20/2/94

V SEMINARIO 1993-1994

Paolo Ferrari: Voglio affrontare stasera un tema di grande difficoltà teoretica ed esperienziale. Il processo qui condotto, tramite anche l'ultimo saggio pubblicato, mi sta conducendo verso luoghi inabitati, inabitati dal punto di vista della razionalità e dal punto di vista dell'affetto consueti. Ogni tanto penso e ripenso a quello che in questi anni ho espresso e abbiamo insieme espresso - i linguaggi nuovi, le vie insolite, le astrazioni più vuote nel senso di più cave - e mi viene in mente, come ad esempio stasera prima del Seminario, il fatto di come questa dimensione che stiamo esplorando sia in certi momenti così dissimile dalla totalità del pensiero umano attualmente in atto, in altri momenti sia invece così prossima; come il pensiero umano e la vita umana si fondino tuttora su oggetti concreti, in cui le idee stesse sono oggetti concreti, fardelli pesanti che la specie si porta appresso non sapendo andare oltre questa condizione di oggetto della realtà; tutt'al più, talvolta, la specie umana arretra, per cui tutto quanto diventa soggettivo, incapace di una parola razionale, incapace di un'oggettività e di un'astrazione sufficienti perché la realtà abbia un adempimento, un suo statuto, una sua condizione di maggiore verità rispetto al fatto di una realtà quando questa è frutto della soggettività, frutto del pensiero infantile della specie umana.
Io parlo di realtà, ma vorrei parlare in generale di tutte le cose, di tutte le cose vuote, di tutte le cose che si sono fatte assenti, di tutto l'intero universo più grande dell'universo, di quanto esso è, di quanto esso si mostra. A poco a poco codesto pensiero di cui mi occupo diventa più concreto, anch'esso in un certo senso più oggetto senza essere oggetto, ma essendo totalmente oggettivo.
Mi rendo conto o esploro, investigo la grande differenza che c'è tra un soggetto che si porta appresso di sé e dentro di sé i suoi blocchi, le sue paure, le sue condizioni di nevrosi - facendo io il medico della nevrosi o il medico della sanità - e come rispetto alla nevrosi, che è un luogo di fissità, l'astrazione di cui io parlo, che è un luogo privo di radice - nel senso di chiusura all'interno di un luogo - siano questi mondi totalmente differenti.
Ora in generale, come Freud diceva, tutti gli uomini sono nevrotici, cioè tutti gli uomini hanno delle fissità che si sono formate durante l'ontogenesi, cioè durante lo sviluppo del bambino nelle sue varie fasi per diventare adulto. L'esistenza di questi blocchi totale o parziale fa sì che gli uomini siano comunque fissi, che la specie umana sia malata di fissità, cioè che intorno a determinati punti, a determinati luoghi, a determinate condizioni della propria memoria, intorno a queste e dentro queste si blocchi e non proceda; e spesso il procedere avvenga alla periferia del pensiero umano oppure come elementi sovrapposti a uno stato interiore incistato, in cui esiste e insiste la nevrosi o il delirio. La condizione di cui parlo dell'Assenza è totalmente differente da questo, è l'elemento totalmente opposto: se in un certo senso si dice che l'Assenza, la condizione del niente, è differente dal pensiero più ampio che la specie umana ponga, perché comunque la specie umana pensa in termini di concretezza, in termini di idea che è comunque un ente, che è anziché non essere, il pensiero di cui io mi occupo, di cui noi ci occupiamo non solo ha la differenza grandissima rispetto alla nevrosi o rispetto a una condizione di malattia psicologica o anche biologica, in quanto essa fissità, ma anche grande differenza dalla condizione generale del pensiero umano, come spesso abbiamo detto.
Ora, nell'ultimo saggio che é stato pubblicato circa questa condizione dell'Assenza, in cui vengono poste alcune basi relative a nuove condizioni, vengono prese in considerazione nuove possibilità di stati dell'essere, dell'essere umano, viene presa in considerazione da qualche parte, in qualche modo, la complessità del soma e della psiche, della mente e del corpo e all'interno di questa problematica incomincia a essere sfiorata la problematica di quello che io ho chiamato la 'condizione di morte' o lo 'stato di morte'.
Come più volte ho accennato, sembra essere che la condizione di morte, che è quella condizione per cui la natura biologica ha imparato a cessare almeno su un piano, sia la condizione - ed è la mia ipotesi, il mio tema - per cui è proceduto l'atto evolutivo fino a comporre lo stato del pensiero. Cioè, ciò che è cessazione, ciò che è apprendimento della fase discendente, ciò che è apprendimento del nulla è anche apprendimento di quello che sarà il livello della verbalizzazione astratta e quindi anche della condizione della relazione affettiva astratta che à tipica della specie umana. Ovviamente, o non ovviamente, quando io parlo di astrazione non intendo solamente quello che si intende come processo di concettualizzazione, come processo per cui attraverso una sola parola, attraverso un unico ente si riesce a nominare l'insieme degli enti appartenenti alla categoria dell'ente di cui sto parlando. Classico esempio: se io dico albero, il concetto di albero è comunque un'astrazione rispetto alla situazione concreta degli alberi, della condizione concreta materiale dell'essere albero; se io dico albero per tutti è noto che cosa sia questo ente che io nomino e non c'è bisogno di dire che l'albero ha le radici, che ha un tronco, che ha delle foglie, che ha dei rami, ma intendono un universale in questo modo; e cioè in un certo senso faccio una sintesi, tolgo tutti gli elementi in più che definiscono la differenza tra i diversi alberi, i diversi luoghi dove potrebbero nascere gli alberi, il tempo diverso in cui un albero potrebbe essere seminato, la sua crescita, tolgo tutte queste condizioni e con un'unica parola intendo e definisco e comunico una certa cosa sulla quale abbiamo un intendimento comune.
Ora, di solito nella scienza occidentale che è nata attraverso il processo di astrazione - se non ci fosse stata l'astrazione, cioè questa possibilità di sintesi, questa possibilità di svuotamento dell'oggetto concreto -, dicevo nella scienza occidentale o nella scienza, diciamo in generale, anche nel linguaggio, nella lingua della scienza occidentale o nella lingua anche della filosofia, delle discipline logiche, l'astrazione è stato un elemento fondamentale di sviluppo, così come nelle specie l'unica specie che ha il linguaggio astratto è la specie umana. Tuttavia è successo che questo ente di enorme importanza per lo sviluppo, di cui una delle massime esplicazioni (di concetto astratto) è il concetto matematico o il concetto geometrico, nella logica occidentale è successo che questa astrazione non portasse un gran che di cambiamento nella radice della specie. Cioè c'è stato sì uno sviluppo grande, storico, attraverso il metodo scientifico, attraverso il metodo filosofico, attraverso la definizione e la scoperta di enti quale l'essere parmenideo, il pilastro del pensiero occidentale; c'è stata sì la scoperta della scienza sperimentale, della scienza statistica; però tutto questo che basi ha portato da un punto di vista dello sviluppo sociale, affettivo, diciamo più umano generale? Forse tanto, dal punto di vista del fatto che la tecnologia, l'arte della scienza, l'arte applicata ha prodotto movimento, ha prodotto benessere, ha prodotto, in alcuni casi almeno, una minor minaccia della morte biologica con la sconfitta delle malattie epidemiche; però, a fondo, circa quello che è l'affetto, lo scambio dell'affetto profondo e astratto, astratto nel senso nuovo di cui mi sto servendo, che cosa ha portato? Forse non tanto: nel senso che un discorso scientifico spesso si chiude su se stesso, spesso è un discorso che non apre nuovi linguaggi all'interno di un ente psicobiologico complesso, porta avanti alcuni temi, ma il soggetto umano che è relativo a questi temi non si sente migliorato o compiuto, nel momento stesso in cui si immette nella relazione con questi temi.
Ciò che intendo fare è che i miei temi scientifici invece comportino, ovvero portino in sé, un'astrazione e cioè una capacità di sintesi del pensiero, di pensiero che si fa cavo per contenere l'oggetto astratto, l'oggetto scientifico, tale per cui questo oggetto è comunque elemento di modificazione nel momento stesso in cui entra nel rapporto, nell'impatto, nella relazione con chi è usufruitore di questo oggetto. Cioè: se io scrivo di un alcunché, se io faccio un saggio, se io parlo di un qualche cosa come questa sera, questo deve entrare in una relazione affettiva compiuta o sufficientemente compiuta con chi ascolta, con i suoi processi inconsci o consci, con le sue condizioni di fissità o meno nell'inconscio suo, nelle sue condizioni di apertura di luogo non scritto, dei pezzi della vita dove la vita o la morte non hanno ancora scritto le loro tracce; e perciò il mio discorso deve essere capace di questa 'astrazione assente'- come io la chiamo - in cui l'astrazione è, nel mio linguaggio, la capacità di togliere, di cavare, di incavare, di estrarre qualche cosa e di far sì che l'ente, oggetto psicobiologico, sia capace nel rapporto con questo, nel relazionarsi con questo di diventare più vuoto e cioè capace di accogliere, capace di un nuovo linguaggio a sua volta astratto e affettivo. Nel mio linguaggio, nel mio intendimento, nella mia comunicazione, nella mia condizione di vuoto e di assenza significa il fare cava la relazione, vuota la relazione, non del vuoto conosciuto dalla specie umana, non il vuoto passivo, bensì del vuoto attivo che questa astrazione compie, e altro.
Ora, quello che io volevo ulteriormente produrre erano delle considerazioni relative all'altra parte di quanto noi siamo abituati a pensare; e cioè da questa condizione dell'assenza, della relazione per distacco all'infinito - come spesso l'ho definita - il cavare, ma cavare da luoghi ancora più impervi, il cavare dai luoghi dove di solito c'è il nulla, il nulla passivo che è quel nulla che ognuno di voi di solito pensa o immagina pensando a quanto non c'è, pensando all'ignoto o pensando alla morte.
Dicevo la volta scorsa e dicevo nel saggio quanto il problema fosse, nello sviluppo psicobiologico, il fatto che il corpo, l'ente biologico umano o l'ente biologico in generale o l'ente concreto in generale, cioè l'ente universo concreto dovesse incavarsi, dovesse produrre una curva
* in cui il procedimento del pensiero, l'attività del pensare potesse essere immessa e come il pensare mancasse di un luogo accettabile nella realtà attuale, in quanto la specie biologica umana è ancora compattata di una struttura biologica, di una struttura somatica che tende a occupare tutto lo spazio; e come lo sviluppo nelle varie fasi evolutive della specie o delle specie si fosse quasi dimenticato il fatto che la cosa importante era che la struttura, che l'ente, che la condizione, lo stato concreto, di concretezza dell'ente materiale dovesse abbassarsi, dovesse svuotarsi per contenere quello che era una nuova attività o una nuova passività che stava entrando nella storia biologica. E' come se il cervello si fosse sviluppato grandemente, grandissimamente, avesse inventato quello che ha inventato come l'attività astratta, il linguaggio astratto, il linguaggio affettivo astratto in un certo senso, che è un passaggio ulteriore, ma non avesse incavato nulla, cioè l'elemento somatico fosse rimasto tale e quale o pressoché tale e quale, uguale a come era in precedenza; e come del singolo uomo il cervello si sia sviluppato, abbia sviluppato i milioni di neuroni, i miliardi di neuroni che ha, le infinite relazioni nella sua struttura encefalica, ma come tutto questo non avesse ancora un luogo dove stare e come tutto ciò in qualche modo producesse, da quello che io ho come esperienza quotidiana del mio lavoro di medico, il fatto che la nevrosi che è il luogo della fissità o la psicosi che è il luogo della fissità in più in cui il tessuto della fissità è pure sfilacciato, è pure completamente alterato, fossero in un certo senso facilitate da questa incapacità del soma di tirasi indietro, incapacità della materia di farsi più astratta, di farsi più relativa, di farsi più relativa all'attività pensante, diciamo, a psykhé, all'anima, alla psiche, l'incapacità del soma a farsi vuoto, farsi assente.
Quello che c'è da aggiungere a tutto questo è un ulteriore campo che io sto incominciando a esplorare e cioè il fatto che il soma per farsi assente che cosa dovrebbe fare per diventare di meno, per togliersi dai piedi? Il soma, ma anche la materia in generale, chiamiamola così - diamo questi schemi, anche se mi rendo conto che è una strutturazione schematica, ma tanto per esplicare -, la materia biologica, la struttura in generale concreta dovrebbe accettare di morire o almeno delle parti di se stessa, dei campi di se stessa, delle condizioni di sé, delle stratificazioni di sé dovrebbero accettare di morire, cioè di farsi meno, cioè dovrebbe accettare di sottrarsi - il sottrarsi nella struttura biologica significa il morire, nella struttura delle cose significa il finire, significa il cessare.
Quello che sto esplorando è che questo morire o questo cessare, questo finire sono di una specie speciale: cioè non basta il morire, non basta il cessare, quello che è noto a tutti per cui l'attività biologica, l'attività pensante a un certo punto cessa, e questo cessare non produce di per se stesso la coscienza, la consapevolezza, il vuoto, lo svuotarsi della materia, il formarsi di un nulla; eppure il morire è in un certo senso molto vicino, tende a essere nulla ma non è certamente nulla, il morire è soltanto una cessazione parziale di una certa attività, ma non è certamente un nulla, non è certamente quel nulla vuoto di cui stiamo parlando da diverso tempo, quel nulla astratto, è un nulla ancora concreto, è un nulla fasullo, è una finzione di nulla. Occorre che il morire, occorre che il cessare sia capace di costruire, di andare verso una condizione di nulla, il quale nulla abbia al suo interno quello che noi abbiamo chiamato consapevolezza, la consapevolezza del nulla, cioè il nulla consapevole, che è una categoria che fa parte della struttura umana, è la consapevolezza. Il nulla consapevole non è categoria, il nulla consapevole non esiste. L'individuo che si avvicinasse al nulla, in quanto nulla, proprio per sua definizione, per suo concetto, non è consapevole perché perde la consapevolezza, perché muore, perché non è. Però fra i due elementi - quello che io sto indagando e stiamo indagando insieme anche - c'è una relazione: tra l'elemento della consapevolezza e l'elemento del nulla c'è una relazione la quale relazione è una relazione analoga al morire consapevole, al non essere consapevole. Questo non essere consapevole e ciò che scaverebbe il piano del soma, capace di produrre un nuovo ente, cioè la nuova assenza, il nuovo livello di astrazione, perché il nulla consapevole - per una serie di fatti che adesso non andiamo a indagare - è una condizione capace di porre relazione, capace in continuazione di porre relazione e porre una relazione affettiva astratta.
Questo è il tema del prossimo saggio, del saggio che ho incominciato a trattare e come vedete è una problematica di enorme complessità, perché incomincia a trattare il morire, a trattare il cessare, a trattare il finire, a trattare questo ente che è stato il terrore umano, come una condizione che si deve prendere e che si deve in un certo senso rendere consapevole, rendere attiva, attivare - ed è questa una delle condizioni che avevo scoperto, che avevo posto anni fa. E cioè significa che tutto quello che è occupato da questo non cessare o da questo morire o da questa materia che si è resa inerte, che è passiva nella sua condizione dell'essere morta, dell'essere una sostanza somatica morta, è ciò che deve avvenire come fatto che lascia spazio: cioè, ognuno di voi è un ente concreto biologico, psicobiologico, ma nel quale la condizione di morte, la condizione di distacco, di passività, di inerzia, di non vita, di non vita consapevole, occupa quasi interamente lo spazio e cioè impedisce all'attività pensante, all'attività cosciente di scendere, di incavarsi, di produrre qualche cosa e di produrre relazione, capacità di relazione.
Il problema che ho, il problema che sto vedendo, il problema che è stato il tema dei lunghi anni della mia attività clinica, è il fatto di come questo stato di morte, questo che io chiamo 'lo stato di morte', che poi è analogo probabilmente allo stato di morte che c'è al momento della morte biologica, almeno su uno dei livelli delle stratificazioni dell'ente psicobiologico, questo cessi e cioè che questo stato di morte la smetta di ingombrare completamente il terreno, la smetta di ingombrare il terreno facilitando i meccanismi di nevrosi, i meccanismi di fissità. Se questo elemento, questa morte che ingombra l'essere biologico pensante, l'essere umano pensante viene meno, incomincia a venire meno, è molto minore la passività dovuta alla fissità nevrotica, al pensiero nevrotico: allora si libererebbero degli spazi molto più grandi, e si dicono degli spazi molto più grandi, in cui l'attività pensante può scendere e tutto ciò che si è creato dal punto di vista biologico, dal punto di vista della strutturazione nervosa complessa può diventare psicologico, può diventare psichico e non soltanto più un ente concreto che continui a mandare impulsi.
Giunti a questo punto voglio fare un collegamento, perché questo è il tema prossimo venturo, il tema che io sto imparando ad attraversare. Il saggio che mi sto apprestando a scavare, a dedurre, a scavare dentro la materia biologica, dentro alla struttura somatica generale, dovrebbe avere il titolo di 'Astrarre la morte',
* il che vuol dire incavare, il che vuol dire svuotare, il che vuol dire portarla su un altro livello, relativa a comporre la musica.
Abbiamo fatto un po' tardi. In sintesi, e poi vorrei suonare, comporre la musica, suonare insieme al Carlo Balzaretti.
Questo in sintesi significa che la musica che avete incominciato ad ascoltare, che abbiamo fatto nelle puntate precedenti, è una musica astratta: e cioè la musica che io compongo o che si relaziona attraverso la composizione con i processi di pensiero consueti, cioè nell'ascoltatore, produce quell'ente o quel luogo, quell'assenza di cui parliamo, è capace, è in grado di incavare o di scavare, di scavare il morire, di incavare, di scavare il soma, la tendenza che ha il soma di occupare tutto lo spazio ed è capace di produrre quell'attività pensante più astratta. Cioè, si potrebbe fare questo tipo di equivalenza: ciò che è più contrario alla vita, alla vita in termini generali, in termini biologici, in termini psicobiologici, in termini spirituali, in termini affettivi, ciò che noi andiamo a incavare o a scavare, è quello che si oppone a questa condizione della vita che è la condizione della morte. Questa musica che viene ascoltata, questa musica che io compongo, che è capace di questa nuova relazione, si pone in un luogo che è assente, come abbiamo già visto. Il luogo che è assente, in quanto assente, in quanto non occupato per il momento da alcuna condizione somatica o in generale somatica - io intendo la generalità dei comportamenti concreti, dell'attività pensante concreta, concreta e astratta per quella che è stata fino adesso -, poiché la musica, poiché la notazione, poiché l'intervallo con le note si pone al di fuori del luogo dove di solito è posta la struttura musicale consueta, che sia quella della musica colta, che sia quella della musica leggera, che sia quella della musica folkloristica, poiché si pone - e questo è un elemento assiomatico che io pongo in questo momento - al di fuori della condizione, delle relazioni per cui la musica è ascoltata e produce il linguaggio, poiché si pone in un linguaggio e pone un linguaggio differente dalle condizioni finora note, questa musica produce un luogo linguistico, un luogo affettivo, un luogo emozionale, un luogo delle relazioni, un luogo della scienza capace di produrre un alcunché che è diverso dal ciclo vita-morte consueti.
Quello che noi vediamo e quello che io sto cercando di scrivere adesso circa questa musica è il perché e come si ponga al di fuori di questa relazione conosciuta in cui le note si pongono in una certa distanza, in un certo intervallo, in cui le pause hanno anch'esse un certo tipo d'intervallo, hanno un certo tipo di relazione, in cui il tempo è scandito in un certo modo, in cui ci sono delle regole o del contrappunto o dell'armonia secondo determinate strutture ben definite, ma anche la musica contemporanea oppure la musica elettronica, la musica concreta, la musica dodecafonica; ognuno di questi enti è comunque fissato dentro un luogo in cui il ciclo di vita e di morte è dato, in cui la struttura psicobiologica non è diversa da sé, da quando la storia ha incominciato a pensare. Questa musica come i linguaggi che sto ponendo, come i saggi che sto scrivendo, come il poema
* che ho scritto, di prossima pubblicazione, si pone un luogo nuovo; e poiché questo luogo nuovo è un luogo non noto, un luogo dove la struttura psicobiologica, la struttura delle cose non ha posto ancora piede, questa musica si pone nel luogo in cui diventa capace di astrarre la passività del morire, la passività della nevrosi, la passività della malattia in generale, la passività delle specie biologica umana in generale.
Relativamente a questa musica avrei tante cose da dire che sto incominciando a scrivere circa, per esempio, il suo disporsi nel tempo, il suo linguaggio temporale, la sua dimensione temporale, la sua dimensione chiamiamola 'ritmica', ma che non è ritmica, che è aritmica, che spezza il tempo in continuazione senza dover porre per forza di cose un tempo spezzato, ma lasciando in sospeso il tempo, non concretizzando il tempo, lasciando il tempo come tensione interiore, come tensione dell'affetto mentale corporeo. Ed è per tutto questo e per tantissime altre cose che ho posto questa equivalenza tra l'astrarre la morte, l'astrarre il morire, l'astrarre la cessazione, il finire o il nulla passivo e l'astrarre la musica, tant'è che ho chiamato la musica che adesso suoneremo Sonata Astratta, cioè una sonata la quale anche qui il senso di astratto non significa privo di emozionalità, privo di affetto, privo di concretezza, ma significa che tutte questi enti, queste connotazioni della materia sonora sono state prese, sono state sussunte, sono state portate in un altrove dove si sono spogliate della loro immediatezza, della loro colorazione immediata, della loro scansione immediata e hanno assunto quella capacità di astrarre all'interno di chi è capace di ascoltare e di porvi il pensiero all'interno di un soma che diventa meno fisso, meno scavato o meglio, meno fisso e che produce un escavazione, una sua assenza maggiore.
Adesso facciamo il raddoppio. Ci sono due modalità, cioè Carlo potrebbe suonare la Sonata astratta n° 9, oppure si potrebbe suonare insieme ed io raddoppiare questa sonata, in cui nel raddoppio c'è ulteriormente astrazione dell'astrazione della Sonata 9 in cui la sua dimensione temporale diventa ulteriormente sospesa, ulteriormente mancante del ritmo ciclico in cui di solito è scandito lo spazio del tempo della vita e della morte della condizione psicobiologica umana.
(Paolo Ferrari esegue simultaneamente il raddoppio della Sonata astratta n° 9 interpretata da Carlo Balzaretti - durata di circa 7 minuti)
Questa era il raddoppio della Sonata astratta n° 9.
Come voi ben sapete, come ho spiegato altre volte, ciò significava il fatto che io suonavo simultaneamente a questa sonata, a Carlo che suonava, all'interprete che suonava, non avendo mai provato a suonare insieme questa sonata, ogni volta modificata nel suo raddoppio, nella sua nuova composizione, nella sua nuova conduzione, nella sua nuova temporalità, nella sua nuova condizione spazio-temporale, nel suo linguaggio astratto, affettivo. Questa Sonata astratta significa quello che ho cercato di dire a parole, che cosa significa astrarre il cessare, il morire, che cosa significa produrre incavo dove le cose agiscono nel senso tattile invece di essere capaci di nulla. Mi sono accorto durante l'esposizione verso la fine quanto fosse difficile procedere insieme con voi, di come la stanchezza psicobiologica, come la tattilità tendesse a tornare, come la psicofisicità tendesse a destrutturare i corpi o lasciarli inerti, a produrre morte al posto di assenza, e quindi come il processo fosse rallentato, come questo cessare, come questo scavare il cessare, il condurre il cessare ad essere veramente cessante fosse difficile, come la stanchezza fosse un ente che tende a occupare, a ingombrare; come anche l'anima, quell'anima pensata dagli umani, l'anima cristiana o l'anima Aristotelica fosse comunque elemento occupante o occupato, occupabile. La Sonata Astratta è servita almeno per una parte a produrre di nuovo questa anima sgombra o questo ente psicobiologico sgombro, non fisso, a sradicare di nuovo o poter produrre di nuovo questo sradicamento e questo comporre musica in quanto la musica in quell'istante si componeva; nel mentre suonavamo la musica era componibile, era composta ed era astratta.
Di tutto questo mi piacerà, se sarà possibile, verso gli ultimi seminari poter discutere con voi. Adesso ho voluto portare avanti i temi, perché i temi mi sembrano di grosso interesse, di grosso anche fascino intellettuale, affettivo, e mi dispiace lasciarli lì, mi piace portarli avanti insieme con le vostre condizioni di enti psicobiologici, affettivi, capaci di scavarsi, capaci di diventare assenti. Mi piacerà discutere come questa musica si compone e perché si compone simultaneamente e come si astrae simultaneamente, e come rimane niente, e come questa musica che adesso si è fatta è cessata. Nessuno di voi potrà ricordare alcunché di questo elemento musicale, data la complessità della struttura delle note, delle annotazioni, degli intervalli, del tempo interno, come ben vi potrebbe dire anche Carlo Balzaretti che porta in sé il problema della memoria di questa musica.
Carlo Balzaretti: Infatti oggi quando mi è stato consegnato uno spartito in cui l'impaginazione era completamente diversa dall'impaginazione consueta da cui studiavo da circa un mese questo pezzo, sono andato completamente in crisi. Sono arrivato questa sera alle 6 e 20 e ho fatto modificare...non si poteva suonare per problemi di impaginazione; ho riutilizzato la mia vecchia impaginazione perché già il fatto grafico di trovarmi le battute in un certo modo mi aiuta un po' mnemonicamente; io tengo decine e decine di pagine a memoria, naturalmente, per ciò che riguarda la mia attività concertistica, per cui questo vi può far capire che sforzo sia. Quando mi sono trovato davanti un'altra impaginazione mi sembrava di dovere rincominciare da capo, per il fatto che è impossibile fissarsi mnemonicamente degli elementi, rimane qualche cosa ma è veramente difficile, qualche accordo, qualche passaggio, ma è difficile; specialmente poi se suoniamo il raddoppio e allora tutto viene rimesso in discussione ed è ulteriormente più difficile, insomma.
Paolo Ferrari: E circa questo, quello che io stavo anche vedendo di scrivere è il fatto che in fin dei conti, come si potrà sentire, le note non sono un grande numero di note, il tempo, la dimensione temporale, non ci sono dei passaggi ritmici così evidenti così eclatanti, non ci sono delle dissonanze strane, non c'è il pianoforte che è stato scordato oppure si sono messi degli oggetti e le corte sono state tirate più o meno; gli strumenti sono quelli, la scrittura musicale è quella, le battute sono quelle in quattro quarti, eppure la complessità è tutta interna, anche poche note producono questo campo nuovo. Ho voluto di nuovo suonare in relazione perché è anche più carino suonare insieme; poteva anche il Carlo suonare da solo e vedere questa Sonata come si componeva e spiegare poi - quello che sto scrivendo circa la dimensione del tempo - come il computer che registra questa musica pensa il tempo e come lo scrive, che è un dato molto interessante che sto scoprendo in questi giorni, come scandisce la temporalità che io ho all'interno nel momento stesso che io suono sulla clavinova e sto componendo la musica.
E per tutto questo sarà interessante incominciare una possibilità di una discussione: se non sarà adesso, sarà fra un anno, fra centomila anni, non so quando. Una discussione, cioè porre questi temi e poterne parlarne, anche se questi temi da una parte hanno una distanza all'infinito con quello che è la condizione attuale di specie e d'altra parte sono così prossimi, quasi come se ci fosse un oscillazione tra il massimo e il minimo, cioè io quello che vedo nel mio lavoro quotidiano, nelle mie relazioni quotidiane, anche nelle mie relazioni affettive, nelle mie relazioni cognitive, ecc. è come se ci fosse un oscillazione grandissima
* nell'ambito della specie umana, come se ci fosse un livello 0 dove c'è la totale fissità e dove c'è questa condizione di morte, questa condizione di cessazione mai cessata, di brulichio, di alterazione, di rumore, anziché suono, e ci sia una condizione che invece tende poi a una condizione di astratto, di astratto affettivo e questa condizione è dove l'essere umano continua a ripetersi in un certo senso, a ripetere il suo ciclo di vita e di morte senza mai poter raggiungere la differenza, quello che io chiamo il differire, la differenza, cioè l'essere 0, l'essere assente, che si pone al di là di questo ciclo: è la differenza di cui ho scritto nel saggio che avrete letto e cioè questo differire, questa possibilità del differire, dell'essere diversamente da quello che è, l'essere la natura diversamente da quella che è, questo differire è l'antimorte o il processo di aggiustamento, di possibilità di una cessazione giusta di quello che sono le strutture, le antiquate condizioni psicobiologiche che la specie umana si porta appresso. Con questo ho finito.
Ci vediamo il 17 marzo.
Arrivederci.