13/2/97
IV Seminario 'Sui margini dell'Assenza' 1996-1997
Crisi e sconfitta della-realtà-sistema dominante con emergenza dello scarto post-evoluzionistico ed apertura all'anti(anti) sistema Assenza
Paolo Ferrari: Dopo aver tolto il tamburino al microfono possiamo incominciare.
L'ho tolto perché credo che i concetti che introdurrà Susanna Verri subito dopo
questa breve introduzione sono dei concetti di alta complessità scientifica
che noi abbiamo intenzione di prendere per le orecchie o per le corna e riuscire
a mano a mano a trasformare nella nuova area senza ridurne la capacità significativa,
l'importanza segnica che hanno avuto nella storia culturale sociale dell'Occidente.
Infatti io parlo, anche nel titolo, di crisi, che è un concetto occidentale,
della sconfitta, che è un concetto più generale. Parlo di realtà, parlo di sistema,
parlo di dominanza, parlo di scarto, parlo di post-evoluzionismo e di un anti(anti)sistema,
cioè prendo in mano l'alta concettualità del mondo occidentale: mi considero
scienziato del mondo occidentale, ho alle spalle un lungo lavoro come sperimentatore,
come ricercatore e come teorico in campo sperimentale, ho alle spalle, e tuttora
presente, un quotidiano lavoro di clinica e di teorema legato alla clinica psicoterapica
e alla clinica in generale, cioè alla cura in senso latino e in senso anche
heideggeriano.
Ebbene, dicevo, vogliamo prendere per le corna, per le orecchie, per la testa
questi concetti, questa testa eccedente dell'Occidente, disporne la crisi, disporre
la sconfitta eventuale di questa dimensione in eccesso dominante, ma senza mai
adire a strade irrazionali. Per mia cultura, per mia formazione, per mio anche
sostrato familiare non sopporto le vie irrazionali, non mi piacciono; amo, semmai,
prendere queste vie razionali di cui ho parlato poc'anzi e tentarne una trasformazione,
e portarle in un sistema ulteriormente complesso il quale perda la dominanza
che in quanto via razionale, in quanto via scientifica ha fino adesso posto
nella cultura degli uomini. Intendo porre, disporre questi vari concetti, queste
varie idee, quali il sistema, quali il tempo, quale thanatos ed eros, vita e
morte, entro un sistema, ovvero un anti(anti)sistema, molto ampio tale per cui
questi elementi, questi concetti, questi fattori assumano la valenza astratta,
assumano la valenza assente, siano capaci di assentarsi.
Un tema su cui sto lavorando ultimamente in modo abbastanza approfondito, continuativo
è il tempo. Il Saggio*
che abbiamo distribuito l'altra volta, che è stato pubblicato su Zeta News di
Campanotto, è incentrato su una certa dimensione del tempo di cui mi occupo:
è il tempo estinto, il tempo zero, il tempo con grado zero, ovvero di una temporalità
capace di modificare e di andare oltre la temporalità consueta che segue l'ordine
biologico della nascita crescita morte del sistema. Anche in questo caso ho
preso un concetto fondamentale, fondante della cultura occidentale e l'ho posto
dentro un altro sistema, un sistema più ampio in cui venivano posti in crisi
certi presupposti quali un certo tipo di sensorialità, un certo tipo di percettività
del sistema nervoso centrale umano. Dalla sensorialità, dalla percettività,
e cioè dalle vie periferiche, nasce la struttura poi interna elaborativa del
sistema Homo, Homo sapiens. Se queste vie vengono modificate, se queste
vie imparano a essere, a cessare del loro eccesso, di enti in eccesso concreti,
in eccesso pulsionali, in eccesso anaffettivi, cioè poco affettivi, poco duttili,
poco relazionali, poco astratti, allora come ho scritto nel Saggio, dopo lungo
digredire, si può fare un campo che è molto più assente, è molto più vuoto ed
è molto più veloce; si forma una strada iperconduttrice capace di relazionarsi
in tempi, direi, di simultaneità: il pensiero diventa molto più veloce, il pensiero
diventa capace di essere meno oggetto, meno cosa, impara ad essere, pur anche
quando talvolta rimane ancora oggetto, sufficientemente affettivo, cioè capace
di relazione con distacco.
Dicevo, quello che io intendo fare in maniera sempre più specifica, almeno in
questa fase, è di prendere tutti questi vari concetti, immergerli dentro un
campo della differenza - l'Assenza è il campo della differenza - far sì che
con questi concetti e quindi con questi enti che hanno prodotto una retinatura
sull'universo - noi vediamo l'universo attraverso la nostra concettualizzazione,
attraverso la nostra storia concettuale -, ebbene che questo universo possa
farsi più assente nel momento stesso in cui il concetto è capace di ritirare
il suo eccesso di presenza concreta mentale; ovvero poter arrivare a un livello
mentale più profondo, più affettivo, più astratto, più duttile, più capace di
interazione con l'altro, con l'estraneità, con il nuovo, con l'anti(anti)tempo,
con l'anti(anti)relazione, con l'anti(anti)uomo.
Ti lascio la parola.
Susanna Verri: Nel mio intervento di questa sera,
partendo dal titolo circa la 'Crisi e sconfitta della realtà-sistema dominante
con emergenza dello scarto post-evoluzionistico e apertura all'anti(anti)sistema
Assenza', come leggiamo qua, volevo iniziare a parlare di questa crisi e sconfitta
della realtà-sistema dominante da un particolare punto di vista, cioè cominciare
a esplorarne una parte che riguarda un aspetto della vita psichica perché questo
poi è il campo per certi aspetti a me più vicino e perché, anche, di questo
campo della vita psichica c'era l'aspetto riguardante eros e thanatos di cui
parlava anche Paolo, di cui avevamo trattato nell'introduzione al Seminario,
ai Seminari di quest'anno e che secondo me vale la
pena di riprendere.
Allora, la questione di eros e thanatos in relazione alla sconfitta della realtà-sistema
dominante si può porre in questi termini, a mio parere, e cioè: esiste una dualità
della vita psichica che è quella appunto descritta, come adesso accennerò, da
Freud, e riconosciuta nell'esistenza di due princìpi opposti e complementari
che sono eros e thanatos e che governano la vita psichica. Questa polarità,
essendo composta da questi due elementi così diversi e, come vi dicevo, complementari,
produce un impasse, quell'impasse fa sì che la specie sia incompiuta, nei termini
che avevamo visto nelle introduzioni ai nostri Seminari, e quindi eros e thanatos
ci serviranno questa sera nel mio intervento per cominciare ad avvicinarci o
a meglio comprendere il senso di questa impasse da questo punto di vista. Impasse
che è quella che fa sì che la specie sia incompiuta e che fa sì che noi poi
abbiamo preso per modello di questa incompiutezza il paradigma della schizofrenia,
essendo la schizofrenia una malattia anch'essa caratterizzata da una duplicità
che non si risolve, come avevamo visto anche in tutto il corso dei Seminari
passati, degli anni passati. Allora, la questione di eros e thanatos viene posta
da Freud, a partire dal 1920, formalizzata nel suo scritto Al di là del principio
di piacere, in termini in cui per la prima volta egli inizia ad osservare
l'esistenza di un'altra forza che si oppone o che, per lo meno, non risponde
a quello che fino allora era stato il principio dominante della vita psichica
che egli aveva riconosciuto, e cioè il principio di piacere. Il principio di
piacere era stato descritto negli anni precedenti come una forza che spingeva
il flusso degli eventi psichici a cercare sempre l'annullamento di qualunque
tensione, a cercare sempre il livellamento di qualunque tensione prodotta dalle
pulsioni o dai moti della vita psichica, per cui la vita psichica tendeva, secondo
questo principio, continuamente a un livellamento, a uno smorzamento di qualsiasi
squilibrio, direi nei miei termini. Da ciò discendeva un principio di costanza
a cui tutta l'organizzazione psichica tendeva ad ubbidire e questo faceva sì
che fosse estremamente difficile la vita quotidiana poiché le istanze della
vita quotidiana non potevano in questi termini essere ben condotte o risolte
perché erano contraddittorie con questo principio di piacere, cioè con questa
tendenza continua al non equilibrio poiché ogni evento, ogni fatto della vita
quotidiana tendeva a mettere in moto questi flussi di eventi psichici che quindi
disequilibravano il sistema. Freud aveva allora introdotto un altro principio,
il principio di realtà, che consentiva un allargamento di questo principio di
piacere, cioè che consentiva il fatto che si potesse dare una dilazione alla
necessità di soddisfare questa tendenza al piacere, e che in questa dilazione
si potesse trovare un adattamento alla realtà.
Dal 1920 in poi con questo scritto egli iniziò ad osservare, dai dati clinici
che aveva continuamente a disposizione, particolarmente in certe situazioni
che andava osservando nelle nevrosi traumatiche, nelle nevrosi da guerra, nelle
situazioni invece specifiche della condizioni analitica dei fenomeni transferali
in analisi, che esisteva un altro principio, come vi dicevo prima, e cioè che
vi erano degli eventi psichici che non ubbidivano a questa esigenza del principio
di piacere perché erano eventi psichici che tendevano continuamente a ripetere,
a riprodurre, come avveniva nella condizione transferale e non solo, situazioni
spiacevoli e le riproducevano non solo per cercarne un soddisfacimento come
in altre situazioni, ma anche continuamente, in un modo che sembrava fine a
se stesso, che sembrava ubbidire a una coazione a ripetere che non aveva assolutamente
nulla di piacevole. Sulla base di queste osservazioni egli ipotizzò l'esistenza
quindi di una spinta, di una forza che sembrava essere più primitiva, più originaria
e più pulsionale dello stesso principio di piacere, più pulsionale nel senso
che era una forza che tendeva a portare l'organizzazione psichica a uno stadio
precedente, che produceva all'interno della vita psichica una condizione che
lui diceva come di elastico, cioè tendeva a portarla indietro e quindi a fissarla
in uno stato poi di inerzia. Chiamò questa forza che andava riconoscendo 'pulsione
di morte', o thanatos come poi fu detto successivamente, e la contrappose a
un'altra 'pulsione di vita', o eros, che egli disse essere complementare, quindi
veniva così a configurarsi questa visione della vita psichica composta, orientata,
governata da queste due polarità contrapposte di vita e di morte, eros e thanatos.
Eros che Freud descriveva a partire dal mito platonico di Eros, appunto, secondo
cui la forza che spingeva gli esseri gli uni verso gli altri, nel mito, era
poi nella sua concezione diventata la forza delle pulsioni. Nel mito - un mito
poi ripreso da Aristofane - avveniva questo: c'erano agli inizi dei tempi gli
uomini non solo divisi in maschi e femmine, ma vi erano tre generi: il maschio,
la femmina e l'androgino. L'androgino era caratterizzato dalla doppiezza di
tutte le sue funzioni e dei suoi attributi in modo tale che Zeus pensò a un
certo punto di separare questa doppiezza, sennonché le metà così ottenute in
tutti i modi cercavano di riunirsi, in tutti i modi spingevano al fine di potersi
ricongiungere spinte da una forza inarrestabile che Freud prese a modello per
descrivere appunto le pulsioni di vita.
La questione della pulsione di vita e della pulsione di morte, di queste due
forze contrapposte, in uno scritto successivo, nel '37, cioè in Analisi terminabile
e analisi interminabile, Freud la ricondusse ancora, in termini evoluzionistici
così lui dice, agli antichi conflitti che opponevano i primi uomini fra di loro,
vale a dire, egli disse, i primi uomini avevano fortissime conflittualità che
poi nel corso della evoluzione storica e sociale sono state interiorizzate e
sono state trasformate in conflitti tra pulsioni da cui deriverebbe questa contrapposizione
tra la vita e la morte. Non solo ma, nel riconoscere questi due principi opposti
e complementari e che quindi si pareggiano continuamente, nel '37 egli si rifece
anche ad Empedocle perché affermò non essere una sua scoperta questa contrapposizione,
ma essere stata già presente nella cultura nei secoli precedenti, e la ritrovò
in Empedocle il quale, nel 495 a. C., in tutto il suo sistema atomistico parlava
di due forze contrapposte: filìa e neicos, e dunque filìa, amore
o amicizia, e neicos, discordia, che pure avevano questa forza di opposte polarità,
l'una, filìa, nel senso di unire, e neicos nel senso di disgiungere,
che chiaramente nel sistema di Empedocle univano o disgiungevano particelle,
mentre poi Freud estrapolò questa questione nei suoi termini, riportandola nei
termini dell'impasto pulsionale, delle energie pulsionali.
E allora tutto questo lungo excursus mi sembrava interessante per arrivare a
questo punto, cioè al fatto che è questa visione o concezione dualistica della
vita psichica che produce, come vi dicevo, un impasse perché eros e thanatos
sono sì bilanciate ma sono anche come reciprocamente immobili, vincolate dal
reciproco effetto l'una sull'altra e sul sistema intero in cui dominano in questo
modo spartendosi equamente, o comunque paritariamente, le parti, mentre l'impasse
della specie o il passo evolutivo successivo, la post-evoluzione noi la possiamo
pensare all'interno dell'ambito di cui ci occupiamo segnata da uno scarto, cioè
da una differenza e comunque da una rottura di equilibrio, quella rottura d'equilibrio
di cui accennavo anche l'altra volta parlando di tutta la questione della non
consensualità. Tale rottura di equilibrio è anche un modello che noi possiamo
utilizzare prendendolo, volendo, da un altro ambito, che è il secondo di cui
volevo parlare questa sera molto brevemente, e cioè l'ambito delle intelligenze
artificiali e della scienza che ultimamente si occupa di questo in connessione
coi temi della complessità, perché in questo ambito ho trovato una definizione
di complessità che mi sembrava utile al nostro discorso, e in cui si parla di
complessità come di un disordine che viene riconosciuto, che viene accettato
in quanto all'interno della complessità, perché presumibilmente contenente un
ordine che ancora non si conosce, disordine che si presume contenga un suo ordine
perché capace di produrre un significato, e perché capace di produrre un significato
i cui termini non erano stati dati in precedenza, cioè è la questione dell'autorganizzazione
di un sistema complesso nei termini della possibilità di produrre, sulla base
di un disordine, una riorganizzazione del sistema capace di produrre nuovi significati
i cui dati non erano precedentemente stati dati ma vengono in qualche modo prodotti
dal sistema stesso all'interno di tutti i processi di disorganizzazione e riorganizzazione.
Questi sono gli ultimi studi che si stanno facendo appunto sugli automi, gli
automi probabilisti, che sono macchine capaci di produrre un significato, cioè
macchine capaci attraverso questi processi di autorganizzazione di riconoscere
delle forme perché sono programmate per poter riconoscere delle forme, però
non vengono dati loro i criteri per poterle riconoscere, e quindi sono macchine
che sono capaci di autoprodurre i criteri per riconoscere le forme che fanno
parte della funzione che è loro propria.
Tutto questo discorso è anche interessante perché è il modello, è quello che
poi consente anche - per lo meno finora è stato così - di indirizzare le scoperte
che si vanno facendo, e mi aveva molto interessato, nell'articolo in cui avevo
trovato tutta questa questione della complessità definita in questo modo, tutta
un'ipotesi, che non posso accennare per motivi di tempo, ma... per cui per esempio
tutta la questione della scoperta del Dna e della sintesi proteica, dagli anni
'50 in poi, avrebbe potuto essere interpretata diversamente in un modo più idoneo
poi a produrre una più fine lettura di tutto questo fenomeno, se si fosse potuto
applicare, anziché il modello che si applicò allora - e cioè quello del programma,
l'idea del programma genetico, l'idea del passaggio di informazione che consentiva
sì la comprensione delle scoperte del Dna e la sintesi proteica, ma arrivava
solo fino a un certo punto di finezza interpretativa -, un modello del tipo
di questo cui accennavo prima, cioè un modello autoreferenziale, continuamente
appunto autoreferenziale, quindi con questo anello ricorsivo continuo di cui
ho accennato.
E questo per finire, per dire che... non tanto per dire che abbiamo bisogno
in questo ambito di diversi e nuovi modelli per le nostre scoperte, perché non
è un ambito in cui ci muoviamo in questi termini, però ci servono dei concetti
per cominciare a preparare il nostro campo anche razionale alla comprensione
di nuovi concetti che vengono posti, come diceva il Dottor Ferrari prima, anche
sulla base di premesse che nascono da quello che invece è stato pensato finora.
E dunque questa questione del sistema che si autorganizza e che produce un nuovo
senso, secondo me è in un certo senso propedeutica alla comprensione di quella
che possa essere tutta la formazione e poi le varie dinamiche di accoppiamento
e disaccoppiamento dell'anti(anti)sistema Assenza.
E io mi fermerei, a questo punto.
Paolo Ferrari: Dunque, dopo questa dotta disquisizione io come al solito
voglio scendere su un campo più concettual-sperimentale, esperienziale, anche
se concettualmente ancora più astratto, nei miei termini, più vuoto. Cioè, quello
che è il nostro intendimento, o almeno è il mio, è di riuscire a descrivere
comunque questo anti(anti)sistema Assenza*.
Questo anti (anti)sistema Assenza, che cos'ha alla base? Nel sistema
dominante, nel sistema che ognuno vive, c'è il fatto per cui il mondo è riempito
da certe forme, da certi concetti, da certe idee, da certe scatole, da certi
oggetti, da certi oggetti concreti; in questo sistema invece*
il mondo è vuoto, ovvero, secondo questo sistema, nella sua parte più radicale,
il mondo sarebbe totalmente privo di esistenza, ma questo 'privo di esistenza',
già nel concetto, nella testa di ognuno di noi, di ognuno di voi risuona immediatamente
come fatto che è un vuoto, cioè che è un nulla, che è un nulla che è nato dalla
privazione di un oggetto. Cioè tutto questo vuoto dà come idea il nulla, dà
l'idea di una situazione di morte*:
la non esistenza di un qualche cosa
risuona nella mente umana, nella mente umana occidentale in particolare, come
qualche cosa che è morto, come qualche cosa che non esiste. Infatti nella situazione
patologica più grave descritta, che è la schizofrenia, il paziente, il soggetto
vive il mondo come se fosse totalmente vuoto, descritto anche come una distesa
glaciale abitata da fantasmi o da mostri continuamente anaffettivi, cioè continuamente
privi di quella capacità di relazione che invece il mondo più pieno è capace
di porre. Allora, quello che per me è sempre difficile è riuscire a spiegare
che questo termine che noi abbiamo coniato, che abbiamo chiamato Assenza implica
un grandissimo livello di presenza, cioè io non sono persona che si nasconde,
che va fuori, esce, non agisce, non è, non esiste, anzi mi sembra di avere una
notevole espressione o espressività di esistenza. Ma tutto questo a che cosa
porta? In questo nuovo campo che ho chiamato Assenza porta al fatto che alla
radice di tutto questo, di questa presenza, che può sembrare in certi momenti
eccessiva - potrebbe sembrare -, c'è comunque un cuneo, c'è comunque un vuoto,
c'è comunque uno zero. Cioè tutti gli elementi che io sto comunicando anche
in questo momento, hanno in se stessi il fatto che essi, la mia parola, il mio
corpo, il mio cervello, la mia mente, la mia relazione hanno comunque alla base
questo zero, cioè tutto quello che passa in questo momento e che produce una
relazione produce anche un'anti(anti)relazione, cioè produce una rivoluzione
della relazione. Rispetto a quello che diceva prima Susanna Verri, rispetto
a quello che è thanatos - che quindi è ciò che si oppone, ciò che non
è capace di produrre relazione-, nella malattia mentale, nella nevrosi o nella
schizofrenia c'è una negazione, c'è continuamente presente questo thanatos,
c'è la coazione a ripetere, c'è la non libertà di essere, c'è l'impossibilità
a cambiare una fissità che si è formata all'interno del soggetto, del cervello,
del pensiero, della psiche del soggetto. In questa situazione in cui io sto
parlando, invece, tutto questo è liberato, tutto questo è svuotato, cioè questo
sistema che sto comunicando anche in questo momento, avendo al fondo di sé questo
zero, questa sua non fissità, che vuol dire in questo caso non obbligo, non
necessità dell'esistenza concreta, ma anche della necessità-non necessità dell'esistenza
psicologica, tutto questo, tutto quello che sto comunicando, al fondo ha - io
l'ho descritta, devo descrivere queste cose - una continua oscillazione, una
continua capacità di oscillazione e perciò mancanza di fissità, perciò in tutti
i suoi punti - questa scrittura in questo punto piuttosto che in questo punto,
questo punto con questo, cioè in tutti i suoi elementi contrappuntistici - produce
continuamente un livello che io ho chiamato zero, cioè un livello di Assenza.
Assenza vuol dire in questo caso che il sistema ha accettato di perdere, cioè
ha accettato la perdita. La perdita che cosa vuol dire? Vuol dire che il sistema
ha accettato addirittura la perdita della vita, cioè ha accettato il fatto che
esso è capace, è in grado di non essere, e continuamente è capace di questa
non essenza. La non essenza, nello stadio del pensiero normale, soprattutto
occidentale, significa il fatto che... la non essenza in Platone, in Aristotele,
in Plotino, la non essenza è comunque spesso indicata come elemento di negatività
anche se, come abbiamo visto in Plotino in certi punti piuttosto che in Meister
Eckhart in altri punti, la non essenza è stata indicata come la divinità, come
il sistema che è capace... è talmente potente, talmente profonda, è talmente
altro da poter non essere. Cioè il non essere non è quello che si nasconde dietro
la tenda, che va via, che fugge dalla realtà, ma è quella capacità di prendere
la realtà, di portarla totalmente a sé e, in questo portarla totalmente a sé,
ruotare, produrre questa anti(anti)rotazione, o rivoluzione, delle forme, dei
linguaggi tali per cui al fondo di tutto questo c'è la perdita. Quello per cui
io faccio fatica spessissimo con i miei collaboratori, con i miei pazienti,
con le persone con cui ho ormai relazioni continue, anche epistolari, su alcuni
problemi di cui mi sto occupando, dal teatro alla scienza al metodo, quello
che è difficile spiegare è il fatto che invece che accumulo di conoscenza, invece
che accumulo di essere, invece che essere più essere più essere, quello che
io sto cercando di spiegare è che deve venire a galla la perdita dell'essere,
ma senza l'introduzione di thanatos, cioè la vita, cioè tutto quello che è il
sistema sensoriale, quello che è il sistema psicobiologico, quello che è il
sistema vecchio - sensoriale, psicobiologico, percettivo, la percezione degli
oggetti -, mentale - l'elemento cognitivo mentale, cioè la formazione di un
concetto che si ferma lì -, il meccanismo attraverso cui la mente continua a
dover discriminare - ma senza essere una mente affettiva e cioè una mente relazionale,
e perciò una mente autistica, cioè una mente che si chiude su se stessa -, tutto
questo comporta il fatto che comunque lo stadio affettivo delle cose implica
che l'ego, oppure che la vita, oppure che la stessa sostanza fisica, questo
corpo ha accettato di perdere, ha accettato la perdita secca.
Una delle grandissime resistenze, come dicevo prima, nelle persone che incontro
e a cui cerco di spiegare tutto questo sistema, è il fatto che tutti quanti
son disposti a dire: "Sì, sì, io voglio imparare, voglio imparare questo", vogliono
un accumolo di essere ma, a mano a mano che si impara questo, non sono capaci
di cominciare ad accettare di perdere, e cioè di perdere il sistema vecchio,
di perdere thanatos che c'è lì dentro, la resistenza che c'è lì dentro,
la coazione a ripetere, la fissità del sistema, persino c'è la resistenza a
perdere la morte concreta che ognuno si porta appresso, e cioè l'accumulo che
il sistema vigente produce. Allora che cosa succede? Succede spesso che magari
una persona*
sta incominciando a capire, a comprendere che c'è un altro livello di tutto
questo sistema, che è questo livello zero, questo livello che è ulteriore, la
post-evoluzione l'ho chiamata, non perché sia un passaggio evolutivo successivo,
evoluzionistico, nel sistema darwiniano, cioè nel sistema evoluzionistico classico,
ma l'ho chiamata post- evoluzione, o post-evoluzionismo, in quanto non c'entra
più niente con l'evoluzione, cioè ha fatto lo scarto. Cioè tutto questo sistema
dice che il sistema biologico ha finito; ha cessato di esistere il sistema biologico
con le sue leggi precedenti, ovvero con le leggi che l'uomo si è inventato,
che ha costruito intorno al tipo di attività mentale o al tipo di attività biologica
o al tipo di strutturazione del Dna, o con questi concetti che il mondo occidentale,
di cui io sono cultore, ripeto - non sono un irrazionalista, io sono un essere
razionale, profondamente razionale, ultra razionale -, ha inventato, ma c'è
questo 'ma': il fatto che tutto questo sistema biologico, psicobiologico ha
cessato. Il concetto evoluzionistico del passaggio da una fase all'altra e soprattutto
la fase dallo scimpanzé a Homo, questo tipo di concettualizazione, ma questo
tipo anche di concretizzazione di un sistema che passa da una fase all'altra
e si concretizza ulteriormente, ha smesso. Questo fatto ulteriore che io chiamo
post-evoluzionismo - l'ho detto anche nel titolo - è un elemento, è uno scarto
- è una parola strana -, è lo scarto. Cioè dico: quello che è successo, quello
che conosco, quello che è accaduto, questo cessare di essere, questo perdere,
questo venir meno, questo accumulo di venir meno per cui io tocco questa lavagna,
tocco questa cosa, tocco questo elemento che è più liscio, tocco questa sbarra,
tocco questa sedia, tocco mentalmente una persona, tutto questo al fondo ha
un contenuto, ha un'essenza o un'assenza che è completamente nuova, che è completamente
diversa, che ha al suo interno una logica completamente diversa da quella evoluzionistica.
Ma questo non perché io sia un creazionista, per carità, io non credo assolutamente,
io credo, anzi - sono in un certo senso ancora più evoluzionista di tutti gli
evoluzionisti -, che ci sia, molto probabilmente, nell'evoluzione, un ulteriore
fattore che si chiama Assenza che ha continuato ad agire e a produrre nei sistemi
una complessità sempre maggiore fino ad arrivare a questa massima complessizzazione
del sistema che è la sua capacità critica affettiva, assente, e cioè capacità
di vivere, sentire, avere esperienza del fatto che questa lavagna, nel momento
stesso che io la tocco, è un fatto mentale, non è un oggetto, non è un oggetto
che mi dà uno stimolo e poi la mia mente legge, ma che c'è una possibilità di
una relazione diretta fra quello che è l'attività mentale e questo oggetto che
sto toccando. Cioè il tatto è capace di diventare ente mentale - come diceva,
come accennava in qualche modo già Platone -, c'è l'immentazione di tutta la
sensorialità per cui, mentre c'è questo elemento tattile - l'elemento tattile
poi è il più antico, anche nella scala ontogenetica del bambino; il bambino
nasce e tocca, tocca la mamma, tocca il corpo, tocca l'oggetto intorno a sé
-, cioè l'elemento più antico, più primitivo, anche questo elemento ha imparato
- non ha imparato -, è successo che potesse perdere la sua escrescenza sensoriale
per diventare esso stesso punto di mente, cioè con questo polpastrello io sento
questa lavagna come se fosse la mia mente che sente la lavagna direttamente:
non c'è più il polpastrello con tutte le sue innervazioni che arrivano al cervello,
le vie ci sono ovviamente, ma le vie si sono fatte talmente iperconduttrici,
talmente veloce si è fatta questa conduzione, talmente simultanea che il polpastrello
è diventato luogo della mente affettiva, astratta.
Ora, ovviamente, c'è il fatto che io cerco di descrivere questo sistema: siccome
è un sistema altro e di altissima complessità io non faccio altro che cercare
di descriverlo, ogni volta descrivo questa Assenza e perché si chiama Assenza.
Si chiama Assenza perché nel suo essere sistema, questo sistema si è assentato,
il tatto invece di essere un tatto fisico è diventato un tatto mentale cioè
è diventato più astratto, si è assentato nelle sue caratteristiche primordiali
per avere delle caratteristiche molto più complesse e molto più affettive. Adesso
io spiego così, semplicemente, dico che è un fatto della mente. Provate a pensare,
non so, nel corpo, il fatto che il corpo continua a pensare, pensa nelle sue
periferie, in tutte le sue radici, cioè non esiste più un corpo, non esiste
più un corpo fisico, ma esiste un corpo pensante il quale corpo pensante, essendo
fatto di pensiero, è vuoto, cioè è assente pur avendo la presenza massima. Ma
questo, tutto questo non dovrebbe essere neanche tanto strano per Homo sapiens
perché in Homo sapiens, quando il sistema Homo sapiens funziona perfettamente,
avrete esperienza tutti quanti voi che quando la mente è unita direttamente
al corpo, il corpo si sente molto meno, si sente molto meno il peso fisico.
Quando l'attività mentale, affettiva, emozionale funziona, il corpo si sente
molto meno, sembra che il corpo sia in grado esso stesso di pensare, di relazionarsi,
di relazionarsi quasi mentalmente, psicologicamente, perciò sono già degli stadi
che Homo sapiens sa, soltanto che Homo sapiens è ancora legato in un certo senso
a quello che diceva Susanna Verri, a questa dualità thanatos e eros,
cioè vita-morte, ma queste vita-morte in questo sistema sono venute meno, la
relazione col mondo, essendo venute meno vita-morte, la relazione con lo spazio,
col tempo e con tutti questi altri linguaggi è ovviamente di maggior complessità,
di maggiore finezza, di maggiore sensibilità, di molta maggiore intelligenza.
Tutto questo al suo fondo ha il fatto di poter essere continuamente questo zero.
Tutto questo può da un momento all'altro cessare, cioè il sistema stesso nella
sua autorganizzazione è capace di dire di ritirarsi, non è necessitato al dover
relazionarsi, al dover fare questo, al dover fare quell'altro: nella sua esistenza
o a-esistenza non è necessitato, cioè è libero di essere o non essere.
Dicevo, e questa è un'ultima cosa, dicevo di questo scarto. Lo scarto che cosa
significa? che la post-evoluzione vuol dire che non è che il sistema Homo sapiens
per suo diritto può passare da sapiens a, come io l'ho chiamato, abstractus
come se fosse un suo diritto evoluzionistico o una sua legittimità data dall'alto
o da leggi biologiche o da leggi divine o da leggi di questo tipo; è che il
sistema ne ha la possibilità, forse. Cioè, quello che sto dicendo, quello di
cui sto parlando è il fatto che io sto descrivendo un certo sistema di cui ho
esperienza, del quale sto dando spiegazione, linguaggio, forma in tutti i vari
stadi del pensiero di Homo sapiens cercando continuamente questo accoppiamento
Homo sapiens-Homo abstractus, cioè l'abstractus col sapiens. Quello che è interessante
è il fatto che questo in qualche modo possa porsi e disporsi nell'esistenza
della mente di Homo sapiens, cioè in quello che è il sistema attuale dominante
vigente, tale da potere in un certo senso, sempre se ciò necessita, togliere
questa dominanza, cioè che il sistema scientifico diventi più affettivo, il
sistema dominante diventi meno dominante, il sistema vigente diventi meno vigente,
che i princìpi diventino meno princìpi, senza perdere nulla, cioè diventando
invece sempre più capaci di un affinamento, di finezza, di intelligenza affettiva,
ripeto. L'affettività è la capacità di togliersi, l'affettività è la capacità
di porre una dimensione, al massimo; è la capacità di porre questo grado zero,
questo porre questa assenza che, ripeto, non è mancanza di presenza ma è la
massima presenza, capace di essere assente. Lo scarto è il fatto che come dicevo...
non è, ovviamente, che Homo sapiens abbia questa possibilità di arrivare a Homo
abstractus: c'è uno scarto, cioè c'è un processo, occorre un cambiamento di
rotta, occorre che il sistema vigente possa spostarsi dalla direttività, dalla
direzione, dal luogo, dal sistema, dalla lettura, dal feedback che attualmente
ha. In questi discorsi altrove, altrimenti, il sistema deve per forza accettare
il fatto che entra in una dimensione di maggiore oscillazione, cioè di minor
sicurezza di se stesso. In questo caso significa il fatto che il sistema deve
accettare comunque un'alterità, un estraneamento, una estraneità a se stesso.
Cioè, se io ho un sistema A*
che continua ad affermare A, A1, A2, A3, A4 e continua cioè a rispecchiarsi
col mondo esterno o con l'altro o la figura dell'altro, e questa alterità il
sistema non è capace di includerla totalmente, e cioè di accettare l'estraneamento,
l'estraneità a se stesso: l'estraneità a se stesso significa che il sistema
Homo sapiens... - nel sistema più semplice significa il distacco, significa
il fatto che il bambino, il sistema del bambino, accetta di staccarsi dalla
madre e quindi accetta in un certo senso di mollare i punti di riferimento critici
-, significa che il sistema adulto è capace di organizzarsi in sistema più complesso
e quindi che è capace di oscillare per andare verso una dimensione più affettiva
o intellettiva. L'ultimo passaggio nella storia umana è il fatto della morte:
la morte è un sistema estraneo, è l'accettazione di questo altro sistema estraneo
e quindi l'accettazione in sé, oltre che di tutti questi elementi di distacco,
dell'ultimo distacco che è quello di thanatos o quello della morte ...cioè tutto
questo implica il fatto che il sistema comunque nella sua oscillazione sia capace
di accettare l'altro, l'altrimenti, il diverso da sé. Quello che si dice poi
nella condizione normale è il fatto che un sistema è veramente affettivo quando
è capace di accettare l'altro, cioè la differenza. Il sistema assente è quello
che ha al suo interno la massima capacità della differenza, cioè di accogliere
continuamente l'estraneità, la differenza, l'alterità rispetto a se stesso e,
dato questo, produce continuamente questa dimensione che è lo scarto*
rispetto al sistema vigente perché il sistema vigente non può per sua dominanza
accettare la differenza da sé, se non in minima parte.
Mi fermerei qui.
Adesso ho descritto alcuni fenomeni, in alcuni punti sentivo la difficoltà della
descrizione di questo, anche perché quello che questo sistema sente è il fatto
che, a mano a mano, la descrizione va avanti, nascono nei vari corpi delle persone
presenti, nelle varie menti delle persone una serie di resistenze, una serie,
anche, di difficoltà di comprensione, eccetera. Tutto questo, in questo sistema,
su questa lavagna arriva, perciò si sente, si conosce profondamente in questo
sistema il fatto di... questa difficoltà di procedere perché il sistema, in
quanto accetta l'estraneità, l'estraneamento e accetta l'altro, accetta anche
tutte le difficoltà che sono in gioco, cioè non può scartare una difficoltà,
non può scartare la stanchezza di una persona o il non capire di una persona
oppure il non conoscere oppure la resistenza coattiva o altri elementi. Tutto
quanto questo succede qui in mezzo, su questo tappeto, succede su questa lavagna,
succede in questa dimensione corporale, mentale. Allora so che alcuni elementi
sono più difficoltosi da esprimere, da portare avanti, relativamente a thanatos,
relativamente al fatto che la vita accetta di venire meno, accetta il cuneo
in se stessa, uno scavo, accetta di perdere, la perdita. Sono concetti difficili
- ma non concetti -, sono esperienze difficili da accettare. Come dicevo ognuno
è disposto sì a imparare questo, a imparare questo e questo, gli uomini di buona
volontà son disposti a imparare, ad essere, all'esserci, all'esserci, ma ancora
non sono disposti a imparare a perdere, alla perdita secca, che vuol dire la
perdita senza ritorno. Cioè tutti i processi di estinzione sono dei processi
difficili, per come è fatto Homo sapiens: in quanto derivante dall'animale ha
grande difficoltà nel processo di perdita, di estinzione, del venir meno, dell'accettazione
del venir meno e quindi ha grande difficoltà nell'accettazione realmente dell'altro.
Ognuno dice che è capace di recepire, accettare l'altro, ma non è vero, in realtà,
perché per recepire ed accettare l'altro vuol dire che il sistema ha accettato
di venir meno, cioè il sistema ha accettato di morire, cioè di non essere e
di essere altro nel momento stesso che accetta l'ingresso reale dell'altro con
tutta la complessità, senza ridurlo, senza proiezioni.
Dicevo ancora questo nel senso che invece in questi Seminari a me interesserebbe,
più che la disposizione, la descrizione, mi interesserebbe, come è anche avvenuto
la volta precedente, che ci sia più un dibattito,
cioè mi son stufato anche di dover descrivere in continuazione, di dover essere
così presente in un certo senso e dover raccontare sempre tutti questi fatti.
Sarebbe più interessante che ognuno ponesse poi, imparasse, si imparasse, anche
nei Seminari prossimi... che ognuno dica la sua e che nasca un elemento dialettico.
La cosa mi interessa di più.
Professor Tansini: Mentre stavo ascoltando con tanto interesse e cercando anche di visualizzare, di compenetrare questi... mi è venuta un'immagine. Adesso forse... non voglio disturbare, ma è un pensiero di Mao Tse Tung. Parlando sulla povertà, naturalmente tra virgolette, si potrebbe mettere al posto della povertà il discorso dell'Assenza. Lui dice: "La povertà è azione, è rivoluzione, sopra un foglio bianco è possibile disegnare ciò che è più bello, è più nuovo". Questa mancanza è il concetto anche della femmina, il vuoto, questa grande madre, ecco, queste immagini - perché io sono abituato a sviluppare dei concetti anche di sintesi. Allora diceva, appunto, mi ricordo che diceva: "La povertà spinge al cambiamento, è azione, è rivoluzione". Si parlava... la presenza, anzi, l'eliminazione del thanatos, non è una passività che evoca inattività ma anzi la... (Paolo Ferrari: la provoca), proprio, la provoca, e questo senso del nuovo, del rinnovamento, educarsi all'oltre nel momento in cui ha perduto la propria vita l'ha conquistata mentre, questa è un'altra immagine che poi evoco, mi richiama, personalmente, l'affettività, come si dice, mi fa suscitare quest'affettività... anche è astratta. Insomma, quando si affrontano questi concetti - infatti anche la prima volta che sono venuto - ognuno poi porta le sue resistenze, il suo narcisismo e anche il suo desiderio di andar oltre perché dentro di lui c'è questo grande desiderio di rinnovamento anche se non lo esplicitiamo, magari lo indirizziamo, poi, sui falsi obbiettivi, e questo è il dramma: allora può accadere la pazzia, cioè il malessere, la malattia anche fisica. Allora a volte, ecco, io mi inquadro, e per questo mi è piaciuto molto questo incontro. Quell'altra immagine dice: "Chi vuol guadagnare la sua vita la perde e chi l'avrà perduta l'ha conquistata", cioè come se mettesse in gioco, si svuotasse, ma è una sfida, poi, è un atto che io vedo anche come atto di ribellione allo status quo... (Paolo Ferrari: alla dominanza), alla dominanza...
Paolo Ferrari: al sistema vigente. E' per questo che lo chiamo anti(anti)sistema - anche perché non ho altre parole -, cioè è una rivoluzione, cioè anti(anti)sistema nel senso che non è soltanto un anti, non è contro, ma nel senso che rivoluziona tutto quanto, per cui poi si riposiziona e si mette a disposizione... (Professor Tansini: e s'incontra l'altro), e s'incontra l'altro, e accetta il fatto d'incontrare l'altro nel senso che l'accettazione reale, come dicevo prima, vuol dire accettare l'altro che è morto totalmente, e quindi di nuovo un'altra volta lo svuotamento totale, e quindi è proprio il processo di autorganizzazione del sistema: il sistema si organizza completamente in modo diverso. Perché questa è un'altra cosa interessante, e cioè che tutto questo non è soltanto un tema, appunto, teorico, è un tema politico, e poi, lo vedo, è un tema clinico: con i miei pazienti, anche nelle patologie gravi, quello che succede è il fatto che, quando il soggetto incomincia ad accettare la perdita di un qualche cosa, è la povertà, ma non la povertà triste, negativa, è la povertà ricca che è anche la povertà poi dei Vangeli, tra le altre cose. E' il fatto che quando incomincia questo sistema a parlare... il fatto di questo svuotamento, il fatto che il sistema non deve più riempirsi cioè, perché riempimento che cosa significa? Significa che per forza il sistema ha paura di morire: se non si riempie, se non accumula questo, non prende questo, no prende quello... ma anche non accumula dei pensieri interrotti, cioè l'ossessività o la coazione a ripetere mentale, quando il sistema incomincia ad accettare questo vuol dire che anche nella patologia più grave il sistema può incominciare a produrre completamente altro. Ma, che cosa succede? Quello che io notavo, ormai da vent'anni di lavoro clinico, è il fatto che se io riesco in un paziente a produrre l'estinzione di un sintomo soltanto, che può essere, non so, poniamo, anche una piccola forma fobica, oppure la separazione da un farmaco, oppure l'enuresi notturna, oppure... soltanto un sintomo, in quanto questo sintomo è un riempitivo del sistema, cioè lo riempie, lo totalizza, ho visto che l'estinzione, ma dev'essere totale questa estinzione, se l'estinzione è totale, il sistema incomincia poi, occorre diverso tempo, ma incomincia a riorganizzarsi in maniera completamente nuova. E sono situazioni interessanti perché per esempio la psicanalisi fa soltanto un'analisi sintomatologica, o un'analisi di tutti questi altri sistemi o anti-sistemi, mentre in questo modo, come sperimentalista, come lavoratore di sistemi che siano pieni o vuoti, se io riesco a far sì che questo sintomo venga meno, tutto il sistema si rivoluziona completamente da capo. E questo è un dato interessantissimo che ho visto in una serie di soggetti proprio per questo, nel senso che il sintomo è comunque... non è soltanto inibizione sintomo e angoscia, ma è anche il fatto che il sistema è riempito da questo. Se io riesco a far sì che il sistema si svuoti, accetti la povertà rispetto al sintomo, questo sistema a un certo punto diventa sistema complesso - mentre con il sintomo è sistema semplice, semplicistico, riduttivo e quindi anaffettivo perché il sistema quanto più è semplice tanto più è anaffettivo - e tanto più accetta la complessità, che non è complicazione, che è capacità di autorganizzazione, capacità di significato, capacità di rinnovamento, è capacità di non fissità fino agli estremi limiti in cui la non fissità è totale: in questo sistema di cui sto parlando la fissità non esiste mai, c'è il rinnovamento in ogni secondo, in ogni parola, in ogni pensiero che io produco c'è alla sua radice il fatto che non esiste, continua ad estinguersi, estinguersi, estinguersi, estinguersi, estinguersi in continuazione. E questo è un altro dato interessante: questo fatto dell'estinzione, il fatto che il pensiero... se ognuno provasse e riuscisse anche a capire, averne esperienza, c'è il fatto che se a ogni parola, a ogni pensiero subito alla base c'è un punto ed è estinzione*, punto-estinzione, punto-estinzione, cioè tutti questi punti-estinzione per cui tutto il sistema rimane comunque vuoto, non si riempie della sua parola - e perciò non è narcisistico, è anti(anti)narcisistico anche in questo caso -, allora il sistema è già sulla strada di diventare altro, e di diventare assente in quanto ha accettato l'estinzione simultanea di se stesso perché, in ogni suo atto, l'atto si è estinto nel momento stesso in cui si è compiuto, nel momento stesso in cui è sorto, nel momento stesso in cui è emerso, tanto che io ritengo - già nel sistema generale umano di Homo sapiens - che il processo di estinzione sia il processo basilare. Cioè il processo basilare non è mai quello dell'apprendimento di qualche cosa, ma semmai, come dicevo prima, è il processo di estinzione. Io credo che - ma di questo non ho la possibilità di dimostrazione, ho fatto altri lavori sperimentali, ma di altro tipo -, ritengo che l'attività pensante sia molto più evoluta nell'uomo rispetto all'animale, rispetto allo scimpanzé, perché? Perché nell'attività pensante umana è nata la capacità di estinguere, nel momento stesso in cui un processo nervoso nasce, alla sua radice si estingue, quanto più è capace di estinguersi tanto più è capace di diventare astratto, cioè è il nulla che ci permette di pensare. In fin dei conti, quando noi pensiamo, pensiamo nulla, cioè il pensiero non è niente, non è un corpo, non è un pezzo di mente, non è, dicevo, un pezzo di mente perché non ho gli oggetti addosso, non è un oggetto, ma il pensiero è la prima attività, diciamo, dell'universo che è priva di oggetto, che è priva di concretezza. Prima l'animale ha il sistema nervoso che serve per correre più veloce, per mangiare. L'attività astratta che cos'è? E' la prima attività che è priva di un corpo, è priva di fisicità, è priva di un ritorno di questo tipo, e quindi è senza intenzione. Ma questo che cosa significa? Significa che al suo interno questa attività ha la capacità di diventare nulla, ogni volta. E' abbastanza complesso questo. Ma pensiamo banalmente al fatto che tutti gli animali, tutti gli uomini devono dormire. Perché devono dormire? A che cosa serve dormire? Serve per estinguere, estinguere una serie di cose. Quindi vuol dire che tutto questo sistema accumula, poi estingue. Se uno estingue simultaneamente non ha neanche più bisogno di dormire, e quindi è il sistema che diventa vigile, ed è quello che si dice in tutte le dottrine orientali o cristiane: "Siate vigili". La vigilanza che cos'è? E' la capacità di estinguere, quindi di non accumulare un elemento che soffoca, che riempie, che è la stessa parola, che è lo stesso pensiero, che è la stessa immagine. Nel momento stesso che questa è capace di estinguersi, tutto il sistema è continuamente vuoto e quindi è provocato - ed è quello che si diceva prima - ad agire, ad essere, non essente. E questo è un ulteriore punto che ho studiato in questi anni e sono queste descrizioni adesso che a mano a mano vengono fuori, questi punti che poi sperimentalmente ripeteremo un giorno o l'altro. Avevo provato sui ratti certi problemi e questo è un ulteriore problema: il fatto che 'ab inizio' c'è l'estinzione, c'è questo nulla.
Renata Ranieri: Volevo chiedere una cosa. Premesso che tutto questo sistema mentale più è forte, più è forte l'ego e quindi il narcisismo, più è forte questo sistema mentale e più esiste la coazione a ripetere come forma di difesa per uscire fuori e per non sapere estinguere, cioè premesso questo, quali sono i sintomi che permettono di riconoscere nella relazione con l'altro un inizio di cambiamento e di uscita da questo meccanismo? Se io identifico il mio ego con la mia capacità di pensare e non riesco a separarli, se poi invece io voglio fare questo, perché è un fatto di volontà il separarli per avere una relazione più vera, meno influenzata da una mia interferenza del mio sistema pensante, quali sono i sintomi che mi permettono di capire che realmente dentro di me ha iniziato a morire qualche cosa per avere una relazione nuova con l'altro?
Non so se mi sono spiegata, perché non è semplice.
Paolo Ferrari: Sì, sì, sì.
Renata Ranieri: O non esistono dei sintomi?
Paolo Ferrari: No, intanto non li chiamerei sintomi, perché sintomo...
Renata Ranieri: Non sintomi, segnali.
Paolo Ferrari: Dei segnali. Ma, non so, perché direi che è molto soggettivo il fatto di avvertire questa perdita. Cioè, in fin dei conti, come dicevo prima, l'ego, la ritirata dell'ego è comunque una perdita. Il fatto di avvertire con l'altro quanto ci sia questa possibilità di separazione dal proprio ego e quindi dell'accoglienza dell'altro, mi sembra che... non lo so se ci possano essere dei sintomi-chiave o dei segnali-chiave, nel senso che mi sembra che sia un fatto molto soggettivo. Credo... adesso se mi viene in mente qualche situazione... perché allora devo andare a cercare qualche situazione clinica, terapeutica per vedere come si dimostra, come i soggetti me lo descrivono. Per esempio uno degli elementi che mi sembra critico è il fatto del sentimento di una minore aggressività. Cioè l'ego comporta sempre un alto tasso di aggressività. L'ego comporta una negazione sulla realtà, perciò la negazione della realtà... cioè comporta questo ego, egocentrismo, comporta thanatos, quindi comporta un sentimento alterato, cioè un sentimento comunque conflittuale con la realtà, comunque, alla base di questo, un senso che la realtà non debba esistere, a favore di questo egocentrismo. Se noi prendiamo l'altro non come soggetto umano ma prendiamo l'altro in generale, uno dei segni del fatto che sta diminuendo questo ego è che la negazione della realtà è minore, che la realtà è più accettabile, che la realtà, e quindi anche l'altro, a poco a poco diventa più importante delle proprie esigenze, che l'altro è più accettato complessivamente, non è accettato per quel pezzo che va bene e per quell'altro rifiutato, ma c'è una maggiore accettazione non riduttiva dell'altro a propria misura, c'è il fatto che la realtà diventa da questo punto di vista più complessa, più articolata, più vivibile, perché più sottile, più fine. Nego, e con questa negazione c'è uno scadimento della realtà, c'è un appiattimento, c'è una svalorizzazione, c'è un accoppiamento non ricco. Quando si incomincia a sentire un maggior arricchimento, quando s'incomincia a sentire per esempio il fatto che l'altro è altro, cioè che l'altro non è un pezzo di se stessi, ma che l'altro è altro, l'altro è là, io sono qua, qui in mezzo c'è vuoto, ma non un vuoto negativo, cioè l'altro è là, ma l'altro esiste in se stesso, io sono da un'altra parte e devo mandare un ponte perché l'altro mi ascolti, l'altro deve mandare un ponte perché io sia con l'altro, ma in mezzo c'è quel filo invisibile che è il distacco, che è la giusta relazione. Ognuno di noi si relaziona con l'altro non per fusione, come già ho spiegato tantissime volte, ma per il fatto che l'altro esiste interamente e quindi in mezzo tra me e l'altro c'è comunque un punto vuoto, il quale punto vuoto è un punto povero ma è ricchissimo nello stesso tempo, cioè io ci pongo una serie di possibilità di relazioni, di interazioni per Assenza attraverso questo vuoto, ma in quanto l'altro non è un pezzo del mio corpo, un pezzo della mia mente, e cioè c'è il distacco. Il distacco, ripeto, non il distacco negativo - noi intendiamo sempre il distacco come una cosa strana -, ma il distacco significa il fatto che io non debbo usare l'altro, l'altro è lì ed è intero lì. E questi sono alcuni elementi. Poi sulla negazione c'è tutta la questione di thanatos: si ha meno paura dell'altro, anzi si ha meno paura di sé, di stare con sé e di stare con l'altro.
Adesso vorrei fare un pezzettino di musica. Avevo due pezzi preparati: uno è un pezzo per pianoforte in cui sfido la temporalità, la temporalità altra per cui sto lavorando, e vorrei raddoppiare questo pezzo per pianoforte; o un pezzo fatto per strumenti elettronici e vorrei accompagnarlo e accoppiarmi con distacco con questo pezzo per strumenti elettronici, sempre fatto da me, preregistrato. Facciamo il pezzo per strumenti elettronici. E adesso non mi ricordo che numero sia.
Lorenzo Giubileo: Undici o tredici.
Paolo Ferrari: Undici. Il tredici è per pianoforte.
[Paolo Ferrari esegue un raddoppio per pianoforte di un pezzo di musica per strumenti elettronici da lui composto e precedentemente registrato. Durata 4' e 45''circa]
Paolo Ferrari: Non so se ve ne siete accorti - ma era difficile accorgersene, mi ero dimenticato di dirlo prima -, c'era anche la mia voce di fondo: in certi punti c'era una voce molto bassa, anche su ricordo della voce come viene usata in Oriente, in certe cerimonie buddiste, e c'era l'uso anche in questo caso di una voce molto profonda in cui avevo modificato il timbro fino a farlo entrare dentro gli strumenti elettronici in modo che diventasse essa stessa strumento e cioè si assentasse e diventasse questo luogo, invece, della musica, del senso astratto.
Con ciò vi saluto.
Quando ci rivediamo?
Susanna Verri: Il 13 marzo.