VIII lezione 1992-1993
Se non sbaglio siamo all'ottava lezione, all'ottava tappa delle 'fasi del nulla'.
Mi sembra che sia piuttosto difficoltoso raccogliere codesta tappa perché
è come se si formasse un grande catino, un linguaggio molto aperto, un
nulla molto vasto e affettivo. E' come se ci fossimo avvicinati poco alla volta
a una nuova condizione, alla nuova condizione del nulla, un nulla affettivo,
il quale mi sembra possa stare entro il reale.
L'assenza di cui ho parlato finora faceva parte di una lingua per lo più
estranea al linguaggio umano, estranea al linguaggio della realtà nota.
Anche la lingua di cui voglio parlare stasera è altra rispetto a quella
nota, tuttavia è meno assente, nell'accezione di assenza come 'lontananza
da' - l'absens latino significa 'lontano' - che ho poi chiamato il 'distacco'.
La lingua di stasera ha al suo interno il distacco, ma un distacco viepiù
affettivo, viepiù in analogia, in concordanza con il linguaggio della
realtà nota, la quale per accoglierlo deve farsi affettiva. Perciò
parlo di una concordanza e di una serie di fenomeni che, tra l'altro, sto osservando
nei miei pazienti.
Riprendendo il concetto di assenza come lontananza da, possiamo riaffermare
quanto sia importante il concepimento del distacco tra un soggetto e l'altro
soggetto, il primo dei quali abbia posto nel nascere l'altro; e perciò,
quanto sia fondamentale il distacco, il distacco affettivo, tra la madre e il
figlio e quanto sia fondamentale l'assenza tra la madre e il figlio.
Si tratta di uno dei fattori che vado osservando sempre più dappresso,
come attraverso una lente che mi avvicina a certi fenomeni, certe organizzazioni
primitive della mente umana, della mente di un soggetto figlio rispetto al soggetto
madre. E' quello che ho chiamato ultimamente 'la formazione della
cellula mentale', come se, posti da una parte la madre, dall'altra il figlio
e nel mezzo il luogo di formazione dell'assenza, potesse nascere un elemento
della mente, qualora tra i due soggetti vi fosse il distacco affettivo sufficiente,
un'assenza sufficiente alla formazione della mente. Mi sto infatti avvicinando
maggiormente al procedimento mentale - non parlo più del 'pensare';
nelle lezioni precedenti parlavo dell'attività pensante che, tuttavia,
è ancora troppo astratta -, a come la mente si struttura in un insieme
di piccoli nuclei, quasi fossero i mitocondri di una cellula, in cui esiste
l'impronta iniziale della mente umana, la quale costituisce una sorta di base
delle attività di pensiero. La mente può essere considerata come
un fattore di mediazione, di intercapedine, di connessione, di relazione tra
ciò che è l'attività mentale più astratta - il nulla
assente - e ciò che è la corporeità, la materializzazione
del nulla assente nell'ambito della relazione con le cose.
La mente è comunque ancora un elemento dell'assenza, è
una mente assente, non è una mente concretizzata fattasi ( nell'immaginario
) come ombra, ma è ancora un elemento astratto, sorretto, anticipato
tra i due fattori madre e figlio, i quali, nel sistema in cui sto parlando,
sono ancora due elementi astratti, non ancora concretizzatisi nella loro evidenza,
quell'evidenza attraverso cui la specie umana si è conchiusa, si è
rapportata alla cosità.
Sto parlando su un livello che è in anticipo rispetto all'ideazione normale:
la madre, il figlio o il figlio e la madre sono entità esistenti un attimo
prima, in uno spazio antecedente rispetto all'ideazione normale che ha prodotto
madre e figlio o figlio e madre nella concretizzazione della vita degli uomini
che a sua volta ha determinato la cosità del mondo.
In codesto attimo prima - e ciò credo sia stato intuito, ma non compiuto,
dai metodi ordinari d'indagine psicologica delle relazioni primarie molto precoci
-, attraverso la lente con la quale sto esplorando il mondo in cui osservo la
mente umana e la relazione primaria tra madre e figlio, tra figlio e figlio
se medesimo, sto rilevando il fatto del formarsi di un'altra entità che
chiamo la mente astratta o la mente assente, fatta di una sorta
di concavità e di tanti piccoli nuclei che sono i facitori dell'energia,
dell'attività. Se nella relazione figlio-madre ci fosse quel distacco
assente di cui sto parlando da tempo, ci fosse l'elemento che si astrae nel
mezzo, allora il fattore altro, la concavità, la mediazione tra l'essere
e il nulla sarebbero possibili.
Dicevo poc'anzi che la lezione avrebbe assunto il carattere di una realtà
più affettiva, più presente; d'altra parte, come di consueto,
la realtà che sto disegnando e di cui sto parlando mi sorprende, perché
sapevo di essere arrivato ai processi primari dell'ideazione, di essermi
fermato sui processi del fenomeno primo in cui viene prodotto l'atto del pensiero
e d'aver visto con la lente il fenomeno originario. Ma adesso, durante la lezione,
si sta sviluppando l'ulteriore fatto della relazione madre-figlio che avrei
voluto ancora lasciare stare: tant'è, è un atto del mio pensiero,
della mia ideazione ( a me antecedente ) che mi spinge, mi conduce a produrlo.
Difatti quello che negli ultimi giorni o notti aveva generato a poco a poco
il contenuto e la forma della lezione, che avrebbe dovuto svolgersi nell'ambito
dell'ideazione, di un'ideazione più astratta, nelle ultime ore della
giornata si è annullato, è scomparso. Ramingo, giravo per le strade,
poco fa, per vedere che cosa si sarebbe materializzato all'interno di tale processo,
quale nuova argomentazione, quale materia dell'essere e del non essere si sarebbe
formata. E ciò di cui stiamo parlando è un passo molto importante
in avanti, perché si tratta di un alcunché che, pur venendo prima
del tempo e dello spazio, è ad ogni modo un'entità concreta in
quanto composta da madre e figlio - anche se la madre e il figlio sono in un
certo senso 'astratti', sono come sollevati, precedenti di un attimo
alla loro nascita, alla loro materializzazione nella vita concreta.
Chiusa la parentesi che mostra come si formino anche in me l'ideazione o l'esplorazione
e, successivamente, la comunicazione dei grandi fenomeni che vedo a mano a mano
materializzarsi nella vita quotidiana e concreta, nella relazione con i miei
pazienti e nella relazione dei miei pazienti con se stessi e con la loro stessa
ideazione in via di modificazione - mi interessa, a poco a poco, riuscire a
comunicare anche all'insieme di tutti voi in modo tale che l'ideazione possa
parlare, facendosi strada in mezzo al caos o all'inconscio o all'intoppo che
l'evoluzione attuale della specie ha tuttora in sé, e perciò ognuno
di voi possa comunicare-conoscere da qualche parte di sé, pur senza la
perfetta conoscenza o coscienza di cui stiamo trattando. E sono assolutamente
certo che ciò avvenga.
Ritornando a una questione più semplice, da un punto di vista psicopatologico
ormai si conosce l'importanza dell'errore nella relazione tra madre e figlio,
dell'errore che avviene nella mancata funzione della madre di staccare il figlio
da sé, ma staccarlo da sé nei primordi, addirittura nel concepimento;
non stiamo infatti più parlando della dimensione temporale, bensì
di una dimensione più astratta del tempo, di un tempo che ho chiamato
vuoto, in cui non c'è bisogno di seguire la scansione temporale usuale
- il primo anno, il secondo anno, il quarto, il settimo, l'ottavo mese - ma
tutto è già contenuto come in un nucleo, data la condizione di
simultaneità di cui spesso ho già parlato.
La relazione madre-figlio si pensava dapprima che fosse fondamentale nel secondo,
terzo anno di vita, nella fase edipica, nella fase preedipica. In seguito si
è saputo attraverso le scoperte della Klein nella cura degli psicotici
che i primi mesi - il quarto, il quinto, il sesto e settimo mese, e anche più
precocemente - erano determinanti nella formazione della mente, del linguaggio:
la relazione tra il soggetto e se stesso, tra il soggetto e la madre, la negazione
o l'accettazione della madre, la negazione o l'accettazione del seno della madre,
il seno buono o il seno cattivo, la paura di se stessi per la propria aggressività
verso la madre, la colpa verso la madre, il desiderio della bambina verso il
padre che si dice principiare già nei primissimi mesi, e così
via.
Si sa già, dunque, che il rapporto nasce nei nuclei vicini all'origine,
ma retrocedo ancora, all'origine, nella preorigine, nel prepensiero, nel prelinguaggio,
nel luogo in cui ovviamente c'è l'assenza, c'è ancora assenza
di pensiero, il pensiero non si è ancora formato; anche nel primo giorno
del bambino il pensiero non si è ancora formato, la mente non ha ancora
una funzione, ma ancora più indietro, nel nulla formativo del non essere
e della mente che è assente, dentro l'assenza, mi libero del pensiero
che è pensiero della cosa e mi dispongo a produrre la mente che è
pensiero dell'anticosa oppure è antipensiero.
La madre deve essere in grado di formare l'antipensiero e probabilmente siamo
già in una fase in cui l'antipensiero, l'antimente, l'antimadre,
forse l'antipadre, incominciano a esistere e in cui l'assenza nella cellula
mentale, nella cellula primordiale che è la cellula affettiva
e che darà luogo alla mente affettiva, può già cominciare
ad esistere. La vedo nei miei pazienti. La vedo anche, in generale, nell'ambito
della realtà, vedo un livello profondo della realtà, molto silenzioso,
ampio e posato, tranquillo, quieto.
Esiste, dunque, la nuova relazione madre-figlio o figlio-madre e di conseguenza
anche la relazione madre-figlio e realtà, la quale realtà
è costituita dall'insieme dei tre elementi. Mediante un nuovo effetto
di feedback - feedback è una retroazione: a un'azione su un oggetto,
l'oggetto risponde e si produce un nuovo effetto sul soggetto per via retroattiva-,
nella relazione reciproca tra la madre e il figlio e tra questi e la realtà,
succede che a una crescente capacità di assenza nella relazione madre-figlio
corrisponda la nascita di un campo della realtà via via più ampio
e che, attraverso tale circolarità, si formi un campo ampio del nulla
'madre-figlio-realtà'; perciò dicevo, in precedenza, che la relazione
madre-figlio dovrebbe avere sempre di più l'obbligo, la necessità
della capacità dell'assenza.
Il concetto di assenza qui usato in un'accezione tanto vasta è stato
impiegato con un significato più limitato dalle scienze umane. In campo
psicanalitico, ad esempio, continua ad affacciarsi: è quel concetto di
mancanza che corrisponde al distacco, alla separazione tra un individuo e l'altro,
è il concetto di separazione dalla fusionalità, di lontananza
fra due soggetti. Però, nel campo analitico come nel campo delle scienze
umane, il concetto di assenza e quindi di lontananza dall'oggetto d'amore è
un concetto limitato: il figlio ha l'occorrenza di produrre la propria assenza
e la madre ha l'occorrenza di produrre la capacità del figlio di accettare
la propria assenza e quindi di accettare la frustrazione: l'assenza è
questa specie di vuoto, di separazione fra i due soggetti. Tuttavia si tratta
di un concetto limitato alla separazione, alla capacità di accettazione
di una frustrazione, alla quale si dice faccia seguito la possibilità
di formazione di una mente.
Parliamo, invece, di un sistema - realtà-figlia-madre o figlio-madre
- capace nella sua totalità del livello di assenza ( il livello di realtà
profondo ) in modo tale che tutto l'insieme sia disposto alla preordinazione,
alla preassunzione del fattore o dell'evento per cui la realtà
può essere pensata in qualità del suo annullamento, del suo svuotamento,
del suo accompagnamento, del suo allargamento: tutto il sistema, diventato nulla
e vuoto, è possibile che venga trasformato e che abbia un principio radicale
diverso.
[ Una lunga pausa ]
In generale, si è pensata l'assenza, la mancanza come una relazione abbastanza
semplice tra un soggetto e l'altro soggetto, nell'ambito della capacità
di accettazione della frustrazione, della capacità del figlio
di accettare che la madre sia assente. Non si è riusciti a pensare il
distacco in modo tale per cui il figlio sia in grado di essere assente a se
stesso e di riconoscere la madre come altra, come assolutamente diversa da sé;
e la relazione madre-figlio sia capace di riconoscere il figlio come entità
assolutamente diversa da sé. Se l'assenza non viene presa nella sua globalità,
non ci sarà mai la possibilità di comprendere, come abbiamo già
visto altre volte, una realtà esterna al soggetto che sia dissimile,
totalmente diversa; se i due campi non sono totalmente distaccati nella relazione
di assenza, e perciò nella relazione di mancanza e di alterità,
nulla sarà possibile di dissimile, non vi sarà possibilità
di alterità e quindi di diversa sostanziazione. L'elemento della diversità
o della diversa sostanziazione, e quindi di una radicale diversità di
origine del pensiero umano, è già possibile ora nella relazione
madre-figlio - e non pensavo che lo fosse.
In campo analitico si afferma che le gravi psicopatologie hanno come fondamento
alcuni disturbi sul piano dell'assenza. Ma, chi parla di 'disturbi dell'assenza',
si riferisce probabilmente all'assenza semplice - chiamiamola così -,
all'incapacità cioè di un soggetto di essere separato dall'altro
soggetto, della madre di separare il soggetto, a un processo di separazione
anomala avvenuta in un soggetto che ha sofferto di un'assenza anomala, oppure
di una mancanza di assenza. Il soggetto allora soffre della mancanza di una
possibile condizione, per esempio, del tempo e dello spazio adeguati in un ambito
interiore tale per cui lo spazio e il tempo esistano vuoti e non totalmente
pieni, occupati dalla cosità del mondo spazio-temporale.
Parlo invece di un'assenza vasta, di un tipo di assenza che non è certamente
soltanto la relazione fra due soggetti, ma è l'antirelazione,
è la preformazione della mente, è la mente capace di pensare
l'anticosa, capace di non essere, capace di un progetto tale per cui la realtà,
la relazione fra gli oggetti, tra le cose, tra persone è più morbida
e assente, è più possibile da crearsi e ricrearsi in ogni istante.
Una delle caratteristiche del procedimento nuovo dell'assenza è il fatto
che la realtà si presenta come mai definitiva, mentre noi abbiamo di
solito nella mente un'idea di realtà fissa, di realtà in un certo
senso ontologica, di un ente al di fuori di noi, il quale è immutabile.
Nei recenti studi epistemologici della realtà - gli studi sul metodo
d'approccio alla realtà - ci si è avvicinati al fatto che la realtà
sia una costruzione della struttura mentale e che quindi sia in evoluzione insieme
alla struttura mentale dell'uomo. Però i due enti si occupano ancora
l'un l'altro e la realtà non è realmente diversa, realmente altra
rispetto al soggetto che osserva, anzi il principio di Heisenberg, fondamentale
nella fisica contemporanea, afferma quanto il soggetto, l'osservatore - lo strumento
dell'osservazione - possa influenzare l'esperimento perché influenza
per la sua presenza il fenomeno che sta osservando.
Siffatto panorama, siffatto luogo della realtà che è antirealtà,
che è anticosa, che ha al suo interno la possibilità di molti
nuclei - vuote vescicole -, di molti origini, e perciò di molti vuoti,
è quello che permette di vivere, di avere l'esperienza di una realtà
che, pur essendo cessata - e ciò è il paradosso -, essendo nulla,
non è finita. Ed è un grande sollievo che la realtà abbia
la possibilità continua di svilupparsi: ogni giorno, in ogni istante
sento, ho l'esperienza del fatto che la realtà continua a trasformarsi
quasi come nelle mie mani e che posso attingere dalla realtà nuovi fattori,
nuove cose, nuovi elementi, delle anticose per poter discutere e tenere una
lezione intorno a codesti argomenti, perché altrimenti non potrei assolutamente
pensare, non potrei pensare un''antimente'. Quando penso un'antimente, come
ho già spiegato più volte, non si tratta di un ente teorico, ma
ne ho la 'sostanziazione', la vedo nella mente di ognuno di voi come possibilità
e probabilmente come elemento concreto, per esempio in certe fasi della terapia.
Ma 'vedere' significa che ho l'esperienza visiva su un altro livello dell'organo
sensoriale, sul livello della coscienza della mente capace di vedere ed è
ciò che l'ente realtà così vasto che si sta formando sull'altro
livello mi permette. E' come se pescassi a piene mani nuove informazioni dalla
realtà e ne ributtassi altre e tale procedimento continuasse a dare nuove
informazioni, nuovi linguaggi, nuove possibilità di conoscenza in modo
che tale realtà possa far parte a mano a mano del linguaggio mentale
comune.
A monte di codesta realtà, mi sembra che ci sia il fatto che la mente
o il cervello dell'uomo, o la struttura umana in generale, abbia la possibilità
evolutiva di progettare una realtà di codesto tipo di duttilità,
linguaggio, relazione, feedback in cui nulla è mai finito. E' necessario
però fare attenzione, perché non si tratta della realtà
della fantasia o del sogno, ma di tutt'altri elementi: si tratta di una realtà
molto concreta che segue il principio di realtà, che accetta fondamentalmente
il nulla, accetta la morte, accetta la frustrazione e che, solamente perché
sono dati la frustrazione, il nulla, la morte, allora è possibile; se
non ci fossero il nulla, la morte, il linguaggio finito, la relazione stretta,
il linguaggio assolutamente perfetto all'interno del vedere e del porre, nulla
di tutto ciò esisterebbe.
Come sto scoprendo ultimamente, in certe fasi del sogno o del sonno - lo osservo
nei miei pazienti - si rivela l'altro livello dell'assenza; ma devo essere io
a discernere, stando molto attento al linguaggio del sogno che non è
più il sogno, ma è il linguaggio del sonno profondo dove la mente
finalmente sta zitta e allora emette, comunica un nuovo linguaggio che entra
nel linguaggio del sogno - il sogno normale della fase REM - e produce tenui
linguaggi che colgo al volo e allora capisco che il soggetto sta incominciando
a guarire, ad avere un'ideazione nuova.
Ritornando al discorso generale, anche dal punto di vista dei diversi linguaggi
terapeutici, dato che - e ne sono assolutamente certo - il disturbo della nevrosi,
della psicosi è un disturbo dell'assenza, in mancanza del livello dell'assenza
nessuno sarà mai in grado di curare la nevrosi o la psicosi. Lo stesso
procedimento analitico - pur avendo Freud scoperto la relazione d'assenza -
si occupa di una relazione di assenza che è un elemento piccolo, è
una piccola congregazione di elementi, come è una piccola congregazione
quella degli analisti. Se il mondo è piccolo, non può prendere
su di sé il livello di assenza che è stato mancato nella relazione
madre-figlio. E se non è possibile comprendere il livello dell'assenza
e produrre da capo l'ideazione nuova, la mente nuova, il soggetto non può
in generale guarire: sto riferendomi infatti a una guarigione vera, a una guarigione
della specie umana.
In campo musicale, ad esempio - come dicevo al mio amico Balzaretti qui presente,
pianista, con il quale sto lavorando su alcune partiture musicali -, sembra
quasi che il basso continuo che caratterizza la musica barocca rappresenti il
livello nullo, continuo, assente, sul quale si può costruire poi tutto
l'edificio della musica barocca, premessa una dimensione di suono costante e
fermo: quella fermezza del nulla che può produrre tutto il complesso
dell'alterità, il complesso del linguaggio e del grande edificio della
musica.
Il lavoro per cui stiamo dicendo dell'assenza, dell'assenza che si scopre nella
patologia, che scopro nei sogni, nella relazione madre-figlio significa che
se il grande basamento non può essere preso nella sua interezza, la specie
umana non può essere guarita; essa nasce ammalata, è una specie
ammalata, nevrotica - come ha già scoperto Freud - e probabilmente psicotica:
è già completamente alterato il fondamento, il rapporto di base
fin dall'inizio, nella cellula originaria della specie.
Se tale mondo nella sua interezza non può essere preso o è preso
a frammenti, con linguaggi parziali, nulla avviene, se non una specie di compensazione
per cui l'individuo sarà sì adattabile alla realtà o adattato
alla realtà, ma a sua volta la realtà si presenterà a frammenti,
non sarà una realtà capace del silenzio o della fermezza di base,
del basamento capace del nulla, capace della mente del nulla.
Ci sarebbero altre cose da aggiungere circa codesto grande disegno, ma mi fermerei.
Darei soltanto un'altra indicazione che mi sembra interessante.
Quando mi dispongo attentamente all'osservazione della realtà o del tempo-spazio
sul livello del basso continuo annullato e fattosi niente - come avviene in
parte anche nel cantus firmus, la parte del canto gregoriano che è
il tentativo del silenzio, anche se poi in esso c'è bisbiglio e non il
nulla radicale -, soprattutto ultimamente, dato il grande disegno che sto componendo,
è interessante e bello vedere come il tempo o lo spazio mi si fermino
davanti. La realtà intera è come se si ponesse in una nuova relazione
e, se mi 'radico' a terra profondamente con la pianta dei piedi, la relazione
si fa ferma, si propone quale elemento firmum, assente e, nel fermarsi,
la realtà non si oppone, non è cosa che si oppone alla cosa -
io soggetto sono cosa nella corporeità -: la realtà e la mia corporeità
si fanno assenti, c'è una rotazione e la realtà si accorda vuota,
a sua volta ferma, silente, si fa il nulla che è di una chiarezza, è
di una limpidezza anche di grande felicità cognitiva e affettiva, è
uno squarcio, è un mondo altro, quel mondo che sto cercando di farvi
conoscere in questo tentativo di unità complessa.
25 febbraio 1993
( La cellula mentale e la relazione madre-figlio )