XII lezione 1992-1993.
Siamo giunti all'ultima lezione di quest'anno, alla chiusura del primo ciclo.
La fine del ciclo segna un distacco, segna la conclusione netta di una certa
fase del compito che ci siamo prefissati e che abbiamo organizzato insieme.
Parlo appunto del distacco - un distacco particolare, di specie - nella seconda
lettera che sto scrivendo per esplicare la nuova lingua di cui mi occupo: sto
cercando di descrivere codesto distacco che è un nuovo livello della
relazione madre-figlio, di cui già abbiamo detto. Nella lettera, il fenomeno
del distacco si pone come uno degli elementi, uno dei parametri a fondamento
del nuovo tipo di relazione: già l'anno scorso avevamo parlato del distacco
capace in sé dell'infinito ( il distacco all'infinito ), della relazione
cioè che non ha alcun evento diretto, in cui la causa non si pone in
concatenazione con l'effetto, ma si ritira e produce una specie di vallo tra
sé e l'effetto, generando un'altro tipo di scienza; ora nella lettera,
sto conducendo il discorso su un livello sempre meno 'teorico' o 'teoretico',
cercando di dire come codesto distacco si potrebbe porre nella situazione attuale
della specie.
Come sapete, uno dei momenti fondamentali nella crescita di un uomo è
la sua nascita e quello che viene chiamato il taglio del cordone ombelicale,
per cui il figlio si separa somaticamente dalla madre, ma mentre si separa somaticamente
dalla madre si separa in tutta la sua unità. E' il distacco avvenuto
fino adesso: la madre ha separato da sé il figlio e il figlio si è
separato dalla madre con tutte le imperfezioni che tale tipo di distacco ha
procurato alla specie umana, data l'incapacità sia del figlio che della
madre di assumere una posizione profonda rispetto a codesto vallo, rispetto
all'interruzione, alla soluzione di continuità di un rapporto e alla
(conseguente) nascita di un altro livello in cui il rapporto sia capace di assenza,
capace di codesto distacco. Vado allora proponendo una sorta di altro
teorema che parli di un distacco di specie e non sia più soltanto relativo
al problema del distacco nella relazione madre-figlio o figlio-madre e all'intervallo
che si dovrebbe porre profondo attraverso il quale fare sì che i due
enti possano condurre a un rapporto che comunque ha prodotto una sua soluzione:
un discorso più ampio che prenda in sé il fatto che la specie
non solo genera i suoi figli distaccati dalla madre - e ovviamente, reciprocamente,
la madre che si distacca dal figlio e questi dalla madre -, ma in un
campo più ampio si distacca dalla sua relazione antica, da quel tipo
di collegamento che ha avuto per milioni di anni con la specie precedente, con
la specie animale; come se si dovesse fare un lungo vallo, una lunga e profonda
incisione tra la specie umana e la specie che l'ha preceduta e, come dicevo
qualche tempo fa, la specie producesse di per se stessa una sua centralità
in grado di determinare per conto proprio una direzione verso la nuova forma
di distacco.
Dicevo la volta scorsa che il centro del cervello, il centro dell'identità
dell'uomo che è stata quella della verbalizzazione articolata e astratta,
il centro del mondo dell'uomo e dell'umana specie, è il suo centro
di astrazione ove non c'è quell'oggetto che è stato l'elemento
a fondamento della natura precedente. Tale natura, quella che si dice ci circondi
- si esprime in codesto modo un livello mediocre che rispetto ai piani alti
dell'assenza è inesistente, è un luogo dell'oggetto, della cosa
- funziona appunto in relazione strettissima con la cosa, con l'oggetto: l'animale
segue un ciclo dal quale non può spostarsi, la natura segue il ciclo
giorno-notte e il ciclo biologico della riproduzione, le specie si riproducono
sempre con quel determinato moto: la natura animale e vegetale è chiusa
in se stessa. Il passo fondamentale compiuto dall'umana specie nella fase evolutiva
è stato quello di inventare per conto proprio un nuovo livello:
la cultura umana, la civiltà. Tale invenzione ha costituito un fondamento
eccezionale perché l'umana specie potesse ulteriormente evolvere la propria
capacità di intelligere, di discriminare, di conoscere e, in più,
di astrarre. L'umana specie è in grado di astrarre, di funzionare almeno
in parte - in piccola parte aggiungo - non attraverso l'oggetto, di comunicare
attraverso una simbolizzazione, una concettualizzazione, è capace di
pensare per concetti, in mancanza dell'oggetto concreto.
A tale proposito, ho già posto nel passato una critica circa la modalità
di funzionamento e la possibilità d'astrazione del cervello umano, dicendo
che, nel fatto di poter concettualizzare, "l'albero", che è
l'espressione e il simbolo di tutti gli alberi esistenti, è comunque
un oggetto da pensarsi, un oggetto che prende il posto all'interno del cervello
umano. Sto invece proponendo un ulteriore livello in cui la concettualizzazione
sia un'astrazione superiore, in cui l'albero stesso lasci il posto al suo antielemento,
al suo antialbero, e taccia. Ma si tratta di un altro discorso.
Rimanendo invece nell'ambito del discorso precedente, l'elemento più
importante che appartiene all'uomo è la capacità di astrarre,
di comunicare in mancanza dell'oggetto, la capacità di poter comunicare
anche un livello affettivo profondo e sufficiente in mancanza dell'oggetto d'amore
e di produrre una simbolizzazione in luogo dell'oggetto concreto: quello che
abbiamo detto essere la mente. Ma la mente, così come per il momento
è fatta, per quello che sto elaborando e conosco e per quello che è
la formazione del linguaggio che stiamo proponendo, non è assolutamente
sufficiente: è una mente che nasce sì attraverso lo sforzo di
astrazione ma che comunque è un contenitore: la mente è capace
di astrarre, di funzionare senza oggetto, di concettualizzare, ma è un
elemento che ha confini molto stretti e che ha una radice occlusa, ottusa, quella
del corpo o del soma.
Nella specie umana non è avvenuta la recisione netta tra la mente e il
corpo. La mente si è costruita, si è formulata, è diventata
il contenitore del discorso astratto, concettuale e della liberazione in parte
compiuta dall'uomo rispetto a quella che era l'animalità rinserrata all'interno
di una condizione somatica totalmente chiusa e impossibilitata a stare fuori
da sé: la specie umana ha inventato la nuova condizione che è
la mente, che è la sua civiltà e, con la cultura, si è
radicalmente inventata un qualche cosa di completamente diverso da tutto quello
che esisteva precedentemente. Non ha tuttavia reciso il cordone ombelicale,
non ha il distacco: la mente che pensa nella testa dell'uomo è una mente
frammentaria, diseguale, precaria, discontinua: il pensiero umano non ha la
capacità, di cui stiamo parlando su un livello più complesso,
di essere totalmente unita, di essere doppia in codesta unità, di essere
capace di produrre un'astrazione più completa in cui l'oggetto possa
del tutto scomparire. In un certo senso l'uomo si è comportato un po'
vigliaccamente, per quello che posso dire: ha costruito il grande e nuovo processo
dell'astrazione, ha inventato la civiltà, ha formato la mente attraverso
la capacità di sostenere una frustrazione - la mente si forma attraverso
il distacco primario tra madre e figlio, in cui il figlio accetta che la madre
scompaia e se ne vada, attraverso il processo di accettazione di una separazione,
di un distacco -, ma si è fermato lì. Il distacco di specie non
è avvenuto, il distacco tra la mente e il corpo avviene, ma nel modo
sbagliato: gli individui si ammalano spesso quando la mente funziona per conto
proprio da una parte e il corpo funziona da un'altra parte, ma non si tratta
del distacco di cui sto parlando, bensì di un distacco patologico in
cui c'è la scissione tra la mente e il corpo.
Sto parlando, invece, di un livello più profondo in cui la mente
e il corpo possono avere una relazione per assenza, una relazione mancante
nella quale potersi correlare in modo tale che la mente possa sussumere, acquisire
in sé tutto quello che è l'oggetto del corpo e abbandonarlo. L'oggetto
del corpo non è soltanto l'oggetto della fisicità che abbiamo
addosso, tuttavia quest'ultima condiziona tutta la realtà circostante
la quale non è nient'altro che la proiezione della fisicità: il
mondo fisico, concreto, il mondo cosiddetto reale è la proiezione dell'io
fisico, l'io è prigioniero di tale situazione e non fa altro che proiettarla
al di fuori; il mondo risponde nello stesso identico modo, corrisponde,
per il Principio di Inclusione di cui ho parlato nella Lettera. Codesto procedimento
fa sì che tutto il mondo e tutta la psiche siano fatti di oggetto, non
solo concreto ma anche 'astratto': la mancanza di separazione netta tra la mente
e il corpo e la mancanza di assunzione della centralità di cui dicevo
da parte del cervello cosciente danno luogo al fatto che il corpo sia un oggetto
non in quanto oggettivato, bensì un oggetto concreto, un oggetto morto.
Il mondo, la realtà sono oggetti morti; lo stesso individuo umano è
un oggetto morto che ogni tanto ha un sussulto perché possiede e fa funzionare
la mente, ma in se stesso è morto in quanto è costituito dal corpo,
dalla fisicità, dal soma, i quali non hanno di per se stessi la capacità
di astrarsi e quindi di vivere e oggettivarsi in altro modo. La fisicità
umana senza la capacità del cervello di astrarre con la parte neocorticale,
la parte più profonda, che poi deve prendere con sé tutta la parte
emozionale profonda, la parte affettiva, è un oggetto privo di esistenza.
Per quanto riguarda la natura, il fatto che gli animali e le piante siano oggetti
è dato come un fatto evidente: sono oggetti, sono enti limitati dentro
la loro struttura e in essa possono vivere, hanno un qualche barlume di vita.
L'uomo, essendosi sganciato da ciò, avendo inventato la mente, non ha
tuttavia inventato un altro corpo e vi è morto dentro: in un certo senso
non ha inventato nulla, ha avuto l'intuizione, ha avuto un moto verso la chiarezza,
verso il superamento di quello che è il limite dell'orizzonte umano,
ma lì si è fermato. Essendosi fermata in codesto luogo l'umana
specie ha un grande dolore, una grande sofferenza: nel momento stesso in cui
l'umana specie prende in sé i due elementi che le appartengono e cerca
di trasformarli, di stare loro insieme, ha grande sofferenza; d'altronde non
può fare altro che cercare in successive parti di trasformare per piccoli
passi la materia corporea, codesto elemento sordo che non è mentale,
che non è linguaggio, che non ha un proprio reale linguaggio: è
stata la fondazione della civiltà, è stata la storia per piccoli
passi. Tuttavia codesta storia per piccoli passi continua ad avere in se stessa
la relazione con l'oggetto: la storia è fatta di oggetti, di eventi,
di fenomeni, di popolazioni, di lingue, e così via, ma è comunque
fatta di un qualche cosa di pensato nel pensiero ed è un qualche cosa
anziché niente.
La specie umana non ha la libertà di codesto niente, non è capace
di pensare il suo niente: pensare il niente costituirebbe la possibilità
della mente, del punto centrale dell'essere di svuotarsi e di aprirsi alla propria
nientità che in fin dei conti, per quello che stiamo dicendo oggi,
è la capacità di astrarre poiché la nientità è
astrazione: se concettualizzo, se astraggo, se ho una relazione per assenza,
non ho niente, non ho un oggetto; se tolgo tutti gli oggetti e genero soltanto
la mia potenzialità, la mia disposizione, non ho niente: la nientità
diventa elemento affettivo, elemento di relazione, elemento di linguaggio altro
o differente, del tutto diverso da quello che è stato finora.
Nel centro della specie umana c'è il niente, c'è la capacità
di astrazione: quando noi togliamo dalla capacità di astrazione l'oggetto
per cui si astrae, togliamo il concetto, il simbolo e tutte le forme, rimane
la capacità di astrazione che (non) è niente. Se codesta capacità
di astrazione prendesse con sé tutto quello che ha creato di errato degli
elementi-oggetti, degli elementi incompiuti in quanto oggetti, allora saremmo
in un'altra dimensione della civiltà, in una civiltà completamente
diversa che non ha mai avuto luogo, perché in essa non sarebbe più
possibile pensare per oggetto ma vi sarebbe soltanto una disposizione,
una disponibilità all'essere nulla, all'essere altro.
Ora, come ciò si possa configurare non so, perché vivo comunque
in una civiltà fatta di oggetti: so che cosa significa nei piani alti,
quando sono con me stesso o nella relazione aperta, libera, vuota, senza dover
oggettivare, senza dovermi mostrare, senza dover mostrare codesto linguaggio:
la nientità è un alcunché di completamente diverso, è
una relazione per assenza, vuota, è un'antirelazione.
Ora è chiaro che anche per me a mano a mano che oggettivo, che dò
oggetto a codesto linguaggio, diventa più difficile pensare che cosa
sia la nientità, che cosa siano la mancanza dell'oggetto, la mancanza
della storia, il 'distacco assoluto', anche se in una relazione profonda con
me stesso l'ulteriore lavoro di distacco continua a produrre nuovi fenomeni
che sono comunque fenomeni di ulteriore elaborazione dell'assenza. Sarà
compito, probabilmente, di quello che sarà nel prossimo ciclo progettare
un'idea di civiltà, un'idea di linguaggio, un'idea di cosa e di anticosa,
la quale sia meglio confacente con quello che è stata la storia fino
adesso, anche se attraverso il punto di passaggio che pongo attraverso la storia
ci sono comunque un vallo, un vuoto, un nulla.
Sarebbe interessante incominciare a progettare e a capire che cosa sia il livello
dell'antistoria, che cosa sia l'antimorte, che cosa siano i linguaggi
che l'umana specie ha inventato svuotati del loro oggetto. E' quello che abbiamo
fatto quest'anno e che continuiamo a fare, quello che faccio dal punto di vista
dei diversi linguaggi che adopero: ho già parlato del linguaggio musicale
in cui produco e propongo qualche cosa che passi non più attraverso la
corporeità normale di bassa capacità di consapevolezza o trasformazione.
Attraverso i suoni o gli antisuoni in musica, attraverso i disegni, attraverso
la pittura, attraverso la scrittura, attraverso la Lettera, attraverso la razionalità,
tendo a produrre un salto in modo che chi riceva tutto ciò possa essere
comunque per un attimo, per un giorno, per un secondo sull'altra parte del fiume
in cui c'è l'antilinguaggio, in cui c'è l'antimorte,
in cui c'è la possibilità dell'essere niente.
Come dicevo, è più complesso anche per me riuscire a pensare a
mano a mano che oggettivo tali fenomeni - dico oggettivare, nel senso che devo
produrre elementi come fossero oggetti - e spiegare, anche con me stesso, che
cosa significhi pensare in assenza, perché io continui a pensare in assenza.
Credo, tuttavia, che codesto ininterrotto pensare in assenza produca nella realtà
attuale un continuo farsi della realtà in assenza, la quale mi viene
incontro e con la quale sono in relazione.
D'altra parte penso che nella relazione con voi, attraverso le lezioni, la realtà
in assenza continui a farsi anche se l'individuo non ha la possibilità
di averne una coscienza immediata per il momento; penso comunque che su un altro
livello, sul livello della maturazione dell'encefalo, delle relazioni tra la
mente, il corpo e il distacco, tra la mente, il corpo e la formazione di una
mente-corpo più interna, ciò avvenga e che la relazione tra me
e voi avvenga comunque sull'altro campo: nel momento stesso in cui mi incontro,
ponendo tale oggettivazione e codesti linguaggi, e mi esprimo con l'altra persona,
per forza di cose l'altra persona mi deve rispondere su quel livello, perché
altrimenti non si forma nulla. Da codesta risposta nasce una situazione ulteriore,
un campo d'assenza ulteriore e, attraverso l'intrecciarsi di una rete così
complessa, è possibile che la specie si possa preparare al passaggio,
all'antistoria, alla chiusura di una storia, di un linguaggio per formarne un
altro non come succedaneo, invece come partendo da un radice diversa, la quale
potrebbe rispondere che non occorre nessuna storia, nessuna lingua - questo
lo so sui piani complessi ma non ancora oggettivati, non ancora concretizzati
nell'ambito della storia attuale, potrebbero essere concretizzati in una storia
lontanissima, un antistoria che probabilmente mai avrà bisogno di esistere.
Dicevo ciò per dare un minimo di risposta al fatto della possibilità
di comunicazione fra i diversi universi, tra un universo che ha il niente in
sé, che ha la capacità di produrre il niente, di essere anti e
l'universo delle cose il quale non ha la nientità e non la può
generare. D'altra parte, per certi aspetti la realtà, la storia va verso
un campo di assenza, va verso un campo in cui l'oggetto ha sempre minor
importanza, in cui l'astrazione ha maggiore valore: gli uomini si muovono, la
tana è superata, la casa non è il luogo buio, oscuro, la famiglia
tenta un'uscita dalle strutture precedenti, il computer ha un linguaggio astratto,
è una macchina astratta, si tenta la formazione di un cervello astratto
- la macchina pensante - il quale, tuttavia, non possedendo l'assenza non potrà
mai pensare realmente in astrazione come ha pensato l'umano. La storia comunque
va verso l'assenza, verso l'apertura degli orizzonti, verso la formazione di
un antiorizzonte, di luoghi dove ci sia la possibilità dell'assenza,
ci sia cioè una relazione più complessa, un tessuto più
complesso, quello che chiamo l'antitessuto.
Quello che stiamo ponendo è come un'accelerazione, come se noi stessimo
accelerando moltissimo il procedere della storia per piccoli passi: è
come se stessimo cercando di fondare velocemente una civiltà che si trascini
tutta la civiltà precedente e che accetti e possa fare accettare che
la storia si estingua, che la specie per le sue parti ammalate, per codesto
corpo ammalato, incompiuto, per una mente che non è compiuta e non ha
prodotto il distacco, possa tacere per poter generare qualche cos'altro, un'altra
centralità vuota.
Dicevo innanzi che pongo codesti elementi sempre più concreti - che d'altra
parte mi impongono una fatica enorme di pensiero concreto, ad esempio per poter
scrivere la seconda Lettera in cui parlo degli oggetti che, in un certo senso,
sono concreti, storicizzati - anche perché si farà sempre più
dappresso la domanda:"Ma io, di tutto ciò che cosa me ne faccio?
Di questa nuova cultura, di questa altra cultura, del nuovo livello d'astrazione,
cosa ne faccio, se non lo posso generare?". Sto allora cercando di dare
luogo a un passaggio sempre più stretto e ravvicinato dove il vallo fra
le due parti sia sì profondissimo, perché è comunque all'infinito
ed è un altro mondo, ma esista la possibilità che un mondo possa
stare con l'altro, che un individuo possa passarvi sopra.
Come dicevo in un'altra occasione, non credo che sia poi così difficile
passare oltre, però credo, nello stesso tempo, che se la specie umana,
se il vostro cervello, se la vostra cultura, se il vostro affetto, se le vostre
emozioni, se la vostra sessualità non fossero educate a un altro passo,
a un'assenza, al livello altro che è così vuoto, così astratto,
così potente, verrebbe spazzata via ogni possibilità di vita,
ogni possibilità di pensare la vita, di pensare una condizione di terrestrità:
credo che il corpo in quanto ammalato non potrebbe accettare, prendere dentro
di sé, senza una preparazione adeguata, le quantità di informazioni
che sono di ben altro livello e qualità, come d'altra parte nell'evoluzione,
passando dal primate all'uomo, ci sono state varie fasi intermedie in cui l'ominide
a poco a poco si è formato per poter accogliere l'altro livello dell'astrazione
che andava facendosi. Adesso ci troviamo di fronte a una situazione analoga,
ma anche diversa perché l'astrazione è già stata
inventata: sto dicendo di astrarre di più, di aprire di più il
campo: non è poco in quanto ciò significa cambiare completamente
le radici del corpo, perché la realtà è morta, il corpo
è morto, tutti gli oggetti - dalla pittura, alla musica, alla filosofia
- sono enti morti, nel loro fondo sono morti, hanno una radice sbagliata.
Sto proponendo il fatto di come si possa, pur usando i linguaggi della civiltà
umana, andare su un livello più profondo e produrre un radicamento diverso
e una storia diversa, un'antistoria, qualora occorra: potrebbe anche
non occorrere, potrebbe essere una cosa totalmente diversa da ciò che
è la storia - se per quanto riguarda la mia conoscenza conosco attraverso
la storia, su un livello più alto, sul livello dell'assenza conosco completamente
in altro modo, ma allora non posso più parlare di storia, non posso più
parlare di nulla: se voglio parlare di qualche cosa devo attenermi agli oggetti
della civiltà umana.
A conclusione del corso, vorrei comporre stasera un pezzo di musica che, pur
essendo un oggetto molto astratto, possa essere una via per comprendere più
facilmente gli oggetti nuovi della storia, gli oggetti-linguaggi della storia
che tendo a generare su un altro livello. E' un pezzo di musica fatta di due
componenti: uno l'ho composto in precedenza attraverso gli apparecchi elettronici
che sto usando, e stasera comporrò un'altra modalità, un'estinzione
di codesto linguaggio attraverso il linguaggio analogico del pianoforte. Per
il momento ho usato linguaggi elettronici che ritengo abbastanza semplici e
che tenderò a trasformare a mano a mano con il pianoforte per produrre
un linguaggio che abbia diverse stratificazioni, che abbia la possibilità
al suo interno di una variazione intrinseca tale per cui la mente e il corpo
possano passare in chi ascolta, almeno per alcuni tratti, su un altro livello,
in modo che la musica passi non più soltanto attraverso l'elemento di
tipo emozionale - dico 'soltanto' perché probabilmente non è ancora
compiuto il discorso per intero, anche perché chi ascolta dovrà
passare su un altro piano nell'ascolto stesso - ma passi attraverso un'altra
via e raccolga la musica, quest'impasto di suoni ad alto contenuto linguistico
attraverso un altro livello, attraverso il suo centro vuoto, il suo centro
d'astrazione.
D'ora in poi, lavorerò su strumenti elettronici più complessi,
con suoni più articolati e vuoti, nuovi rispetto a quelli di stasera,
suoni che abbiano una loro variazione interna già linguisticamente altra.
I suoni elettronici dello strumento che sentirete stasera hanno una componente
linguistica abbastanza semplice che renderò più astratta attraverso
il suono del pianoforte: ogni volta che mi metto al pianoforte tendo a produrre
nella struttura musicale elettronica nuovi livelli, variando in continuazione
il pezzo per pianoforte che compongo.
( Paolo Ferrari inizia la composizione al pianoforte simultaneamente al pezzo di musica elettronica precedentemente registrato - il pezzo è di circa 5 minuti )
Con codesto elemento che penso contenga il distacco e una relazione per assenza e abbia
ulteriormente allargato il campo e la possibilità dei linguaggi da parte di ognuno di
noi, vi saluto.
Se nei prossimi giorni, prima delle ferie estive, decidessi di fare un supplemento di
lezione, se nascessero temi molto particolari e interessanti o ulteriori pezzi di musica o
altro, vi telefoneremo; altrimenti ci rivedremo un giovedì verso la metà di ottobre e
lì incominceremo un nuovo ciclo che conterrà il distacco e l'oggettivazione della
storia, gli oggetti della storia che sto mentalmente assumendo vuoti: sono anticose,
antistrutture, anticorpi, un antilinguaggio come ho tentato di farvi ascoltare.
3 giugno 1993