingente che è continuamente fonte di insoddisfazione.
Per Bion il meccanismo di identificazione proiettiva, che fa parte per un versante di quella modalità di tentare di allontanare il più possibile ogni esperienza spiacevole, e quindi che è un meccanismo che quando è fondato su un principio di onnipotenza impedisce un rapporto con la realtà, può essere invece in altre situazioni fondato su un tentativo di realizzare un primo rapporto con la realtà, basarsi cioè sul primo tentativo del neonato di avere un rapporto congruo con la madre, e quindi può essere il primo fondamento di uno scambio che Bion ha studiato molto dettagliatamente, che ha studiato in particolare in suoi pazienti psicotici, quindi con gravissimi problemi. L'ha studiato all'inverso, l'ha studiato per come lo vedeva realizzarsi nelle sedute e per come lo vedeva poi nelle sedute permettere l'instaurarsi dei primi processi di realtà a partire da situazioni in cui questi processi si formavano davanti ai suoi occhi - perché non c'erano prima -, e ha ipotizzato che possa essere normale quindi in ogni neonato il fatto di avere una piccola quota, o una quota, di questi meccanismi di identificazione proiettiva, cioè di scissione di parte di sé e di proiezione nella madre di parte di sé, perché attraverso questi meccanismi il bambino sposta sulla madre ciò che non riesce a tollerare, instaura con la madre una primissima relazione e poi può riprendere dalla madre quello che la madre ha elaborato per lui e reintroiettarlo in termini che siano meno negativi dei precedenti e quindi che siano accettabili per lui, che siano vivibili. Quindi a questo punto il suo oggetto cattivo che aveva dentro di sé, che ha proiettato nella madre, che la madre ha elaborato, lo può riprendere e può viverlo come meno cattivo e quindi può fargli da prima via, diciamo, da premessa all'elaborazione della famosa frustrazione, quindi da premessa alla costituzione del rapporto di realtà.
Questa attività della madre di elaborazione, di recezione anche, di farsi recettrice, di farsi contenitrice degli oggetti che arrivano dal bambino, di qualunque tipo, quindi anche di quelli negativi, è chiamata da Bion réverie ed è un'attività che nasce dalla capacità di pensiero della madre ed è volta a produrre nel bambino la capacità di pensiero perché in questo primo rapporto, in questi primi passaggi avviene questa prima elaborazione sulla base della quale poi, se la madre è stata buona contenitrice, buon contenitore, allora il bambino introietterà la possibilità a sua volta di vivere questi oggetti resi tollerabili. Se la madre non lo è, cioè se la madre non è stata disponibile a sufficienza, Bion dice che il bambino reintroietta invece un'angoscia senza nome, cioè reintroietta il rifiuto di ricevere dall'esterno qualunque cosa, di ricevere qualunque proiezione dall'esterno, e quindi continuerà poi a vivere dentro di sé questo elemento negativo e negante la realtà esterna: quindi questa è l'importanza fondamentale, nella coppia madre-bambino, dell'attività di elaborazione e di scambio, ed è l'importanza fondamentale di questa attività di réverie della madre e della funzione alfa che Bion definisce come la funzione che permette questa elaborazione per cui oggetti del pensiero, sensazioni, residui delle emozioni della vita quotidiana vengono resi pensabili, cioè vengono, noi potremmo dire, astratti; lui non lo dice, lui dice soltanto che diventano oggetti alfa che distingue da quelli beta che non sono pensabili; diventano oggetti alfa, come tali accantonabili, come tali possono entrare nel pensiero del sogno, nel pensiero della vita quotidiana, costituiscono una prima differenza tra gli oggetti resi pensabili, costituiscono una prima differenza tra conscio e inconscio, costituiscono una barriera di contatto che inizia a separare il conscio dall'inconscio, inizia a permettere il formarsi delle premesse delle categorie di spazio e di tempo e quindi inizia ad aprire la strada verso un processo a maggior coscienza di rapporto con la realtà.
Tutta questa questione nasce da quel punto che si diceva prima, cioè dal pensiero pensato nei termini di incontro o accoppiamento con la realizzazione negativa, cioè con la frustrazione. Questo tema, in altri termini, è ripreso anche da un'altra psicoanalista, allieva di Melania Klein anch'essa, Anna Segal, la quale studiò dettagliatamente tutto lo sviluppo della formazione dei simboli e studiò la formazione del simbolo proprio dal punto di vista dell'acquisizione di una capacità di linguaggio e poi di pensiero, di astrazione che si basa sul poter, con la formazione del simbolo, segnare delle differenze tra gli oggetti e tra le rappresentazioni degli oggetti, e dunque poter tollerare la mancanza dell'oggetto reale e poterlo pensare simbolizzato. Questa fase di formazione del simbolo viene situata da Anna Segal nel periodo di cui vi parlavo nell'altro Seminario, nel periodo della fase depressiva, cioè nel periodo dello sviluppo del neonato in cui comincia a essere pensabile la separazione tra sé e l'oggetto esterno, in cui l'oggetto esterno può essere vissuto come oggetto intero, non quindi soltanto il seno parziale, ma la madre intera separata da sé. In questa fase, poiché inizia a poter essere pensata una separazione, inizia a poter essere pensato anche un oggetto simbolizzato da un qualche cos'altro, e non presente: la madre che esce dalla stanza non sparisce per sempre ma potrà anche ritornare. Allora, da questo punto di vista, il simbolo, la costruzione del simbolo segna una fase molto importante che è per esempio invece mancante nei pazienti schizofrenici per i quali non c'è distinzione tra il simbolo e la cosa reale: esiste un processo, che è chiamato equazione simbolica da Anna Segal, per cui il simbolo è la stessa cosa che rappresenta. Questo avviene anche nel bambino piccolissimo ma, nella fase che vi dicevo, termina con la formazione invece, nel periodo della posizione depressiva, della nascita del simbolo.
Un'ultimissima cosa cui forse potrei accennare, tornando da qui ancora a Bion, un terzo elemento che posso dare è che un altro elemento che egli considera fondamentale per la nascita del pensiero è il fatto che vi sia una continua oscillazione tra le posizioni depressiva e schizoparanoide, cioè che tra i processi di integrazione e tra quelli di dispersione e disintegrazione ci sia una continua oscillazione prima di arrivare a una fase stabile, perché egli ritiene importante che il pensiero non si fissi precocemente ma possa vivere questi stadi di oscillazione, e questi sono poi gli stadi che possono contribuire alla formazione di un pensiero che per Bion si sviluppa sempre anche all'interno delle sedute terapeutiche e solo quando vi sia la disponibilità ad esporsi a qualche cosa di inconoscibile, quindi quando vi sia la possibilità di un'esposizione ad una situazione anche di caos. Per certi versi lui sostiene che anche il caos del pensiero schizofrenico, quando è caos, possa avere un valore o un'utilità perché sostiene che ogni seduta debba sempre essere in qualche modo aperta alla possibilità anche di un non-senso, anche di una rottura di equilibri, a quella situazione che lui chiama 'di catastrofe' indicando la perdita di ogni stabilità, e che vi sia la disposizione a ciò anche da parte dell'analista, e questo ha fatto molto discutere in ambiente psicoanalitico e ha suscitato all'inizio molte resistenze e tuttora, credo, ne susciti. Lui teorizza che l'analista debba, per esempio, essere disposto a perdere ogni memoria e ogni desiderio a ogni seduta, e quindi lavorare continuamente senza il riferimento alla memoria quindi al passato, senza il riferimento al futuro quindi al desiderio di poter ottenere alcuni risultati o alcune mete, ma completamente assorbito sul presente, sulla realtà attuale della seduta e sul punto di evoluzione continuamente presente nel fatto di disporsi nella condizione della seduta con questa esposizione a perdere ogni punto di fissità.
Ecco, io mi fermerei a questo punto.


Paolo Ferrari: Vorrei dire anche del significato, del perché la nostra esposizione, soprattutto quella di Susanna, prende la via, diciamo, del pensiero psicoanalitico; perché noi ci occupiamo di terapia, ma non siamo analisti, cioè Freud è assente, è assente ma in quanto è stato l'iniziatore capace di porre, anche coi suoi allievi, il fatto che esista un pensiero assente e che il pensiero sia comunque un luogo assente. Se è stato compreso quello che Susanna ha detto e quello di cui altrove
* abbiamo già più volte parlato, vi è il fatto che il pensiero nasce quando la madre si fa assente, cioè quando nasce la possibilità del bambino, quindi di Homo, di accettare la frustrazione, di accettare il fatto che alcunché che c'era non c'è più. Io dico, in generale, ancora in questa generalità più grande, in questo ulteriore scarto, quando cioè questo punto...* esiste quest'altro punto, e qui in mezzo c'è il vuoto, c'è l'Assenza, cioè la madre non è neanche essa nata, non è neppure essa nata. Cioè l'Assenza si pone qui dentro, l'Assenza è questa cosa.* Paradossalmente è un alcunché che non c'è, per cui questo pensiero è continuamente legato al paradosso. Io parlo, però nel momento stesso in cui sto parlando, in cui sto esprimendo questi concetti, sto portando alla luce questi simboli, uso delle metafore, ma queste metafore, in quanto proprio parlano e passano attraverso una mente, la quale mente si è fatta astratta, si è fatta assente per questa madre mancante, per questa sua assenza, queste parlano direttamente su un altro livello della mente vostra che è predisposta, che è questo luogo vuoto, è probabilmente questa precognizione, come la chiama Bion; io non so come chiamarla.
Ma tutto questo, quello che a noi interessa - perché noi passiamo attraverso questi temi scientifici, psicoanalitici, oppure attraverso l'evoluzione, attraverso il pensiero dei quanti, piuttosto che il problema delle particelle, piuttosto che la linguistica -, il pensiero della possibilità umana, di una possibilità evoluzionistica del pensiero umano, è stato preso, è stato assunto - almeno nell'Occidente - da certi luoghi, certi mondi, certi gruppi, certe culture molto poco acculturate. Perciò quello che voglio indicare, quello che voglio dire è che nella situazione attuale culturale, storica c'è in fin dei conti al fondo una grandissima povertà. A causa di questa povertà - di analisi, di ricerca, di peso, di pensiero, di attività -, si va a poco a poco... si è tentato di sostituirla con determinati elementi, determinate situazioni altrettanto affettivamente povere, altrettanto intellettualmente povere, ma che è come se avessero portato un'idea di speranza vacua a quello che è l'attività umana invece di spingerla, sollecitarla a far sì che un qualche cosa si possa smuovere all'interno dei suoi processi più complessi, cioè all'interno dei suoi processi più astratti. Allora ci sono le varie dottrine di tipo esoterico, di tipo occultistico, c'è la New Age, ci sono tutti i vari movimenti - che d'altra parte sono tipici della fine di un secolo così complicato, anche se è un secolo breve come il '900, e della fine di un millennio per tutta una serie di timori millenaristici -, ma quasi siano ormai diventati una specie di cantilena.
Quello che noi vogliamo dire, quello che stiamo dicendo, quello che sto dicendo da anni - omai da vent'anni, - è che il processo... cioè quello di cui stiamo parlando è una cosa molto difficile, è difficilissimo. Riuscire a pensare tutto questo di cui noi stiamo parlando è una cosa difficilissima. Non è una questione che avviene appunto attraverso l'accumulo, attraverso il fatto che uno si mette lì davanti al sole e, pregando il sole, questo, il sole, lo illumina, oppure che cammina e fa centocinquanta metri e da lì passa una certa idea e questa diventa l'elemento spirituale. Tutto quello che noi stiamo dicendo è che, in fin dei conti, lo spirito non esiste; ma non esiste lo spirito come non esiste la materia, ovvero esistono tutti e due, ma bisogna pensarli in altro modo. Io mi sto sforzando da diversi anni di cercare di pensare in altro modo questo spirito, questa materia, perché è nato lo spiritualismo, è nato il materialismo e tutti e due, in un certo senso, hanno fallito. In un certo senso io mi ritengo più materialista, credo più materialista del più grosso materialista che ci sia nel senso che io dico che tutto questo di cui sto parlando sta dentro al nostro cervello, tutto questo di cui sto parlando sta dentro una struttura neuro-biologica complessissima; questa struttura neuro-biologica complessissima, che ha tutta una serie di stratificazioni dal punto di vista anatomico, fisiologico, neurologico, psicologico, mentale, ultra-mentale, assente, deve essere esplorata, deve essere resa attiva, deve essere resa pensante e allora, se soltanto in questo modo viene resa attiva, viene resa pensante, allora forse qualche cosa di questo di cui io sto parlando si riesce a capire, cioè questo luogo assente.
*
Ora non voglio dire che il mio metodo sia il miglior metodo possibile; io dico che al luogo dove sono arrivato a pensare fino adesso non ci è arrivato nessuno, e per questo mi costa. Per cui m'interessa riuscirne a parlare, m'interessa riuscire a portare un filo dimostrativo, diciamo, nella logica, nel contesto di quello che è stato il pensiero occidentale: io sono uomo occidentale e lo porto nel contesto del pensiero occidentale, ma questo non significa il fatto che rifiuti ciò che viene da altri mondi, anzi, io mi pongo in ascolto dell'altro, perciò tutto quello che viene dal mondo orientale m'interessa molto, m'interessa quello che viene dal mondo africano, oppure quello che viene dal mondo neozelandese o da qualsiasi altro mondo, però questo qualche cosa io debbo farlo passare comunque dentro a un processo che sia complesso.
Uno degli elementi di cui noi stiamo parlando è questo benedetto sistema complesso,
* nel senso che il sistema complesso non passa attraverso delle vie che io ritengo, da un punto di vista di uomo occidentale, in un certo senso di tipo infantile, in cui si pensa che sia facile raggiungere determinati gradi dell'attività pensante superiore, o che esista una certa entità mente, o esistano determinati altri fattori capaci di dare una maggiore serenità, capaci di dare una maggiore possibilità, dell'uomo che voglia bene all'altro uomo. L'affettività è una cosa complicatissima, complessissima; quando io parlo di affettività parlo di una cosa molto complessa. In un certo senso, me ne accorgo dopo, io non riesco a capire, faccio fatica a rendere, a produrre un accoppiamento il quale sia continuamente testimone di se stesso, cioè possa conoscere che cosa dall'altro viene riconosciuto di questo, nel senso che, per esempio, affettività nel senso comune della parola, ma nel senso anche abbastanza elaborato, abbastanza civilizzato, diciamo così, risuona nella mente delle persone, ma anche negli scienziati stessi, come un qualche cosa che è relativo alle affectiones, alle emozioni, ai sentimenti, a quello che è una certa compatibilità con l'altro, quello che abbiamo già visto una volta, in un certo senso è la tolleranza, quello che le religioni insegnano, quello che il cattolicesimo insegna, quello che il protestantesimo, da un'altra parte, insegna o che le religioni orientali, da un certo punto di vista, hanno insegnato - o almeno quello che è stato poi ritenuto dalle persone che hanno appreso questo tipo di messaggio. Quando parlo di affettività parlo di un tema complessissimo, parlo del fatto che ancora una volta ci sono due entità, un'entità è qua, un'altra entità è qua,* qui in mezzo c'è l'Assenza, c'è il vuoto, c'è il nulla, e io mi metto in relazione con l'altro attraverso questo vuoto e questo nulla, allora posso riconoscerlo. Ma questo implica il fatto che io mi sono staccato dalla mamma, la mamma non c'è più, non esiste più niente, qui in mezzo non esiste più niente, non è esistita mai la madre, al posto della madre si è formata una mente e cioè - ed è quello che diceva Susanna - ho accettato la frustrazione, il fatto che non ci sia nulla, e questo nulla diventa un nulla affettivo.* Questo sì che è un nulla affettivo, il nulla affettivo è un nulla che passa attraverso la mente, la mente diventa affettiva, diventando realmente affettiva la mente, liberandosi delle affectiones, di tutti i vari attaccamenti affezionati, persino anche l'attaccamento alla vita, la mente diventa mente affettiva, la mente si stacca, diventa a-mente, a-mentale e diventa Assenza. Però questo significa il fatto... quello che io voglio insegnare è che quello che è affettivo è un fatto mentale, ma per essere un fatto mentale deve aver superato tutti gli ostacoli, tutte le difese, tutte le resistenze che la psiche mette in mezzo.
Già per dire questo ho dovuto creare delle categorie, cioè ho fatto la categoria psicologica, la psiche,
* e la mente, ma queste di solito vengono intese in un certo modo; io adesso sto cercando di fondare, di produrre un piccolissimo sistema in cui possa dire che le categorie, le affezioni psicologiche sono soltanto un ostacolo, per cui quello che sono le emotività, ma anche le emozionalità in generale, quello che è tutto il sistema psicosomatico, cioè quello che è relativo a un certo tipo di sensorialità, di sensibilità - ho scritto un Saggio proprio su questo: la sensibilità che è ancora intrisa di elementi di morte, di un corpo che è ancora morto, eccetera eccetera ... allora si arriva fino a questa dimensione che possiamo chiamare mente,* ci metto una a, questa diventa privativa, diventa questo tipo di assenza, diventa questo luogo che è assente, questo, diventando luogo assente, diventa finalmente qualche cosa di decente che possa funzionare, che possa rinnovare quella che è la nostra cultura, rinnovare quella che è la nostra intelligenza, rinnovare quello che Homo sapiens può dire, e può in un certo senso predisporsi a quello che potrebbe essere un ulteriore scarto, scarto da sé, da quello che è stata la realtà fino adesso, e disporsi verso quest'altro ente,* a-ente assente che è questo luogo molto più complesso di cui adesso io non parlo, adesso parlo di piccoli sistemi: il sistema psicologico, il sistema mentale, il sistema a-mentale. Il sistema ancora più grande, molto più complesso, è questo luogo assente di cui, a mano a mano me ne sto accorgendo, non debbo più parlare; non debbo più parlarne nel senso che è troppo complesso, è troppo assente. Cioè, siccome gli uomini sono abituati comunque a pensare attraverso le loro immagini, i loro sensi, le loro parole e quindi attraverso tutta una serie di contesti in cui Homo sapiens è vissuto, quindi la materia in cui è vissuto, lo spirito in cui è vissuto, la storia in cui è vissuto, Homo sapiens non può, non è in grado di produrre uno scarto rispetto a se stesso perché questo implicherebbe un'oscillazione troppo grande di quel sistema di cui Susanna parlava prima; questa oscillazione vorrebbe dire la rottura degli equilibri, la rottura degli equilibri vorrebbe dire l'accettazione dello svincolo di questa catastrofe, in un certo senso, su cui si dovrebbero poi svolgere le varie sedute.
Quello che io sto facendo stasera è che mi muovo sui limiti dell'elemento catastrofico, catastrofico in senso intelligente, nel senso sottile, nel senso affettivo, nel senso di elementi punteggiati, uno qua qua qua, tanti punti, cioè finalmente c'è una rottura, e qui si forma un qualche cosa di successivo, di più evoluto: questa è la teoria delle catastrofi, una teoria anche matematica. Perciò quello che voglio indicare è il fatto di come e quanto, questo di cui stiamo parlando, è una cosa complessissima, cioè è di una difficoltà pazzesca, nel senso che va... diceva Susanna come si forma il simbolo; il simbolo è la massima espressione di Homo sapiens, e questa dimensione dice: "A me del simbolo...", vado oltre, sono ultra-simbolico, a-simbolico nel senso che gli oggetti, perfino gli oggetti, le immagini mentali, tutto questo scompare, tutto diventa silenzio, il quale silenzio può essere simbolico oppure può essere veramente vuoto per cui quello che sto dicendo, questo disegno, per esempio qua, se uno sapesse leggerlo fino in fondo non solo vedrebbe il disegno, quindi l'elemento simbolico, il segno e l'elemento metaforico, ma vedrebbe il vuoto, nulla, ci passerebbe in mezzo. I miei quadri son fatti così: in mezzo ai miei quadri, in cui ci sono tutti gli elementi di costruzione simbolica, i linguaggi, le parole, in mezzo c'è questo altro elemento; se uno è capace di leggere ci passa in mezzo, se no rimane lì a leggere il suo elemento metaforico - e non è neanche male -, il suo elemento simbolico, i suoi elementi segnici, coloristici non son neanche male; se va oltre, allora leggerà tutta un'altra serie di altre dimensioni di questo ulteriore mancante, è una mancanza ulteriore.
Homo sapiens per formarsi è derivato dall'animale il quale animale ha detto... evoluzionisticamente è successo il fatto che questa funzione... si è concretizzato e, concretizzandosi, l'animale ha fatto una serie di passaggi - si è formata questa neocorteccia, questo nuovo ente -, ha incominciato ad accettare il fatto che tutto questo sistema poteva venire meno e ha detto: "Io posso venire meno". Non è che l'abbia detto, perché non ha coscienza, ma ha incominciato a venire meno; è stata un'enorme frustrazione, è stata la morte di tutto il sistema biologico precedente; questa enorme frustrazione ha fatto venire fuori Homo sapiens. Se Homo sapiens sarà capace di accettare un'enorme frustrazione, ma preparandosi con grande intelletto, con grande forza d'intelletto, con grande forza dell'affetto, allora questa grande catastrofe lo porterà verso un luogo ultra-simbolico, a-mentale, eccetera eccetera eccetera.
Questo, tanto per cominciare a capirci qualche cosa.
E' ovvio che in questo altro luogo c'è un'altra serie di elementi, diciamo così, simbolici, ultra-simbolici. Per esempio, in questa dimensione sto studiando il tempo, la temporalità, la quale temporalità non è certamente la temporalità che noi conosciamo, ma una temporalità molto più complessa, cioè una temporalità subliminale la quale passa e scorre mentre l'altro tempo non scorre affatto. Ci sono una serie di cose che si materializzano in un certo modo, invece noi vediamo coi nostri occhi in maniera simbolica stretta, troppo stretta e non apriamo il discorso. Tutto questo - anche per concludere questa parte dell'intervento - per dire che quello che occorre - vedo che occorre sempre di più anche per formare questo - è il fatto che questo discorso, come è scritto nei Saggi sui quali lavoro, produca proprio una trama,
* una trama anche simbolica, metaforica la quale poi sia zitta, sia vuota, ma che si formi questa trama. Questa trama si deve formare anche perché il mondo occidentale, il pensiero dell'uomo occidentale è abituato al fatto che deve costruire una trama un'altra trama un'altra trama, e questa trama poi deve costruire quell'altra, poi quell'altra, poi quell'altra... probabilmente in questa ricostruzione continua si arriva molto vicini in certi momenti al fatto che tutto il sistema deve incominciare ad accettare di venire meno, cioè anche tutto il sistema di pensiero, il pensiero logico-filosofico deve accettare, in un certo senso, la frustrazione del fatto di poter non essere, e questo forse è quello che potrà meglio raccontarci Luciano Eletti. Ma in generale tutto questo sistema che io sto mettendo in piedi è anche per dire: "Tu, sistema, per diventare veramente sistema che funzioni, cioè che dia un elemento sorgivo, un elemento affettivo, nel senso mentale affettivo vuoto, devi imparare ad accettare il fatto che ti devi porre realmente in crisi. Allora, se tu poni all'interno di te questa oscillazione molto forte, questa crisi molto forte, questa crisi del senso, la crisi dei valori, crisi profondissima fino quasi alla morte, che poi è la morte di Dio, che è la filosofia o la morte di se stesso, o la morte dell'altro di cui Hegel in un certo senso ha parlato - però poi se l'è conservata -, allora a questo punto, se viene posta questa crisi, c'è forse la possibilità che il pensiero possa pensare il fatto di estinguersi, ma senza perdere nulla, senza venire meno di nulla ma arricchendosi di un alcunché che non c'è". E questo è il paradosso massimo di cui sto parlando.
Luciano, a te la parola.


Luciano Eletti: Cercherò di raccogliere qualche elemento perché...


Paolo Ferrari: Se vuoi venire qui in mezzo, forse... perché se no tutti devono girarsi. Magari vuoi un atto di riverenza, che si girino tutti.


Luciano Eletti: Viene il torcicollo, poi.


Il titolo del Seminario è La nascita del pensare come valore dal segno (-) e Verri ha spiegato come questa nascita sia tutt'altro che ovvia, anzi, in molti casi, come non avvenga in modo compiuto, in modo tale che il pensare sia veramente libero, e avviene attraverso questo elemento privativo, questo salto che il bambino deve compiere. Allora mi sono chiesto: "Ma la nascita del pensiero, la storia della cultura come è avvenuta? Ha avuto questo elemento?". Da un lato, se leggiamo le varie storie della filosofia, direi di no. Sembra che questo elemento privativo abbia contribuito a staccare in parte l'uomo dall'ambito animale - 'staccare in parte' perché poi ci sembra sia rimasto ancora per altri versi ristretto - per cui mi sembra che la specie Homo abbia fatto questo salto in questa fase di distacco - parziale, problematico - dalla madre, e che quello sia l'unico gradino, gradino già notevole rispetto alla fase precedente su cui poi l'uomo, nella storia della cultura, ha elaborato vari sistemi che potessero dare spiegazione di quanto avveniva. E d'altro lato però sto pensando se questo avvenga perché nessuno ha mai indagato come sia veramente nato il pensiero filosofico, ad esempio, se l'idea di albero in Platone sia semplicemente un'astrazione, un raggiungimento operato verso la scala dialettica oppure sia qualcosa di diverso, e a me sembra che qua e là nella storia della cultura ci sia questo elemento privativo, ovviamente mai evidenziato; c'è stato solo un libro curioso, due anni fa, pubblicato da Givone, una storia del nulla, una storia che in teoria non dovrebbe neanche esistere in quanto è qualcosa che non c'è: del niente si sa solo che non ci deve essere e non ce ne dobbiamo occupare. Però, per esempio, anche per accennare all'idea di Platone, se uno legge e arriva in fondo al Simposio, ha qualche dubbio che sia solo dell'essere, del bene, del vero che si parli, in realtà questo 'bello' del Simposio è la negazione di tutto quanto c'è nella vita ed è anche il motivo per cui Platone curiosamente fa dire a Socrate che il vero compito del filosofo è esercitarsi a morire. Infatti il percorso dialettico è quello di superare, andare ben oltre gli elementi presenti fenomenici per arrivare all'idea del bello che non è né questo né quello, che non può avere un'aggettivazione e che però, dice Platone, è l'unico motivo per cui valga la pena vivere, e non a caso - per fare uno schizzo che poi andrà fondato altrimenti - basta pensare al percorso per arrivare velocemente a tempi più recenti, basta pensare a quel filone che partendo da Platone arriva fino ad Hegel - un macrodisegno che in genere non si può descrivere in storia e filosofia perché richiederebbe una competenza mostruosa e che secondo me però si può disegnare a schizzi partendo appunto dal neoplatonismo -, basta pensare che cos'è l'Uno di Plotino, e arrivare fino a Hegel attraverso Eckhart. E' quello che succede nella Fenomenologia, nelle pagine migliori della Fenomenologia in cui viene evidenziata questa potenza del negativo che è il vero motore, ma non è una semplice potenza, un accorgersi di come l'atto negativo degli eventi sia produttivo - questo, tutto sommato, è noto -, perché la vita dello spirito, dice Hegel, è quella vita che accetta la morte e si mantiene in essa, cioè solo attraverso questa radicale fatica del concetto attraverso la morte - infatti Hegel è il primo a teorizzare la morte di Dio in quanto è Dio che si nega - impara ad accettare questa negazione. E come poi questi strani aspetti del pensiero privativo, che in genere non s'indagano, appaiano qua e là anche nei punti più impensati. Per esempio ho riletto recentemente alcune pagine di Nietzsche - le avevo lette quasi vent'anni fa - e sono rimasto stupefatto. Tutti noi abbiamo in mente alcune pagine di Nietzsche, sembrerebbe scontato come possa essere fuori dal pensiero privativo. Invece basta leggere per esempio il quarto paragrafo della Prefazione di Zarathushtra e si è stupefatti di come questo elemento della privazione, del tramontare...perché Zarathushtra scende tra gli uomini per tramontare e affinché essi tramontino: in quanto l'uomo può essere amato solo perché è una transizione, deve essere capace di tramontare. Il motivo per cui Zarathushtra ama il funambolo che cade è perché lui ha tentato di andare oltre, di accettare la propria transizione, cioè di essere mezzo per qualcos'altro. E poi, per parlare proprio di Nietzsche non attraverso il mito di Zarathushtra, ci sono altri elementi che convivono con altri aforismi che nulla hanno a che fare con questa forma di pensiero privativo, si ha in altri testi. Per esempio a me piace molto e ho sempre amato parecchio l'ultimo aforisma di Aurora in cui c'è per la prima volta questa apertura gigantesca: dopo la scoperta di Zarathushtra che Dio è morto, si apre questo mare sconfinato, per la prima volta si vede un mare così grande, c'è solo mare mare mare e nient'altro, ma sembra non esserci la possibilità di navigarlo e che sia solo un elemento negativo, e però in questo aforisma c'è l'accettazione del fatto che non importa della propria individualità, cioè per la prima volta abbiamo questo mare immenso dinanzi e lo possiamo solcare, e noi finiremo, ci sarà qualcuno che andrà oltre, non sappiamo neanche dove, però questo mare diventa solcabile - che poi è l'aspetto ambivalente del nichilismo come è stato più volte studiato, per lo più in forma negativa, invece Nietzsche affermava che il più grande nichilista sia colui che l'aveva finalmente superato, nel senso che questa apertura negativa è il reale elemento positivo. Oppure ci sono altre formulazioni più recenti, non a caso di chi ha studiato molto bene Nietzsche, per esempio Heidegger che nota la rilevanza dell'assumere la morte per l'essere autentico, come non sia un pensare la morte ma il fatto che questo elemento della negazione è presente o dovrebbe esserlo per una vita autentica in ogni istante perché è solo questo elemento che rende la vita progettabile e che la rende percorribile al di là delle frammentarietà che a ogni passo le si presentano, cioè questa cura che è richiesta all'individuo perché possa avere la sua vita, possa disegnarla, progettarla.
Poi arriviamo anche a un fatto più recente, un fatto curioso che sta su un libro di Cacciari, appena pubblicato, dove si accenna al fatto che l'Europa sembra essere giunta a un termine - e qui c'è sempre quella grande intuizione nietzchiana di una via che non può essere più percorsa ancora, cioè ormai si è arrivati dinanzi a un muro, occorre pensare diversamente da come è stato finora. Cacciari sembra indicare il superamento dell'individualismo liberale alla Tocqueville, che pure ha avuto meriti immensi, in quanto ormai è necessario che, come la figura che Zarathushtra aveva individuato in qualche modo, che è l'oltre-uomo, quello che ha saputo transitare, ha saputo accettare il proprio tramonto, questo individuo liberale, del liberalismo maturo, debba venir meno alla propria soggettività, all'individualità che ormai è un freno.
Una cosa viene da chiedere, cioè che valore abbiano questi frammenti di pensiero privativo, se siano veramente frecce che in qualche modo anelano all'altra parte o se siano appunto sui margini di questo pensiero di cui parliamo qui adesso, e se si possano individuare dei segnavia per noi che siamo ancora rinchiusi in questo modo di pensare classico della specie, cioè se quello che è riscontrabile in alcuni momenti della storia del pensiero, cioè il venir meno, quindi l'elemento affettivo, astratto in qualche modo, sia un segnale, un segnavia perché noi si possa sapere che si è sulla strada, che non siamo su un sentiero interrotto. Questa affettività che è frustrazione, che è perdita, assomiglia moltissimo alla sconfitta; sembra che solo accettando questa sconfitta, questo sentirsi morire si possa individuare il sentiero. Noi che non abbiamo altro che queste conoscenze del nostro mondo dello spirito, abbiamo questi segnavie?


Paolo Ferrari: Be', vi dicevo, lavoro intorno a questi segnavie. Mi sento un po' escluso, perché non è che io voglia indicare la strada, cioè contengo questo; perché poi è una domanda che ho moltissimo, in continuazione in un certo senso, è una domanda metodologica continua nel senso di dire: "Va bene, io tutti i giorni faccio il terapeuta ormai da quasi trent'anni. A diciotto anni, quando incominciavo a pensare tutta una serie di questioni di questo tipo e a viverle, incominciare a vivere poi il fatto che il corpo veniva meno, che quindi si scavava, l'elemento psicosomatico lasciava lo spazio all'a-mentale, all'ultra-mentale, ho deciso di far medicina, e ho deciso di far medicina per occuparmi del fatto che esistesse un cervello che pensava, pensava in qualche modo, pensava e io capivo che pensava in altro modo". Allora il problema, dici giusto, è interessante. Io dico: "Sì, certamente, in qualche modo esistono dei segnavia", perché mi servono nel senso di dire: "Sì, to', guarda, Nietzsche pensava questo, ci ha fatto un buco qua,
* c'è una piccola assenza, diamo un più, Hegel ha pensato alla morte dell'arte, to', guarda... allora c'è un buchettino, un altro buco, un assente, un'assenzina qua..." e io ci metto tutte le bandierine. C'è Bion che ha fatto questa cosa, ci mettiamo un'altra bandierina. Ma questo, perché? Per dire che tutto questo tiene compagnia, cioè, in un certo senso, quando l'assenza è immensa, cioè questo buco immenso è vuoto, tutto questo tiene compagnia, e io credo che sia vero, è vero che siano dei segnavia. Come, di fatto, durante una terapia io vedo che una persona... immediatamente dico: "To', guarda, sta pensando questo, ma come diavolo ha fatto a capire questo? Da dove l'ha pensato?". Ed è quello che mi porta, in un certo senso, fuori, nel senso che tante volte sono come spinto in questi anni, dall'88, quando si è aperto tutto questo canale così amplio, a dire: "No, di questo non ne parlo più", perché intanto non è possibile... cioè tutto il pensiero come si è sviluppato fino adesso arriva appunto... produce questa piccola assenza, dice: "Sì, siamo sul punto della morte, sul punto del declinare..."
Ma d'altra parte, come dicevo prima, davvero il pensiero - la trama del pensiero pensante, la letteratura, la filosofia - si è posto veramente il fatto di incominciare ad accettare di venir meno, cioè davvero ha la crisi dentro di sé, ha l'assenza dentro di sé tale per cui questo sia capace di accettare lo scarto rispetto a se stesso? E questo per il momento non lo so o, meglio, io dico: "Porto tutto questo", allora faccio questo discorso, produco questa trama, questo intreccio, questa rete, intreccio-trama, tutto questo lo pongo in relazione, produco un accoppiamento con quello che è il pensiero classico, e vediamo se s'incontrano. Nel loro incontro, se vale - e io credo che valga - la legge d'inclusione, che è la prima legge che mi è venuta in mente nel primo Saggio che ho scritto, la quale dice: "Dovunque sia, dove ci sia un pensiero più astratto, più vuoto, e quindi maggiormente capace di astrazione, questo pensiero è capace, è adatto, idoneo a far sì che tutto il resto del pensiero si trasformi in questo linguaggio più astratto, in questo mondo più astratto"... La stessa cosa è avvenuta nell'animale: l'animale ha pensato neurologicamente in un certo modo, a un certo punto è arrivato Homo sapiens; Homo sapiens è lui che dirige la terra, non è più l'animale. E' la stessa cosa: dove c'è un processo più astratto, e quindi io pongo questo pensiero che è più astratto, che è più vuoto, lo pongo in relazione con tutto il pensiero di quello che è il pensiero attuale, di quello che è l'affettività attuale, di quello che è la logica, la struttura del pensiero, tutto il mondo classico, anche il mondo non classico dove c'è l'arte, dove ci sono tutti i vari linguaggi, li metto in contatto e dico: "Dato questo contatto, questo accoppiamento, voglio vedere come ci sia questa permeazione, questa trasfusione di elementi uno all'altro". Io credo, nei livelli alti di tutto questo, di tutto questo processo dove c'è l'Assenza, che è questo vuoto che è ancora più vuoto, è alto, tutto questo è già trasformato, è già altro, già tutto è morto, già tutto è palingenesi - palingenesi ci dev'essere -, già tutto è altro, già tutto è molto più astratto. E' chiaro che, a mano a mano scendendo nella scala,
* le due materie s'incontrano: una è più astratta, l'altra è meno astratta, produciamo questi accoppiamenti; io li produco in pittura, in musica, continuo a produrre questi accoppiamenti. Dico che, grosso modo, dove c'è ricchezza di pensiero c'è anche affetto, dove c'è affetto c'è ricchezza di pensiero. Questo, io dico, è un segnavia, tant'è che io faccio il terapeuta. Se da questo nasce un pezzettino di pensiero, se si è capaci di camminare sul bordo, se si è capaci di venire fuori dalla scissione, si è capaci di produrre un'unità, cioè dove c'è possibilità a produrre complessità, siccome questo, come dicevo prima, è similare al fatto per sottrazione per il fatto che è l'accettazione comunque di un venire meno, è il soggetto che impara a separarsi dalla madre, a non essere più edipico, o il soggetto, la donna che impara a separarsi dal padre e che quindi non è più in quel legame fusionale e che quindi rinuncia e quindi accetta la frustrazione e quindi accetta un varco, io dico che questo varco è più vicino a un alcunché di analogo a tutto quest'altro luogo che sto disegnando: allora qui c'è la possibilità di un accoppiamento, allora ci sono tanti segni in realtà, i segni dove la cultura umana, dove la capacità di astrazione, dove la capacità di affetto ha prodotto di più. Potrebbe anche essere il fatto che i segnali, che il segno, chiamiamolo così, nasca anche altrove. Per esempio questo processo come è nato? Per quello che ne so io è nato dentro il mio cervello; è nato sì attraverso tutta questa complessità, questa gradissima complessità mi ha permesso di contenerlo, di trasformarlo e dare linguaggio e mettermi in accoppiamento, ma il suo principio è altrove, il suo principio nasce da quella funzione-Assenza che è una funzione evoluzionistica molto complessa, cioè, in poche parole, è quella funzione che, nell'evoluzione dove non c'è la materia, dove non c'è lo spirito, dove non c'è nulla, è funzione-Assenza. Questa funzione-Assenza che è il nulla più totale, ma il nulla pensato in un sistema complesso, cioè accolto, pure, è quella che ha prodotto probabilmente tutto il cammino evoluzionistico, quella che ha prodotto il passaggio dall'animale all'uomo.
Ma questo sarà argomento ulteriore di discussione.
E perciò, per dirla in altro modo, io credo che i segni siano questi,
* questa complessità di cui sto parlando, i segni siano di una grande attività pensante di uomo, siano quelli dell'affettività e siano anche di altro tipo: io ne conosco di altro tipo; ma quelli di altro tipo sono talmente silenziosi che è difficilissimo andarli a cogliere; però non hanno comunque nulla di mediocre, quello che io so è che non hanno nulla di mediocre, non sono poveri, non sono piatti; questi sono i segni che... poi ce ne sono altri complessi: io ne vedo qua, disegnati in un certo modo, simbolici, a-simbolici, ultra-simbolici; cioè ci sono una serie di elementi, di punti, per esempio nei miei disegni spessissimo ci sono, per esempio in quella figura là... quella là si chiama Astrazione femminile


e
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quello lì è il cervello femminile, cioè il luogo di tutti i punti... dove sono disegnati dei punti dove il cervello femminile è in grado di poter sviluppare e di produrre i suoi luoghi vuoti, e lì produrre - in questo paesaggio astratto e vuoto, in tutti questi punti dove ci può essere questo luogo in cui si fa assente, cioè dove c'è una microassenza microassenza microassenza - piccolissimi segni dove il luogo potrebbe farsi vuoto e farsi operante d'altro tipo, di questo nuovo genere.
Avrei finito.
Qualche domanda, breve.


Maurizio Gatti: Il pensiero nasce, si dice, nel momento del distacco o dell'accettazione del distacco figlio-madre; però questo passa anche attraverso il dolore, perché in quel momento c'è dolore, o no?


Paolo Ferrari: Si chiama lutto, anzi, è oltre il dolore: c'è la morte, c'è il senso di morte, è un senso molto tragico, per il bambino è una tragedia, è una grandissima tragedia.


Maurizio Gatti: Come questo si elabora, si trasforma nel momento del distacco?


Paolo Ferrari: L'elaborazione è proprio quello che diceva Susanna, si chiama proprio la fase depressiva. E' una depressione molto profonda, cioè il bambino accetta... per esempio c'è una prima fase che è quella schizoparanoide, poi c'è quella depressiva in cui da una sorta di eccitazione... ma questo nella fase prima.
Vuoi parlarne tu, Susanna?
C'è una fase prima - questo secondo la Klein -, che avviene nei primissimi giorni o primissimi mesi - secondo me avviene nelle prime ore -, in cui c'è... il bambino, molto probabilmente, il cervello del bambino è un cervello eccitato, in un certo senso, cioè un cervello che non è capace di controllo, non è capace di tutti i sistemi di controllo: noi siamo in un certo senso il nostro sistema di controllo; anche qui è l'altro, è l'assente, cioè i sistemi sono sistemi di feedback, di controllo. Il bambino ha queste eccitazioni di partenza ma, io credo, tutti i sistemi abbiano questa partenza; credo che, nell'evoluzione dall'animale all'uomo, l'uomo abbia avuto questo grossissimo problema di eccitazione, quindi di delirio - il bambino credo che nasca delirante, in un certo senso. Questa è la fase schizoparanoide in cui c'è questo tipo di eccitabilità del pensiero del cervello; poi il bambino passa a una fase - che si chiama depressiva - che è di interiorizzazione; in questa fase di interiorizzazione, saltando il problema della madre 'seno-buono seno-cattivo', c'è il riconoscimento dell'esistenza di un mondo esterno, e questo nei primissimi mesi di vita, dal sesto mese. Nella fase edipica, nella fase del superamento edipico - che poi non è soltanto del bambino perché nessun adulto realmente ha superato l'Edipo, fino adesso -, supera l'Edipo se passa in questo grande sistema, perché in questo grande sistema vuol dire distacco dalla madre, ma vuol dire che la madre non esiste più, lui è autogenerantesi, cioè l'uomo diventa capace di autogenerarsi.
L'elaborazione è un concetto interessante ma difficile da spiegare. E' come se fosse il fatto che il bambino accetti di venire meno, cioè accetti che quello che era il suo principio di piacere, la sua ricerca continua del soddisfacimento e quindi, in un certo senso, il suo sistema che continuamente doveva essere equilibrato, doveva essere continuamente ricompensato, da un momento all'altro possa non essere più compensato senza d'altra parte sapere dove andrà a finire. Tutta la storia umana - ed è interessante, questo è un segno, un segnavia, come diceva Luciano -, sia quella storica, sia quella evoluzionistica, sia quella ontogenetica consiste nel fatto che nessuno sa dove andrà a finire. Il bambino, quando accetta di staccarsi dalla madre e la madre non c'è più, non sa se morirà, non sa se starà in piedi, chi sarà, chi è lui e chi è l'altro, se si confonderà con il tutto. Però fa parte anche questo di questo fattore complesso che ho chiamato fattore-Assenza, e il fatto che il bambino accetti il distacco e che quindi rinunci, e che quindi ci sia questa rinuncia, questo è già indice del fatto che il sistema sta maturando, cioè che il sistema è capace di autorganizzarsi. L'autorganizzazione, da un punto di vista interno, è molto complessa, cioè ci sono tanti sistemi che interagiscono uno con l'altro; dal punto di vista più emozionale-affettivo, c'è il fatto che il bambino - ma l'adulto anche - accetta di rinunciare, accetta il fatto che il suo sistema... non saprà se lui finirà o meno, tant'è che questa si chiama appunto 'fase del lutto', cioè lui - o la madre, per me lui stesso e non tanto, non soltanto la madre, ma lui stesso - sa che, in un certo senso è morto del suo sistema vecchio, del suo sistema che era fusionale, del suo sistema che continuava a compensarsi, e questa è una fase, dal punto di vista descrittivo, dal punto di vista anche terapeutico, molto interessante nel senso che si vede l'altro... per cui la depressione dell'altro io la vedo proprio a livello mentale, la depressione dell'altro è a livello mentale, non è a livello psicologico, non è la perdita soltanto di attaccamento, non è soltanto un fatto emotivo, non è un qualche cosa soltanto di esteriore ma è come se fosse un qualche cosa di molto profondo, delle parti di un corpo profondo legato a una mente profonda tali per cui questo accetta di venire meno, cioè accetta, in un certo senso, che l'altro, che la madre sia libera, ma che anche lui sia libero, ma sia libero senza sapere in realtà se lui morirà, se lui perirà - perire, che poi vuol dire esperire -, se lui esperirà realmente la coscienza di sé. Per cui in terapia io osservo il fatto che sento proprio all'orecchio, proprio dentro l'orecchio mentale il fatto che l'altro a poco a poco incomincia ad accettare di esistere, l'accettazione dell'esistenza significa anche l'accettazione di perire, e questo è un atto d'amore nel senso che lascia che anche la madre sia libera, contemporaneamente a se stesso; accettando che la madre sia libera accetta anche il fatto che lui accetterà che l'altro, o l'altra, sarà libera nel suo rapporto, e quindi è un processo proprio di una maturazione estremamente silenziosa. L'affetto è silenzioso, tutto quello che avviene all'esterno invece è la componente isterica, la componente per lo più anaffettiva. Questo dà una depressione.


Maurizio Gatti: Questo vuol dire che la depressione è una fase di un processo evolutivo?


Paolo Ferrari: La depressione giusta. La depressione è un passaggio evolutivo, ma la depressione giusta, cioè la depressione che significa la depressione accettata, significa il fatto che c'è il dolore, perché di solito invece nella depressione patologica c'è mancanza di dolore, c'è il dolore nevrotico, non c'è il dolore per l'altro, non c'è il dolore affettivo, il soggetto è anafettivo. Nella depressione, o quella endogena o quella grave oppure quella normale, nevrotica, non c'è nessun dolore, non c'è il dolore per l'altro, non c'è il dolore reale, non c'è un qualche cosa che fa male, c'è l'elemento anafettivo, non c'è l'affetto, mentre questa qui è una depressione in cui c'è l'affetto, allora anche questo è un segnavia: la depressione con affetto è un segnavia di un sistema che potrebbe essere molto superiore, potrebbe essere molto più in là, però allora questo sistema dovrebbe accettare di venir meno anche a se stesso, e quindi un'ulteriore fase: è come se fosse l'Edipo dell'Edipo in un certo senso, il superamento di tutto questo di cui sto parlando, il massimo grado. Ma questo è al limite, cioè la depressione nel senso che... perché il problema di Homo è il fatto che non riesce mai a distinguere... io vedo che fa moltissima fatica a distinguere dove c'è la depressione anaffettiva, perché tutti quanti mi rispondono: "Eh sì, ma io mica mi diverto, mica sto bene", però è lo stesso nevrosi. Quello che è difficile accettare, probabilmente, credo che sia il dolore, il dolore vero, perché il dolore vero significa il fatto che tutto il sistema si mette in crisi, cioè rinuncia al fatto che dovrà essere comunque compensato e quindi accetta di esistere e, accettando di esistere, significa che accetta anche il suo ciclo, la sua morte, il suo non essere o il suo essere altro. L'accettazione del dolore è una cosa molto seria, molto difficile. Se il sistema incomincia ad assumersi il dolore, già vuol dire che il sistema è su una strada che funziona; ma deve sentirlo, deve sentirlo realmente, non inventarselo, e quindi proprio l'avvicinarsi di tutto questo... tutto questo è molto complesso, l'assunzione del dolore, l'assunzione della depressione, l'assunzione dell'affettività, l'assunzione del distacco sono tutti elementi che sono su un bordo, se no gli altri sono finzioni, sono fingimenti, sono ambiguità.
Va be', andiamo perché è stato abbastanza intenso. Ci rivediamo il... ?


Susanna Verri: L'8 maggio.


Paolo Ferrrari: L'8 maggio.
Mi dispiace di non poter fare musica ma ormai è molto tardi. Probabilmente finiremo l'anno con Seminari... sono Seminari molto intensi, quindi la musica dovremo farla in altre occasioni.
Vi saluto.