12/5/94
VIII
SEMINARIO 1993-1994
Paolo
Ferrari: Allora, ci sono un po' di fatti da raccontare. Intanto, come
vedete, qui è entrato un altro pianoforte che mi permetterà
di suonare i raddoppi con Carlo da una posizione alla pari, non su una
Clavinova dal suono elettronico, anche se la Clavinova per tutti questi
mesi mi è servita molto perché all'inizio, siccome per me
il suono era assolutamente neutro, il timbro era assolutamente vuoto,
il suono era totalmente altro, il fatto che fosse un suono elettrico o
elettronico, un suono attraverso dei martelli, non aveva una grandissima
importanza per me, anzi il suono elettrico, elettronico mi interessava
molto perché era molto veloce e non passava attraverso dei fatti
meccanici, la trasmissione meccanica quali sono i martelli del pianoforte
normale. Ma giunto a questo punto i suoni stanno tornando fuori da un'altra
parte, stanno assumendo la loro fisicità, il loro valore timbrico,
le loro altezze, le loro pause, le relazioni tra suoni fanno delle frasi
che io colgo, anche se colgo su un altro piano, su un altro livello, in
un altro luogo, il quale come al solito è vuoto, assente, eccetera.
Dico che, come tutto quello che si sta svolgendo, è come stesse
ruotando, per cui a mano a mano raccolgo suoni, corpi, mondi, fisicità,
astrazioni, spiritualità, legami, affetti in una loro corporalità,
in una loro fisicizzazione che comunque è vuota, pur non essendo
più assente dell'Assenza perfetta e globale come prima si presentava.
Tutto questo si sta svolgendo, si sta sviluppando secondo un ritmo che
anche per me ha dell'impensabile, nel senso che segue un ritmo, segue
delle modalità, segue delle strade che dirigono questo stesso processo
in cui io sono presente, ma sono lo stesso assente, sono io, sono altro.
Mentre in precedenza esisteva soltanto questo ‘altro’, adesso questo ‘io’
sta scendendo, sta prendendo possesso di me, mentre una volta questo ‘io’
era presente e l'‘altro’ era appena accennato - chi segue l'andamento
dei gruppi di studio che ho tenuto in tutti questi anni può capire
bene l'iter che c'è stato, la trasformazione che è avvenuta
all'interno di questo pensiero, all'interno degli stessi soggetti che
hanno fatto parte di questo pensiero e di me soggetto che ho fatto parte
di questo pensiero e che produco e progetto questo pensiero.
Posso dire che questo pensiero, attualmente, questo esistere, questo morire
diventa sempre più completo di uomo, pur essendone astratto. E'
come se - come tante volte ho detto - questo luogo a un certo punto si
fosse fatto totalmente assente, totalmente deserto, totalmente altro,
ma di un'alterità, di un deserto - deserto è la parola sbagliata,
deserto nel senso di vuoto -, della totale Assenza che non è mai
stata conosciuta, non è mai esistita al mondo, non è mai
esistita sulla terra. Ho detto deserto e ho detto una grande sciocchezza
proprio perché questo luogo di cui io parlo è esattamente
il contrario di quello che è il deserto, di quello che è
la terra arida e vuota, quella terra arida e vuota che c'è all'inizio
della Genesi, prima che Iddio dica: 'Sia fatta la luce!'. Quel deserto
arido e vuoto è il deserto che c'è nella condizione umana
in generale.
A mano a mano che io vado avanti nella mia esperienza dell'Assenza, nella
mia esperienza poi come terapeuta, mi accorgo che più o meno in
tutti gli uomini che io curo, che ho curato - adesso saranno certamente
più di un centinaio, più di centoventi, centotrenta persone
-, alla fine, nel loro nucleo centrale, nel nucleo centrale degli uomini
mi sembra ci sia questo deserto, ci sia questo vuoto, quello che io ho
chiamato l'autismo, ci sia questa morte e, visto da questo punto di vista,
da questo osservatorio, tutto il mio lavoro, tutta l'attività dell'Assenza,
tutta l'attività anche della musica, della pittura, del pensiero
è fatta perché questo deserto scompaia, ma scompaia non
perché è giustapposta la luce. E qui io pongo un distinguo
- che sembra appunto un elemento di grandissima presunzione, ma lo affermo
lo stesso - rispetto a quello che è detto nella Bibbia, nella Genesi.
Faccio riferimento alla Genesi perché è uno dei testi fondamentali
dell'umanità, non dal punto di vista religioso, ma dal punto di
vista del concetto di uomo che poi è nato attraverso il Cristianesimo:
non mi importa l'aspetto religioso, mi importa l'aspetto dell'originare
dell'umanità.
Sembra che in questo originare l'umanità ci sia questo 'prima',
ci sia quest'atto di creazione del cielo e della terra, ma il cielo e
la terra erano deserti e vuoti e aridi, allora ci fu la luce e sembra
che questa luce vada a illuminare un qualche cosa che è deserto
e vuoto e arido, e che questa luce sia in un certo senso giustapposta,
ma che comunque la morte, l'aridità, il vuoto sottostanti, rimangano,
che una volta tolta la luce rimanga questo vuoto. Questo vuoto è
quello che io credo di incontrare nelle persone, soprattutto nelle persone
che io curo, ma non perché queste persone che curo abbiano delle
patologie speciali, ma perché al fondo dell'umano - perché
questo lo sento anche nei miei rapporti interpersonali al di fuori della
terapia - spesso trovo questo freddo, questo gelo, questo vuoto, questo
nulla, dalla parte opposta esattamente alla parte in cui io sono, dove
il nulla, dove il vuoto sono altro, sono la massima apertura che sia mai
esistita al mondo, il massimo livello di affettività, il linguaggio
più aperto, più sensibile, più libero.
Ora vi è stata distribuita una piccola parte - un capitolo - del
libro che scrissi dal '70 in poi, che pubblicai nel '78, che è
Paolo e il suo compagno senza morte, libro in cui io racconto questa
nuova storia, incomincio a raccontare questa nuova lingua, incomincio
a raccontare questa trasformazione di questo luogo arido, deserto, in
un altro luogo, in un luogo affettivo, in un luogo dove si possa parlare
una lingua diversa. Questa lingua diversa è quella che ho adoperato
per scrivere i miei Saggi dei quali è uscito l'ultimo, l'Interludio
dell'Assenza1 - e vi invito ad andarlo a prendere da Feltrinelli o
in via Carducci, sperando che sia già arrivato - in cui, come vi
ho già detto, articolo e racconto di questa nuova lingua, cioè
racconto di questa esperienza linguistica, come una lingua madre, una
nuova lingua madre, di questo aspetto anche giocoso di questa lingua,
questo ludus, questo luogo del gioco, dell'apertura, della libertà.
A proposito, l'altra sera avevamo suonato con Carlo la Sonata Astratta
N. 142 e l'ho raddoppiata; alla fine di questa Sonata quello
che avveniva spontaneamente, come osservazione mia e di Carlo, era il
fatto di questa libertà musicale, di questa totale libertà,
la quale libertà produceva una composizione, una libertà
compositiva, una libertà generatrice di qualche cosa, e quindi
questo concetto di libertà, di libero arbitrio, di possibilità
infinita che produce una composizione, una lingua, una forma, a differenza
di quella che è stata per esempio la musica la quale è inchiavardata
attraverso delle regole strettissime altrimenti, rotte queste regole,
la musica non esiste più, a meno di alcuni tentativi fatti nella
musica contemporanea che però io ritengo molto parziali, molto
frammentari, cioè non hanno dato una forma nuova.
Allora anche da questo punto di vista io dico che questo lavoro che sto
facendo, questo pensiero che sto producendo, questo lavoro adesso molto
concreto che si sta instaurando è fatto per dare una forma nuova,
la quale forma abbia al suo interno il massimo gradino di libertà
finora esistito. Una forma tale per cui il linguaggio, la parola, la relazione
fra la parola, la relazione fra concetti, la relazione fra note, la relazione
fra timbri, la relazione tra colori, tra linee, tra masse, tra corpi produca
una forma nuova e quindi produca un ente nuovo che sia un ente astratto,
il quale ente astratto sia al di là del ciclo di vita e di morte
così come è stato fino adesso.
E' perciò che io dico che i tentativi dell'arte contemporanea -
ad esempio in musica - o, in generale del superamento della forma, tranne
che in alcuni casi molto specifici, che mi sembrano molto casuali, non
hanno prodotto ancora nulla di nuovo, perché per produrre qualcosa
di nuovo, per produrre una forma nuova occorre il fatto che la forma antica
sia rotta, che l'io antico sia capace di rompersi, sia capace di essere
altro, ma senza scindersi sappia separarsi da sé, sappia morire
da sé, sappia separarsi dall'antico linguaggio animale, animale-umano,
e in questa separazione, e in questo dolore della separazione, in questa
perfetta gioia della separazione sappia produrre un ente nuovo, un ente
fisico nuovo, un ente capace di manifestarsi in quanto nuovo; ed è
il lavoro che sto facendo. Cioè, dopo tutta la fase teoretica,
assolutamente posta nel vuoto, in cui nulla si manifestava se non attraverso
delle mediazioni, ora è giunto il momento che io chiamo della parusia,
della manifestazione, quasi della concretizzazione dell'Assenza, l'Assenza
che si concretizza in corpi, in masse, in enti, in vuoti, in pieni, fatti
di altro linguaggio, comunque un linguaggio assente, cioè un linguaggio
che abbia al suo interno la possibilità di essere totalmente libero
senza essere casuale, di quel caso che è dell'antica specie, dell'antico
pensiero perchè non è capace di pensare in termini più
complessi.
In questi giorni è uscito anche Europa, o l'Assenza3 - non
è ancora distribuito nelle librerie; vi prego di leggerlo e di
farlo leggere - che credo sia il testo della più grande complessità
mai pensata, e nello stesso tempo è il testo che può produrre,
data questa complessità, una grandissima rivoluzione nel pensiero
e nei corpi, anche se è un testo che è stato scritto negli
alti campi dell'Assenza, negli alti vuoti, prima della manifestazione;
però la manifestazione è adesso nella sua scrittura attuale.
Se letto in un certo modo, compreso, nel senso di accettato, portato dentro
in un certo modo, questo produce una grandissima trasformazione nei primi
atti, nei primordi della formazione della struttura dei corpi, anticipa
la formazione della sessualità, anticipa la formazione del dato
di vita e di morte, si pone nel luogo della libertà, dell'affetto,
dell'affetto aperto del luogo assente che è comunque libero e ricco
della sua attività.
Come vedete ci sono una serie di fatti che stanno avvenendo, mentre io
credevo che sarebbero stati molto più diluiti nel tempo, ma credo
che sia frutto anche di questo lavoro che sto facendo, lavoro che voi
stessi state facendo, di questi nuclei profondi che si aprono, di questo
rapporto nuovo con le cose che si instaura, di questa musica che facciamo
insieme A proposito, il 28 di questo mese verrà pubblicata un'
intervista a me fatta su un giornalino di musica4, un giornale molto specifico,
non di grande diffusione ma di buono, ottimo livello nel campo musicale,
in campo culturale in generale, in cui è presentata attraverso
questa intervista la musica nuova, la Musica dell'Assenza. Nell'occasione
verranno posti alcuni dei miei dischi - adesso dovremo trovare la soluzione
del come - in alcuni negozi importanti di Milano, del centro di Milano.
E anche questo incomincia ad andare, cioè incomincia a svilupparsi
questo nuovo concetto della musica dell'Assenza, questa nuova parola nella
musica.
Come vedete è come se fosse questo campo che da astratto si astrae
e astraendosi diventa concreto. Sembra un giro, un paradosso, ma è
una cosa di cui io mi accorgo; mi accorgo quasi che, astraendo l'Assenza,
portandola su un livello ancora più alto forse, questa si concretizza
nei corpi, si concretizza nei fatti. E' come se un campo vuoto - ed è
veramente una cosa molto interessante - come se un campo vuoto, un campo
quindi vuoto estremamente astratto, quindi assolutamente di nulla, astraendo
ulteriormente, cioè diventando ancora nullo ulteriormente - ed
è quello che io chiamo il raddoppio -, questo girasse e diventasse
ente concreto, ente fisico quasi, ente corporeo, rimanendo nel campo del
nulla, campo del vuoto, cioè in quest'altro campo dell'osservazione.
Ora voi potrete dirmi:"Noi non abbiamo l'esperienza di questo, non sappiamo
che cosa voglia dire". Io dico soltanto che è un luogo che, come
ho detto, è differente completamente da qualsiasi altro luogo finora
esistito, e sta diventando un luogo fisico; è il luogo che è
l'opposto, esattamente l'opposto di quel luogo deserto e vacuo che c'è
in ognuno degli uomini e che c'è nella manifestazione prima della
schizofrenia.
Ora faccio questo rapido passaggio verso la schizofrenia, cioè
io dico che la specie attuale - come io ho detto già in un saggio
-, la specie attuale umana, dato questo vuoto, dato questo nulla, negativi,
ha continuamente un io frammentato, frammentario. Io mi accorgo che parlando
con gli altri non riescono a concepire l'intero, l'intero come lo concepisco
io, l'intero simultaneo su tanti livelli; non riescono a concepire il
nulla. Perché non si riesce a concepire il nulla? perché
per concepire il nulla occorre avere l'esperienza del vuoto, cioè
occorre il fatto che l'io impari a essere nulla di sé, impari a
sparire, impari a essere altro. Ora invece quella che è l'esperienza
umana normale è il fatto che l'io, invece di esserci, invece di
essere solido, essere compatto, compattato, reale, capace del rapporto...
del principio di realtà, quindi del principio di trasformazione,
quindi del principio di inclusione, l'io di solito è frammentato,
è frammentario, oppure si ritrae, oppure non c'è; l'uomo,
l'individuo, l'essere, la persona non è persona, è inesistente.
La mia esperienza più comune di tutti i giorni è il fatto
di sentire gli altri che non esistono, cioè come se fossero morti.
Ora qualcuno incomincia a essere meno zombi, incomincia a sentire che
incomincia a esistere, incominciano ad esserci delle esistenze; e questa
è la mia esperienza quotidiana. Le persone che stanno lavorando
con me nel loro campo affettivo, emozionale, sessuale, intellettuale incominciano
a essere meno larve, meno inesistenti. Dicevo una volta, quando mi occupavo
dell'attivazione, che incominciano a essere nati, a nascere, a produrre
i primi vagiti di nascita, con grandissime resistenze, con una lotta giornaliera
all'ultimo sangue; però [un'esistenza] incomincia a esserci. Questo
'incomincia a esserci' è la stessa cosa del fatto che questo poema,
di una complessità estrema, di un nulla totale, è stato
accettato, incomincia a esserci nel mondo, è stato scritto: sono
seimila versi che esistono nel mondo. Incomincia a esserci il fatto che
questi studiosi di musica con cui ho avuto l'intervista hanno prodotto
l'intervista giusta che incomincia a esserci; incominciano a esserci delle
forme di esistenza, di esistenza che dico che secondo me è l'esistenza
normale, non è neanche l'esistenza dell'attività pensante
altra, ma l'esistenza normale, più fondata. Io credo che quando
suono con una persona, sia attraverso il disco, sia attraverso il raddoppio
direttamente, questa persona nel momento stesso che sta suonando con me
incomincia a esserci; esserci vuol dire che fisicamente, sessualmente,
mentalmente, intellettualmente, se si porta su questo altro livello incomincia
a esserci, incomincia a esistere, esistere affettivamente, emozionalmente.
E questa è l'attività che va avanti, cioè io dico
- ed è quello che pensavo oggi - che non mi è concesso nulla,
non mi è perdonato nulla, cioè è un continuo fatto,
non è dato nulla per scontato, continua a essere pezzo per pezzo
continuamente dato, fatto e dato, fatto e dato. Adesso ho detto 'dato'
come se mi venisse dall'esterno ulteriormente perché è difficilissimo
per me attualmente pensare, dopo tutta questa trasformazione che c'è
stata, il fatto che questo intero, questo nuovo intero, questo corpo nuovo,
questa astrazione nuova, questa morte nuova, questa vita nuova siano dei
dati che io stesso compio; cioè, dopo essermi separato da me, ma
senza scindermi, essere stato altro da me, esser stato tutt'altro da me,
aver fondato un tutt'altro, ricomincio a voler essere me fondando me,
fondando questa possibilità del pensiero e dell'attività
dei corpi. Ma anche per me è difficile pensare che sia io a pensare
questo, ci sto arrivando in questo periodo. E' come se fossero due unità,
due interi, due universi interi, ripeto, senza che siano scissi, due universi
- mentre prima ne esisteva uno, se ne è liberato un altro - i quali
sono stati fino adesso simultanei, diventano uno e diventano un io uno,
un'altra volta, ovvero nuovo, ovvero altro - non lo conosco ancora perfettamente.
Vi anticipo che ci sarà l'inaugurazione, la presentazione di questo
libro di Europa, o l'Assenza il 9 giugno, qui al Centro, alle sette
- è un giovedì. Si terrà un dibattito e poi suoneremo
l'Introduzione all'Assenza, l'Ouverture a Europa e poi qualche
altro pezzo, e anche in questo caso sarà la presentazione della
musica dell'Assenza, diciamo, ad un pubblico anche esterno.
A mano a mano si aprono altri luoghi, altre questioni di cui vorrei parlare.
Ho fatto questo veloce excursus verso la schizofrenia perché, come
sapete, la schizofrenia è la malattia più grave che esista
dal punto di vista psicologico, psicobiologico, forse: è quando
l'io si frammenta totalmente, quando l'individuo non esiste più
totalmente, la persona non esiste, perde ogni contatto col mondo e quindi
è autistica. In un certo senso, io dico, ha accettato di essere
tale, ha accettato di discendere questo girone, questo abisso dell'inferno
perché in questo abisso c'è il dolore totale. A questo proposito
- e mi viene in mente anche perché leggevo ieri un articolo su
'La Repubblica' di Citati su un caso di una schizofrenica, un caso di
Binswanger, classico studioso della schizofrenia - vi ho distribuito questo
capitolo perché in questo capitolo racconto di un mio incontro
con una mia paziente schizofrenica, di una unità degli incontri
con una mia paziente che sto conducendo da quando era giovane, nell'arco
degli anni - una schizofrenia molto grave, con delle componenti oligofreniche,
cioè con delle componenti d'incapacità d'intendere, d'incapacità
anche di espressione linguistica, d'impossibilità di comunicazione
-, che sto conducendo attraverso un iter in cui questa persona sta diventando
persona, in cui io credo che questa persona stia incominciando a guarire,
ma guarire sul serio. Cioè, guarire: preso quel nucleo di cui sto
parlando, il deserto, vuoto, assoluto e inerme, essere toccato, essere
trasfigurato e diventare altro, diventare uomo ma, probabilmente, contemporaneamente,
oltre-uomo, in quanto nella relazione con l'Assenza, cioè già
con la relazione nuova; ed è quello che io faccio anche con gli
altri miei pazienti. Alcuni miei pazienti, alcuni studiosi anche che stanno
lavorando con me stanno guarendo sul serio, cioè io sto prendendo
il nucleo del loro deserto, della loro mancanza di esistenza, della loro
morte, della loro mancanza di fisicità, di altra fisicità,
e stanno guarendo sul serio. Io dico che la guarigione che conduco non
è mai stata condotta, è un altro luogo in cui c'è
questo luogo dell'Assenza, il luogo affettivo dell'Assenza in cui il deserto
diventa vuoto e diventa affettivo. Così i vari mezzi che io sto
mettendo al mondo, come la musica, voglio che servano perché il
deserto diventi affettivo, perché la musica serva a sanare, a guarire,
a produrre pensiero, a produrre affetto, a produrre intelletto, a produrre
il nuovo campo di realtà.
Il luogo della schizofrenia è il luogo totalmente gelato, è
il luogo dove non c'è nulla, dove c'è il deserto, dove c'è
l'inesistenza - così dicono. A mio avviso c'è comunque un'accettazione;
quello che ho scoperto, quello che io penso è che c'è un'accettazione
del fatto di questa tremenda scissione, cioè in un certo senso,
in alcune opere di certi artisti schizofrenici, in questa mia paziente
anche - ma non come artista, come essere umano - trovo talvolta dei luoghi,
delle identità quasi; o come anche in altri miei pazienti psicotici,
nei loro nuclei più tremendi della patologia psicofisica trovo
un'accettazione, trovo un'assunzione, trovo quello che dovrebbe essere
perché il mondo, il mondo psicofisico sia meno deserto. E' come
se la malattia avesse scavato dei canali, delle vie della terribilità,
dell'angoscia, e che quest'angoscia comunque sia stata dentro un corpo
e dentro una mente e, nello stare dentro questo corpo, questa mente, abbia
formato la possibilità di un luogo che non esiste al mondo perché
è stata all'interno, è stata totalmente chiusa all'interno,
ma in quanto angoscia totale è stata comunque accettata, è
stata comunque portata all'interno di un ente vivo, il quale non è
comunque deceduto.
Questo credo che sia in generale, cioè che in generale si possa
dire che quando l'alterazione, quando il cambiamento, quando la disgregazione
è veramente altra, è totalizzante, e sta dentro un corpo,
e riesce a starci, questa tocca, rompe quella forma dell'io di cui dicevo
prima, quella forma della storia dell'io, della storia parziale dell'io
e, se raccolta da un altro - in questo caso da me, in questo lavoro -,
raccolta chissà dove, questa possa essere frutto e produrre frutto
della grandissima intelligenza, del grandissimo affetto, dell'Assenza
vera e propria.
Il compito che io mi prefiggo, che sento, è quello proprio di produrre
questo cambiamento nei corpi, nelle menti - ma è un cambiamento
radicale, biologico -, nel dolore, il dolore dovrà essere altro,
non quell'elemento distruttivo, la morte dovrà essere altra, non
quell'elemento distruttivo; tutti questi elementi devono diventare altro,
cioè devono produrre la conoscenza o la coscienza di quello per
cui l'umano si è staccato dall'animale o sta tentando di staccarsi
realmente dall'animale, e queste lingue ch'io costruisco sono fatte per
questo.
[Paolo Ferrari legge le pagg. 93-95 del cap. XVIII del Libro blu5
]
“S'accendono speranze di nuovo frustrate.
"Ti senti morta?" "Che cazzo me ne frega, esser viva o esser morta" mi
rispose un attimo dopo che aveva accennato col capo all' esser morta,
mentre una gamba ondeggiava nell'aria, fino a coinvolgere il cervello,
il pensiero s'arresta nella parola, taccio, poi: "Vai sul lettino, se
sei stanca", si accuccia, il viso è bianco, sottilissimo, sta dormendo
e s'accendono speranze.
Seguire quella gamba che istruisce l'intera casa.
Provare ad essere morti, come quando s'ascolta il rumore di chi dice:
son pazzo, ma non lo sono, sono non normale, ma gli altri non escono dalle
loro case, e puoi variare tutto ciò che vuoi e le pareti s' oscurano
di segni sempre più fitti, come quegli sguardi e visi sottilissimi
che spremono sonno e arie come fantasmi per l'aria con i contorni del
giorno dove tremolava l'orizzonte. "Camminavi sull'orizzonte, tremolante,
camminare e sei tu", chi è che me lo ha detto, chi tace d'essere
figlio, chi è tanto dentro da poter non essere nato con sé,
è stato creato, ma non è nato. La gamba insegue il pensiero,
si muove e Rita dorme sul lettino affamata di sonno, profondo, vero, si
mostra il pensiero; che giace inerme e sottrae ogni idea di riferimento,
e io parlo, vorrei gridare ed essere.
S'agghiaccia il momento, e non posso di più.
Si scopre il passato, e vorrei che fosse morto. "Muori piano, piano",
figlio che sei nato, stai dormendo il sonno più profondo, e tace.
Hai piegato le ginocchia e la gamba è ferma, come un piccolo arco
tra te e la pancia e il viso muto di cera, copre gli occhi verdechiaro
e bianchi, solenni e in pace, il sonno profondo, la testa che cerca momenti
eterni che sperdono la luce, le gambe, il seno e le scarpe di corda, e
le piccole tracce, sei piegata e fermenti e odori di grano, e potresti
dire, e taci, sei figlio, perché parli, non sei nato, creato. Chi
è nato?
"Ti senti a casa tua?".
"Come?".
"Ti senti a casa tua?".
"Come?... Sì. Mi alzo".
"Se stai bene lì, stai pure".
"Sì", si sono allungate le mani e il sonno tace, è in pace
più in qua, fermenta il giallo, ma è ancora bianco, un figlio.
E' raro e assente.
Si tormenta la notte di varie contrade che tutte portano al vento.
Si dice ancora è dell'alto: volta all'interno gli occhi, e le pupille
sono scese all'interno la fronte, mutando il tempo che perdura più
eterno, capace di ogni colore, è istinto, è morto, non si
è più visto. Alzati, muoviti un poco.
Rita si è voltata, la schiena all'insù, la faccia vicino
al muro di separazione, è candido, lei candida con i blue-jeans,
blu azzurro e i piedi accavallati, mentre la gamba continua a dire, muovendo
il sole che non compare dietro la finestrella, buchi di rosa velato, segnano
penombra e cielo.
Ha alzato il capo, il pensiero segnato.
"Sto male, credetemi" pensiero detto passando per la stanza.
Si è alzato il capo.
"Ciao" le faccio con la mano.
Sorride. "Perché" dice.
"Perché sei qui con me".
"Sì, lo sono e mi fa male un dente".
Si è fermata, posso andare, è andata, cadevano i soliti
frangenti, ma ora di pensiero, tra il pensato e quel figlio che vuol essere
nato, di più, non già creato, assente il pensiero, ridente
"ciao" si è modificato, più completo, "quando sono guarita
mi voglio riposare". E' sano, è piangente, la morte è passata?
No, ma sorride anche e fa male il dente, da ieri, in questo punto mi ha
indicato. E' entrato il messo del cielo, è più sereno. E
lei se ne è andata, creando nuove parole, che impediscano la morte,
profondo il sonno. Avremmo preferito qualcos'altro, ma il mondo è
piccolo, ed anche saccente, potresti di più; e inutilmente, ma
si spera, è andata e si ricorda di foglie, messe davanti le cose,
una foglia è la vita, sta dicendo lei, la fanciulla dal viso bianco
e sottilissimo, senza più segni di uno sfregio iniziale, si è
un poco intenerita, ma è figlia... la figlia di questo padre6 ,
e la madre, un pensiero, anche se vicino. E' tutto solamente coperto,
matto son nato, nati, e coperto e foglie madri, di nuovo foglie e foglie
il sesso è coperto, matti si sente da dietro una voce, che cade
all'inizio, prima che nasca, foglie, padre, madre, che cade sta per un
piccolo essere di essere di... essere vita magari, non so morte, vicino
e stupendo è il grigio paradiso, matto si è tolto di mezzo,
il viso sottile, le orbite di chiaro, verde appena allungato, si sono
marcate, e credono e hanno sperato.
Madre e Padre.
Capaci, di un figlio che è nato, senz'essere, figlio, senz'essere
figlio, quello.
E ragione, abbiamo visto, incompiuto.
Figlio, è incompiuto il mare che grande intorno. E' viso, ammalato.
S'è incompiuto. Margini. Rita.
Non è ancora tempo. Non figlio. Non niente, s'è separato,
e abbiamo guardato, a vista, e c'era niente, nuvole, ragioni, niente,
capaci. Non ancora, non figlio, non nato. S'è chiuso e la gamba
è rimasta, muovendo assente come l'aria di questa, che è
la nostra casa.
Non ancora tutta purtroppo.”.
Ora leggendo questo succedono dei fenomeni molto particolari perché
io rivivo tutta la terapia, tutta la scena, tutto il rapporto. Lo leggo
anche perché Rita guarisca più facilmente. Ma mentre lo
leggo e mentre questa lingua passa negli altri e passa intorno a me, ritorna
in maniera molto particolare, per cui io vivo un'assenza di lingua; infatti
sento, ho sentito per un attimo un dolore molto forte, come un'assenza
dell'essere esistente nella fisicità compenetrata dei corpi attualmente
esistenti, e son stato di nuovo altro, svuotato di me; come un'assenza
vuota, un'assenza vuota che è un'altra ulteriore questione, che
è un'assenza di un... che è stato l'origine, che è
stato l'inizio per cui io ho incominciato a capire, capire tutta questa
faccenda, capire cosa significasse essere in una fisicità assente,
una fisicità che muore, che diventa altro e che accetta di essere
questo luogo del nulla, questo luogo della totale mancanza di sé,
dell'io, che potrebbe essere il luogo del totale dolore, della totale
morte, della totale schizofrenia, del totale nulla e assumerselo e capire
che questo non è estraneo, non è un corpo estraneo, ma è
un corpo che entra, è un corpo altro che entra, è una lingua
nuova, è una lingua madre, di altra madre che entra. Comprendere
il fatto che questa lingua che ho scritto - che è una traduzione
-, tutte queste lingue, questa alterità, che questa schizofrenia,
che questo annullamento possono stare nel mondo; cioè nulla è
escluso, per il principio d'inclusione che ho scoperto dopo; che la morte
non è esclusa, che la morte è assunta e in questo modo è
astratta, che la morte cede di fronte a questa lingua. E a mano a mano
racconterò, e vi racconterò, tutti questi passaggi e la
storia di questi passaggi per cui ho incominciato a comprendere, ho incominciato
a far mio quello che è questa storia immensa, questa modificazione
dei corpi, questa modificazione del pensiero e degli affetti e questa
possibilità di curare la grande patologia umana e di produrre una
modificazione di quelle che sono le radici del dolore e dell'angoscia
umana, ma non son soltanto l'angoscia psicologica, ma l'angoscia psicobiologica,
la vecchiaia, la malattia, la paura.
Carlo, suoniamo un po'?
Paolo Ferrari: Questa è la Sonata Astratta? la 14?
Carlo Balzaretti: E' la 13: l'ultima che abbiamo fatto,
la N. 13. la 14 è ancora da...
[Paolo Ferrari, suonando al pianoforte, raddoppia Carlo Balzaretti che
esegue al pianoforte la Sonata Astratta N. 13. Durata 8' 45 "]
Carlo Balzaretti: E' tutta un'altra cosa.
Paolo Ferrari: Diversissima dall'altra volta.
Carlo Balzaretti: Ero assolutamente sconvolto.
Paolo Ferrari: Per quello che mi viene in mente la 14.
Carlo Balzaretti: Ero assolutamente sconvolto, giuro, ero sconvolto
nel senso che era completamente... veramente sono... completamente diverso.
Ero letteramente sconvolto, ma anche positivamente, ero preso veramente,
mi sono trovato tutta una serie di correlazioni diverse, non so come mai.
Paolo Ferrari: Infatti l'hai suonata completamente diversa dall'altra
volta.
Carlo Balzaretti: Sì, questo senz'altro. Anche il rapporto
era completamente diverso.
Paolo Ferrari: Per quello che, appunto, mi sembrava che tu dovessi
eseguire un'altra Sonata!
Carlo Balzaretti: No, no, era questa, sono sicuro di quello che
dico; me ne sono poi ricordato dai finali, da tutte le varie cose, le
diciture, i disegni che avevo fatto, ma al momento proprio mi sembrava
completamente diversa, anche dall'accordo iniziale, perché non
è che siano molti quando poi si è... si fa fatica a memorizzare
tutti gli elementi, ma era questa. Ma è pazzesca la differenza,
è una cosa da rimanere così. E' venuto poi un dialogo denso,
molto più denso dell'altra volta, che notavo, non so se sei d'accordo.
Estremamente più denso. Forse c'erano più elementi in gioco,
non lo so.
Paolo Ferrari: No, non credo fosse più denso, è che
c'era in gioco una densità molto maggiore. L'altra volta abbiamo
suonato da soli, e quindi da soli c'era come un luogo probabilmente più
vuoto, meno elementi erano entrati in gioco, come tu dici; bisognerà
analizzarlo, comunque c'era... l'altra volta mi ricordavo delle maggiori
dissonanze che adesso non c'erano, o che c'erano molto meno.
Carlo Balzaretti: Non lo so; era diverso, completamente diverso,
ma anche la tua parte pianistica, più dissonante stavolta, quasi,
nel risultato complessivo, almeno in questa parte.
Paolo Ferrari: Come se io seguissi... ma perché quello che
un'altra volta succede è il fatto che... io per esempio ho letto
queste due pagine di questo libro, ma per me erano un'altra cosa rispetto
al fatto che le avrò lette almeno una decina di volte, le ho composte
io, ma continuano a modificarsi; come questo elemento così continuamente
cangiante del fatto che appunto stasera erano in gioco tutti questi altri
livelli per cui questa musica si è adeguata, è entrata nella
relazione con questi altri livelli pur essendo stata scritta, strutturata
in quel determinato modo.
Carlo Balzartetti: D'altronde questo avviene già con i brani
musicali, a distanza di tempo però; qui forse sono talmente tanti
gli elementi e la complessità che lo sbalzo... forse perché
ho avuto a che fare con i Pezzi per la Gioventù questa settimana,
per cui può darsi che mi sia scappato qualche cosa venendo; ho
lavorato molto per l'impaginazione, per cui ho avuto un attimo di sorpresa,
anche. Infatti il raddoppio è molto diverso.
Paolo Ferrari: Ah, sì, questo è completamente diverso.
Carlo Balzaretti : Come tempo di esecuzione penso che eravamo lì:
non era né più lento né più veloce. Certo
che l'effetto nell'ascoltare questi due strumenti insieme è molto
più interessante che avere un pianoforte e una Clavinova; c'è
un abisso penso; non so per le persone in sala stasera... rispetto alle
altre volte si era veramente immersi in una sonorità che girava
continuamente, che si fondeva. Questo era molto interessante.
Paolo Ferrari: Va bene. Allora, ci vediamo il 9 per l'inaugurazione,
e poi faremo l'ultimo Seminario la settimana dopo, il 16.
Arrivederci.
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