18 novembre 1999

I SEMINARIO 1999-2000

Il finire del secolo e l'emergenza complessa dell'Asistema in-Assenzaa

Paolo Ferrari: Apriamo l'anno del nuovo millennio: c'è l'emergenza di un nuovo sistema, che noi abbiamo chiamato asistema*, di cui tracceremo i percorsi, le tappe, le rivoluzioni, le trasformazioni, le mancanze, le astrazioni più assolute. Ma, per iniziare, voglio subito presentare l'apertura che è rappresentata da una coreografia di Enzo Correale su musica dell'assenza da me composta: questa coreografia la stiamo discutendo insieme, stiamo procedendo a tappe verso una ideazione nuova sia del linguaggio coreografico sia della forma del balletto; la forma di questo balletto ha all'interno in nuce alcuni elementi che sono già propri di un sistema in evoluzione, di un sistema che va sui margini onde scomparire quale sistema e disporsi come asistema; è in formazione. Stasera verrà presentata e rappresentata una parte della musica, anch'essa 'in-ulteriore divenire', ed è una coreografia intorno a un brano Zago-Mozart: Zago è un giovane compositore che lavora con me da tempo, Mozart sapete tutti chi è. Si chiama Intorno a Zago Mozart perché Zago ha composto una musica per archi intorno alla figurazione della donna in certi passaggi della musica di Mozart. Allora, all'interno di questo ho enucleato alcuni elementi di questa musica, li ho trasfigurati, li ho portati dentro un ulteriore divenire della musica, l'ho posto in ulteriore prossimità; all'interno di questo nucleo abbiamo disposto, ha disposto Enzo Correale il suo balletto con le sue cinque ballerine, lui stesso ballerà e sono loro stessi creatori nel momento stesso in cui si pongono all'interno di questa musica, la quale ha al suo interno una serie di temporalità, di ritmi assolutamente particolari e mi sembra che, da quello che ho incominciato a intravedere, questa temporalità nuova si possa fare e stia emergendo nel nuovo secolo.

[Enzo Correale e le cinque ballerine eseguono un balletto coreografico sul brano di musica Intorno a Zago Mozart di Paolo Ferrari.
Al termine del balletto i ballerini si allontanano e viene parzialmente smontata la scena che aveva fatto da sfondo]

In attesa di Enzo Correale e delle ragazze si potrebbe incominciare a vedere anche un po' qualche materiale che è stato distribuito. Allora, innanzitutto questo foglio con questa stampa digitale "in-divenire ulteriore" rappresenta uno dei modelli possibili per definire, per descrivere uno degli oggetti dell'asistema, ovvero del sistema in-Assenza, ovvero una delle trasformazioni che possono avvenire verso questo tipo di sistema. La danza che abbiamo visto prima mi sembra che in alcuni punti abbia già questi elementi che incominciano ad essere impliciti, cioè essere in nuce, non tanto dal punto di vista della sua espressione simbolica, dei suoi vari significati perché questi sono partecipi più del tipo di spirito, di mentalità, di corporeità della danza e di Enzo Correale in particolare, ma l'inserimento di questo tipo di danza e di questi tipi di passi o di movimenti all'interno di una musica così complessa è ciò che rende possibile la descrizione di un nuovo sistema anche nell'ambito di questo tipo di performance. In questo tipo di performance è come se si fossero formati all'interno vari punti, vari luoghi, i quali luoghi hanno prodotto delle stratificazioni, queste stratificazioni a loro volta hanno prodotto poi delle improvvise fermate e poi ulteriori stratificazioni e formazioni di ulteriori nuclei, come se fosse un elemento in divenire, è un elemento in divenire ulteriore; 'in divenire ulteriore' è questo tipo di musica, questo tipo di musica è analoga a quella che è scritta e che è definita ed è stata chiamata In-divenire ulteriore e appartiene ad una partitura che è fatta per un doppio pianoforte, percussioni e violino facoltativo. Mi dispiace che non ci siano i nostri danzatori.
Enzo Correale: Intanto ci sono io, se vuoi…
Paolo Ferrari: Allora tu, Enzo, prova a dire qualche cosa circa il modo in cui ti sei posto di fronte a questo tipo di musica. Ecco che arrivano le ragazze.
Enzo Correale: Questa è la mia seconda esperienza con la musica di Paolo Ferrari e devo dire che per me sono momenti di grande crescita perché sto stravolgendo completamente tutto quello che ho acquisito fino ad oggi rispetto alla danza, alla coreografia. Nella prima esperienza la coreografia è nata quasi in maniera istintuale e quasi di getto; in questo altro caso invece la coreografia è nata molto studiata, studiata perché io sto iniziando ad approfondire la mia conoscenza sul pensiero di Paolo Ferrari, anche se è ancora a livello embrionale. Però credo di aver intuito un meccanismo di stratificazioni - come diceva prima Paolo - perché praticamente questa coreografia è nata sempre in una successione di un passo precedente ed è chiaramente coinvolto il corpo di ballo che sono le ragazze, dove anche loro hanno avuto delle sensazioni molto particolari perché è sempre stato un crescendo, nel senso che ogni volta che noi abbiamo riprovato questa coreografia, anche quando non era del tutto completata, ognuno di noi ha avuto sempre la sensazione del nuovo, la sensazione dell'inaspettato. Questo è fondamentale per questo tipo di lavoro che abbiamo fatto e che per noi danzatori - voglio specificare questa cosa - non è facile su una musica che non ha una quadratura musicale sulla quale da piccoli veniamo educati e non ha una quadratura coreografica sulla quale veniamo educati, e quindi ringrazio Paolo in questo caso di aver dato a me la possibilità di aprire la mia mente, i miei orizzonti ad altri tipi di espressioni sempre inerenti al mio lavoro, che è la danza.
Paolo Ferrari: Allora, circa quel foglietto che avete, quella stampa digitale si può spiegare in questo modo - adesso cercherò di essere abbastanza sintetico perché poi devo passare la parola anche a Susanna Verri e Luciano Eletti. In sintesi, come diceva Enzo Correale, è una delle possibilità di formulare un modello nuovo che si avvicini a questo modello, a questa istanza particolare che abbiamo chiamato in-Assenza, che ho chiamato in-Assenza, che è un sistema che ha la capacità di avere un vuoto o di avere un grado zero ovvero un grado sotto zero, che è un grado che mai il sistema biologico-mentale ha ancora intuito, se non in alcune istanze della filosofia orientale, ma non nell'ambito scientifico occidentale, e noi parliamo dal punto scientifico del mondo occidentale, della fondazione anche di una scienza nuova, la quale scienza nuova prende con sé la coreografia, prende con sé l'arte, prende con sé l'umanesimo in generale, prende con sé anche la tecnologia - e infatti Luciano Eletti poi parlerà della tecnologia, in particolare, credo, della tecnologia e delle scienze umane, del problema uomo e tecnologia.
Allora, come vediamo qui, per esempio, questo pannello
* è un elemento di un certo grado, di una certa valenza tecnologica; anche questo plotter painting, cioè, è una stampa, è una stampa digitale che deriva da una serie di passaggi in campo analogico, come si vede da quel pannello lì, come si vede da questo elemento, da questa stampa digitale. Pensate che questo pannello, questa stampa nasce da questo gesto musicale, da questa mano, da questo braccio e nasce da una fotografia di Lisetta Carmi che è qui fra noi presente; questo braccio, questo braccio sinistro ha una certa posizione particolare sul pianoforte, tale per cui è totalmente liberato da una serie di pesi e funziona in elemento di gravità e di prensione, cioè fa un lavoro di questo tipo*, cioè è lasciato oscillare liberamente, prendere liberamente il tasto, strapparlo e strappare il suono dal tasto e produrre una particolare valenza del suono, il quale suono si dilata perché c'è il pedale di risonanza che entra, ma nello stesso tempo il suono è preso e strappato e portato via. E questo è uno degli elementi gestuali, degli elementi del gesto che a me interessa e che fanno parte anche della pittura, fanno parte anche della danza - ne stavo parlando prima con Enzo Correale -, fanno parte di un certo tipo di gesto della mente in-Assenza, è un gesto del tipo della mente che è vuota in-Assenza, che produce questi gesti, ma questi gesti non producono ingombro.
Allora prediamo questo oggetto particolare: questo oggetto particolare ha al suo interno, in ogni sua cellula, cioè nel suo elemento di base ha questo braccio che sta suonando, cioè tutta la parte di fondo, la sua unità è questo braccio che suona; è leggermente modificato perché deriva da un altro pannello, cioè quello che si vede qui, nel punto centrale, questo arco qui è questo braccio e questo deriva da una fotografia fatta alla mia magnifica persona da Lisetta. Qui manca la testa perché nella fotografia c'era la testa che invece in questa elaborazione compare da questa parte; poi sono inserite varie sottounità che sono polimorfiche: c'è un ovoide, ci sono degli elementi circolari, poi ci sono degli elementi quadrangolari, poi ci sono degli elementi di condensazione-rarefazione della materia o dell'onda, ci sono degli algoritmi particolari su cui è stato elaborato. Questo è stato elaborato anche con l'aiuto di uno dei miei collaboratori giovani, Andrea Moroni, giovane ingegnere delle telecomunicazioni che sta elaborando questi vari sistemi e con cui sto lavorando per l'elaborazione di tutti questi vari sistemi e l'elaborazione del sito in Internet, con l'ingresso di questi nuovi linguaggi. Allora in ogni elemento di questa unità c'è una sua sub-unità, la quale sub-unità in ogni punto con i colori c'è, vi è rappresentato l'elemento di fondo anche se non è più riconoscibile: l'elemento unitario generale, cioè di questo sistema olistico, è rappresentato in ogni sottounità, anche se non è più riconoscibile. Uno dei precedenti passaggi di questa elaborazione era che ogni elemento aveva al suo interno l'elemento della memoria; cioè la fotografia è un elemento della memoria, è un momento della memoria che viene fissata - io dico che il mondo viene sottratto se la fotografia è fatta bene eccetera, eccetera, ma queste sono altre considerazioni e sono una serie di aforismi che sto scrivendo sulla fotografia per la mostra fotografica che Lisetta farà, a cui noi parteciperemo -, per cui in ogni elemento c'è, è compreso questo elemento della memoria, ma la quale memoria è già stata sottratta in quanto già in questo tipo di elaborazione la memoria è sottratta perché qui, se uno lo guarda nell'insieme, non riesce a ricostruire l'elemento del gesto, la figura, la testa, la mano, lo spartito, il pianoforte, l'altra mano, perché è già tutto decostruito, ma se lo deve costruire mentalmente e quindi diventa un elemento già molto più astratto e quindi già in questa sua astrazione, nel fatto che ha la costruzione, ha la decostruzione al suo interno, è già smaterializzato o dematerializzato; in questa dematerializzazione già si avvicina di più ad un sistema che non ha un ingombro materico, quindi va verso un elemento in-Assenza, cioè in-Assenza di materia consueta. Allora tutte queste sottounità, compreso questo segno profondo, circolare, semicircolare che è il segno dell'astrazione, che è il segno dell'astrazione in-Assenza, in questa stampa ha una sua particolarità, del fatto che ogni elemento di sottounità si trasporta dentro di sè, in sè tutti gli elementi in trasformazione. Cioè, se io faccio questo primo elemento, questo ovoide e poi ci metto questo altro elemento, in questo altro elemento ci sarà l'elemento unitario, tutto quanto, ma in più ci sarà questo ovoide e sarà portato qui dentro; se io metto un terzo elemento, questo terzo elemento si porterà tutto l'intero che comprenderà questo e anche questo sarà compreso in questo intero
*. Cioè c'è un processo di iterazione, si dice di feedback positivo, però un feedback positivo che è controllato perché c'è l'intervento in questo caso della mano umana, del fatto che Andrea pone questa unità, quest'altra unità, questa unità la disponiamo in un certo modo su questa mappa, questa mappa della memoria già modificata, e quindi si forma questo tipo di modello mappato su questo elemento di memoria che viene decontestualizzata, dematerializzata con una serie di elementi dematerializzati a loro volta, in funzione di trasformazione, ma in collocazione formale, fino a produrre questo campo che è segnato da questo elemento di astrazione, che è un campo astratto che tende ad essere sui margini del sistema e ad andare verso un asistema, cioè a un successivo sistema a-ulteriormente complesso in cui tutto quanto verrebbe continuamente in trasformazione dematerializzato fino a diventare questo campo zero, questo grado zero.
Questo è anche l'uso della tecnologia, è l'uso buono della tecnologia, nel senso che è divertente costruire questo: abbiamo fatto moltissime prove, abbiamo fatto ulteriori elaborazioni di questo tipo, questo non scende mai a livello caotico perché è controllato, per cui non c'è l'elemento aleatorio, l'elemento arbitrario, ma c'è un controllo, in questo caso della mano dell'uomo. Questa è una mappa che adesso utilizzerò anche per partecipare al progetto della nuova città del millennio che voglio mandare su Internet per la biennale di architettura di Venezia, dove c'è un concorso per la nuova città del millennio; e questo è un modulo, un modulo particolare di questa città, è un modulo che può servire anche ad Enzo Correale - questa danza aveva già degli elementi di questo in nuce - e può essere ulteriormente elaborato, elaborato nella danza, elaborato nella coreografia, elaborato nei pannelli, elaborato in campo scientifico, elaborato in campo terapeutico, elaborato in vari altri sistemi, in varie discipline. Voglio finire questa breve introduzione dicendo che questo è l'uso buono della tecnologia, che poi riprenderanno Susanna e Luciano, ed è quello di cui ho l'esperienza al computer, lavorando qui con l'équipe giovane che lavora sul computer: se io prendo un'immagine, la quale non ha al suo interno questa valenza e questa sua intrinseca capacità o desiderio di trasformazione, questa stratificazione così profonda e così anche umanisticamente e affettivamente e coloristicamente valida con tutte queste varie stratificazioni di cui ho parlato, e che quindi se non si porta appresso questo elemento di fecondità astratta, l'elaborazione al computer di solito diventa poverissima, diventa molto tecnologica, diventa molto povera; secondo me l'arte col computer è spessissimo molto povera. Questo sistema - noi lo abbiamo visto in vari tipi di trasformazioni ulteriori - non si riduce mai, non diventa povero, mantiene questa sua fecondità e questa sua fecondità è la fecondità in-Assenza, cioè mantiene, si porta appresso questo suo vuoto interno, fecondo, il quale è capace di generare ulteriormente.
E qui mi fermo. Susanna a te.
Susanna Verri: Allora, mi ha interessato questo discorso che faceva Paolo, questa lettura che dava, questa lettura della coreografia che abbiamo visto, che dava Paolo riportandola anche al foglio con la stampa digitale distribuito e con questa ipotesi di un modulo della complessità dell'asistema in-Assenza, che poi è il tema del nostro seminario e anche del ciclo, perché questo seminario fa parte di un ciclo partito nel 1991, e quest'anno siamo al 1999-2000, tanto che abbiamo pensato, nel programma dei Seminari, di avviare anche una contestualizzazione storico-culturale di questo lavoro che stiamo facendo. Questo poi doveva essere anche il primo significato del mio intervento di questa sera, cioè una lettura del senso anche dell'asistema - e sarà probabilmente anche uno dei fili che seguirò durante l'anno -, del senso attuale di questo nuovo asistema che andiamo proponendo e del suo significato anche in relazione a tutto ciò che lo ha preceduto. In questo caso, questa sera, noi abbiamo il titolo circa il finire del secolo, e finendo il secolo e proponendo qualche cosa di nuovo parliamo e parlavamo - perciò dicevo che mi aveva interessato l'intervento di Paolo - di modelli. Dopo tutto il lavoro degli anni precedenti dei Seminari, in cui si è approfondito, espresso l'a-sistema costruendo anche tutto l'apparato concettuale, cioè di concetti nuovi che fossero in grado di cominciare a veicolarne tutto il discorso, a descriverlo, a renderlo percorribile o esplorabile, l'esplorazione di quest'anno, il tema di cui abbiamo parlato, quindi le domande proposte nel programma del seminario e gli ambiti che andiamo disegnando di possibile utilizzo o comunque di possibile interazione tra l'area di cui ci occupiamo e i temi già presenti nella cultura, nella società e nella politica vanno verso la formulazione di un modello. E di modelli abbiamo sempre, anche nel corso degli anni precedenti, cercato un'espressione per cominciare a poter pensare questo asistema, quindi quest'area o questo nuovo dominio totalmente differente, di cui era così difficile parlare all'inizio e di cui in questi dieci anni abbiamo iniziato a costruire l'apparato concettuale - come vi dicevo prima -, gli strumenti utili a parteciparne e di cui stiamo vedendo non solo gli strumenti concettuali, ma anche le espressioni che passano attraverso la danza, attraverso la musica, attraverso la coreografia, quindi le interpretazioni più libere anche che, come le opere figurative di Paolo Ferrari, attraversano tutti i diversi linguaggi di Homo sapiens.
Allora, dicevo, il finire del secolo e i modelli che sono stati proposti: i modelli culturali o conoscitivi proposti in questo secolo chiaramente sono un tema immenso che non potremo trattare. Però a me interessava partire, nel mio discorso, da un accenno comunque a un evento che mi ha interessato per via del mio specifico interesse, qui al Centro, che è quello relativo al metodo e alla cura: ciascuno di noi, nella nostra équipe, ha una sua specificità di formazione e di attività e la porta in questa matrice dell'asistema in-Assenza, in cui poi ciascuno esprime la sua attività e la sua conoscenza attraverso la relazione con l'asistema e quindi attraverso la riproposizione, nel suo campo e secondo le sue conoscenze, di quanto di nuovo dall'asistema sortisce. Vi dicevo [che] il secolo è iniziato nel 1900, naturalmente, [ed] è iniziato tra le altre con l'introduzione di un primo oggetto mancante o con un primo tentativo sempre visto dal mio punto di vista, cioè parlo dell'ambito della cura: al '900 si fa risalire l'inizio della psicanalisi con L'interpretazione dei sogni, pubblicata appunto in quell'epoca. Non possiamo dire che Freud scoprì l'inconscio, perché altri prima di lui ne avevano parlato, ma riuscì a dare uno statuto scientifico, riuscì comunque ad individuare un metodo, e quindi da questo [fondare] poi una scuola, intorno ad un oggetto che non era visibile. Nelle sue lezioni agli studenti di medicina si palpa questa difficoltà di iniziare a parlare di qualcosa che non si vede, che non è tangibile, che non è stato ancora descritto, e vi riuscì attraverso un'escamotage, per cui assimilò il sogno al racconto del sogno: posta questa equivalenza, questa idea di equivalenza, aveva un qualche cosa da descrivere, cioè il racconto del sogno era qualche cosa che poteva essere comunicato e descritto, e da qui partì poi tutta la possibilità di fondazione di un metodo e di una scuola - come vi dicevo.
Questo inizio è un pretesto anche per tutto questo discorso, ma è interessante perché è da due anni che di un altro oggetto mancante abbiamo iniziato a formulare la descrizione molto prima in altri termini, da due anni, dico, perché tutto il tema del ciclo dei Seminari di due anni fa era sull'oggetto reale assente, un nuovo tipo di oggetto reale, che è il tema poi che si sviluppa nell'ambito dell'asistema. Dell'avvento della psicanalisi era stato interessante lo spostamento che aveva prodotto; cioè il fondare una descrizione dell'inconscio, il proporre una terapia medica delle nevrosi attraverso la parola e, attraverso l'esistenza di questa entità non visibile, il far risalire all'esistenza di questa nuova entità riconosciuta molti dei processi della psiche, del pensiero e anche un modello di apparato psichico producevano uno spostamento del soggetto dal suo centro di potenza, e quindi producevano un'ulteriore decontestualizzazione: dopo quella copernicana e dopo quella darwiniana, allora l'uomo ha perso progressivamente anche sè stesso, anche il potere su se stesso dopo la nascita dell'inconscio.
E, a distanza di un secolo, noi ci troviamo in un ulteriore passaggio in questa direzione, perché il modello della complessità prima ancora dell'asistema - su cui tornerò fra poco - e l'asistema, per sua proprietà, porta il soggetto all'interno di tutta una serie di reti relazionali, di complessità, di stratificazioni, tali per cui neppure la malattia è più un qualche cosa che appartiene al solo individuo. E questo è stato un tema che abbiamo trattato negli altri anni e su cui per adesso non mi diffonderò, anche se questo sarebbe un altro dei temi molto interessanti, anche in questo finire del secolo. Solo per un accenno, noi abbiamo parlato di malattia della specie, di schizofrenia della specie e quindi abbiamo fondato poi tutto un concetto di malattia e di sanità che, pur se si occupa dell'individuo, lo fa in questa prospettiva che possiamo dire specie-specifica, e cioè l'individuo è comunque parte di una strutturazione più complessa.
Il tema della complessità - altro nuovo paradigma emerso in questo secolo, altro tema che troviamo nel titolo dell'introduzione di questa sera - fa parte di quello che è stato uno sviluppo della scienza, ma non solo della scienza, diciamo, in senso lato, della biologia, della fisica, delle scienze dei computers, ma poi anche un paradigma che dal campo scientifico gli studiosi che se ne sono occupati hanno voluto estendere anche all'estetica o a un'etica, più in generale- così scrivono Ceruti e Bocchi nel loro testo sulla Sfida della complessità di alcuni anni fa. Dicevo [che] è stato un nuovo paradigma perché ha introdotto un'altra variabile di incertezza nel sistema, che nel corso del secolo ha perduto via via tutta una serie di punti di riferimento; e cioè con le scienze della complessità - dico le scienze perché si tratta di un sistema multidisciplinare e quindi di un modello a cui partecipano diversi ambiti delle scienze - l'elemento d'incertezza diventa un punto fondante perché il modello di riferimento è un sistema complesso. Questo, essendo un'unità organizzata composta da più elementi legati da relazioni non lineari, un'unità continuamente aperta all'esterno e, attraverso queste relazioni non lineari, mossa in condizioni per cui non si è mai in grado di determinare l'uscita dal sistema, perché ciò che entra dal sistema non è più in una relazione nè causale nè temporale con la sua uscita, date le relazioni non lineari dei sottoelementi del sistema stesso, questo modello di complessità che quindi dà al sistema così costruito, con la sua organizzazione a rete, con appunto le sue relazioni non lineari, la massima adattabilità, la massima capacità di interagire, di apprendere anche nel sistema in cui si trova e tuttavia senza la prevedibilità di ciò che avverrà, questo porta l'elemento di incertezza a cardine di tutto il conoscere: la conoscenza per complessità ammette un grado di incertezza, perché ammette la possibilità di queste molteplici relazioni che si strutturano nei diversi piani, anche di conoscenza, e quindi ha rappresentato un mutamento, un cambio di paradigma rispetto ai criteri riduzionisti della scienza precedente.
Il modello della complessità è stato uno dei punti di riferimento che abbiamo preso per iniziare ad introdurre l'asistema; l'asistema, rispetto a un sistema complesso del tipo che ho molto brevemente cercato di descrivere, è qualcosa di ulteriormente aperto su più piani, ulteriormente oscillante, come nel tempo e nello spazio - come diceva Paolo Ferrari prima, illustrandovi quel modello e come compare anche nello scritto In-divenire ulteriore -, è qualche cosa di ancora ulteriormente complesso rispetto al sistema complesso che si conosce comunemente, perché è caratterizzato da una costante di nuovo tipo, da una proprietà di nuovo tipo che è poi quella di cui specificatamente ci occupiamo nell'ambito del campo in-Assenza, e cioè da una proprietà nulla, di nulla-Assenza, cioè di una costante di grado zero che si attua e si produce in ogni relazione, a cui tende ogni relazione del sistema e che è alla base della possibile formazione del particolare tipo di complessità di cui ci occupiamo.
Ecco, a questo punto avrei ancora moltissime cose ancora da dire, però mi fermerei. Poi, semmai interverrò, perché se no andiamo troppo avanti.
Luciano Eletti: Mi stupisce trovarmi a parlare di tecnica, visto che non me ne sono mai occupato in particolar modo. Per tecnica s'intende sia l'attenzione posta all'universo dei mezzi, ovvero alla tecnologia sia la ragione strumentale che presiede all'impiego di questi mezzi. Ricordo anche che mi aveva colpito, mi ha sempre colpito di Paolo Ferrari il fatto che sia sempre stato aperto all'innovazione tecnica e tecnologica; questo - è una piccola confessione - mi ha sempre stupito e ho cercato di capire anche il motivo di ciò.
Il tema della tecnica è un tema che percorre tutto il secolo, che nasce forse prima dell'uscita dell'Interpretazione dei sogni. Ci sono riflessioni di Nietzche, per esempio, sulla tecnica che sono preveggenti e che corrono tutto il secolo, il secolo in cui ci sono state le due guerre più tecnologiche della storia, tra l'altro, e c'è stata quindi un'indagine sulla tecnica {sia} dal punto di vista del dramma: questo è causato dalla guerra; noi ci stiamo dimenticando che c'è stata una bomba atomica, anzi due bombe atomiche sganciate e fino a dieci o vent'anni fa, quando è caduto il muro, questo era un tema classico di interrogazione sulla tecnica. Ma lo si può trovare in Heidegger, ad esempio, che è stato uno dei pensatori che più vi ha dedicato attenzione, o anche nella scuola di Francoforte, in particolar modo dopo il passaggio sulla sponda americana dell'Atlantico, quando l'istituto di ricerca sociale guidato da Horkheimer ed Adorno incontrò il terreno americano che, come è noto, è molto sensibile allo sviluppo della tecnica e del pensare relativo alla tecnica.
Quindi c'è una immensa trattazione di cui non sono certamente all'altezza e che sorvolerò. Mi soffermo, perché mi ha interessato, su un libro di Umberto Galimberti uscito quest'anno che può far da traccia a questa riflessione - penso che questa sia una qualche parola introduttiva sul tema che io stesso, insieme all'attività dei Seminari, vedrò di svolgere. Questo libro si chiama Psiche e téchne, l'uomo nell'età della tecnica, è uscito proprio agli inizi di quest'anno. E questo tema della tecnica volevo anche collegarlo al tema svolto l'anno scorso, per esempio quello relativo alla relazione ora antinomica tra logos e tao, nel senso che la tecnica è sicuramente un prodotto del logos e si porta del logos l'idea del dominio, così come il logos deve dimostrare la propria posizione e sconfiggere, nel senso di un dibattito, nell'agorá della scienza o della filosofia, su quale sia la tesi più confacente, anzi quale sia vera; questa è una particolarità che abbiam visto essere del logos.
Ora, in questa età in cui mondi che sono sempre stati separati o che hanno avuto scarsissime relazioni si trovano invece ad essere relati proprio da questo sviluppo della tecnica che è - noi tocchiamo con mano - ben oltre qualsiasi immaginazione che si potesse avere intorno alla metà del secolo, anche agli inizi di questo secolo, questo, essendo comunque originato da un modo di pensare dell'occidente, pone anche un problema di come questa tecnica, che è strettamente legata alla ragione strumentale che è propria dell'occidente, possa avere un accoglimento, che non sia solo quello di supina accettazione, da parte di quel mondo dell'estremo oriente che invece non ha mai sviluppato questa tematica. Quindi questo è un problema, cioè capire come mai nel mondo giapponese, nel mondo cinese c'è l'accoglimento della tecnica dall'occidente e se mai il rigetto del pensare dell'occidente, come se tecnica e pensare fossero completamente slegati. Questo pone un problema non da poco, lo si vede soprattutto dal punto di vista della storia del Giappone, quando il Giappone verso la metà dell'Ottocento è costretto ad aprirsi perché oramai arrivano, sbarcano sulle rive del Giappone dall'Olanda, dagli Stati Uniti, dall'Inghilterra, e l'occidente dimostra una superiorità tecnica indiscutibile, si nota nel mondo dell'estremo oriente un'interrogazione durissima su come mai l'occidente abbia questa tecnica, quando palesemente si dimostra inconsistente su altri piani. E questo è anche un elemento, se si vuole andare più nel dettaglio, dello scontro anche con il mondo islamico che ha sempre ritenuto l'occidente quello che era durante la conquista islamica in Spagna, cioè un mondo povero sia di idee che di tecnologia; anzi molte tecniche sono state portate dagli arabi, i cinesi hanno inondato il nostro mondo di piccole invenzioni - piccole, anche grandi - di cui già ci siamo dimenticati e quindi come mai, invece, questa ragione di genere particolare ha influenza anche in estremo oriente? Questo pone dei problemi che bisogna cercare di capire o vedere come impostare su un altro piano.
Anche nel nostro mondo c'è l'avvertimento nel pensiero filosofico, ad esempio in Husserl: all'inizio degli anni '50 è uscito un suo testo degli anni '30 sulla crisi delle scienze europee, cioè, mentre era l'epoca in cui le scienze erano al loro maggiore sviluppo, Husserl si interrogava invece sulla loro crisi, e la loro crisi era data dal fatto che queste scienze nate dalla scienza nuova galileiana avevano perso il senso con cui operavano, e quindi Husserl già intravedeva, anche se non lo esplicitava in questi termini, il rischio di una ragione strumentale che esuli, che non comprenda più il senso per cui opera, ed è quello il rischio che poi è da mettere subito in rapporto con il problema est-ovest, cioè oriente-occidente.
Prima è stato detto che Freud, con l'uscita del testo capitale L'interpretazione dei sogni, individua un oggetto assente. Allora, anche a proposito della riflessione tecnologica, inopinatamente Gehlen, per esempio, verso la metà di questo secolo - questo lo si trova nel libro di Galimberti - osserva che chi voglia porsi al di fuori della dicotomia anima-corpo platonico-cristiana, cartesiana e psicoanalitica deve porsi da un altro punto di vista, cioè anche al di fuori del punto di vista aristotelico che l'uomo è un animale dotato di ragione, è un animale politico, che ha questa capacità che gli animali non hanno; e Gehlen invece afferma che non è vero, l'uomo non è caratterizzabile per il fatto che abbia un qualcosa di più dell'animale, ma anzi perché ha qualcosa in meno, anzi l'uomo è l'essere manchevole, come è già stato detto, l'uomo è una scimmia nuda probabilmente cacciata dalle scimmie meglio riuscite: dall'albero si trovò a camminare nella savana con una carenza istintuale spaventosa. L'altro anno, due anni fa avevo parlato di come gli antropologi fisici intendano la deambulazione umana come qualcosa di catastrofico: l'uomo è un bipede barcollante, cioè nella stessa motricità c'è questa carenza. Gehlen afferma che uscendo dall'Edipo, volendo uscire dalla dicotomia anima-corpo e volendo dare ragione di come l'uomo abbia acquisito coscienza, questa va colta anche nell'ambito della pura e semplice motricità - e lui non sapeva nulla di questi studi degli antropologi fisici. L'uomo è un essere manchevole che ha dovuto creare, costruire la propria essenza facendosi forte di questa mancanza istintuale, in questa sua capacità dell'esonero, dice Gehlen, che è il prendere distanza dall'immediato hic et nunc. Cioè messo "l'uomo è un animale in qualsiasi contesto voi vogliate", l'animale reagisce immediatamente nel modo più confacente alla sua natura, l'uomo no, cioè risponde con una certa distanza, nel senso che sa interrompere il momento che sembra urgere alla risposta, dallo stimolo alla risposta c'è uno iato, un esonero che l'uomo s'è preso per motivo della sua carenza istintuale sotto tutti i sensi, e che ha creato la coscienza che l'uomo ha. Per cui la tesi che poi sostiene Galimberti è che l'essenza dell'uomo è tecnica, ha creato la propria struttura culturale, la propria psicologia è nata da questa manchevolezza e però si pone un problema, una serie di problemi: l'uomo ha un'essenza tecnica, la tecnica è la sua stessa essenza e l'uomo declina il proprio modo di essere tecnicamente. Però, arrivato questo scollinare del millennio, s'è trovato a scoprire che molte delle categorie che l'uomo ha costruito, con cui noi viviamo tutti i giorni, l'etica, la religione, il senso storico, la persona, l'identità, la società, il rapporto tra interno ed esterno, cioè tutto l'orizzonte con cui l'uomo si è pensato non funziona più nell'ambito della tecnica perché la tecnica si è svincolata dall'essere un mero mezzo, non può più essere pensata in questo senso.
Il libro è una grande illustrazione sotto vari aspetti della fine dell'uomo pre-tecnologico, per cui si potrebbe pensare l'uomo come un soggetto che adopera uno strumento per un certo fine; l'analisi del libro mette in chiaro che la tecnica si è completamente svincolata da ciò e che in realtà ormai l'uomo è funzionario della tecnica, cioè l'essenza dell'uomo si è come alienata senza accorgersene neanche più, e accetta l'identificazione con l'apparato tecnico che dà il significato, che riempie parzialmente il vuoto dato dalla perdita dell'identità comunque fittizia che l'uomo ha avuto di sè. Ebbene, appare una domanda che ha del paradossale, anzi dell'incredibile, anche qui che supera la domanda metafisica fondamentale che avevamo accennato un anno o due anni fa, nata con Leibnitz, passata di mano a Schelling, a Heidegger, Jaspers, che era, come ricordate: perché si dà in generale l'ente, non il nulla? Ora, questa è una domanda, secondo Galimberti, nell'ambito ancora pre-tecnologico, umanistico; la domanda dovrebbe essere formulata, nell'età della tecnica, con un'altra: se l'uomo ha questa essenza tecnica e la tecnica, che pure è astrazione della mente umana, è posta ormai fuori dalla mente umana, perché si dà l'umanità e non la sua estinzione? Galimberti la vede da un punto di vista tutto sommato abbastanza cupo: la sua disamina tende a portare alla possibilità di un altro orizzonte che però è una flebile speranza, e si accalora nella richiesta di un ampliamento psichico, dopo aver dimostrato abbondantemente che la psiche è già in difetto storicamente e già non è più uno strumento valido d'indagine. In questo mondo cupo viene però da interrogarsi ancora, interrogazione che, come diceva Heidegger, è la pietà del pensiero: questa essenza tecnica dell'uomo, ora che non è più, è posta fuori come un'ipostasi, è veramente così senza speranza? Il fatto che l'uomo abbia creato questa astrazione che poi lo ha legato, questa astrazione della tecnica che è l'ambito dell'imprevedibile - l'uomo non controlla più la tecnica, la tecnica si muove per conto suo -, [ma] non è che l'uomo ha come delegato al di fuori di sè - come Feuerbach diceva -, "ha delegato a Dio la propria essenza", in quanto non è in grado di cogliere in sè questo aspetto di astrazione che, posta al di fuori, diventa l'astrazione della tecnica legata alla ragione strumentale? Non sembra poter essere un'incapacità di vedere questo aspetto astratto del cervello di Homo sapiens sapiens [che] si trova in questa incapacità di procedere oltre, pur avendo già in sè la possibilità di oltrepassamento, termine che utilizza Galimberti, [come] utilizza quello del passaggio epocale, per cui l'uomo si trova di fronte a un passaggio che non c'è mai stato prima nella storia e che è un passaggio epocale nel senso che è irreversibile, è una freccia del tempo questa che non consente un ritorno e che quindi si ponga davanti all'uomo la possibilità di perdere seccamente il proprio ambito psichico, che di questa perdita secca abbia paura e quindi continui a favoleggiare questa tecnica che è posta fuori di lui, che ormai sovrasta l'uomo come un nuovo moloch.
Come diceva Heidegger: “Là dove c'è maggior pericolo, lì si illumina la via per la salvezza”, mi sembra che siamo nel luogo adatto
Paolo Ferrari: Vorrei fare una sintesi di questo discorso, anche di quello di Susanna perché il mio discorso in un certo senso si pone già nell'ambito di un asistema. Cioè, come si è sviluppato il discorso di Susanna, come il discorso di Luciano, è un discorso di un certo tipo di temporalità, appunto una freccia del tempo che procede in questo modo, che io ho in testa.
* Il tempo procede secondo una certa linearità tra passato, presente e futuro. Il discorso di Susanna si è costruito in un certo senso in questo modo* , poi quello di Luciano si è costruito in questo altro modo, lungo una freccia, cioè per successive associazioni, per successivi elementi che venivano accumulati, poi in alcuni punti venivano interrotti, poi proseguivano; e questo è il discorso della tecnica, cioè il discorso di Luciano. Il tempo - come avevamo già visto negli anni passati in occidente è stato fondato dal cristianesimo con l'apocalisse; con l'idea dell'apocalisse c'è un tempo che scorre, che arriva a una fine e alla fine dell'apocalisse c'è la palingenesi, eccetera; il tempo orientale è un tempo circolare.
Ora, mi sposto, cioè non rispondo direttamente cos'è la tecnologia, mi sarebbe in un certo senso troppo facile, allora faccio un discorso un po' più complesso, cerco di farlo vivo lo stesso.
Noi abbiamo questa freccia del tempo: tutti quanti viviamo la giovinezza, la maturità, la vecchiaia, la morte che funziona in questo modo; il brano che abbiamo sentito di musica Intorno a Zago-Mozart non ha questo tipo di temporalità. E allora già da questo punto di vista mi complimento con Enzo Correale e le sue danzatrici, le quali hanno potuto formulare nei loro passi una temporalità la quale temporalità non ha la freccia del tempo, mentre la musica normalmente - la musica di Beethoven, la musica di Nono, la musica dell'Ottocento, la musica del Settecento, anche la musica del Novecento - ha in generale una temporalità, cioè ha uno sviluppo lungo una freccia. Talvolta la musica contemporanea, prendendo parte della musica orientale, ha un certo tipo di analisi intorno a una cellula, la quale ha un certo tipo di circolarità, ma anche questo, in un certo senso, ha lo stesso uno sviluppo che poi vede le diverse faccie di questa cellula, la quale incomincia a roteare in una sorta di circolarità sempre molto regolare.
Il discorso che sto facendo, come vedete, è lungo una freccia perché si sta sviluppando; però continuo, dentro di me e nella comunicazione, ad interromperlo, cioè continua a tornare in un certo senso a un certo punto e riprendo questa freccia da questo punto e poi lo porto qui, in avanti. La musica intorno a cui Enzo Correale ha ballato ha questo tipo di modalità, va in una certa direzione, ritorna, si spezza, va in fondo e su questo fondo
* pone un altro elemento che è una sorta di - io la chiamo - secrezione temporale. Allora, c'è questo elemento di andata e ritorno di una cellula che continua a girare, riprodursi, modificarsi, rarefarsi, condensarsi, ritornare su sè stessa, ma mai con l'elemento uguale, non ritorna mai uguale al precedente, non solo, ma anche la tecnica della variazione nella musica occidentale non torna identica a prima, torna in un certo senso completamente disfatta, ritorna da capo, oppure improvvisamente nascono dei rumori che sono dei rumori, non so, di ruspe o rumori della campagna o rumori di qualsiasi tipo e questi rumori già in quanto sono dei rumori hanno dentro di sè la totale irregolarità - il suono è un onda vibratoria la quale è regolare, il rumore è totalmente irregolare, per cui in un certo senso avrebbe dentro di sè l'elemento caotico, dell'irregolarità -, ma siccome c'è questa complessità di elementi poi a un certo punto sul fondo si forma una specie di temporalità, la quale temporalità sembra ferma, per cui a un certo punto Enzo Correale, le ballerine si sono fermate e in un certo senso ballavano all'interno di questa zona. Non c'è un flusso da un punto all'altro, da un punto all'altro come noi siamo abituati: facciamo un viaggio, facendo un viaggio andiamo da un paese ad un altro paese, un altro paese, un altro paese, a un altro paese, arriviamo a un certo tipo di meta; la musica occidentale si muove così, il pensiero occidentale si muove in questo modo, cioè si pone sempre una meta - il goal americano -, sempre di più ha dentro di sè questo elemento fisso della meta.
Questa musica, questo progetto che ho, questo elemento in-Assenza, tutti questi elementi della musica, della pittura, della dematerilizzazione di questo foglio che vi ho dato non hanno dentro di sè la meta, ovvero hanno la meta, alla quale meta tuttavia non importa nulla di essere una meta, cioè non ha bisogno di correre a questo punto tralasciando tutto questo qui
*, questo elemento come fosse vuoto. Di solito uno cosa fa? Prende un aereo, prende e va a New York, non sa assolutamente dove è passato, oppure, non so, va a Berlino, non attraversa le zone della Germania, non le visita perché immediatamente arriva alla meta, perché deve andare a parlare a Berlino di un certo tipo di affare, di un certo tipo di scadenza, allora perde sulla sua strada tutti i singoli passaggi, tutti questi passaggi. Si dice che è un tempo in cui c'è una transizione da un punto all'altro, cioè i punti intermedi non esistono; in questa musica, in questo tipo di progetto che stiamo facendo, tutti i punti hanno una valenza, hanno una validità. La tecnologia, per ritornare alla tecnologia, la mente strumentale ha soltanto in mente la meta, cioè il punto finale, si perdono tutti i punti intermedi, in un certo senso si perdono tutti questi tipi di fratture, questi tipi di ritorni, questi tipi di circolarità. Ovvero io dico che il tempo, la categoria temporale che noi abbiamo nella mente, che poi forma questi pannelli oppure che ha formato la struttura umana, il pensiero umano, la categoria temporale è la categoria che ritengo più interessante di tutto il sistema umano, diciamo la meno cretina forse, la più feconda, ma non quella della temporalità secondo cui c'è soltanto una meta, cioè la temporalità puramente tecnologica, della mente strumentale la quale mente strumentale ha bisogno dell'oggetto concreto per affermarsi, quindi ha bisogno di una volontà di potenza. Questo sistema temporale poi secerne questo elemento che è quasi fermo, ovvero si muove lentissimamente, come se fosse il tempo dell'evoluzione biologica oppure delle ganedele*, come se fossero le falde geologiche che si muovono appena appena, perché se si muovessero di più verrebbero tutti i terremoti - in realtà siamo in una fase abbastanza terremotata... Allora, quello che dico è che, siccome questa categoria del tempo è una categoria ed esso stesso tempo produce in questa musica uno spazio - infatti si creavano continuamente spazi -, questa categoria che uso in questo sistema in-Assenza non è una categoria temporale della tecnologia, la tecnologia pensata solo come elemento finalistico, come elemento strumentale, come elemento di meta, ma si porta appresso tutti questi punti, tutti questi punti se li porta appresso, come vedete in quel disegno lì, e produce continuamente questa trasformazione. Questo è il tempo che posso chiamare il tempo affettivo, è il tempo emozionale, ma è il tempo di un'affettività, di un'emozione molto complesse che fanno parte di tutto questo sistema.
Nella mia mente e in questa mente in-Assenza, che è in un certo senso una mente absoluta, cioè che è slegata da una serie di parametri che sono la temporalità che è legata a determinati elementi cronologici, che è legata a certi battiti cellulari, al battito cardiaco, questa altra temporalità che metto anche nella musica è slegata da tutti questi elementi, per cui è absoluta, cioè è liberata, è mondata in un certo senso, per cui è svuotata della sua stessa temporalità. Cioè io riesco a usare un tempo il quale è un tempo vuoto, ovvero è un tempo in cui invece di esserci gli oggetti che si sovrappongono, che si accumulano, questi oggetti tendono a sparire; l'oggetto del tempo, che è quando il tempo si appoggia a terra, sul fondo di questa musica o sul fondo di questo pannello, il tempo incomincia a fare silenzio, cioè il tempo si smaterializza della sua materialità per cui non è più il tempo cronologico, non è più il tempo metronomico, non è più il tempo tecnologico. Dal punto di vista della tecnologia si è posto e si pone in questo luogo della differenza, dove c'è una particolare differenza, per cui potremmo chiamarlo anche il luogo della differenza, perchè è un luogo che è altro rispetto a tutti gli altri luoghi. In questo luogo della differenza alla domanda di Luciano rispondo che questo luogo della differenza può adoperare la tecnologia perché la tecnologia diventa strumento-non strumento, cioè mente strumentale, per cui la maneggio, per cui mi piace maneggiarla perché mi interessa, perché con questo costruisco i miei pannelli, costruisco la musica.
Io dico che in un certo senso la tecnologia mi è molto favorevole. Per esempio è nato il compact disc venticinque anni fa, alla fine degli anni sessanta: siccome anche in me era cambiato il livello dell'orecchio, per cui era diventato un orecchio assoluto, nel senso che l'orecchio sentiva tutti gli elementi delle minime variazioni della materia concreta, l'oggetto, per esempio il disco di vinile, non potevo più sentirlo in quanto mi si accumulava la sua materia temporale perché non passava dallo 01, ma il suo sistema analogico - quello del disco di vinile - mi otturava le orecchie, per cui non avrei potuto più sentire la musica. In quel periodo, tac, è uscito il compact disc, il quale compact disc è un raggio laser che legge una serie di elementi, una serie di elementi 01,01,01, per cui è privo di materia, è una musica che alla sua origine, nel suo farsi, nel suo riprodursi tecnologico è priva di materia ed io questa potevo sentirla benissimo. Il computer per esempio ha anch'esso questa sua matrice, questa sua possibilità di poter essere maneggiato: ma io lo maneggio molto male e adopero qui i giovani che mi aiutano a maneggiarlo perché oltretutto il computer ha dentro di sé le ventole di raffreddamento, che producono una serie di rumori in quanto tagliano continuamente l'aria; tagliando continuamente l'aria io continuo a sentire i sibili dell'aria tagliata, per cui faccio una fatica tremenda ad avvicinare i computers, devo stare a distanza di cinque metri e allora devo vedere lo schermo lontanissimo. Tutte queste difficoltà perchè continuo a sentire in questo orecchio assoluto tutti i sibili, ogni punto dell'aria tagliata e questa mi si accumula nell'orecchio perché a un certo punto ho il compattamento dell'orecchio. Allora, la vecchia tecnologia, che è questo tipo di elica, che è questo tipo di cosa, mi rompe le balle; la nuova tecnologia, il computer, il quale sa fare tutti questi tipi di calcoli, questi algoritmi in pochissimo tempo, mi va benissimo perché il mio pensiero è sintetico, è vuoto ed è velocissimo; e allora io lo adopero attraverso l'aiuto di altre persone. Questo per fare un esempio e poi ce ne sono tantissimi altri. Tutta la tecnologia è in un certo senso mia amica perché la adopero, nel senso che è duttile, nella mano è morbida; invece il pensiero è duro, e il pensiero è del vecchio sistema umano, del vecchio sistema uomo, questo sistema uomo vecchio, il quale sistema è ancora complicato, non è complesso, non è capace della grande complessità, cioè non è capace di avere dentro di sé la capacità dell'errore, della duttilità, della trasformazione, della non-materia, della dematerializzazione, ma tutto il suo pensiero ha questo oggetto, ha continuamente questa meta oppure ha degli oggetti concreti; ne abbiamo parlato per anni, adesso non voglio ritornarci perché se no non finiamo più. Questa tecnica nuova, questa tecnica in questo luogo che è dematerializzato diventa essa stessa dematerializzata. In un luogo in cui la mente strumentale e la tecnica esce fuori e modifica e si trascina dietro l'umano e lo rimbecillisce oppure lo travalica e, essendo elemento enorme di volontà e di potenza, attraverso questa volontà di potenza mangia lo stesso uomo, l'uomo diventa probabilmente strumento della tecnica, così come dicono certi tipi di filosofemi, anche se io non ci ho mai creduto in realtà sino in fondo, molto probabilmente perché lavorando su questo altro sistema, il quale sistema è molto più vuoto, e ponendosi nella differenza, questo può maneggiare la tecnica, la quale tecnica continua ad essere feconda, come dicevo prima: siccome ha alla base questa ricchezza, questo vuoto generatore, la tecnica diventa vuota e diventa generatrice a sua volta
E con questo finisco, passo alle domande se ci sono.
Volevo dire a Enzo Correale se poi durante l'anno faceva un altro brano, per esempio quello intorno all'altro punto della prima fase, intorno a Stockhausen che ha molti movimenti, è molto ricco, per vedere un po' che cosa succede. Mi sono dimenticato di dire che loro sono di Napoli; sono arrivati da Napoli appositamente e devono ripartire in aereo fra un ora e mezza e quindi vediamo un po' di accelerare.
Allora, chi vuol far domande...
Renata Ranieri: Paolo, scusa, la volontà come si pone in questo schema, quando la volontà nell'uomo dovrebbe essere indirizzata al raggiungimento di una meta e quindi dovrebbe avere sicuramente la concezione del tempo lineare, se invece, in questo porsi per recepire e per porsi nel modo giusto, la volontà dovrebbe essere messa da parte perché se no condiziona - penso - l'atteggiamento dell'uomo di fronte ad una concezione di un tempo affettivo e non lineare strumentalizzato a una meta? Non so se sono stata chiara.
Paolo Ferrari: Ma, vedi, come diceva prima Luciano e diceva prima anche Susanna, tutte queste varie categorie di tipo etico con la fine di questo secolo stanno finendo, cioè questa è una delle categorie, la volontà. Si diceva prima che addirittura le categorie grandi come lo spirito, come l'emozione stessa, come l'immagine, l'ideazione, la relazione sono tutte categorie ormai messe in crisi. In particolare questo della volontà già l'ha messo in crisi Freud, cioè già nei primi del Novecento, nel momento stesso in cui faceva l'interpretazione dei sogni, il concetto di volontà era messo in crisi, nel senso che se è vero che c'è tutto un altro sistema che è il mondo inconscio, il quale è capace di determinare, cioè determina poi l'azione umana - e questo mondo inconscio è quello che si manifesta attraverso i sogni, attraverso i lapsus, attraverso tutta una serie di indizi -, la volontà, che è il vecchio sistema ancora precedente, di certi tipi di categoria - anche se "categoria e volontà" poi non è che esista in realtà proprio in questi termini -, questo tipo di tema, il fatto che un individuo ponendo un certo tipo di volontà raggiunga un certo tipo di meta, già questa categoria era stata messa in crisi nei primi del Novecento, era stata messa in crisi da tutto il sistema freudiano. Anche perché la volontà è una categoria abbastanza elementare: si dice a un bambino "buona volontà" oppure i maestri dicono che il bambino non ha la "buona volontà", il che significa ben poco perché nella volontà c'è il problema della motivazione, c'è il problema dell'affettività riguardante un certo sviluppo. Questa categoria è poi già abbastanza semplice, in generale: quello che noi vediamo, l'unica cosa che vediamo in un sistema di questo tipo è il fatto che queste categorie unilaterali non possono più esistere. Tant'è che uno vede che nella sua formazione può metterci tutta la volontà che vuole: “io voglio fare questo” oppure “vorrei essere più buono, vorrei essere più intelligente”, ma manco per niente, perché non è la volontà, semmai è un sistema complesso, come spiegava Susanna, è un sistema complesso il quale è fatto di una serie di unità, sottounità, le quali unità e suttounità parlano tutte fra di loro e, se uno riesce a metterle insieme, queste parlano e allora - chiamiamolo così - una volontà funziona, nel senso che c'è una direzione. Se queste varie parti non parlano fra di loro questa unità non si forma, per cui non funziona niente. Allora, quello che noi vediamo anche nell'ambito della patologia, della malattia in generale, della malattia mentale, è che spesso quello che manca è il fatto che tra un punto e l'altro della mente dell'individuo o della stessa struttura societaria mancano dei nessi
*, cioè dei nessi sono stati interrotti. Allora potremmo chiamarle volontà il fatto di poter ripristinare certi nessi nella mente dell'individuo, il quale ha interrotto dei nessi perché il rapporto con la madre non funzionava, il rapporto col padre, il rapporto con la società, il rapporto con il potere non funzionavano, si sono interrotti dei nessi.Il problema è: cerchiamo di ripristinare questi nessi in modo che questo sistema, il sistema del cervello, che è molto complesso perché ha cento miliardi di cellule, tutte queste cellule, tutte queste varie parti possano parlarsi, mentre invece sono state troncate tutte da una serie di elementi di sviluppo, di maturazione, di fissazione, di altri elementi.
Ma quasi tutte le categorie umane etiche sono totalmente in crisi perché non funzionano più con tutti questi sistemi molto più complessi, con queste nuove scoperte non funzionano più. Il problema delle nuove scoperte è che ci sono tutti questi altri tipi di relazioni che sono queste grandissime reti, per cui l'individuo non esiste neanche più nel suo mondo specifico, il suo mondo interno è uguale al mondo esterno, il mondo esterno è uguale a quello della società, quello della società è uguale a quello delle nazioni e così via; c'è il problema della globalizzazione e così via - ne parleremo in altri termini. Tant'è che, per esempio riguardo al cenno che favevo a questo disegno che doveva essere la nuova città, il concorso che c'è a Venezia per la città del futuro dice: “meno estetica, più etica”, perché tutti quanti sono alla ricerca di questa nuova etica, perchè l'etica precedente non funziona più, cioè la vecchia morale non funziona più, non esiste più, ma perché la morale, l'etica, la volontà, tutti questi elementi erano dei piccoli modelli, mentre adesso i modelli sono molto più complessi e allora bisogna ridisegnarli, allora bisogna usare nuovi termini, nuovi concetti.
Luciano Eletti: Volevo fare solo un altro accenno. Mi sembra che una delle paure che si ha verso la tecnica sia dovuta al fatto che - ciascuno lo sta scoprendo in questi ultimi anni di persona - la ragione strumentale, quella che tende al fine, quella che è la ben precisa freccia del tempo su cui lavorare, mette fuori gioco perché la tecnica si dimostra absoluta, per cui pone un ventaglio di situazioni, di possibilità che la ragione strumentale non riesce più a seguire ed è quello che fa paura, cioè l'uomo non può più tener fisso e seguire un fine. Quello che la tecnica mantiene come pericolo è invece la sua cattiva infinità, nel senso che la tecnica non funziona in base a fini, in base a motivazioni, funziona e basta e questa sua essenza di funzionalità sta nel fatto che tende a un continuo superamento in maggiore potenza: è un cattivo infinito per cui qualcosa serve per qualcos'altro, che poi serve solo per qualcos'altro ancora, senza finalità. Secondo me parte della cura che ha la tecnica è una ragione positiva, nel senso che è quella ragione strumentale messa fuori gioco, perché la tecnica mostra questa sua strana absolutezza, che poi è anche nella mente e però si ferma lì e poi tenta di...
Paolo Ferrari: ...della mente povera, del vecchio tipo di mente, del vecchio tipo di mente la quale mente ha questo infinito sospeso, questo cattivo infinito; cioè la mente nuova questa di cui sto parlando, siccome supera l'elemento strumentale, supera l'elemento finalistico, è includente, produce questa inclusione.
Luciano Eletti: E' che la mente di Homo sapiens in questo scollinare del millenio ha questo lato positivo di assolutezza, nello stesso tempo questa cattiva infinità che continua a riprodursi .
Paolo Ferrari: Va bene, chiudiamo qui? Saluto Enzo Correale e le nostre danzatrici, molto carine, molto brave.
Grazie a tutti. Arrivederci.