4/5/95

VII Seminario 1994-1995

Paolo Ferrari: Parleremo stasera della differenza tra due sistemi: quello della condizione consueta del vivere e del pensare, e quello della modalità dell'assenza. E' opportuno ormai, mi sembra, continuamente definire, ridefinire i linguaggi appartenenti ai due sistemi per una serie di ragioni che poi a mano a mano voglio esplicare.
Adesso, come consuetudine negli ultimi Seminari, do la parola a Susanna.
Mi sembra che in questa fase il lavoro, la posizione di Susanna, soprattutto nei Seminari, abbia la caratteristica della mediazione relativamente anche a questa differenza che voglio porre: cioè se prima potevo rappresentare - come avevo detto, come c'è nella introduzione alle Lezioni dell'Assenza - come un contenitore dell'assenza che si faceva vuoto e ulteriormente vuoto, e attraverso questo svuotarsi ulteriore permetteva una mediazione tra il campo dell'assenza e quello della realtà umana attuale, adesso, in queste ultime fasi, mi sembra che possa essere il luogo, il tòpos della differenza, uno dei luoghi della differenza. E cioè che con il suo tipo di intervento o di studio o di lavoro - come vi spiegherà Susanna - orientato verso una continua esplorazione del campo delle discipline filosofiche o scientifiche, o delle modalità varie di linguaggi umani e quindi del modo attraverso cui la cultura umana, il linguaggio umano tendono ad esprimersi nelle loro più alte componenti, possa divenire ed essere essa stessa mediazione, ente mediante, luogo mediante, di questa differenza che io sto ponendo.
E cioè, diventando essa questo luogo di mediazione, questo luogo della cultura, della disciplina nota, attraverso questo schermo, attraverso questa griglia posso meglio vedere e voglio vedere ciò che vado affermando giorno per giorno in queste strutture in lei implicite, che si vanno formando attraverso l'acquisizione di questi linguaggi della cultura consueta, e in tal modo posso meglio rappresentarmi e rappresentare la differenza dei linguaggi. Per esempio se una persona che è in contatto con me, che è in contatto con questo campo dell'assenza, con questo nuovo campo linguistico, questo nuovo campo del pensiero, dell'attività pensante, acquisisce una certa nuova nozione e la assimila, se io sono in contatto con questa persona, a mia volta assimilo questo elemento, o meglio, lo vedo e lo vedo esposto, definito al di fuori di me. Questa è una delle caratteristiche abbastanza particolari di questo modo di procedere di questo sistema: poniamo che Susanna studi il problema del linguaggio musicale nel barocco e gli studi intorno a questo linguaggio musicale - chi l'ha detto in un certo modo, chi in un altro modo -, io ho davanti a me uno schermo, una specie di radiografia, per cui attraverso questa radiografia posso vedere la differenza con quello che penso nel campo dell'assenza rispetto a questo tema. Se lei acquisisce una certa conoscenza in campo epistemologico circa un certo problema, non so, del linguaggio oppure circa la posizione di certi scienziati rispetto all'evoluzione o rispetto a certe particolari caratteristiche dell'evoluzione - che possono essere la contingenza, piuttosto che il nulla o il metodo generale -, attraverso questa situazione di metodo, questa situazione che lei ha acquisito come metodo, attraverso questo metodo che lei ha, io ho una radiografia, non perché la interrogo, ma perché lei è diventata questa radiografia, lei è diventata questo x che in me entra ed io posso con questo porre una differenza.
Questo vale per lei come vale in generale quando mi metto in confronto nella relazione. Per esempio per me è molto chiaro questo quando lavoro con Carlo Balzaretti nel campo musicale, quando lui esprime una serie di problemi dal punto di vista del linguaggio musicale oppure una serie di elementi dal punto di vista delle altezze, delle note o dello studio mozartiano oppure del metodo, di un certo tipo di metodo relativo alla musica dell'ottocento, in quel momento lui incarna questo evento; pur non dovendo interrogarlo, senza dover passare attraverso la sua evidenza linguistica, il suo parlare, parlarmi, estrinsecare attraverso le parole, esso diventa un qualche cosa che mi permette di fare un certo tipo di azione oppure di conoscere quella cosa, oppure per differenza conoscere il modo in cui io sto pensando la cosa dell'assenza, l'anticosa dell'assenza e sviluppare questo tipo di campo per differenza.
Così, in generale, questo è un modo molto specifico, molto particolare del campo dell'assenza, nel senso che è come se ogni persona che abbia un certo tipo di contenuto, un certo tipo di scibile, e questo l'abbia assimilato, permetta al campo dell'assenza il fatto di potersi determinare a sua volta e di formare a sua volta il suo campo determinato e di determinare i due campi.
Adesso lascio a te la parola.
Susanna Verri: Mi ha interessato questo discorso che stavi facendo perché mi permette di avviare il mio discorso in un punto differente rispetto a quello che sarebbe stato parlare all'inizio. In particolare perché questo discorso ci ha portati nel vivo della questione culturale di cui volevo parlare iniziando questo intervento. Allora, quello che dirò è in un certo senso l'altra faccia di quello di cui stava parlando Paolo, per lo meno relativamente alla mia funzione: cioè è quello che dal mio punto di vista, e dal nostro punto di vista, anche nel lavoro che stiamo avviando al gruppo di studio, stiamo cercando di attuare sul piano del nostro lavoro nei riguardi della cultura esistente ufficiale, esterna al campo dell'assenza.
Ultimamente stiamo cercando di muoverci, io sto cercando di muovermi personalmente - e sto cercando di impostare in questo modo anche il lavoro del gruppo di studio del martedì - in una prospettiva che definisco in questi giorni ultraculturale: cioè nel senso che considero che il pensare dell'assenza si ponga in una posizione in qualche modo trasversale rispetto alla cultura esistente, o meglio che la cultura esistente vada studiata, vada approciata in modo trasversale, in modo orizzontale per portarla poi o per utilizzarla ai fini del nostro procedere. Il pensare dell'assenza io lo chiamo transculturale, ultraculturale, nel senso che per me è al di là dei limiti della cultura esistente; a noi d'altro canto - e dirò poi il perché - interessa in questo momento andare a studiare, andare ad approfondire una serie di temi della filosofia, dell'epistemologia, della scienza evolutiva o anche dell'arte o della musica talora, o degli altri campi e ci interessano, mi interessano quei temi che io considero limitrofi, cioè temi estremi, temi di confine, quei temi della cultura in cui il pensiero consueto arriva a interrogarsi e poi si ferma come contro un muro, io dico, si ferma essendo arrivato a formulare una serie di problemi e non riuscendo a risolverli perché sono problemi che per loro natura porterebbero a uscire fuori da quelli che sono i limiti del pensiero stesso già dato. Di fronte a questo problema poi diversi pensatori, nelle diverse discipline, cercano varie soluzioni, ma che restano sempre confinate ai limiti del pensiero esistente, quindi di come tutto quanto conosciamo e che è stato pensato finora, sia stato pensato con i mezzi finora a disposizione. Ritengo, e non solo io probabilmente, sto pensando ultimamente in questa prospettiva che il pensare dell'assenza vada oltre, ma vada oltre nel suo modo, non nel modo e nei linguaggi e nei termini delle discipline già esistenti, e anche per questo dico che il pensare dell'assenza è ultraculturale in un certo modo.
Allora il progetto di lavoro che noi abbiamo al gruppo - come vi dicevo - è una serie di studi di certi temi, di certi problemi per acquisirne la conoscenza, e per poi poter parlare, condurre il nostro discorso: quindi non il discorso di queste discipline, ma il nostro discorso - perché ci muoviamo appunto nella differenza - con la maggior fondatezza possibile e con la maggior conoscenza anche del dibattito culturale che invece negli altri campi limitrofi, come dicevo prima, avviene. Il tema della differenza risulta fondamentale perché sembra che l'approccio al campo dell'assenza sia possibile non cercando delle uguaglianze, delle similitudini, ma segnando una netta separazione, cioè segnando la distinzione dei campi; quello che dovremmo poi produrre per poter spiegare ad altri o per poter introdurre ad altri questi temi è un sistema di lettura, una chiave, una griglia, come diceva Paolo prima, data la quale sia possibile cogliere la differenza dei due sistemi. Questo è il punto significativo. Sono andata a cercarmi l'etimologia di 'differenza', della parola 'differenza' perché mi sembrava utile e il senso etimologico che ho trovato sul dizionario etimologico Melita è dal latino "différre, separare l'uno dall'altro", col concetto che "la differenza suppone un confronto che lo spirito fa per avere idee precise e non confondere le cose"; in senso filosofico poi la differenza è la determinazione dell'alterità. La differenza di cui parliamo noi - lo accenno solo qua perché questo non è il campo del mio intervento che resta in limiti molto più piccoli - comunque non è solo questo, ma è qualche cosa di ulteriormente astratto e ulteriormente differenziato, cioè non è solo la differenza del confronto di due campi diversi, è uno stacco netto per cui possa emergere tutto il campo di un pensare radicalmente altro, quindi è al di fuori di un paragone, in un altro campo.
Una questione che qui tratto a margine velocemente - perché non voglio poi prendere troppo tempo, però mi interessa accennarla brevemente, come spunto - è che dato un sistema in cui è presa la differenza come valore fondamentale, il capire all'interno di questo sistema, quindi anche per noi il prendere, il capire l'acquisizione nella differenza è un processo diverso da quello comunemente inteso perché non deve produrre un inglobamento nel proprio sistema; è semmai la persona che deve uscire dal suo sistema, quindi uscire, staccarsi anche da sé da questo punto di vista, produrre una differenza con sé, con sé precedente, tale da potere seguire - noi dicevamo una volta - il campo nuovo da capire che non è più a questo punto un capire nel senso di prendere, perché siamo all'interno di un campo di differenza quindi non più in un campo di omologazione.
Questo è un accenno; procedo ancora con l'ultimo punto che è quello che volevo porre in relazione al progetto di spiegazione ad altri. Allora se la questione, dicevo prima, è quella di porre una differenza, cioè è quella di far sì che siano letti i due sistemi differenti, il punto che sono arrivata a intuire, che mi sembra interessante in questa operazione che avviene, nella relazione che può avvenire nel porre questa differenza, è che insieme alla differenza l'altra persona arrivi a porre un dubbio. Cioè l'altra persona, o l'altro sistema - perché possiamo parlare di una persona, ma possiamo anche parlare di un establishment culturale, se vogliamo allargare il discorso - deve essere indotta, portata a una sospensione, al dubbio come sospensione dalla propria adesione totale, completa al sapere da cui proviene. Cioè la differenza consiste anche nel produrre questa sospensione, nel poter produrre nell'altro questo attimo di esitazione, questo spiazzamento, questo varco in cui possa essere intravista la possibilità di qualche cosa d'altro, in cui una musica che per esempio un'altra persona sta ascoltando e che non risponda alle caratteristiche che l'altra persona si aspetterebbe di trovare, per un attimo possa essere pensata come portatrice di un qualche cosa che non è riconoscibile, ma che potrebbe essere tuttavia un qualche cosa. Lo spiazzamento, la difficoltà qui è perché normalmente invece i processi consueti fanno sì che se non c'è qualche cosa che ci si aspetterebbe, questo qualche cosa non venga riconosciuto in alcun modo, e quindi venga escluso, si dice che non c'è, che non esiste; invece l'operazione interessante è che sia colto questo elemento di sospensione, che il dubbio diventi sospensione o che lo spiazzamento diventi questa sospensione, entri un attimo nella coscienza e diventi questa sospensione.
E io mi fermerei qui.
Paolo Ferrari: Mi sto accorgendo proprio in questi giorni vieppiù - faccio una breve storia di questo problema della differenza - come sia difficile in quanto intricato il pensare, il pensare differente. Ho appena finito di scrivere una specie di lettera scientifica, e con metodo sto cercando di portare chi ascolta, chi legge a produrre in sé questa differenza di cui io parlo: cioè l'assenza potrebbe essere definita come la differenza, la differenza fondante, fondamentale, rispetto a quello che è il pensiero o la vita o l'insieme vita-morte degli esseri umani.
Mi accorgo anche come è difficile spiegare oppure partire all'interno di questa differenza, perché, prima mi accorgevo, quando ho incominciato a produrre o a parlare di questa differenza, in quanto sono questa differenza pongo immediatamente questa differenza. Come già più volte ho spiegato questa differenza la penso quotidianamente, è una norma; ma già nel concetto di differenza ci sono un'infinità di associazioni che le persone, che gli esseri umani, che lo stadio su cui homo sapiens è giunto pone. La differenza è l'alterità, è il luogo altro, ma il luogo altro è il luogo altro che è filosofico, il luogo altro che è teologico, il luogo altro è la divinità, il luogo altro è ciò che non potrà mai essere pensato in quanto luogo altro, in quanto, per sua definizione, luogo altro è impensabile. E io dico che è giusto che sia impensabile: cioè sono arrivato alla conclusione - ad una conclusione parziale ovviamente - che il campo dell'assenza non debba essere pensato.
Quello di cui sto parlando, questa differenza di cui sto parlando, in quanto è al di là di quello che è il comune sentire, vivere, percepire, morire, conoscere, esperire dell'essere umano, dello stadio di homo sapiens sapiens in cui nell'anno 1995 siamo arrivati, essendo questo luogo dell'assenza altro rispetto a questo, non può essere pensato e non deve essere pensato, perché ogni volta in cui questo luogo dell'assenza è pensato se ne fa una categoria o se ne fa un'associazione o se ne fa una dissociazione alterante e alterata.
Allora, mi chiederete, che facciamo? Quello che ha detto Susanna mi interessa, mi interessa molto: non facciamo nient'altro che incominciare a conoscere tutto quanto o quello che è fondante circa la cultura o la società o il mondo per come fino adesso si è costituito, quindi conosciamo anche gli oggetti, il mondo, lo spazio, lo definiamo, lo descriviamo, quanto più possiamo descriverlo, definirlo, tanto più per differenza ci può essere un altro campo. Per esempio lei dice “ dubito ”, e io aggiungo il “ dubito ergo sum ” di Agostino e c'è il “ cogito ergo sum ” di Cartesio. A me veniva in mente l'altro giorno il fatto di dire “ non sum ergo cogito, non sono perciò penso ”, ma per me il non essere è un fatto fondante: io so, sento, ne vivo costantemente e continuamente la differenza, quindi il non essere rispetto all'essere; in questo non essere, se io fossi essente, non riuscirei a pensare e allora dico “ non sum ergo cogito ” oppure “ non sum, cogito ” senza l'ergo. Ma un altro che mi ascolta cosa dice? dice: “Ma che cavolo stai dicendo? non sum? Come fai a non essere visto che sei lì in carne ed ossa, non piccolo?”. Allora diventa una cosa complicatissima anche perché il non essere nel campo della clinica, che io studio giornalmente, il non essere è il luogo dell'autismo. Io lotto tutti i giorni con i miei pazienti, con gli altri, con le persone perché pongano la loro presenza, perché siano totalmente presenti. “Ma allora, - dicono -, tu non sei e ci fai essere; come è che funziona?”. Allora capite che la cosa è di una complicazione pazzesca perché io so che nel momento stesso che comunico che non sono, l'altro sente che non sono scisso, mentre il non essere di solito è una scissione, il non essere è l'essere altrove, il non esistere, essere dentro una fantasia; ma il mio non essere so che mentre lo comunico passa comunque sul piano dell'assenza, passa su un altro piano. Questo è vero nella mia presenza, ma nella mia presenza poi ci sono anche una serie di associazioni, difese, meccanismi vari, casini che homo sapiens fa; ancora di più avviene il fatto che nel momento stesso poi che uno se ne va a caso oppure io discuto con un teologo piuttosto che un filosofo, piuttosto che un logico o uno studioso di arte, questo dice: “Ma questo che cosa ha detto? Ha detto che non è, allora questo qui... strano, non può non essere, allora se non è... allora questa non esistenza... il nascondimento dell'esistenza... esistenzialismo, blah, blah, blah... tutto il casino, eccetera...”. Io invece ho detto un'altra cosa, cioè ho posto la differenza.
Adesso è molto utile per me incominciare a dire che, visto appunto che lei studia questo campo, un altro studia un altro campo, vedere che assuma proprio questo campo, cioè sarebbe utile, per esempio, che fosse esposta davanti a me la descrizione del mondo, dall'origine fino adesso, della storia. Allora potrei immediatamente non essere. E' carino quello che succede, è un fatto anche letterario, sarebbe una bella storia alla Borges: cioè il fatto che se ci fosse tutta la descrizione del mondo, di tutti i pensieri del mondo, della struttura vera del mondo da quando è originato fino adesso, 1995, io potrei dire per differenza, non essere immediatamente perché questo mi si pone davanti. Come dicevo prima per me è un linguaggio: cioè nel momento stesso in cui l'altro assimila un discorso, assimila un pensiero, produce un pensiero, io lo sento, lo vivo sentimentalmente, con sentimento, con sensazione, con espressione, nella differenza, e anche questo un altro non può capirlo, lo so benissimo che non può capirlo, però mentre lo comunico un pezzettino lo capisce perché questa non è una sensazione, non è una percezione, non è un pensiero, è un'altra cosa.
Allora quello che sto dicendo adesso, è anche che se un'altra persona acquisisce un pensiero, mentre nella norma per il fatto che un uomo o una persona abbia un pensiero più profondo di un altro, fisicamente, all'aspetto, questo non è niente, non è cambiato, la materia sua fisica non è cambiata, nel momento stesso in cui io sono in relazione con costui sento, ho l'espressione pensante mia interna di un vuoto che si fa diverso da un vuoto di un altro tipo, e perciò io sento se questa persona è pensante o non è pensante, è presente o non è presente, lo vivo nel presente, lo vivo nel passato, lo vivo nella relazione a distanza, nella relazione da vicino, eccetera. Questo significa che in me si è sviluppato un linguaggio, un procedimento linguistico, un procedimento di pensiero completamente diverso da qualsiasi altro essere pensante, normalmente presente: io dico che è avvenuta dentro di me un'estinzione dei processi vecchi, dei vecchi processi di pensiero e sono arrivato proprio ultimamente a chiamarla 'estinzione psicosomatica', cioè si è estinto un livello della psiche, si è estinto un livello del soma, questi hanno prodotto una escavazione di un livello per cui questo linguaggio mi è possibile. Cioè mi è possibile il fatto che se un altro è, io mi accorgo che lui è, se un altro non è, io mi accorgo immediatamente - lo sento nelle mani, nei piedi, nella testa, in tutte le varie parti che non sto a nominare - se è o non è, e se l'altra persona ha imparato, ha acquisito una cosa, se l'altra persona ha studiato una certa cosa io lo so in un altro sistema, lo so nel senso che lo acquisisco, lo imparo, lo imparo nel contatto con questa persona. E anche questo imparare è diverso: non è che io impari tutti questi passaggi, imparo la qualità, la quantità, la selezione, la sintesi di questo qualche cosa che mi serve per descrivere meglio il campo dell'assenza. Questo lo vedo, per esempio, perché se io entro in relazione con una persona di buona cultura di un certo campo che mi interessa, ho visto che si accelerano moltissimo i processi, per cui io incomincio a scrivere molto meglio di un certo argomento, compongo la musica in un altro modo, mi occupo di scienze in un altro modo - ho scoperto l'attivazione in un certo modo perché allora parlavo di certi problemi di logica con altre persone. Però quello che diventa utile, per me, è capire che, per esempio, con questo processo che faccio comprendo in questo modo, mentre gli altri non comprendono in questo modo. Allora devo stare attento, non attento in termini paranoici, ma attento nel senso di curarmi del fatto che, se io parlo di presenza, questa presenza la vedo fisicamente: vedo se un'altra persona si appoggia sui piedi o non si appoggia, ma neanche la persona lo sa; se un mio paziente cammina sul ballatoio in alto, oppure arriva da un altra parte, io sento da come cammina se questa persona appoggia o non appoggia, quindi se in questo appoggiare è meno traballante o più traballante rispetto alla media dell'uomo: sapete che homo sapiens è detto anche l'essere vivente dalla camminata traballante, dalla postura traballante, dalla stazione eretta traballante, cioè non si è ancora appoggiato per terra, io dico che non ha avuto una presenza sufficiente per terra.
Allora quello che diventa interessante in questo porre la differenza è un'azione diversa. Mi son posto probabilmente in maniera ancora più distaccata, da un certo punto di vista meno distaccata, più vicina al luogo di homo sapiens s. e a come funziona: più distaccata nel senso che posso avere una visione più prospettica di questo luogo rispetto a quello che appunto dicevo prima, della congiunzione che producevo, di tutti i tentativi che avevo prodotto in precedenza circa la congiunzione, circa il raddoppio, circa questi altri tipi di fenomeni, di strutturazione compositiva e linguistica. Avvicinandomi a mano a mano posso prendere la distanza; ma allora prendendo la distanza mi accorgo - come diceva Susanna prima - di una serie di incompletezze macroscopiche del pensiero umano, di quello che è il pensiero scientifico normale, oppure di quello che è il linguaggio artistico, piuttosto che il linguaggio letterario, piuttosto che il modo della scrittura o del pensiero filosofico, perché ho posto le distanze, sono uscito dal sistema e lo guardo. Ma, uscire dal sistema... anche in questo devo stare attento perché chi esce dal sistema chi è? lo psicotico, lo schizofrenico, oppure in campo politico il rivoluzionario; invece in questo momento non mi interessa né il campo rivoluzionario né la psicosi, anche se la psicosi mi interessa da un altro punto di vista perché la studio ormai da anni, anche la rivoluzione mi interessa perché la studio e perché la mia posizione, che è comunque in un certo senso molto astratta, è tuttavia una posizione politica rivoluzionaria. Allora esco dal sistema, ho la possibilità di uscire dal sistema senza dover essere impigliato, mentre lo psicotico che è chiuso nel suo autismo in qualche modo è uscito dal sistema - quando delira esce ancora di più dal sistema -, ma non ha la possibilità di vedere l'altro sistema, il suo linguaggio è povero, il mio linguaggio è molto ricco, modestamente.
Uscendo dal sistema allora vedo questa differenza e mi pongo dentro questa differenza; la differenza, per esempio prima all'inizio del nostro Seminario, era difficile da porre perché in un certo senso io devo porre la differenza, cioè io devo pormi qua, voi dovete porvi lì e questa differenza è anche quella che io chiamavo una volta, nei primi Seminari, 'differenza per distacco', cioè la relazione per distacco tra due differenze. Allora si delineano i campi: io sono qui, voi siete lì; e poiché io penso per assenza, nel momento stesso in cui io posso porre e metto un circolo intorno a ogni persona, e queste poi sono le persone che stanno ascoltando e io mi pongo di qua, questi due campi si delineano e ho un campo duplice; dato questo campo duplice, avendo posto la differenza, avendo posto questo distacco estremo, allora i due campi possono comunicare in questa situazione paradossale che è quella che ho chiamato 'la relazione per distacco', la relazione per distanza e non per fusione.
Da questo luogo, da questo avamposto, come lo chiamo certe volte, da questo luogo altro, da questo luogo in cui io osservo il sistema - ma anche in questo devo stare attento: osservo il sistema, ma non l'osservo né passivamente, né eticamente - il distacco di cui io parlo è un distacco che ho chiamato affettivo, ma anche questo affettivo significa che non è appiccicato, è separato, ma nello stesso tempo è in relazione, in una relazione affettiva - non so dire altro -, in una relazione buona, positiva, non c'è negazione ecco, posso dire questo. Perciò il distacco, perciò la distanza che io pongo è distanza all'infinito per cui posso essere completamente da un'altra parte, ma questo non pone negazione mentre tutti i sistemi umani, chi più chi meno, pongono la negazione: il sistema autistico di più, il sistema psicotico un po' di più, il sistema nevrotico un po' di meno, il sistema, diciamo, normale un pochettino di meno, ma la negazione c'è. Questo, come lo definivo una volta, è il linguaggio del sì: quando voi sentite parlare tutto ciò non sentite una negazione, il nulla di cui parlo non è una negazione, è un fatto affettivo, è un fatto positivo.
Allora sto dicendo questo, ma voglio che quello di cui sto parlando nella vostra testa, nel vostro corpo si estingua, perché non voglio sentire che si formino di nuovo nella testa dei rumori, delle cose di fondo riguardo questi elementi di cui sto parlando: questi devono estinguersi perché ognuno di questi elementi, anche se poi vengono pensati da voi, è molto difficile che vengano pensati giustamente, vengono pensati sempre nel sistema vecchio e allora siamo da capo; però comunque sono passati in qualche modo.
E allora quello che è giusto dire è che c'è un sistema che è il sistema homo sapiens s. il quale fino adesso ha funzionato in un certo modo, in modo traballante, in modo caotico, in modo incasinato, in modo aggressivo, in modo negativo, anche in modo affettivo talvolta; di fianco a questo diciamo che c'è un altro sistema, mettiamoci un altro sistema, sistema di cui sto parlando ormai da anni, che è altro. La definizione di questo altro sistema è quella che sto cercando di dare in tutti questi anni: continuo a dare introduzioni a questo sistema e definizioni in questo sistema in congiunzione o in differenza con l'altro. Perché questo sistema si sia formato lo sto studiando in questi anni, in questi mesi e anche in questi ultimi giorni: io so che è avvenuta un'estinzione psicosomatica, cioè all'interno di me si sono estinti una serie di elementi a livello psicosomatico, a livello psicologico che hanno portato a una serie di conseguenze al mio interno, all'interno della specie, probabilmente all'interno anche degli altri; però questo non è ancora manifesto alla coscienza, la coscienza non si è ancora estinta, non sa ancora cosa vuole dire l'estinzione perché ha una serie di difese rispetto all'estinzione, perché deve accettare un campo in cui non c'è negazione, in cui non c'è affermazione, c'è tutt'altro.
Questo sistema che sto creando è un sistema duplice, diploide, con due polarità. Queste due polarità ci sono già normalmente perché si parla di thànatos-éros, di conscio-inconscio, di veglia e di sonno e il mondo è in un certo senso bipolare, anche da un punto di vista politico a un certo punto era bipolare - mondo occidentale, mondo oltre la cortina -, oppure, da un altro punto di vista - la cultura occidentale, la cultura orientale - il mondo è in generale bipolare. Poi c'è anche un terzo elemento che entra, ma adesso lasciamolo perdere, ché è una sintesi. In fin dei conti non è così difficile pensare il fatto che esista un altro sistema di fianco al sistema che noi di solito conosciamo, di cui abbiamo coscienza, di cui abbiamo consapevolezza. Anche perché per esempio nel campo della cultura in generale il campo occidentale è completamente diverso da quello orientale: un orientale fa molta fatica a capire l'occidentale, lo capisce per via intermedia e così l'occidentale fa fatica a capire l'orientale perché le radici sono diverse. Così nella vita di tutti i giorni noi abbiamo il fatto che di giorno abbiamo la veglia, di notte abbiamo il sonno: anche questi due sono sistemi completamente diversi, l'individuo che è nel sonno è completamente diverso dall'individuo che è nella veglia e una sintesi tra i due avvenimenti è quella del sogno in cui ci sono diversi elementi della veglia che tendono a passare dentro gli elementi del sonno; però nel sonno c'è un altra fase che è il sonno senza sogni in cui è detto esserci una serie di elementi di tipo completamente diverso, di forme, di contenuti, di stati, di condizioni completamente diverse che la coscienza non può ricordare quando si sveglia. Ora, in generale, diciamo che tutti a livello della mente, della psiche e del pensiero sono condizionati comunque dallo stato di veglia, dallo stato di sonno: è lo stato di veglia, lo stato di sonno quindi è lo stato della vita, e come è lo stato della vita così è lo stato del pensiero, così è lo stato della condizione del pensare, così è la conoscenza. Se la vita, la morte, il sonno, la veglia cambiassero, ci fosse un grado minore, un grado diverso di questa soglia, anche il pensiero cambierebbe soglia, anche la conoscenza sarebbe ovviamente diversa, il mondo si mostrerebbe in una relazione diversa e questo mi sembra una cosa ovvia. Ma questo difficilmente nella scienza, nella logica, è preso sotto mano ed è una cosa che mi sembra molto strana; in un certo senso la scienza, la filosofia, altre materie di questo tipo si sono portate all'esterno e hanno detto: “Noi, non teniamo conto della religione, non teniamo conto della vita, ci poniamo in maniera astratta e cerchiamo di capire qualche cosa”. Ma questo implica, a mio avviso, non il fatto che la vita si è estinta, che è stata zitta non perché si è estinta, ma perché si è separata: si è messa da una parte la vita, quindi il rumore della vita, il rumore della mente, il rumore di tutte queste cose, e l'altra parte ha detto: “Adesso ragioniamo, però ragioniamo separatamente rispetto a quello che è la vita e la morte”. Ma questo non è avvenuto perché una separazione vera, un distacco vero si sarebbe potuto operare se la vita poteva essere almeno in parte estinta, cioè la vita e la morte venire meno, venire meno dello stadio in cui erano poste. Così nel sonno: perché il sonno manifesta il sogno che è uno stadio molto strano della vita? quando l'individuo sogna non sa di sognare. Perché c'è il sonno profondo che è un altro stadio che nella coscienza ordinaria non si ha o si ha su un altro livello, ma di cui la coscienza non si accorge? Sembra proprio che nella fase del sonno la vita cambi luogo, cambi sistema; la vita viene meno, si abbassa la temperatura corporea, il battito cardiaco credo che si modifichi, ci sono modificazioni neurofisiologiche, ci sono modificazioni degli impulsi nervosi e queste modificazioni modificano lo stato vita-morte, l'asse vita-morte relativamente a quello che è nella veglia, quello che è nella vigilanza. Questa modificazione cosa fa? Produce un fatto che il pensiero, che il cervello pensa in un altro modo, e quindi pensa attraverso il sogno oppure pensa attraverso un altro tipo di linguaggio che è più o meno evoluto rispetto a quell'altro, ma è un altro; allora il mondo del sonno è già un esempio del fatto che la veglia ha incominciato a venire meno, ha incominciato a fare silenzio, e in questo si è manifestato un altro livello che è il livello del sogno oppure del sonno profondo in cui ci sono altri tipi di linguaggi, ammesso che esistano dei linguaggi; poi si dice che per esempio nel sonno profondo questa parte entri nello stadio di vigilanza di tutti i giorni, ma la coscienza non lo assume in sé.
Quindi ci sono già tutti questi elementi che hanno un vuoto, hanno dei buchi e allora incominciamo a indagare questi elementi. Freud in fin dei conti è passato attraverso i sogni, attraverso la vita onirica per dimostrare che c'era un campo inconscio che era nella vita di tutti i giorni e che quindi esisteva un'altra realtà, un altro mondo rispetto a quello che fino allora, fino al 1900, era stato dato come l'unico mondo possibile, che era quello del mondo conscio, lasciando i sogni o altri tipi di interpretazioni ai letterati piuttosto che ai filosofi e non agli scienziati, e non come fondamento della realtà di tutti i giorni. Accanto a questo c'è il problema vita-morte. C'è una duplicazione: da una parte c'è la vita, dall'altra la morte che è un altro stadio; lo stadio della vita è uno, lo stadio della morte è un altro: alla fine della vita la vita cessa, col cessare della vita c'è un'altra cosa che noi abbiamo chiamato morte. Di quest'altra cosa non sappiamo nulla perché il sistema è della vita, il sistema della vita è della coscienza che è in vita; non conosciamo una coscienza che ha cessato, che si è estinta - io la conosco - però in generale, nel sistema della vita normale, non si conosce in quanto non si è estinto questo livello: durante la morte - si dice - si estingue un corpo, un soma si estingue, cessa, nasce un altro sistema che è la cessazione di questo, ma di ciò non si sa nulla Intorno a questo invece si sono dette un'altra serie di cose: che nella morte ci sono una serie di altri elementi, oppure si è detto che è la cessazione di tutto, è la cessazione punto e basta, è una cessazione di un soma. Quello che in realtà esso sia è probabilmente una definizione di quello che è un campo più vasto, di una realtà che attualmente è conosciuta soltanto relativamente, perché il processo di estinzione non è ancora avvenuto a livello di consapevolezza più ampia.
E qua mi fermo
Adesso volevo fare un pezzo in musica per canto - il Canto mistico - con Loretta, che è la terza parte di un canto che sto componendo - e sono già arrivato alla quarta parte -; la prima parte mi sembra che l'abbiate già sentita, adesso siamo alla terza parte, l'ho chiamata il Canto mistico, Canto del nulla o Canto mistico, che è questo luogo silenzioso, questo luogo altro. Anche nella musica si deve capire questa condizione - come diceva Susanna -: cioè nella musica gli accordi, l'armonia, la struttura, la struttura linguistica è completamente diversa da quello che è stata fino adesso. Ma questa differenza significa che è nulla, cioè questa differenza produce in chi ascolta probabilmente delle sensazioni, delle emozioni, eccetera che non esistono secondo le leggi che sono esistite fino adesso. Cioè è una musica che non può dare né piacere né dispiacere secondo la logica normale; non è una musica emotiva, emozionale, non è una musica intellettuale, è una musica di un altro tipo, produce dei fenomeni di altro tipo che sono su quest'altro livello di cui stiamo parlando. E' la Musica dell'Assenza.
Adesso sentiamo questo pezzo. Questo pezzo lo stiamo elaborando da circa due mesi, in cui stiamo lavorando insieme, io e Loretta, e sto insegnando tutta la finezza del linguaggio in questa annotazione, in queste note, l'insieme tra le note e le parole perché è grandemente complesso il fraseggio, ma il fraseggio però è capace anche di far silenzio, nel momento stesso che fa silenzio si forma la Musica dell'Assenza. Chi ascolta, chi non è abituato a questo dice che non succede niente. Io dico: “Benissimo, meno male che non succede niente, perché non deve succedere niente, deve succedere 'il niente'”.
[Loretta Gasparutti canta la terza parte del Canto Mistico accompagnata al pianoforte da Paolo Ferrari; durata 4 minuti circa]
Paolo Ferrari: Brava!
Loretta Gasparutti: Grazie.
Paolo Ferrari: Ecco, questo canto è il Canto dell'Assenza, è un Canto Mistico dell'Assenza in un luogo altro, un luogo molto profondo; è un canto molto ricco anche se semplice all'espressione; può essere continuamente interpretato, ha una libertà grande di interpretazione; non tocca, credo - come diceva il nostro amico Vono - l'apparato gastro-sessuale evidente, sta zitto l'apparato gastro-sessuale, cioè il modo emotivo, l'impatto sonoro immediato, ma parla su un altro livello e fa parlare quest'altro livello, il quale altro livello è vicino a questa estinzione, all'estinguersi dell'elemento psicosomatico, di un certo tipo di livello psicosomatico, per far parlare un altro linguaggio che è più vicino ai linguaggi in cui non c'è il bisogno dell'affermarsi, del trattenere, del memorizzare, di amplificar, ma c'è bisogno di stare su un gradino un po' più basso, di rallentare magari, di accettare più profondamente e d aprire un nuovo capitolo, completamente nuovo, completamente vuoto, completamente altro, più ricco rispetto a certi elementi della povertà, della attuale situazione di homo sapiens.
Ci rivediamo l'uno giugno. Vi saluto.