10 aprile 1997
VI Seminario 'Sui margini dell'Assenza' 1996-1997
La nascita del
pensare come valore del segno (-)
Esplicazione evoluzionistica congrua a una funzione assenza (A)
Paolo Ferrari: Incomincerò con l'introdurre il Seminario e anche la composizione
del Seminario perché stasera, come è già scritto nel programma generale dell'inizio
dell'anno, dopo Susanna e me interverrà anche Luciano Eletti che penso porrà
un'ulteriore introduzione al tema in termini di ampia domanda, credo, all'anti(anti)sistema
di cui sto parlando.
Nel corso degli anni, dopo un inizio in cui il tema era trattato soprattutto
da me, è intervenuta a mano a mano poi Susanna Verri, e adesso è come il punto
d'inizio di ogni Seminario, e pone un luogo.
Stasera parlerà, parleremo, io non so ancora bene come, dove, da che parte andrò,
comunque il tema è la nascita del pensiero dal segno meno (-). Vogliamo porre
l'attenzione, la fondazione - che non è fondazione, che comunque è libertà di
cambiare, di essere altro - di un alcunché che ha come suo valore e come sua
espressione il segno meno (-). Vogliamo dimostrare - la parola è fin troppo
grossa -, vogliamo mostrare, manifestare il fatto che la nascita del pensiero
in Homo, e quindi la nascita di questa specie, di questo genere e quindi poi
specie Homo s. - la cui caratteristica è un'attività pensante astratta, è il
linguaggio che ne è il connettivo, che è pure derivazione, origine-derivazione
di questa nuova attività -, nasce come luogo meno (-), ovvero come differenza
da un alcunché.
Come abbiamo fin troppo ormai detto - ma questo continuerò a ripeterlo, credo,
per tutta la vita -, la grande difficoltà di mostrare l'esistenza di un'altra
attività, di un'ulteriore attività oltre a quella del pensiero, a quella del
pensaaare, a quella dell'astrarre comunemente, è il fatto che comunque il pensiero
umano - l'attività umana essendo ancora legata a delle strutture biologiche,
legata a una storia evoluzionistica - pensi ancora e sempre per accumulo, cioè
ogni cosa che viene pensata viene aggiunta ad altro, ogni idea che viene posta
come superamento della situazione attuale pensante o della situazione in generale
della storia umana è comunque un accumulo, è un'aggiunta. Voglio dimostrare
che esiste un'altra possibilità che invece è una sottrazione. Vogliamo dimostrare
che esiste uno scarto, uno scarto da qualcosa; questo scarto da qualcosa è quello
che io ho chiamato, nella sua massima esplicazione, Assenza. Assenza è di per
se stessa 'scarto da', e in quanto assente è assolutamente 'scarto da', è un
assoluto, o potrebbe essere assente da qualche cosa, assente dal pensiero presente
o dall'attività presente, e comunque è un assoluto, cioè è un sine ligame,
è oltre i legami che si sono attualmente presentati nel sistema attuale Homo
sapiens. C'è nella cultura, già nella cultura occidentale, una serie di posizioni
che indicano il fatto dell'esistenza di un qualche cosa che sia sottratto, un
qualche cosa che sia meno (-) il quale meno (-) non toglie nulla a quello che
c'era prima, ma aggiunge. Ma aggiunge nel senso che ne allarga ancora di più
l'aspetto e lo fa sprofondare in un'alterità la quale alterità non è un impoverimento
del sistema ma, possiamo dire, tra parentesi, un arricchimento, e comunque è
altro rispetto a quello che c'era in precedenza. Il pensiero è - come dirà,
penso, Susanna prendendo lo spunto da un filone del pensiero psicoanalitico
-, il pensiero nasce da un qualche cosa che si fa assente, e perciò il titolo
abbastanza complicato, complesso della serata attuale è La nascita del pensare
come valore dal segno (-). Esplicazione evoluzionistica congrua a una funzione
assenza, (A). Ciò significa che la nascita del pensare, avendo questo segno
meno (-), essendo essa stessa nascente da un segno meno (-) e quindi da un anfratto
e quindi da un alcunché che non c'è, che è assente, è un elemento che è congruo
a una certa funzione che noi abbiamo chiamato Assenza, funzione Assenza che,
secondo una serie di teoremi che sto a mano a mano andando a dimostrare, ha
accompagnato l'evoluzione, il processo biologico del sistema vivente. Una delle
sue caratteristiche fondanti è quella del pensiero: l'evoluzione è arrivata
a un certo punto fino a formare un alcunché che viene chiamato pensiero. Questo
pensiero non è un'aggiunta, questo pensiero nasce da un luogo vuoto, e questo
è il nostro pensare attuale. Ulteriormente a questo pensare attuale c'è un ulteriore
passaggio che io ho chiamato Assenza, ma quest'Assenza non è soltanto questo
ulteriore passaggio, è anche un alcunché che tiene probabilmente vincolato,
legato, è capace di mostrarsi in tutto il sistema evoluzionistico degli organismi
biologici viventi.
Susanna, a te la parola.
Susanna Verri: Circa questa questione della nascita del pensare come
valore dal segno meno (-), io avevo pensato di portare questa sera, col mio
intervento, alcuni riferimenti a quello che il pensiero psicoanalitico, come
ha accennato prima Paolo, ha espresso, in alcune sue correnti, in relazione
alla nascita del pensare che è argomento tipico di una corrente psicoanalitica,
cioè in particolare di quella kleiniana, che ha colto ciò che Freud aveva cominciato
a esprimere circa la nascita del pensare a partire dal principio di realtà e
quindi dall'accettazione della frustrazione di cui avevamo parlato nell'altro
Seminario, cioè due Seminari fa.
Sto seguendo, in questi miei interventi, un filo, un filo che si sviluppa all'interno
del discorso di Paolo e che sta toccando alcuni punti che mi sembrano fondamentali
per i temi che vogliamo comprendere, e in particolare il filo della contrapposizione
principio di realtà-principio di piacere e di ciò che avviene nel momento in
cui si forma, e come avviene che si formi, l'acquisizione del processo di realtà
che implica la frustrazione e che implica - come vedremo questa sera -, all'interno
di questa frustrazione, lo sviluppo del pensiero.
Bion, che è il pensatore, lo psicoanalista a cui volevo principalmente rifarmi
questa sera, allievo di Melania Klein di cui ho parlato nell'altro Seminario,
sviluppa una teoria del pensare in cui il pensiero viene definito come l'accoppiamento
con una frustrazione. E dunque, tra le varie teorie, egli sceglie questa via
per cui quando quello che lui chiama una preconcezione, cioè l'esistenza di
una disposizione innata a delle aspettative, cioè come una sorta di pensiero
vuoto in senso kantiano lui dice, quindi una predisposizione non ancora riempita
da un oggetto, l'aspettativa di un qualche cosa, che lui chiama precognizione,
incontra una realizzazione, incontra cioè un oggetto reale: nel caso che questo
oggetto reale sia una mancanza, si sviluppa il pensiero.
Nell'esperienza del bambino, nell'esperienza del neonato, si parla... noi parlavamo
l'altra volta in termini simbolici, quindi di seno, di seno materno che è il
primo oggetto con cui ha a che fare il bambino nel suo sviluppo, è il primo
oggetto di desiderio, è il primo oggetto possibile anche di frustrazione. E
dunque per Bion il pensiero si sviluppa nel momento in cui è data la possibilità
di accettare la prima frustrazione, cioè il fatto che il seno materno possa
anche non essere disponibile. Esiste cioè, di fronte alla possibilità del seno
che non è disponibile a soddisfare il bisogno, una gamma di eventi che possono
poi, da questo primo fatto, svilupparsi, e che procedono a seconda di come ci
sia l'elaborazione di questa frustrazione oppure no. Nel caso che la frustrazione
non venga accettata o non venga tollerata, Bion dice, in particolare, cominciano
ad avviarsi tutte le spinte di fuga, di meccanismi, lui dice, di evacuazione,
cioè di meccanismi volti a far sì che questa frustrazione non venga percepita
e non venga più vissuta. Avvengono dunque tutta una serie di meccanismi inconsci
per cui si hanno delle identificazioni proiettive successive, cioè dei meccanismi
per cui l'io si separa e proietta fuori di sé l'oggetto cattivo, come avevamo
visto nell'altro Seminario, e da questo può equiparare quindi l'allontanamento
dell'oggetto spiacevole al soddisfacimento del suo bisogno.
Questo è forse un discorso che diventa un pochettino tecnico, però è un discorso
molto interessante perché vuol dire che quando si instaurano questi meccanismi
di fuga, di evacuazione, avvengono tutta una serie di modalità per cui ogni
pensiero verrà equiparato a un oggetto negativo e quindi, se non è data quella
possibilità iniziale di accettazione della frustrazione, il pensiero non si
potrà sviluppare; si potrà invece sviluppare nel caso in cui sia data la possibilità
di vivere la frustrazione, sia dato quello di cui Freud aveva appunto parlato,
che aveva definito come accettazione del principio di realtà, come entrata nel
Principio di realtà.
La questione delle identificazioni proiettive è stata vista poi da Melania Klein
come un eccesso di un meccanismo che per altri versi fa parte anche del processo
normale del neonato ma che se invece è in eccesso è accompagnato da un elemento
di onnipotenza tale per cui viene bloccata ogni possibilità di apprendimento
dall'esperienza. Cioè la possibilità di apprendere dall'esperienza, dice Freud,
e dice poi Bion in particolare, si sviluppa solo nel caso in cui sia possibile
che la frustrazione venga elaborata e quindi venga tollerato un grado successivo
e possibile di insoddisfazione, e su questo piano allora può fondarsi un rapporto
con quella che è l'esperienza, con quella che è la realtà contingente che è
continuamente fonte di insoddisfazione.
Per Bion il meccanismo di identificazione proiettiva, che fa parte per un versante
di quella modalità di tentare di allontanare il più possibile ogni esperienza
spiacevole, e quindi che è un meccanismo che quando è fondato su un principio
di onnipotenza impedisce un rapporto con la realtà, può essere invece in altre
situazioni fondato su un tentativo di realizzare un primo rapporto con la realtà,
basarsi cioè sul primo tentativo del neonato di avere un rapporto congruo con
la madre, e quindi può essere il primo fondamento di uno scambio che Bion ha
studiato molto dettagliatamente, che ha studiato in particolare in suoi pazienti
psicotici, quindi con gravissimi problemi. L'ha studiato all'inverso, l'ha studiato
per come lo vedeva realizzarsi nelle sedute e per come lo vedeva poi nelle sedute
permettere l'instaurarsi dei primi processi di realtà a partire da situazioni
in cui questi processi si formavano davanti ai suoi occhi - perché non c'erano
prima -, e ha ipotizzato che possa essere normale quindi in ogni neonato il
fatto di avere una piccola quota, o una quota, di questi meccanismi di identificazione
proiettiva, cioè di scissione di parte di sé e di proiezione nella madre di
parte di sé, perché attraverso questi meccanismi il bambino sposta sulla madre
ciò che non riesce a tollerare, instaura con la madre una primissima relazione
e poi può riprendere dalla madre quello che la madre ha elaborato per lui e
reintroiettarlo in termini che siano meno negativi dei precedenti e quindi che
siano accettabili per lui, che siano vivibili. Quindi a questo punto il suo
oggetto cattivo che aveva dentro di sé, che ha proiettato nella madre, che la
madre ha elaborato, lo può riprendere e può viverlo come meno cattivo e quindi
può fargli da prima via, diciamo, da premessa all'elaborazione della famosa
frustrazione, quindi da premessa alla costituzione del rapporto di realtà.
Questa attività della madre di elaborazione, di recezione anche, di farsi recettrice,
di farsi contenitrice degli oggetti che arrivano dal bambino, di qualunque tipo,
quindi anche di quelli negativi, è chiamata da Bion réverie ed è un'attività
che nasce dalla capacità di pensiero della madre ed è volta a produrre nel bambino
la capacità di pensiero perché in questo primo rapporto, in questi primi passaggi
avviene questa prima elaborazione sulla base della quale poi, se la madre è
stata buona contenitrice, buon contenitore, allora il bambino introietterà la
possibilità a sua volta di vivere questi oggetti resi tollerabili. Se la madre
non lo è, cioè se la madre non è stata disponibile a sufficienza, Bion dice
che il bambino reintroietta invece un'angoscia senza nome, cioè reintroietta
il rifiuto di ricevere dall'esterno qualunque cosa, di ricevere qualunque proiezione
dall'esterno, e quindi continuerà poi a vivere dentro di sé questo elemento
negativo e negante la realtà esterna: quindi questa è l'importanza fondamentale,
nella coppia madre-bambino, dell'attività di elaborazione e di scambio, ed è
l'importanza fondamentale di questa attività di réverie della madre e della
funzione alfa che Bion definisce come la funzione che permette questa elaborazione
per cui oggetti del pensiero, sensazioni, residui delle emozioni della vita
quotidiana vengono resi pensabili, cioè vengono, noi potremmo dire, astratti;
lui non lo dice, lui dice soltanto che diventano oggetti alfa che distingue
da quelli beta che non sono pensabili; diventano oggetti alfa,
come tali accantonabili, come tali possono entrare nel pensiero del sogno, nel
pensiero della vita quotidiana, costituiscono una prima differenza tra gli oggetti
resi pensabili, costituiscono una prima differenza tra conscio e inconscio,
costituiscono una barriera di contatto che inizia a separare il conscio dall'inconscio,
inizia a permettere il formarsi delle premesse delle categorie di spazio e di
tempo e quindi inizia ad aprire la strada verso un processo a maggior coscienza
di rapporto con la realtà.
Tutta questa questione nasce da quel punto che si diceva prima, cioè dal pensiero
pensato nei termini di incontro o accoppiamento con la realizzazione negativa,
cioè con la frustrazione. Questo tema, in altri termini, è ripreso anche da
un'altra psicoanalista, allieva di Melania Klein anch'essa, Anna Segal, la quale
studiò dettagliatamente tutto lo sviluppo della formazione dei simboli e studiò
la formazione del simbolo proprio dal punto di vista dell'acquisizione di una
capacità di linguaggio e poi di pensiero, di astrazione che si basa sul poter,
con la formazione del simbolo, segnare delle differenze tra gli oggetti e tra
le rappresentazioni degli oggetti, e dunque poter tollerare la mancanza dell'oggetto
reale e poterlo pensare simbolizzato. Questa fase di formazione del simbolo
viene situata da Anna Segal nel periodo di cui vi parlavo nell'altro Seminario,
nel periodo della fase depressiva, cioè nel periodo dello sviluppo del neonato
in cui comincia a essere pensabile la separazione tra sé e l'oggetto esterno,
in cui l'oggetto esterno può essere vissuto come oggetto intero, non quindi
soltanto il seno parziale, ma la madre intera separata da sé. In questa fase,
poiché inizia a poter essere pensata una separazione, inizia a poter essere
pensato anche un oggetto simbolizzato da un qualche cos'altro, e non presente:
la madre che esce dalla stanza non sparisce per sempre ma potrà anche ritornare.
Allora, da questo punto di vista, il simbolo, la costruzione del simbolo segna
una fase molto importante che è per esempio invece mancante nei pazienti schizofrenici
per i quali non c'è distinzione tra il simbolo e la cosa reale: esiste un processo,
che è chiamato equazione simbolica da Anna Segal, per cui il simbolo è la stessa
cosa che rappresenta. Questo avviene anche nel bambino piccolissimo ma, nella
fase che vi dicevo, termina con la formazione invece, nel periodo della posizione
depressiva, della nascita del simbolo.
Un'ultimissima cosa cui forse potrei accennare, tornando da qui ancora a Bion,
un terzo elemento che posso dare è che un altro elemento che egli considera
fondamentale per la nascita del pensiero è il fatto che vi sia una continua
oscillazione tra le posizioni depressiva e schizoparanoide, cioè che tra i processi
di integrazione e tra quelli di dispersione e disintegrazione ci sia una continua
oscillazione prima di arrivare a una fase stabile, perché egli ritiene importante
che il pensiero non si fissi precocemente ma possa vivere questi stadi di oscillazione,
e questi sono poi gli stadi che possono contribuire alla formazione di un pensiero
che per Bion si sviluppa sempre anche all'interno delle sedute terapeutiche
e solo quando vi sia la disponibilità ad esporsi a qualche cosa di inconoscibile,
quindi quando vi sia la possibilità di un'esposizione ad una situazione anche
di caos. Per certi versi lui sostiene che anche il caos del pensiero schizofrenico,
quando è caos, possa avere un valore o un'utilità perché sostiene che ogni seduta
debba sempre essere in qualche modo aperta alla possibilità anche di un non-senso,
anche di una rottura di equilibri, a quella situazione che lui chiama 'di catastrofe'
indicando la perdita di ogni stabilità, e che vi sia la disposizione a ciò anche
da parte dell'analista, e questo ha fatto molto discutere in ambiente psicoanalitico
e ha suscitato all'inizio molte resistenze e tuttora, credo, ne susciti. Lui
teorizza che l'analista debba, per esempio, essere disposto a perdere ogni memoria
e ogni desiderio a ogni seduta, e quindi lavorare continuamente senza il riferimento
alla memoria quindi al passato, senza il riferimento al futuro quindi al desiderio
di poter ottenere alcuni risultati o alcune mete, ma completamente assorbito
sul presente, sulla realtà attuale della seduta e sul punto di evoluzione continuamente
presente nel fatto di disporsi nella condizione della seduta con questa esposizione
a perdere ogni punto di fissità.
Ecco, io mi fermerei a questo punto.
Paolo Ferrari: Vorrei dire anche del significato, del perché la nostra
esposizione, soprattutto quella di Susanna, prende la via, diciamo, del pensiero
psicoanalitico; perché noi ci occupiamo di terapia, ma non siamo analisti, cioè
Freud è assente, è assente ma in quanto è stato l'iniziatore capace di porre,
anche coi suoi allievi, il fatto che esista un pensiero assente e che il pensiero
sia comunque un luogo assente. Se è stato compreso quello che Susanna ha detto
e quello di cui altrove*
abbiamo già più volte parlato, vi è il fatto che il pensiero nasce quando la
madre si fa assente, cioè quando nasce la possibilità del bambino, quindi di
Homo, di accettare la frustrazione, di accettare il fatto che alcunché che c'era
non c'è più. Io dico, in generale, ancora in questa generalità più grande, in
questo ulteriore scarto, quando cioè questo punto...*
esiste quest'altro punto, e qui in mezzo c'è il vuoto, c'è l'Assenza, cioè la
madre non è neanche essa nata, non è neppure essa nata. Cioè l'Assenza si pone
qui dentro, l'Assenza è questa cosa.*
Paradossalmente è un alcunché che non c'è, per cui questo pensiero è continuamente
legato al paradosso. Io parlo, però nel momento stesso in cui sto parlando,
in cui sto esprimendo questi concetti, sto portando alla luce questi simboli,
uso delle metafore, ma queste metafore, in quanto proprio parlano e passano
attraverso una mente, la quale mente si è fatta astratta, si è fatta assente
per questa madre mancante, per questa sua assenza, queste parlano direttamente
su un altro livello della mente vostra che è predisposta, che è questo luogo
vuoto, è probabilmente questa precognizione, come la chiama Bion; io non so
come chiamarla.
Ma tutto questo, quello che a noi interessa - perché noi passiamo attraverso
questi temi scientifici, psicoanalitici, oppure attraverso l'evoluzione, attraverso
il pensiero dei quanti, piuttosto che il problema delle particelle, piuttosto
che la linguistica -, il pensiero della possibilità umana, di una possibilità
evoluzionistica del pensiero umano, è stato preso, è stato assunto - almeno
nell'Occidente - da certi luoghi, certi mondi, certi gruppi, certe culture molto
poco acculturate. Perciò quello che voglio indicare, quello che voglio dire
è che nella situazione attuale culturale, storica c'è in fin dei conti al fondo
una grandissima povertà. A causa di questa povertà - di analisi, di ricerca,
di peso, di pensiero, di attività -, si va a poco a poco... si è tentato di
sostituirla con determinati elementi, determinate situazioni altrettanto affettivamente
povere, altrettanto intellettualmente povere, ma che è come se avessero portato
un'idea di speranza vacua a quello che è l'attività umana invece di spingerla,
sollecitarla a far sì che un qualche cosa si possa smuovere all'interno dei
suoi processi più complessi, cioè all'interno dei suoi processi più astratti.
Allora ci sono le varie dottrine di tipo esoterico, di tipo occultistico, c'è
la New Age, ci sono tutti i vari movimenti - che d'altra parte sono tipici
della fine di un secolo così complicato, anche se è un secolo breve come il
'900, e della fine di un millennio per tutta una serie di timori millenaristici
-, ma quasi siano ormai diventati una specie di cantilena.
Quello che noi vogliamo dire, quello che stiamo dicendo, quello che sto dicendo
da anni - omai da vent'anni, - è che il processo... cioè quello di cui stiamo
parlando è una cosa molto difficile, è difficilissimo. Riuscire a pensare tutto
questo di cui noi stiamo parlando è una cosa difficilissima. Non è una questione
che avviene appunto attraverso l'accumulo, attraverso il fatto che uno si mette
lì davanti al sole e, pregando il sole, questo, il sole, lo illumina, oppure
che cammina e fa centocinquanta metri e da lì passa una certa idea e questa
diventa l'elemento spirituale. Tutto quello che noi stiamo dicendo è che, in
fin dei conti, lo spirito non esiste; ma non esiste lo spirito come non esiste
la materia, ovvero esistono tutti e due, ma bisogna pensarli in altro modo.
Io mi sto sforzando da diversi anni di cercare di pensare in altro modo questo
spirito, questa materia, perché è nato lo spiritualismo, è nato il materialismo
e tutti e due, in un certo senso, hanno fallito. In un certo senso io mi ritengo
più materialista, credo più materialista del più grosso materialista che ci
sia nel senso che io dico che tutto questo di cui sto parlando sta dentro al
nostro cervello, tutto questo di cui sto parlando sta dentro una struttura neuro-biologica
complessissima; questa struttura neuro-biologica complessissima, che ha tutta
una serie di stratificazioni dal punto di vista anatomico, fisiologico, neurologico,
psicologico, mentale, ultra-mentale, assente, deve essere esplorata, deve essere
resa attiva, deve essere resa pensante e allora, se soltanto in questo modo
viene resa attiva, viene resa pensante, allora forse qualche cosa di questo
di cui io sto parlando si riesce a capire, cioè questo luogo assente.*
Ora non voglio dire che il mio metodo
sia il miglior metodo possibile; io dico che al luogo dove sono arrivato a pensare
fino adesso non ci è arrivato nessuno, e per questo mi costa. Per cui m'interessa
riuscirne a parlare, m'interessa riuscire a portare un filo dimostrativo, diciamo,
nella logica, nel contesto di quello che è stato il pensiero occidentale: io
sono uomo occidentale e lo porto nel contesto del pensiero occidentale, ma questo
non significa il fatto che rifiuti ciò che viene da altri mondi, anzi, io mi
pongo in ascolto dell'altro, perciò tutto quello che viene dal mondo orientale
m'interessa molto, m'interessa quello che viene dal mondo africano, oppure quello
che viene dal mondo neozelandese o da qualsiasi altro mondo, però questo qualche
cosa io debbo farlo passare comunque dentro a un processo che sia complesso.
Uno degli elementi di cui noi stiamo parlando è questo benedetto sistema complesso,*
nel senso che il sistema complesso non passa attraverso delle vie che io ritengo,
da un punto di vista di uomo occidentale, in un certo senso di tipo infantile,
in cui si pensa che sia facile raggiungere determinati gradi dell'attività pensante
superiore, o che esista una certa entità mente, o esistano determinati altri
fattori capaci di dare una maggiore serenità, capaci di dare una maggiore possibilità,
dell'uomo che voglia bene all'altro uomo. L'affettività è una cosa complicatissima,
complessissima; quando io parlo di affettività parlo di una cosa molto complessa.
In un certo senso, me ne accorgo dopo, io non riesco a capire, faccio fatica
a rendere, a produrre un accoppiamento il quale sia continuamente testimone
di se stesso, cioè possa conoscere che cosa dall'altro viene riconosciuto di
questo, nel senso che, per esempio, affettività nel senso comune della parola,
ma nel senso anche abbastanza elaborato, abbastanza civilizzato, diciamo così,
risuona nella mente delle persone, ma anche negli scienziati stessi, come un
qualche cosa che è relativo alle affectiones, alle emozioni, ai sentimenti,
a quello che è una certa compatibilità con l'altro, quello che abbiamo già visto
una volta, in un certo senso è la tolleranza, quello che le religioni insegnano,
quello che il cattolicesimo insegna, quello che il protestantesimo, da un'altra
parte, insegna o che le religioni orientali, da un certo punto di vista, hanno
insegnato - o almeno quello che è stato poi ritenuto dalle persone che hanno
appreso questo tipo di messaggio. Quando parlo di affettività parlo di un tema
complessissimo, parlo del fatto che ancora una volta ci sono due entità, un'entità
è qua, un'altra entità è qua,*
qui in mezzo c'è l'Assenza, c'è il vuoto, c'è il nulla, e io mi metto in relazione
con l'altro attraverso questo vuoto e questo nulla, allora posso riconoscerlo.
Ma questo implica il fatto che io mi sono staccato dalla mamma, la mamma non
c'è più, non esiste più niente, qui in mezzo non esiste più niente, non è esistita
mai la madre, al posto della madre si è formata una mente e cioè - ed è quello
che diceva Susanna - ho accettato la frustrazione, il fatto che non ci sia nulla,
e questo nulla diventa un nulla affettivo.*
Questo sì che è un nulla affettivo, il nulla affettivo è un nulla che passa
attraverso la mente, la mente diventa affettiva, diventando realmente affettiva
la mente, liberandosi delle affectiones, di tutti i vari attaccamenti
affezionati, persino anche l'attaccamento alla vita, la mente diventa mente
affettiva, la mente si stacca, diventa a-mente, a-mentale e diventa Assenza.
Però questo significa il fatto... quello che io voglio insegnare è che quello
che è affettivo è un fatto mentale, ma per essere un fatto mentale deve aver
superato tutti gli ostacoli, tutte le difese, tutte le resistenze che la psiche
mette in mezzo.
Già per dire questo ho dovuto creare delle categorie, cioè ho fatto la categoria
psicologica, la psiche,*
e la mente, ma queste di solito vengono intese in un certo modo; io adesso sto
cercando di fondare, di produrre un piccolissimo sistema in cui possa dire che
le categorie, le affezioni psicologiche sono soltanto un ostacolo, per cui quello
che sono le emotività, ma anche le emozionalità in generale, quello che è tutto
il sistema psicosomatico, cioè quello che è relativo a un certo tipo di sensorialità,
di sensibilità - ho scritto un
Saggio proprio su questo: la sensibilità che è ancora intrisa di elementi
di morte, di un corpo che è ancora morto, eccetera eccetera ... allora si arriva
fino a questa dimensione che possiamo chiamare mente,*
ci metto una a, questa diventa privativa, diventa questo tipo di assenza,
diventa questo luogo che è assente, questo, diventando luogo assente, diventa
finalmente qualche cosa di decente che possa funzionare, che possa rinnovare
quella che è la nostra cultura, rinnovare quella che è la nostra intelligenza,
rinnovare quello che Homo sapiens può dire, e può in un certo
senso predisporsi a quello che potrebbe essere un ulteriore scarto, scarto da
sé, da quello che è stata la realtà fino adesso, e disporsi verso quest'altro
ente,*
a-ente assente che è questo luogo molto più complesso di cui adesso io non parlo,
adesso parlo di piccoli sistemi: il sistema psicologico, il sistema mentale,
il sistema a-mentale. Il sistema ancora più grande, molto più complesso, è questo
luogo assente di cui, a mano a mano me ne sto accorgendo, non debbo più parlare;
non debbo più parlarne nel senso che è troppo complesso, è troppo assente. Cioè,
siccome gli uomini sono abituati comunque a pensare attraverso le loro immagini,
i loro sensi, le loro parole e quindi attraverso tutta una serie di contesti
in cui Homo sapiens è vissuto, quindi la materia in cui è vissuto, lo spirito
in cui è vissuto, la storia in cui è vissuto, Homo sapiens non può, non è in
grado di produrre uno scarto rispetto a se stesso perché questo implicherebbe
un'oscillazione troppo grande di quel sistema di cui Susanna parlava prima;
questa oscillazione vorrebbe dire la rottura degli equilibri, la rottura degli
equilibri vorrebbe dire l'accettazione dello svincolo di questa catastrofe,
in un certo senso, su cui si dovrebbero poi svolgere le varie sedute.
Quello che io sto facendo stasera è che mi muovo sui limiti dell'elemento catastrofico,
catastrofico in senso intelligente, nel senso sottile, nel senso affettivo,
nel senso di elementi punteggiati, uno qua qua qua, tanti punti, cioè finalmente
c'è una rottura, e qui si forma un qualche cosa di successivo, di più evoluto:
questa è la teoria delle catastrofi, una teoria anche matematica. Perciò quello
che voglio indicare è il fatto di come e quanto, questo di cui stiamo parlando,
è una cosa complessissima, cioè è di una difficoltà pazzesca, nel senso che
va... diceva Susanna come si forma il simbolo; il simbolo è la massima espressione
di Homo sapiens, e questa dimensione dice: "A me del simbolo...", vado oltre,
sono ultra-simbolico, a-simbolico nel senso che gli oggetti, perfino gli oggetti,
le immagini mentali, tutto questo scompare, tutto diventa silenzio, il quale
silenzio può essere simbolico oppure può essere veramente vuoto per cui quello
che sto dicendo, questo disegno, per esempio qua, se uno sapesse leggerlo fino
in fondo non solo vedrebbe il disegno, quindi l'elemento simbolico, il segno
e l'elemento metaforico, ma vedrebbe il vuoto, nulla, ci passerebbe in mezzo.
I miei quadri son fatti
così: in mezzo ai miei quadri, in cui ci sono tutti gli elementi di costruzione
simbolica, i linguaggi, le parole, in mezzo c'è questo altro elemento; se uno
è capace di leggere ci passa in mezzo, se no rimane lì a leggere il suo elemento
metaforico - e non è neanche male -, il suo elemento simbolico, i suoi elementi
segnici, coloristici non son neanche male; se va oltre, allora leggerà tutta
un'altra serie di altre dimensioni di questo ulteriore mancante, è una mancanza
ulteriore.
Homo sapiens per formarsi è derivato dall'animale il quale animale ha
detto... evoluzionisticamente è successo il fatto che questa funzione... si
è concretizzato e, concretizzandosi, l'animale ha fatto una serie di passaggi
- si è formata questa neocorteccia, questo nuovo ente -, ha incominciato ad
accettare il fatto che tutto questo sistema poteva venire meno e ha detto: "Io
posso venire meno". Non è che l'abbia detto, perché non ha coscienza, ma ha
incominciato a venire meno; è stata un'enorme frustrazione, è stata la morte
di tutto il sistema biologico precedente; questa enorme frustrazione ha fatto
venire fuori Homo sapiens. Se Homo sapiens sarà capace di accettare un'enorme
frustrazione, ma preparandosi con grande intelletto, con grande forza d'intelletto,
con grande forza dell'affetto, allora questa grande catastrofe lo porterà
verso un luogo ultra-simbolico, a-mentale, eccetera eccetera eccetera.
Questo, tanto per cominciare a capirci qualche cosa.
E' ovvio che in questo altro luogo c'è un'altra serie di elementi, diciamo così,
simbolici, ultra-simbolici. Per esempio, in questa dimensione sto studiando
il tempo, la temporalità, la quale temporalità non è certamente la temporalità
che noi conosciamo, ma una temporalità molto più complessa, cioè una temporalità
subliminale la quale passa e scorre mentre l'altro tempo non scorre affatto.
Ci sono una serie di cose che si materializzano in un certo modo, invece noi
vediamo coi nostri occhi in maniera simbolica stretta, troppo stretta e non
apriamo il discorso. Tutto questo - anche per concludere questa parte dell'intervento
- per dire che quello che occorre - vedo che occorre sempre di più anche per
formare questo - è il fatto che questo discorso, come è scritto nei Saggi
sui quali lavoro, produca proprio una trama,*
una trama anche simbolica, metaforica la quale poi sia zitta, sia vuota, ma
che si formi questa trama. Questa trama si deve formare anche perché il mondo
occidentale, il pensiero dell'uomo occidentale è abituato al fatto che deve
costruire una trama un'altra trama un'altra trama, e questa trama poi deve costruire
quell'altra, poi quell'altra, poi quell'altra... probabilmente in questa ricostruzione
continua si arriva molto vicini in certi momenti al fatto che tutto il sistema
deve incominciare ad accettare di venire meno, cioè anche tutto il sistema di
pensiero, il pensiero logico-filosofico deve accettare, in un certo senso, la
frustrazione del fatto di poter non essere, e questo forse è quello che potrà
meglio raccontarci Luciano Eletti. Ma in generale tutto questo sistema che io
sto mettendo in piedi è anche per dire: "Tu, sistema, per diventare veramente
sistema che funzioni, cioè che dia un elemento sorgivo, un elemento affettivo,
nel senso mentale affettivo vuoto, devi imparare ad accettare il fatto che ti
devi porre realmente in crisi. Allora, se tu poni all'interno di te questa oscillazione
molto forte, questa crisi molto forte, questa crisi del senso, la crisi dei
valori, crisi profondissima fino quasi alla morte, che poi è la morte di Dio,
che è la filosofia o la morte di se stesso, o la morte dell'altro di cui Hegel
in un certo senso ha parlato - però poi se l'è conservata -, allora a questo
punto, se viene posta questa crisi, c'è forse la possibilità che il pensiero
possa pensare il fatto di estinguersi, ma senza perdere nulla, senza venire
meno di nulla ma arricchendosi di un alcunché che non c'è". E questo è il paradosso
massimo di cui sto parlando.
Luciano, a te la parola.
Luciano Eletti: Cercherò di raccogliere qualche elemento perché...
Paolo Ferrari: Se vuoi venire qui in mezzo, forse... perché se no tutti
devono girarsi. Magari vuoi un atto di riverenza, che si girino tutti.
Luciano Eletti: Viene il torcicollo, poi.
Il titolo del Seminario è La nascita del pensare come valore dal segno (-)
e Verri ha spiegato come questa nascita sia tutt'altro che ovvia, anzi, in molti
casi, come non avvenga in modo compiuto, in modo tale che il pensare sia veramente
libero, e avviene attraverso questo elemento privativo, questo salto che il
bambino deve compiere. Allora mi sono chiesto: "Ma la nascita del pensiero,
la storia della cultura come è avvenuta? Ha avuto questo elemento?". Da un lato,
se leggiamo le varie storie della filosofia, direi di no. Sembra che questo
elemento privativo abbia contribuito a staccare in parte l'uomo dall'ambito
animale - 'staccare in parte' perché poi ci sembra sia rimasto ancora per altri
versi ristretto - per cui mi sembra che la specie Homo abbia fatto questo salto
in questa fase di distacco - parziale, problematico - dalla madre, e che quello
sia l'unico gradino, gradino già notevole rispetto alla fase precedente su cui
poi l'uomo, nella storia della cultura, ha elaborato vari sistemi che potessero
dare spiegazione di quanto avveniva. E d'altro lato però sto pensando se questo
avvenga perché nessuno ha mai indagato come sia veramente nato il pensiero filosofico,
ad esempio, se l'idea di albero in Platone sia semplicemente un'astrazione,
un raggiungimento operato verso la scala dialettica oppure sia qualcosa di diverso,
e a me sembra che qua e là nella storia della cultura ci sia questo elemento
privativo, ovviamente mai evidenziato; c'è stato solo un libro curioso, due
anni fa, pubblicato da Givone, una storia del nulla, una storia che in teoria
non dovrebbe neanche esistere in quanto è qualcosa che non c'è: del niente si
sa solo che non ci deve essere e non ce ne dobbiamo occupare. Però, per esempio,
anche per accennare all'idea di Platone, se uno legge e arriva in fondo al Simposio,
ha qualche dubbio che sia solo dell'essere, del bene, del vero che si parli,
in realtà questo 'bello' del Simposio è la negazione di tutto quanto
c'è nella vita ed è anche il motivo per cui Platone curiosamente fa dire a Socrate
che il vero compito del filosofo è esercitarsi a morire. Infatti il percorso
dialettico è quello di superare, andare ben oltre gli elementi presenti fenomenici
per arrivare all'idea del bello che non è né questo né quello, che non può avere
un'aggettivazione e che però, dice Platone, è l'unico motivo per cui valga la
pena vivere, e non a caso - per fare uno schizzo che poi andrà fondato altrimenti
- basta pensare al percorso per arrivare velocemente a tempi più recenti, basta
pensare a quel filone che partendo da Platone arriva fino ad Hegel - un macrodisegno
che in genere non si può descrivere in storia e filosofia perché richiederebbe
una competenza mostruosa e che secondo me però si può disegnare a schizzi partendo
appunto dal neoplatonismo -, basta pensare che cos'è l'Uno di Plotino, e arrivare
fino a Hegel attraverso Eckhart. E' quello che succede nella Fenomenologia,
nelle pagine migliori della Fenomenologia in cui viene evidenziata questa
potenza del negativo che è il vero motore, ma non è una semplice potenza, un
accorgersi di come l'atto negativo degli eventi sia produttivo - questo, tutto
sommato, è noto -, perché la vita dello spirito, dice Hegel, è quella vita che
accetta la morte e si mantiene in essa, cioè solo attraverso questa radicale
fatica del concetto attraverso la morte - infatti Hegel è il primo a teorizzare
la morte di Dio in quanto è Dio che si nega - impara ad accettare questa negazione.
E come poi questi strani aspetti del pensiero privativo, che in genere non s'indagano,
appaiano qua e là anche nei punti più impensati. Per esempio ho riletto recentemente
alcune pagine di Nietzsche - le avevo lette quasi vent'anni fa - e sono rimasto
stupefatto. Tutti noi abbiamo in mente alcune pagine di Nietzsche, sembrerebbe
scontato come possa essere fuori dal pensiero privativo. Invece basta leggere
per esempio il quarto paragrafo della Prefazione di Zarathushtra e si
è stupefatti di come questo elemento della privazione, del tramontare...perché
Zarathushtra scende tra gli uomini per tramontare e affinché essi tramontino:
in quanto l'uomo può essere amato solo perché è una transizione, deve essere
capace di tramontare. Il motivo per cui Zarathushtra ama il funambolo che cade
è perché lui ha tentato di andare oltre, di accettare la propria transizione,
cioè di essere mezzo per qualcos'altro. E poi, per parlare proprio di Nietzsche
non attraverso il mito di Zarathushtra, ci sono altri elementi che convivono
con altri aforismi che nulla hanno a che fare con questa forma di pensiero privativo,
si ha in altri testi. Per esempio a me piace molto e ho sempre amato parecchio
l'ultimo aforisma di Aurora in cui c'è per la prima volta questa apertura
gigantesca: dopo la scoperta di Zarathushtra che Dio è morto, si apre questo
mare sconfinato, per la prima volta si vede un mare così grande, c'è solo mare
mare mare e nient'altro, ma sembra non esserci la possibilità di navigarlo e
che sia solo un elemento negativo, e però in questo aforisma c'è l'accettazione
del fatto che non importa della propria individualità, cioè per la prima volta
abbiamo questo mare immenso dinanzi e lo possiamo solcare, e noi finiremo, ci
sarà qualcuno che andrà oltre, non sappiamo neanche dove, però questo mare diventa
solcabile - che poi è l'aspetto ambivalente del nichilismo come è stato più
volte studiato, per lo più in forma negativa, invece Nietzsche affermava che
il più grande nichilista sia colui che l'aveva finalmente superato, nel senso
che questa apertura negativa è il reale elemento positivo. Oppure ci sono altre
formulazioni più recenti, non a caso di chi ha studiato molto bene Nietzsche,
per esempio Heidegger che nota la rilevanza dell'assumere la morte per l'essere
autentico, come non sia un pensare la morte ma il fatto che questo elemento
della negazione è presente o dovrebbe esserlo per una vita autentica in ogni
istante perché è solo questo elemento che rende la vita progettabile e che la
rende percorribile al di là delle frammentarietà che a ogni passo le si presentano,
cioè questa cura che è richiesta all'individuo perché possa avere la sua vita,
possa disegnarla, progettarla.
Poi arriviamo anche a un fatto più recente, un fatto curioso che sta su un libro
di Cacciari, appena pubblicato, dove si accenna al fatto che l'Europa sembra
essere giunta a un termine - e qui c'è sempre quella grande intuizione nietzchiana
di una via che non può essere più percorsa ancora, cioè ormai si è arrivati
dinanzi a un muro, occorre pensare diversamente da come è stato finora. Cacciari
sembra indicare il superamento dell'individualismo liberale alla Tocqueville,
che pure ha avuto meriti immensi, in quanto ormai è necessario che, come la
figura che Zarathushtra aveva individuato in qualche modo, che è l'oltre-uomo,
quello che ha saputo transitare, ha saputo accettare il proprio tramonto, questo
individuo liberale, del liberalismo maturo, debba venir meno alla propria soggettività,
all'individualità che ormai è un freno.
Una cosa viene da chiedere, cioè che valore abbiano questi frammenti di pensiero
privativo, se siano veramente frecce che in qualche modo anelano all'altra parte
o se siano appunto sui margini di questo pensiero di cui parliamo qui adesso,
e se si possano individuare dei segnavia per noi che siamo ancora rinchiusi
in questo modo di pensare classico della specie, cioè se quello che è riscontrabile
in alcuni momenti della storia del pensiero, cioè il venir meno, quindi l'elemento
affettivo, astratto in qualche modo, sia un segnale, un segnavia perché noi
si possa sapere che si è sulla strada, che non siamo su un sentiero interrotto.
Questa affettività che è frustrazione, che è perdita, assomiglia moltissimo
alla sconfitta; sembra che solo accettando questa sconfitta, questo sentirsi
morire si possa individuare il sentiero. Noi che non abbiamo altro che queste
conoscenze del nostro mondo dello spirito, abbiamo questi segnavie?
Paolo Ferrari: Be', vi dicevo, lavoro intorno a questi segnavie. Mi sento
un po' escluso, perché non è che io voglia indicare la strada, cioè contengo
questo; perché poi è una domanda che ho moltissimo, in continuazione in un certo
senso, è una domanda metodologica continua nel senso di dire: "Va bene, io tutti
i giorni faccio il terapeuta ormai da quasi trent'anni. A diciotto anni, quando
incominciavo a pensare tutta una serie di questioni di questo tipo e a viverle,
incominciare a vivere poi il fatto che il corpo veniva meno, che quindi si scavava,
l'elemento psicosomatico lasciava lo spazio all'a-mentale, all'ultra-mentale,
ho deciso di far medicina, e ho deciso di far medicina per occuparmi del fatto
che esistesse un cervello che pensava, pensava in qualche modo, pensava e io
capivo che pensava in altro modo". Allora il problema, dici giusto, è interessante.
Io dico: "Sì, certamente, in qualche modo esistono dei segnavia", perché mi
servono nel senso di dire: "Sì, to', guarda, Nietzsche pensava questo, ci ha
fatto un buco qua,*
c'è una piccola assenza, diamo un più, Hegel ha pensato alla morte dell'arte,
to', guarda... allora c'è un buchettino, un altro buco, un assente, un'assenzina
qua..." e io ci metto tutte le bandierine. C'è Bion che ha fatto questa cosa,
ci mettiamo un'altra bandierina. Ma questo, perché? Per dire che tutto questo
tiene compagnia, cioè, in un certo senso, quando l'assenza è immensa, cioè questo
buco immenso è vuoto, tutto questo tiene compagnia, e io credo che sia vero,
è vero che siano dei segnavia. Come, di fatto, durante una terapia io vedo che
una persona... immediatamente dico: "To', guarda, sta pensando questo, ma come
diavolo ha fatto a capire questo? Da dove l'ha pensato?". Ed è quello che mi
porta, in un certo senso, fuori, nel senso che tante volte sono come spinto
in questi anni, dall'88, quando si è aperto tutto questo canale così amplio,
a dire: "No, di questo non ne parlo più", perché intanto non è possibile...
cioè tutto il pensiero come si è sviluppato fino adesso arriva appunto... produce
questa piccola assenza, dice: "Sì, siamo sul punto della morte, sul punto del
declinare..."
Ma d'altra parte, come dicevo prima, davvero il pensiero - la trama del pensiero
pensante, la letteratura, la filosofia - si è posto veramente il fatto di incominciare
ad accettare di venir meno, cioè davvero ha la crisi dentro di sé, ha l'assenza
dentro di sé tale per cui questo sia capace di accettare lo scarto rispetto
a se stesso? E questo per il momento non lo so o, meglio, io dico: "Porto tutto
questo", allora faccio questo discorso, produco questa trama, questo intreccio,
questa rete, intreccio-trama, tutto questo lo pongo in relazione, produco un
accoppiamento con quello che è il pensiero classico, e vediamo se s'incontrano.
Nel loro incontro, se vale - e io credo che valga - la legge d'inclusione, che
è la prima legge che mi è venuta in mente nel primo
Saggio che ho scritto, la quale dice: "Dovunque sia, dove ci sia un pensiero
più astratto, più vuoto, e quindi maggiormente capace di astrazione, questo
pensiero è capace, è adatto, idoneo a far sì che tutto il resto del pensiero
si trasformi in questo linguaggio più astratto, in questo mondo più astratto"...
La stessa cosa è avvenuta nell'animale: l'animale ha pensato neurologicamente
in un certo modo, a un certo punto è arrivato Homo sapiens; Homo sapiens
è lui che dirige la terra, non è più l'animale. E' la stessa cosa: dove c'è
un processo più astratto, e quindi io pongo questo pensiero che è più astratto,
che è più vuoto, lo pongo in relazione con tutto il pensiero di quello che è
il pensiero attuale, di quello che è l'affettività attuale, di quello che è
la logica, la struttura del pensiero, tutto il mondo classico, anche il mondo
non classico dove c'è l'arte, dove ci sono tutti i vari linguaggi, li metto
in contatto e dico: "Dato questo contatto, questo accoppiamento, voglio vedere
come ci sia questa permeazione, questa trasfusione di elementi uno all'altro".
Io credo, nei livelli alti di tutto questo, di tutto questo processo dove c'è
l'Assenza, che è questo vuoto che è ancora più vuoto, è alto, tutto questo è
già trasformato, è già altro, già tutto è morto, già tutto è palingenesi - palingenesi
ci dev'essere -, già tutto è altro, già tutto è molto più astratto. E' chiaro
che, a mano a mano scendendo nella scala,*
le due materie s'incontrano: una è più astratta, l'altra è meno astratta, produciamo
questi accoppiamenti; io li produco in pittura, in musica, continuo a produrre
questi accoppiamenti. Dico che, grosso modo, dove c'è ricchezza di pensiero
c'è anche affetto, dove c'è affetto c'è ricchezza di pensiero. Questo, io dico,
è un segnavia, tant'è che io faccio il terapeuta. Se da questo nasce un pezzettino
di pensiero, se si è capaci di camminare sul bordo, se si è capaci di venire
fuori dalla scissione, si è capaci di produrre un'unità, cioè dove c'è possibilità
a produrre complessità, siccome questo, come dicevo prima, è similare al fatto
per sottrazione per il fatto che è l'accettazione comunque di un venire meno,
è il soggetto che impara a separarsi dalla madre, a non essere più edipico,
o il soggetto, la donna che impara a separarsi dal padre e che quindi non è
più in quel legame fusionale e che quindi rinuncia e quindi accetta la frustrazione
e quindi accetta un varco, io dico che questo varco è più vicino a un alcunché
di analogo a tutto quest'altro luogo che sto disegnando: allora qui c'è la possibilità
di un accoppiamento, allora ci sono tanti segni in realtà, i segni dove la cultura
umana, dove la capacità di astrazione, dove la capacità di affetto ha prodotto
di più. Potrebbe anche essere il fatto che i segnali, che il segno, chiamiamolo
così, nasca anche altrove. Per esempio questo processo come è nato? Per quello
che ne so io è nato dentro il mio cervello; è nato sì attraverso tutta questa
complessità, questa gradissima complessità mi ha permesso di contenerlo, di
trasformarlo e dare linguaggio e mettermi in accoppiamento, ma il suo principio
è altrove, il suo principio nasce da quella funzione-Assenza che è una funzione
evoluzionistica molto complessa, cioè, in poche parole, è quella funzione che,
nell'evoluzione dove non c'è la materia, dove non c'è lo spirito, dove non c'è
nulla, è funzione-Assenza. Questa funzione-Assenza che è il nulla più
totale, ma il nulla pensato in un sistema complesso, cioè accolto, pure, è quella
che ha prodotto probabilmente tutto il cammino evoluzionistico, quella che ha
prodotto il passaggio dall'animale all'uomo.
Ma questo sarà argomento ulteriore di discussione.
E perciò, per dirla in altro modo, io credo che i segni siano questi,*
questa complessità di cui sto parlando, i segni siano di una grande attività
pensante di uomo, siano quelli dell'affettività e siano anche di altro tipo:
io ne conosco di altro tipo; ma quelli di altro tipo sono talmente silenziosi
che è difficilissimo andarli a cogliere; però non hanno comunque nulla di mediocre,
quello che io so è che non hanno nulla di mediocre, non sono poveri, non sono
piatti; questi sono i segni che... poi ce ne sono altri complessi: io ne vedo
qua, disegnati in un certo modo, simbolici, a-simbolici, ultra-simbolici; cioè
ci sono una serie di elementi, di punti, per esempio nei miei disegni spessissimo
ci sono, per esempio in quella figura là... quella là si chiama Astrazione
femminile
e,
quello lì è il cervello femminile, cioè il luogo di tutti i punti... dove sono
disegnati dei punti dove il cervello femminile è in grado di poter sviluppare
e di produrre i suoi luoghi vuoti, e lì produrre - in questo paesaggio astratto
e vuoto, in tutti questi punti dove ci può essere questo luogo in cui si fa
assente, cioè dove c'è una microassenza microassenza microassenza - piccolissimi
segni dove il luogo potrebbe farsi vuoto e farsi operante d'altro tipo, di questo
nuovo genere.
Avrei finito.
Qualche domanda, breve.
Maurizio Gatti: Il pensiero nasce, si dice, nel momento del distacco
o dell'accettazione del distacco figlio-madre; però questo passa anche attraverso
il dolore, perché in quel momento c'è dolore, o no?
Paolo Ferrari: Si chiama lutto, anzi, è oltre il dolore: c'è la morte,
c'è il senso di morte, è un senso molto tragico, per il bambino è una tragedia,
è una grandissima tragedia.
Maurizio Gatti: Come questo si elabora, si trasforma nel momento del
distacco?
Paolo Ferrari: L'elaborazione è proprio quello che diceva Susanna, si
chiama proprio la fase depressiva. E' una depressione molto profonda, cioè il
bambino accetta... per esempio c'è una prima fase che è quella schizoparanoide,
poi c'è quella depressiva in cui da una sorta di eccitazione... ma questo nella
fase prima.
Vuoi parlarne tu, Susanna?
C'è una fase prima - questo secondo la Klein -, che avviene nei primissimi giorni
o primissimi mesi - secondo me avviene nelle prime ore -, in cui c'è... il bambino,
molto probabilmente, il cervello del bambino è un cervello eccitato, in un certo
senso, cioè un cervello che non è capace di controllo, non è capace di tutti
i sistemi di controllo: noi siamo in un certo senso il nostro sistema di controllo;
anche qui è l'altro, è l'assente, cioè i sistemi sono sistemi di feedback,
di controllo. Il bambino ha queste eccitazioni di partenza ma, io credo, tutti
i sistemi abbiano questa partenza; credo che, nell'evoluzione dall'animale all'uomo,
l'uomo abbia avuto questo grossissimo problema di eccitazione, quindi di delirio
- il bambino credo che nasca delirante, in un certo senso. Questa è la fase
schizoparanoide in cui c'è questo tipo di eccitabilità del pensiero del cervello;
poi il bambino passa a una fase - che si chiama depressiva - che è di interiorizzazione;
in questa fase di interiorizzazione, saltando il problema della madre 'seno-buono
seno-cattivo', c'è il riconoscimento dell'esistenza di un mondo esterno, e questo
nei primissimi mesi di vita, dal sesto mese. Nella fase edipica, nella fase
del superamento edipico - che poi non è soltanto del bambino perché nessun adulto
realmente ha superato l'Edipo, fino adesso -, supera l'Edipo se passa in questo
grande sistema, perché in questo grande sistema vuol dire distacco dalla madre,
ma vuol dire che la madre non esiste più, lui è autogenerantesi, cioè l'uomo
diventa capace di autogenerarsi.
L'elaborazione è un concetto interessante ma difficile da spiegare. E' come
se fosse il fatto che il bambino accetti di venire meno, cioè accetti che quello
che era il suo principio di piacere, la sua ricerca continua del soddisfacimento
e quindi, in un certo senso, il suo sistema che continuamente doveva essere
equilibrato, doveva essere continuamente ricompensato, da un momento all'altro
possa non essere più compensato senza d'altra parte sapere dove andrà a finire.
Tutta la storia umana - ed è interessante, questo è un segno, un segnavia, come
diceva Luciano -, sia quella storica, sia quella evoluzionistica, sia quella
ontogenetica consiste nel fatto che nessuno sa dove andrà a finire. Il bambino,
quando accetta di staccarsi dalla madre e la madre non c'è più, non sa se morirà,
non sa se starà in piedi, chi sarà, chi è lui e chi è l'altro, se si confonderà
con il tutto. Però fa parte anche questo di questo fattore complesso che ho
chiamato fattore-Assenza, e il fatto che il bambino accetti il distacco e che
quindi rinunci, e che quindi ci sia questa rinuncia, questo è già indice del
fatto che il sistema sta maturando, cioè che il sistema è capace di autorganizzarsi.
L'autorganizzazione, da un punto di vista interno, è molto complessa, cioè ci
sono tanti sistemi che interagiscono uno con l'altro; dal punto di vista più
emozionale-affettivo, c'è il fatto che il bambino - ma l'adulto anche - accetta
di rinunciare, accetta il fatto che il suo sistema... non saprà se lui finirà
o meno, tant'è che questa si chiama appunto 'fase del lutto', cioè lui - o la
madre, per me lui stesso e non tanto, non soltanto la madre, ma lui stesso -
sa che, in un certo senso è morto del suo sistema vecchio, del suo sistema che
era fusionale, del suo sistema che continuava a compensarsi, e questa è una
fase, dal punto di vista descrittivo, dal punto di vista anche terapeutico,
molto interessante nel senso che si vede l'altro... per cui la depressione dell'altro
io la vedo proprio a livello mentale, la depressione dell'altro è a livello
mentale, non è a livello psicologico, non è la perdita soltanto di attaccamento,
non è soltanto un fatto emotivo, non è un qualche cosa soltanto di esteriore
ma è come se fosse un qualche cosa di molto profondo, delle parti di un corpo
profondo legato a una mente profonda tali per cui questo accetta di venire meno,
cioè accetta, in un certo senso, che l'altro, che la madre sia libera, ma che
anche lui sia libero, ma sia libero senza sapere in realtà se lui morirà, se
lui perirà - perire, che poi vuol dire esperire -, se lui esperirà realmente
la coscienza di sé. Per cui in terapia io osservo il fatto che sento proprio
all'orecchio, proprio dentro l'orecchio mentale il fatto che l'altro a poco
a poco incomincia ad accettare di esistere, l'accettazione dell'esistenza significa
anche l'accettazione di perire, e questo è un atto d'amore nel senso che lascia
che anche la madre sia libera, contemporaneamente a se stesso; accettando che
la madre sia libera accetta anche il fatto che lui accetterà che l'altro, o
l'altra, sarà libera nel suo rapporto, e quindi è un processo proprio di una
maturazione estremamente silenziosa. L'affetto è silenzioso, tutto quello che
avviene all'esterno invece è la componente isterica, la componente per lo più
anaffettiva. Questo dà una depressione.
Maurizio Gatti: Questo vuol dire che la depressione è una fase di un
processo evolutivo?
Paolo Ferrari: La depressione giusta. La depressione è un passaggio evolutivo,
ma la depressione giusta, cioè la depressione che significa la depressione accettata,
significa il fatto che c'è il dolore, perché di solito invece nella depressione
patologica c'è mancanza di dolore, c'è il dolore nevrotico, non c'è il dolore
per l'altro, non c'è il dolore affettivo, il soggetto è anafettivo. Nella depressione,
o quella endogena o quella grave oppure quella normale, nevrotica, non c'è nessun
dolore, non c'è il dolore per l'altro, non c'è il dolore reale, non c'è un qualche
cosa che fa male, c'è l'elemento anafettivo, non c'è l'affetto, mentre questa
qui è una depressione in cui c'è l'affetto, allora anche questo è un segnavia:
la depressione con affetto è un segnavia di un sistema che potrebbe essere molto
superiore, potrebbe essere molto più in là, però allora questo sistema dovrebbe
accettare di venir meno anche a se stesso, e quindi un'ulteriore fase: è come
se fosse l'Edipo dell'Edipo in un certo senso, il superamento di tutto questo
di cui sto parlando, il massimo grado. Ma questo è al limite, cioè la depressione
nel senso che... perché il problema di Homo è il fatto che non riesce
mai a distinguere... io vedo che fa moltissima fatica a distinguere dove c'è
la depressione anaffettiva, perché tutti quanti mi rispondono: "Eh sì, ma io
mica mi diverto, mica sto bene", però è lo stesso nevrosi. Quello che è difficile
accettare, probabilmente, credo che sia il dolore, il dolore vero, perché il
dolore vero significa il fatto che tutto il sistema si mette in crisi, cioè
rinuncia al fatto che dovrà essere comunque compensato e quindi accetta di esistere
e, accettando di esistere, significa che accetta anche il suo ciclo, la sua
morte, il suo non essere o il suo essere altro. L'accettazione del dolore è
una cosa molto seria, molto difficile. Se il sistema incomincia ad assumersi
il dolore, già vuol dire che il sistema è su una strada che funziona; ma deve
sentirlo, deve sentirlo realmente, non inventarselo, e quindi proprio l'avvicinarsi
di tutto questo... tutto questo è molto complesso, l'assunzione del dolore,
l'assunzione della depressione, l'assunzione dell'affettività, l'assunzione
del distacco sono tutti elementi che sono su un bordo, se no gli altri sono
finzioni, sono fingimenti, sono ambiguità.
Va be', andiamo perché è stato abbastanza intenso. Ci rivediamo il... ?
Susanna Verri: L'8 maggio.
Paolo Ferrrari: L'8 maggio.
Mi dispiace di non poter fare musica ma ormai è molto tardi. Probabilmente finiremo
l'anno con Seminari... sono Seminari molto intensi, quindi la musica dovremo
farla in altre occasioni.
Vi saluto.