23.12.93

 III SEMINARIO 1993-1994


Paolo Ferrari: Vi è stato distribuito adesso un 'Foglietto'; lo chiamiamo 'Foglietto' perché un testo teorico, che ho scritto e che un giorno o l'altro pubblicherò, è stato chiamato 'i Foglietti dell'Assenza' perché consiste in una serie quasi infinita di fogli sui quali singolarmente, talvolta doppi, è scritta, è inscritta la storia dell'Assenza.
I Foglietti sono chiamati così perché concernono un vuoto, sono soltanto un foglio sul quale è inscritto qualche cosa di estremamente veloce che appena letto scompare. Sono i fogli del nulla, e anche questo di stasera è un foglio del nulla: qui c'è una pagina 15 che si riferisce al contesto di un pezzo che sto scrivendo circa la musica dell'Assenza. Questo foglietto o foglio parla, scrive del raddoppio, di quello che noi abbiamo fatto l'altra volta, Carlo e io. L'ho voluto scrivere e sono riuscito a scriverlo appena in tempo, cioè abbiamo ritardato un momento stasera perché è stato terminato questo duplice foglio circa un quarto d'ora fa; allora in fretta e furia poi l'abbiamo stampato e distribuito. Ci tenevo a darvelo perché mi sembra che sia una dicitura circa il raddoppio abbastanza valida. Sul raddoppio ho già scritto diverse cose, già ai tempi dei foglietti poi più tardi, ma ogni volta non riuscivo e non c'era sufficiente compiutezza, compiutezza comprensibile da altri, dal livello ordinario del pensiero, per capire questo processo così complesso, come quello che avete ascoltato la volta scorsa.
Questo processo è così complesso in quanto implica una simultaneità di fenomeni: come avete visto l'altra volta, Carlo suonava un intermezzo di Brahms, io contemporaneamente a questo componevo un brano musicale che potesse accogliere, prendere, introdursi all'interno delle fibre del pensiero brahmsiano, ma non del pensiero musicale, del pensiero in toto brahmsiano, se così si può dire, e dopo un inizio difficoltoso di urti, di contrasti, a poco a poco portarlo a me e portarlo verso questo luogo dell'Assenza; e cioè incominciare a produrre - cominciare e terminare - una struttura grandemente complessa, simultaneamente a un altro processo che era in atto senza che questo processo in atto influenzasse direttamente quello che io stavo facendo. E questo è un ulteriore cosa difficile da comprendere dal pensiero ordinario: cioè se Brahms parlava, scriveva, diceva su questa linea,
* io dovevo incontrare questa linea fatta di una serie d'intersezioni, di intersecazioni, di note, di intervalli, di lingue, di umori, di sensazioni, di paure, di claustrofobie brahmsiane, di linguaggi oscuri, di linguaggi improvvisamente aperti che si componevano con diverse strutture linguistiche, anche sufficientemente semplici come sono quelle delle ultime composizioni brahmsiane, produrre cioè generare, quindi dare luogo a un altro evento che prendesse questo, lo prendesse in braccio, lo avvolgesse a poco a poco, lo colmasse delle sue assenz

e, delle sue peregrine vuotaggini in alcuni punti in cui c'è soltanto un fenomeno di transizione invece di esserci un fenomeno di pensiero. E allora inventare simultaneamente delle condizioni nuove, ma delle condizioni assolutamente nuove del pensiero, e portarmi e stare completamente su questo livello,* e cioè non essere influenzato direttamente da questo livello 01 e io sul livello 02 Assenza; non essere direttamente influenzato, perché se fossi stato influenzato direttamente io sarei stato trascinato dentro un mondo che non era quello dell'Assenza, bensì era il mondo ottocentesco, era il mondo dell'ultima fase del romanticismo, era il mondo della tonalità, era il mondo di un certo tipo di pensiero che non ha nulla a che fare o poco a che fare col pensiero dell'Assenza, cioè un pensiero in un certo senso così romantico, così anche delizioso in alcuni punti, così dolce, ma che occupava spazio invece che liberarlo. Se io fossi stato direttamente influenzato da questo, io sarei stato trascinato e mangiato da quel linguaggio, cioè io dico, penso che il linguaggio di Brahms tenda a mangiare: quando uno è a un concerto di Brahms - un quartetto, un sestetto - è mangiato dalla musica di Brahms, Brahms avvolge tutto quanto e dice: “Io ci sono e basta, voi state zitti e io qui parlo”. E allora la persona si mette quieta, passiva, silenziosa e si lascia avvolgere e continuamente lusingare, direi, da questa armonia di grande fattura, che però non concerne il pensiero dell'Assenza o che soltanto in piccolissimi tratti potremmo dire che concerne il pensiero dell'Assenza, in quanto in piccolissimi tratti produce dei piccolissimi risvolti di vuoto o di Assenza, come io penso ultimamente, mentre prima pensavo che nessun tipo di musica dell'Occidente, compresa anche la musica dell'Oriente, potesse produrre realmente dei fatti, dei passaggi nell'ambito dell'Assenza, cioè nell'ambito di una lingua che è vuota, che è assente, che impronta, che è capace di produrre un'impronta di un'impronta vuota.
Allora, io ero su questo livello e questo livello doveva andare dritto, doveva tacere ma non poteva essere soltanto una lingua astratta e basta, una lingua che non avesse niente a che fare con questo: come ho messo qua una graffa,
* doveva comunque accogliere questo, doveva prenderlo, però non doveva essere influenzato. L'influenza è quel rapporto che noi abbiamo quotidiano, ma è il rapporto anche amoroso, il rapporto con gli oggetti, il rapporto fra gli uomini, il rapporto diciamo normale è un rapporto comunque in generale di tipo d'influenza, cioè ogni persona si lascia influenzare dall'altra, influenza nel senso di empatia, di rapporto non sufficientemente distaccato. Allora io cosa dovevo fare? Dovevo fare contemporaneamente che qui in mezzo* ci fosse questo distacco - quello che l'anno scorso ho chiamato 'il distacco per Assenza'-, questo distacco per Assenza, cioè ci fosse un nulla, non ci fosse niente, io andassi avanti per la mia strada, ma pur andando avanti per la mia strada tutto questo fosse compreso, cioè dovessi costruire un universo molto più grande di questo, un universo capace di abbracciare quest'altro elemento e quindi con una costruzione mentale logica, affettiva molto più completa, molto più complessa.
Questa era la dimostrazione di questo evento interessantissimo che è quello che io chiamo il rapporto per Assenza per cui due persone, due mondi s'incontrano ma perché c'è un vuoto in mezzo, perché c'è distacco, s'incontrano per l'Assenza, s'incontrano attraverso un nulla, e quindi il contrario di quello che si sia pensato fino adesso, cioè che due persone s'incontrano perché c'è un qualche cosa di concreto su cui appoggiarsi; invece in mezzo c'è questo vuoto, questo vuoto diventa affettivo, diventa un'affettività di nuovo tipo e diventa questo tipo di discorso, questo tipo di linguaggio.
E credetemi è difficile; cioè andare avanti per la mia strada quando io sento Brahms dalle orecchie che mi entra, che mi lusinga, è difficile andare avanti per la mia strada e fare il silenzio al tentativo delle Sirene che dice: “ Ma no vieni con me, vieni qua”, star zitto, andare avanti per poter abbracciare, per produrre all'interno di quell'altro discorso, del linguaggio, del livello 0
1 il suo silenzio, la sua possibilità di arricchimento in una struttura molto più complessa, in una struttura che io chiamo più affettiva pur essendo non così immediata al piacere delle orecchie, a quel piacere vecchio, di vecchio stile delle orecchie umane.
Questa è stata la dimostrazione di che cosa implichi il fatto di raddoppiare simultaneamente senza sapere nulla dell'altra musica, cioè senza entrarci in campo, sapendola su un altro piano simultaneamente, suonando, e in questa simultaneità comunque producendo un linguaggio di alta potenza, di grande levatezza, di simultaneità - e già il fatto di essere simultaneo in Assenza, la simultaneità in Assenza è già uno spirito grande, uno spirito vuoto, uno spirito assente - e questo farlo nell'istante senza avere alle spalle nulla, senza essere coperto da nulla se non il fatto che l'altra persona suonava, Brahms pensava, Brahms aveva la sua lingua, io rispondevo a questa lingua e a questa lingua rispondevo e poi producevo il mio antecedere quella e portarla a me.
Quanto non fosse appunto un accompagnamento, questo che succedeva, è dato dal fatto di un altro puto che vedremo stasera: il fatto che, diciamo per mia buona intuizione, l'altra volta ho fatto partire questa macchinetta che mi ha registrato il pezzo che stavo facendo, così poi mi sono potuto stampare la musica al computer e vedere come era fatta. Questa musica è risultata una struttura complessa tant'è che immediatamente ho pensato che fosse una di una serie che io sto componendo, una Sonata astratta, ed è stata la Sonata astratta chiamata "Mit Brahms" (con Brahms). Me la sono vista, me la sono studiata un po', me la sono guardata, me la sono coccolata, le ho dato certi tipi di dinamiche diverse probabilmente dalle dinamiche che aveva l'altra sera - dinamiche sono il piano, il forte, sono il rallentare, lo sforzare - e poi ho detto al mio amico Carlo Balzaretti se aveva la voglia di suonarsela e quindi di comprendere, di far comprendere come questo livello che aveva parlato, aveva parlato già in una struttura complessa musicale, cioè nel senso che si era scritta simultaneamente come una composizione, un brano che io ho poi chiamato Sonata astratta e le Sonate astratte so che sono di estrema complessità intellettuale, logico- intellettuale e anche affettiva. E questa poteva tranquillamente suonare per conto suo, non aveva bisogno di Brahms alle spalle o prima, poteva suonare, ed era diventata un altra cosa, si era staccata dal contesto ed era diventata il suo linguaggio astratto, il suo puro linguaggio, il suo linguaggio di una qualità, di una delle proprietà infinite del nulla affettivo di cui io tratto.
Adesso lascio la parola al Carlo.
Carlo Balzaretti: E' una parola parlare attualmente di questi pezzi. Quello che io vi posso dire è più o meno la condizione in cui mi pongo ogni volta che affronto queste pagine, perché come voi sapete, diciamo, io ho la possibilità di leggere lo spartito soltanto dalle note che escono naturalmente da quel piccolo computer che fa miracoli, però ha tutta una serie di limitazioni, dalle limitazioni dinamiche - sicuramente i segni dinamici possono dare molto - ma i problemi per esempio ritmici, legati alla quantizzazione di tutta una serie di problemi che non vi sto ad accennare, naturalmente creano notevoli problemi, per cui come mi sono avvicinato a suonare questi pezzi? Prima di tutto ho cercato di ascoltare, io potevo utilizzare, potremo dire così, ciò che avevo studiato, quindi tutto il mio patrimonio della musica occidentale, ho cercato di avvicinarmi a questi pezzi così, con curiosità, ho cercato di capire. Quello che è risultato proprio specificamente da questa pagina è che prima di tutto la composizione che noi avevamo ascoltato la volta scorsa di Brahms era in mi bemolle maggiore, quindi una tonalità piena di bemolli; stranamente, noi potremmo dire, la composizione di Paolo invece è una composizione estremamente diatonica - per diatonica intendo che non ha quasi alterazioni rispetto alla tonalità di mi bemolle maggiore. E' una composizione molto limpida che ha realmente, questo l'ho potuto anch'io constatare, un suo respiro, proprio un suo vero respiro che quasi si potrebbe dire come possa rientrare nella composizione che abbiamo ascoltato la volta scorsa di Brahms. Ve la farò ascoltare, mi sembra una pagina molto interessante, molto melodica e piena di continui pedali; ci sono - almeno questo è quello che io ho potuto constatare naturalmente dallo scritto - secondo me ci sono tutta una serie di note basse che fanno proprio da pedale, che fanno una specie di orchestrazione all'interno di questa scrittura pianistica, un'orchestrazione completamente diversa da altre pagine che io ho suonato precedentemente, perché una delle altre caratteristiche di queste composizioni è che sono ogni volta differenti. Io ogni settimana assisto, tra virgolette, a una evoluzione di questo linguaggio: da situazioni accordali passiamo a un contrappunto - per contrappunto intendo due o tre linee che si muovono orizzontalmente, quindi potremmo dire più un andamento vocale che un andamento armonico o pianistico - a situazioni cromatiche o a situazioni diatoniche. Nel caso di questo pezzo direi che siamo in presenza di una situazione diatonica in una specie di contrappunto di due o tre linee, abbiamo dei piccoli accordi, ma sono degli accordi che rientrano comunque in un andamento sempre orizzontale di questa composizione e ci sono - ecco è questa una delle caratteristiche - una serie di pedali, di note basse che io cercherò di evidenziare attraverso l'uso del pedale di risonanza, che tendono ad appoggiare questo continuo movimento, questo continuo gioco delle linee; e come ripeto è completamente diverso dalla parte di Brahms. Quando avevo ascoltato il raddoppio la volta scorsa io sono rimasto abbastanza a bocca aperta per la coesione tra le due composizioni, poi suonando da solo questo pezzo mi sono chiesto come potesse cadere così insieme perché è così diverso. Se volete ve lo faccio ascoltare.
Paolo Ferrari: E questa diversità è proprio questo spazio immenso, è quello che io chiamo la consonanza per Assenza, cioè la diversità che produce il rapporto.
Carlo Balzaretti: Certo. Una delle altre caratteristiche di questo pezzo, appunto perché procede in un campo "armonico" completamente diverso dalla composizione - vi ricordo che la composizione era in bemolli, questo pezzo potrebbe essere una specie di do maggiore, ma è anche difficile parlare di tonalità in questi pezzi che non sono tonali, però in fondo ci sono dei tratti tonali all'interno di queste composizioni, si potrebbe parlare di una specie di pantonalità, così giusto per dare una specie di definizione - è che questo discorso è come se rientrasse all'interno della tonalità di mi bemolle maggiore pur essendo in do maggiore, cioè dovrebbe esserci una continua dissonanza; oltre che l'aspetto ritmico - vi ricordate che Brahms era estremamente strofico dal punto di vista ritmico - questo pezzo tende continuamente a disgregare in continuità, quindi regolarmente, il ritmo strofico della composizione di Brahms.
Paolo Ferrari: Quello che posso aggiungere su questo, intanto che è interessante quello che dice Carlo della diversità dei due pezzi, che due pezzi diversi non potrebbero mai andare insieme e poi invece è proprio questo discorso di questo vallo, di questa assenza, di questa cosa in mezzo che li fa andare insieme sicuramente su un altro livello. L'altro punto che io posso aggiungere è che mentre io suonavo non solo seguivo Brahms, il suo discorso, il suo linguaggio, la sua testa, i suoi umori, ecc..., ma seguivo anche il discorso, la testa gli umori di Carlo Balzaretti che stava suonando perché comunque l'interprete sta suonando ed entra in un rapporto con il compositore in un certo modo, nel suo modo, nel suo tipo d'interpretazione; ma oltre tutto suonando in termini di Assenza io entro in relazione con i piani pieni e vuoti dell'altro, per cui Carlo Balzaretti si era messo a suonare Brahms e lui era tutto diventato Brahms e mi aveva un pochettino abbandonato, come gli ho detto, perché lui era diventato un tutt'uno, lui era diventato l'interprete brahmsiano, era tutto attaccato a Brahms e io ero il poveretto che dovevo correre dietro e cominciare a inventarmi determinate cose perché dovevo entrare comunque attraverso la sua testa e arrivare a Brahms; perché la mia relazione, la relazione per Assenza, passa comunque attraverso le teste, le assenze, le presenze di tutti gli individui, quindi non solo delle persone che erano in sala, ma soprattutto dell'interprete con cui dovevo stare insieme perché la musica era comunque interpretata e quindi era diventata altra cosa da quella che aveva pensato Brahms; e perciò io dovevo in un certo senso produrre l'Assenza di Brahms e anche di Carlo Balzaretti il quale suonava in un certo modo, anche se poi a un certo punto mi sono accorto che - probabilmente lui ha sentito questo elemento che io stavo producendo dell'Assenza - è venuto dietro a me e il discorso è diventato più completo, più complesso, più complessivo.
Carlo Balzaretti: Senz'altro. C'è proprio diciamo una condizione di partenza, cioè il fatto di questo rapporto simultaneo naturalmente richiede un rapporto anche con l'interprete: invece un'altra questione è fare una trascrizione o fare anche, se vogliamo, un raddoppio musicale: pensiamo a un'orchestrazione di una composizione in cui si ha un testo fissato davanti, delle note scritte interpretabili, per cui è sicuramente un rapporto diverso, questo senz'altro.
Paolo Ferrari: In prima mondiale assoluta Il pezzo dell'Assenza di Paolo Ferrari interpretato da Carlo Balzaretti
Carlo Balzaretti: Non è facile per un interprete di musica classica, naturalmente, passare ad eseguire delle composizioni nuove; anche per me è realmente un esperimento, una cosa nuova. Voi v'immaginate bene che per me suonare in concerto naturalmente mi fa scattare automaticamente una serie di fattori, di fattori dell'esecuzione. Qui invece sono richieste una serie di nuove facoltà che io non so, che anzi sto cercando, per cui non vi assicuro che l'interpretazione di oggi sarà una meraviglia. Accontentatevi, farò tutto il possibile.
( Carlo Balzaretti esegue al piano una composizione di Paolo Ferrari della durata di 6'e 45")
Carlo Balzaretti: Naturalmente se la ripetessi la farei ancora diversa, questo è chiaro. Uno dei grossi problemi è anche il problema di memorizzare questi pezzi, è impossibile. Per un esecutore che ha studiato per anni e anni da Mozart a Rachmaninov è veramente difficile, forse impossibile poter memorizzare un pezzo del genere, non avendo assolutamente il riferimento alla tonalità o comunque alla tonica o alla dominate, o comunque anche a una serie di schemi, di schemi musicali: ogni compositore anche quando scrive in stile seriale o dodecafonico comunque si rifà a una serie di stilemi, di moduli che si ripetono e che permettono comunque a un interprete di solito di potersi fissare degli elementi a memoria. Qui è pressoché impossibile anche per questioni ritmiche perché come vedete non ci sono dei punti di riferimento, non c'è mai qualcosa che si ripete, tutto è estremamente libero; infatti una delle difficoltà è appunto il fatto di poter suonare con la libertà con cui è stata concepita questa musica, perché già il computer
* mi dà un ritmo che è sempre impreciso, impreciso per motivi, potremo dire, di traduzione dall'esecuzione per cui ogni volta davanti al ritmo devo cercare comunque di difettare in qualche modo, d'interpretare, di rubare in modo da poter arrivare a un'esecuzione il più possibile libera, il più possibile fedele, fedele naturalmente per ciò che riguarda sempre l'interpretazione insomma. Questa è più o meno la scelta che faccio eseguendo questi pezzi, poi cerco il più possibile di ascoltare suoi pezzi, di ascoltare sue esecuzioni per rendermi conto esattamente di come sono nati questi pezzi e cerco poi man mano di entrarci naturalmente con la mia personalità perché sarebbe una cosa forse un po' stupida l'idea di mettersi soltanto a copiare o a imitare; io sto cercando in qualche modo di entrare in questo linguaggio a modo mio, attraverso la mia esperienza e di suonare queste composizioni.
(Applausi)
Carlo Balzaretti: No, no, niente applausi.
Paolo Ferrari: No. Queste sono lezioni serie, mica d'applausi, non siamo in una esibizione.
Fatto questo pezzo, la mia scaletta prevedeva tantissime cose, ma non ce la facciamo, perché mi ha portato via diverso tempo tutta questa questione della spiegazione del 'raddoppio' che fra le altre cose mi sembra venuta fuori in maniera interessante, completa e che mi interessava poter porre e disporre; e anche questo mi ha sorpreso, non mi aspettavo una problematica di questo tipo circa l'influenza o la non influenza, circa il legame o il distacco, come si è formato e formalizzato stasera. Questo per riprendere il discorso che faceva adesso Carlo che ogni volta, sia nell'ambito della composizione - come voi vi siete accorti in questi anni - che dal punto di vista del linguaggio, dal punto di vista della struttura logica razionale che io adopero, questa struttura si forma nel momento stesso in cui si deve formare, in cui ha l'obbligo, la necessità, il vincolo del suo formarsi, si espande, si costruisce e poi decresce e poi fa silenzio. E ogni volta mi sorprende, mi produce delle nuove forme, mi produce un disegno di questo tipo che per me è nuovo, è nuovo [il disegno] di queste due linee che producono questo insieme per la loro differenza in questo modo come è stato spiegato.
E, riprendendo dal punto di vista del linguaggio musicale, ogni volta il linguaggio musicale, ogni volta la composizione è diversa e ogni volta non solo io vedo che nello scorrere del tempo, della dimensione temporale o intemporale - come l'ho chiamata - le composizioni si susseguono e si formano in una lingua ogni volta che segue certe sue specificissime modalità, che in un qualche modo neppure io conosco, cioè conosco all'interno, conosco nei piani più alti dell'Assenza, nei piani dove c'è la simultaneità perfetta, totale e assente, ma nel piano diciamo della dimensione più strutturata umanamente, più lenta umanamente, mi è difficile comprendere come ogni volta, ogni settimana, ogni tre giorni queste diverse composizioni, questi diversi linguaggi si vadano a comporre e, come avete sentito prima, non sbavino di una virgola, cioè questa composizione è stata fatta tale e quale, prodotta da questo piccolo computer e riportata sullo spartito, senza che ci fosse una nota sbagliata. E credo che questo sia un fatto che non esiste al mondo, dal punto di vista della strutturazione di questo tipo di linguaggio. E ogni volta anche per l'interprete, come diceva Carlo, potrebbe essere da capo completamente nuova, cioè essere interpretata nel momento stesso che entrasse in questo discorso, in questo linguaggio, entrata e completamente nascere nuova: cioè questo nascere nuova è un fatto interessante perché è una concezione del mondo in cui il mondo non è mai fisso, cioè è tutt'altro che la sua limitata fissità, ma è quello di generarsi, di potersi generare in continuazione nuovo e altro da sé, cosa che fino adesso nell'universo conosciuto, cosciente o inconscio, che noi siamo abituati ad abitare, non è mai successo. Questo fatto del germinativo, della generazione continua e simultanea non è mai esistito e questo d'altra parte ha la grande caratteristica della felicità della composizione, della creazione della lingua la quale continua a potersi produrre, prodursi, passare nelle menti, avere dei nuovi linguaggi ogni volta, senza doversi fissare in formule chiuse. Come diceva anche [Carlo] del fatto della libertà, del ritmo, della libertà del ritmo che appare nella scrittura perché la scrittura diciamo è quella convenzionale, ma all'interno di chi la costruisce il ritmo è esattamente quello perché non potrebbe comporsi in questo modo, in questa sua situazione simultanea, e chiudersi, finirsi nel suo modo preciso, assolutamente perfetto, se questo non avesse il suo tempo e ogni volta disegnasse, non solo avesse il suo tempo, ma disegnasse il suo tempo giusto della nuova realtà che va a comporre.
Allora adesso mi metterei a suonare io e provare a vedere per esempio in questo momento, data la simultaneità che io concepisco nel mondo assente delle relazioni che si sono formate tra me e voi, tra me e Carlo, tra me e il gruppo che ascolta, tra me e gli strumenti, tra me e lo spazio, tra me e l'Assenza, tra me e la realtà, quale lingua si stia formando, quale lingua in questo momento si stia formando, quale lingua si sia formata da quando questa composizione è stata fatta, cioè un mese fa, e in questo mese che cosa abbia sviluppato, quali nuove istanze, quali nuovi sviluppi - non direi 'evoluzione', cioè la chiamerei evoluzione diciamo nei termini della comprensione, della sua natura che diventa sempre più a portata della comprensione generale, nel senso che, come dicevo già due anni fa, io sono certo che un determinato tipo di accordo che io facessi in questo momento
* di questo tipo, questo comprende già in sé, secondo me, una composizione vastissima che potrebbe comprendere la composizione da Bach fino a Debussy. E di questo non ho la dimostrazione immediata, però io so che fatto un accordo, pensato nel pensiero assente come io lo penso, questo accordo astrae tutto quanto e si porta appresso tutto quanto, cioè tutta la storia, in un pezzo tutta la storia umana.
Ora l'evoluzione di questo pensiero, cioè lo sviluppo è il fatto di questi due accordi che prima erano un accordo solo, una nota sola: io dicevo a un certo punto che potevo fare un mi, un mi bemolle, ma toccato in un certo modo
* o sentito o suonato in un certo modo, questo si portava appresso la storia del pensiero occidentale. Sembrano affermazioni prive diciamo così di razionalità all'occidentale o prive di modestia, d'altra parte sono cose che io conosco: conosco il fatto che dato un certo modo in cui il suono suona, siccome il suono che io faccio suonare o il pensiero che faccio suonare o parlare antecede, cioè ha questa curva** e vedete che questa curva già così delineata - se voi vi concentrate un attimo vedete il vuoto che scava qui dentro -, qui dentro questa curva è quell'accordo che ho fatto prima e questa parla tutte le lingue, tutte le lingue che vuole; cioè io ho chiamato, in uno dei Foglietti o forse in questo libretto del disco che abbiamo fatto sulla Musica dell'Assenza, questa musica come se fosse la 'madre di tutte le musiche', cioè contiene, comprende - come vi ho spiegato prima - antecedendo, raddoppiando, raddoppiando tutta il resto della musica, se la prende, se la prende con sé, come questo pensiero, come questo linguaggio raddoppia tutti i linguaggi presenti, se li prende con sé lasciandoli comunque intatti; cioè l'individuo non viene influenzato, Brahms se ne sta pure al suo posto, io lo porto a me, rendo più complesso il suo linguaggio, la sua traccia, la porto a me, questa traccia diventa più vuota, ma Brahms non perderà mai nulla, nessuna persona perderà nulla della sua integrità, anzi la sua integrità verrà portata in questo spazio così altamente vuoto, così altamente ricco da potersi generare in continuazione.
Allora questa storia della musica, questa storia mia della musica, della musica dell'Assenza, diciamo che è partita da un accordo, è partita da una nota, da un nucleo, ha avuto questo inizio, se lo chiamiamo inizio, questo inizio è ovviamente vuoto e poi a poco a poco ha avuto tutti gli infiniti linguaggi. Questo che ha suonato Carlo Balzaretti è uno dei linguaggi, è il raddoppio che ho prodotto prima.
Sto lavorando ultimamente per esempio, in modo mi sembra interessante, sulla voce, sulla mia voce, sulla mia voce che diventa estinta, cioè si estingue, diventa vuota, diventa nulla, diventa assente e in questa assenza produce un tessuto - io lo chiamo tessuto - un tessuto vibrante, ma vibrante al negativo: cioè noi siamo abituati a pensare la vibrazione del suono come un elemento
* tutto concreto, tutto al positivo, tutto parlante, tutto evidente. Quello che io sto facendo con la voce è proprio un processo al contrario, l'annullamento di questa evidenza, come la musica che io suono, che il Carlo suona, che stiamo suonando è antievidenza, cioè prende tutto questo, se lo porta appresso, lo fa stare zitto e produce un nuovo campo d'intelligenza, un nuovo campo di affetto all'interno degli individui che sono capaci di ascoltare, che si mettono in ascolto.
Allora è questo 'anti', è questo annullare, cioè il raddoppio significa anche che dato un certo suono, io l'annullo,
** così,** e cosi è annullato, ma annullato nella sua sostanza assente, cioè annullare non significa annichilire, annullare vuol dire produrre un vuoto affettivo, quindi produrre un nuovo suono, produrre una nuova voce che sia capace di parlare, di parlare un linguaggio umano molto più aperto, molto più astratto, come avrete letto nella seconda lettera di questo livello di astrazione, di questo livello di astrazione che porto nell'ambito musicale perché nell'ambito musicale il suono che io conosco è un suono che antecede, cioè che è prima di tutti gli altri suoni. Quello che nelle leggende, nelle leggende antiche, nelle leggende nordiche, nelle leggende orientali si dice, che il suono sia questa vibrazione che ha dato origine al mondo. Io invece di chiamarla vibrazione, dico che antecedo questa vibrazione, l'origine del mondo nasce nella sua assenza e rimane assente: cioè questo vuoto di cui sto parlando, questo vuoto che ha una proprietà eccezionale, molto specifica, perché è un vuoto che comunque parla, che comunque ha una lingua, è una proprietà particolare del vuoto, è una proprietà particolare del nulla.
Voi tutti, noi tutti siamo abituati a pensare al nulla come a un qualche cosa di "nulla", cioè di vuoto, di totalmente assente, di vacuo, di indefinito anche, di estremamente passivo. Se voi ci pensate, il vuoto e il nulla nel mondo occidentale sono delle condizioni assolutamente passive: nessuno sa immaginarselo se non come elemento assente, come elemento di dolore, ma perché se l'inventa, se l'immagina perché non sa neanche cosa sia. Invece, attraverso il sistema che sto costruendo, è come se io mi introducessi a poco a poco all'interno di questo elemento vuoto, questo vacuo, questo vacuo che gli stessi uomini hanno fatto, data la loro vita la quale è segnata da un inizio e una fine; attraverso la loro fine, attraverso il fatto che hanno visto che gli altri morivano, che finivano - gli atti che finivano, un temporale che cessava - hanno in cominciato a pensare a questo elemento della fine, ma non l'hanno mai pensato realmente: la fine non è pensata, non è conclusa, non è conchiusa. Nei miei pezzi questa fine è sempre inscritta, cioè la fine è già intrinsecamente portata all'interno perché l'atto è già finito e già conchiuso, nel senso che è perfettamente esso stesso: l'accordo che ho fatto prima ha già dentro questa fine, si chiude in se stesso, si chiude e si apre, si evolve, si chiude nel senso che è concluso, che è conclusivo, che è l'inizio e la fine di tutto.
Quando opero nel campo musicale o nel campo del pensiero in generale, ma adesso parliamo del campo musicale più specificatamente, è come se io vedessi davanti a me il fatto che tutte le strade sono aperte; cioè quando parlavo del raddoppio, della simultaneità, com'è possibile che io possa raddoppiare simultaneamente e scrivere una struttura di questa complessità, cioè pensarla? E' perché davanti a me il campo è libero, nel senso che sono in un altro campo, non è un campo occupato dalla mente umana la quale non conosce la fine, la quale non conosce la morte, la quale non conosce l'inizio, l'origine e l'origine finita, conosce l'origine e poi la fine e l'apocalisse oppure la morte è qualche cosa di molto indefinito, di molto imperfetto. Io conosco invece la perfezione di questo finire, la mia musica conosce la perfezione di questo finire, già nel momento stesso che inizia ha dentro di sé questo finire, ma determinato, determinatosi, determinatosi nella sua Assenza.
E adesso proviamo a fare questo pezzo e vedere come esso incomincia e come esso finisce.
(Paolo Ferrari suona un pezzo al pianoforte della durata di 5'e 50")
Come avrete notato questo linguaggio era già per un suo aspetto armonico probabilmente, accordale, già molto diverso dall'aspetto della Sonata che prima ha fatto Carlo, anche se la Sonata che aveva fatto Carlo era comunque nata insieme all'opera di un altro compositore; questa è nata, diciamo, nella composizione insieme con le vostre teste, attraverso le vostre menti, attraverso la mia mente, la mia mente affettiva - anzi la mente dovrebbe tacere, io parlo di mente ma attraverso il livello dell'Assenza, attraverso questa lingua - e anche questa si è svolta, è nata, aveva un inizio, aveva già l'inizio che in se stesso moriva, si apriva su un altro punto, celebrava questo punto, si portava coscientemente, scientemente di per se stessa, nasceva con dei circolini,
* poi arrivava su questo punto, su questo, poi decresceva su questo elemento, poi nasceva in termini dritti, poi faceva un'altra segmentazione, questa segmentazione ancora portava un elemento circolare, questi elementi circolari sono nuovi, sono dei luoghi nuovi dell'Assenza, sono come degli inizi dove sto ponendo l'inizio, l'inizio e la fine dell'Universo che conosco, il suo iniziarsi; e poi si portava appresso un ulteriore appoggio e poi un ulteriore silenzio e poi girava in questo senso e in questo senso, poi girava in questo senso, poi arrivava a questo punto: a questo punto doveva scegliere, essa specificatamente, e io sentivo il problema del fatto di che cosa fosse questo finire giunto a questo punto e che cosa significasse questo finire, perché questo finire significava che non era un finire mio che io conosco perfettamente, ma era un finire vostro, era un finire di questa composizione insieme con voi, dentro a voi stessi, dentro a questa lingua nuova musicale e quindi questo finire che doveva comporsi, che doveva seguire il vostro finire, quindi il vostro assentarvi, il vostro sparire, il vostro morire, se vogliamo chiamar così - morire affettivo, non certamente il morire così indifferenziato, così spaventoso come fino adesso ha vissuto l'uomo. E allora io dovevo seguire questo, e allora si formavano invece che un elemento temporale, intemporale fatto in questo senso, allora incominciavano in questo modo,* in questo modo, in questo modo, in questo modo e poi mi serviva qua, mi serviva qua, e poi a un certo punto accettava essa stessa e accettava insieme con tutti voi il fatto di dover finire e di dover finire in questa aggregazione, in questa nuova aggregazione in cui le menti e i corpi umani c'erano e non c'era soltanto la sua assenza, non c'era soltanto la sua specificazione nulla; e in questo punto ho finito e si è finito qui.
Le prossime volte parleremo. Io avevo preparato anche questo, di com'era per esempio la musica orientale, di che cos'erano i canti, i mantra orientali tibetani, e come io suonando raddoppiavo questi mantra, che cosa succedesse di questi mantra, come questi richiedessero degli accordi molto acuti, quasi stridenti
* perché potessero annichilirsi, potessero dimenticarsi di sé, invece di esprimere in un certo senso una grossa materialità, perché si dicono della meditazione trascendentale ma io quello che ho seguito suonando con essi è il fatto che questa meditazione trascendentale porta con sé ancora troppa materia, troppa materia incapace di morire, incapace di morire ma nel senso positivo, dico, morire nel senso di sparire, lasciare spazio. E poi in seguito a questo volevo farvi ascoltare questo studio che sto facendo sulla voce, questa voce che è capace di sparire, che è capace di estinguersi, ovvero di essere già di un essere che è estinto, cioè l'essere mio precedente annullato, svuotato che si estingue e che si estingue ogni volta, nel momento stesso in cui si presenta e finisce.
Con questo ho finito stasera, ci vediamo il 20 gennaio.
Se vi interessa, noi stiamo facendo delle copie di questo compact, il compact che ci stiamo costruendo noi con questo macchinario eccezionale che fa i compact in casa. Chi vuole acquistarlo, adesso ne faremo un po' di copie, se sappiamo il numero delle prenotazioni ne facciamo degli altri. Costa un po' caro perché è alto il prezzo di costo, siccome dei compact sono un po' care le matrici. Costa un po' di più di quelli che sono in commercio, ma sono le nostre spese di una piccola struttura che si fa le cose artigianalmente.
Arrivederci.