VII  lezione 1992-1993
 


Siamo alla settima lezione di un progetto vasto che implica lo sviluppo della conoscenza di una certa condizione dell'essere vivente e pensante che abbiamo chiamato 'Assenza'. Vorrei, per brevi tratti, riassumerne alcuni luoghi, alcune zone e forme, alcuni processi di ideazione che abbiamo già compiuto.
Mi preme dire che la lezione precedente è risultata essere, all'elaborazione scritta, di notevole difficoltà, soprattutto circa quanto stavo spiegando della nuova composizione musicale. Riguardo al problema della musica, dei nuovi linguaggi che sto esplorando, dei suoni, della relazione tra suoni e della relazione assente fra suoni - fra suoni assenti -riparleremo in lezioni successive oppure eventualmente stasera, se si formerà il luogo adatto all'elaborazione di tali argomenti.
La lezione della volta scorsa è stata di grande complessità in generale: me ne sono reso conto al termine della lezione e in seguito rileggendola e lavorandovi. Mi si rimprovera la difficoltà del dire, dell'elaborare l'attività che sto proponendo. D'altro canto quello che compio è un procedimento ( o uno stato ) della coscienza e dell'intelletto assolutamente particolare: ogni volta che si pone una lezione, essa stessa e il linguaggio si collocano in un luogo peculiare che abbiamo chiamato dell'assenza, che il luogo dove le cose sono venute meno, la cosità del mondo ha cessato di occupare in modo integrale lo spazio della realtà.
Parlare della cessazione, poterla porre, poterla far vivere è un compito assai arduo, soprattutto perché non è concesso a siffatto discorso, nel disporre le cose di nuova specie, la loro formulazione soltanto in astratto. Ogni qual volta parlo di qualche cosa relativamente a tale tema o propongo la cessazione della cosità, pongo l'assenza, l'essere vuoto, lo star vuoto, non si tratta di una semplice ideazione concettuale perché è necessario che questa sia in realtà e, per poter essere in realtà, occorre che quello che sto dicendo passi attraverso la vostra intelligenza, il vostro intelletto, il vostro linguaggio. Nulla di tutto ciò può essere compiuto se l'intelletto di chi ascolta non è almeno in minima parte preparato a far sì che il nuovo luogo si disponga, che la complessità altra, la complessità del discorso che si fa 'opera' e condizione esistente, si produca. Non credo, tuttavia, che da parte dell'ascoltatore, nella ristrettezza della sua logica troppo concreta e della sua razionalità troppo angusta, sia rintracciabile il procedimento avvenuto perché esso ha un linguaggio e una forma che sono di una temporalità altra, per lo più legati, vincolati in assenza alla simultaneità del fatto prodotto, detto, compiuto; nondimeno è rintracciabile sui livelli molto profondi, sui livelli inconsci di un inconscio 'altro', molto più ampio di quello fino adesso studiato - di un inconscio più profondo, più aperto, 'reale e razionale', razionale per me che lo conosco in termini razionali - che si colloca oltre l'inconscio 'fisicizzato', di origine animale, solitamente prodotto dalla specie umana, specie immatura in quanto di derivazione, nella storia evolutiva, da un non sufficiente distacco dalla specie dei primati che l'ha preceduta.
Il livello di cui tratto è il livello dell'assenza: lo sto esplorando da più di vent'anni, è un livello vuoto che non parla il linguaggio già noto, che parla il linguaggio di cui sto parlando e che sto ponendo. E' un linguaggio che disegno come forma cava, come se fosse un luogo della concavità in cui le cose sono poste: dato un elemento 1, ovvero 01,
essendo esso vuoto, le cose vuote vi sono poste strettamente l'una di fianco all'altra; ogni elemento è zero, è vuoto e, come abbiamo detto nelle lezioni precedenti, ognuno degli elementi è anticosa.
Sto parlando dell'anticosa, del suo livello, di una lingua che è antilingua, una lingua vuota che è un aspetto profondo e scavato dell'essere che si è fatto assente, ma si tratta di una semplicizzazione del problema perché al posto di tutto ciò dovrebbe esserci l''anticosa': il nulla, lo zero, il vuoto, il vuoto più profondo, ben diverso dal vuoto che gli uomini normalmente immaginano come elemento terrifico, di non coscienza. Il luogo così ampio e assente, che costituisce quel luogo del livello zero, del livello dell'assenza di cui abbiamo parlato soprattutto l'anno scorso, è però un luogo che stiamo abbandonando e stiamo andando verso un luogo in cui la cosa deve essere fatta, la cosa si fa.
Come dicevo la volta scorsa, l'anticosa è ciò che è capace di essere appena discosto da quanto fin'adesso è stato e che, nello spostamento, si porta su un altro livello in cui scompare in quanto cosità, in quanto elemento di una concretezza alterata, formata in modo alterato dalla mente umana incapace di assenza. La cosa spostata diventa 'anti', ruota, nel suo ruotare diventa vuota e, nella fase attuale di cui stiamo parlando, diventa realmente cosa - nella fase precedente di cui parlavo l'anno scorso, su un livello più alto e più vuoto, la cosa non era ancora capace di farsi. La cosa adesso si fa, è anticosa, è leggermente discosta da quello che è la realtà vissuta normalmente dagli individui, ma essendo appena discosta nello spazio-tempo, scompare allo spazio-tempo e diventa 'anti', diventa il silenzio, il vuoto della cosa; essendo essa il vuoto della cosa, non occupa più lo spazio e il tempo, non scorre più nel tempo, ma diventa il tempo a sua volta, un tempo vuoto assai particolare di cui parleremo e di cui abbiamo già trattato, in parte.
Il problema della cosa, dell'essere e del niente è stato posto secondo una certa prospettiva da Heidegger, il cui pensiero tuttavia è condizione filosofica, è prodotto dell'ideazione che ho chiamato 'in tempo secondo', non della formulazione istantanea dove la cosa è 'anticosa' nel momento stesso in cui è posta (l'anticosa), è pensata e simultaneamente ha il progetto al proprio interno. In termini semplici, Heidegger poneva la differenza tra l'ente e l'essere: rimproverava alla civiltà occidentale di aver perduto l'essere e di essere rimasta invece bloccata nell'ente, che si può pensare quale oggetto; di aver scambiato fondamentalmente l'essere che è il livello alto della coscienza, del principio, della causa, con ciò che è l'oggetto e quindi la cosità.
Nel mio discorso, che tende a porre la cosa nell'ambito dell'anticosa, l'essere non esiste e neppure l'ente, ovvero l'oggetto: l'essere e l'oggetto sono elementi pensati dalla mente umana che tende comunque a produrre oggettualità. In realtà non esiste differenza tra un ente e un concetto dell'essere che dovrebbe essere la cosa che si è svuotata, che ha perduto la sua concretizzazione, che si è spogliata, che dovrebbe essere la causa, il principio: l'essere non è diverso, nel luogo in cui si pone, rispetto all'oggetto. L'essere e l'oggetto fanno parte entrambi della stessa categoria, entrambi sono cosità, anche se l'essere, per via della sua 'sostanza', è come pensato smaterializzato, è come concettualizzato rispetto all'ente che è comunque un oggetto, un riempimento.
Io abbandono tale luogo e il punto che sto per porre - un momento evolutivo, un momento psicobiologico importantissimo della specie umana - è anche un invito affinché la mente riesca a pensare per la prima volta che al posto dell'essere e dell'ente ci sia il vuoto, ci sia il nulla e lo pensi nel senso di averne esperienza, pensi cioè di poter avere esperienza del nulla, della cosa mancante, invece che immaginarsela.
La mente umana è totalmente incapace fino adesso di pensare l'assente, di pensare ciò che non è. La mente umana porta in sé un enorme, grossolano limite: il nulla è soltanto un'immagine mentale, nessun uomo ha l'esperienza dell'essere nulla, dell'annientamento, l'esperienza del passaggio oltre il confine della realtà che è cosa.
Perciò la mente umana sembra essere una derivazione, con una complessità un po' maggiore, di quella che è la struttura naturale, biologica degli esseri che hanno preceduto l'uomo, delle piante, degli animali. L'umano ha inventato il concetto, ha inventato il linguaggio verbale, il linguaggio articolato, il quale è sì un oggetto un po' meno concreto, ma è comunque un oggetto, un qualche cosa che c'è e che non è ( il ) niente.
Ripeto: la mente umana è incapace di pensare il niente. La mente umana è incapace di pensare l'altro. Se da una parte vi sono l'essere o la cosa, dall'altra il niente; e se l'umano è incapace di pensare il niente, egli è in grado di pensare unicamente l'essere e la cosa, le quali sono equivalenti, sono della stessa sostanza, sono soltanto la faccia separata, girata del medesimo elemento. La mente umana, allora, è ancora la mente animale, la quale riesce unicamente a 'concepire' ( avere l'immagine ), a 'pensare' la cosa: la tana, il percorso, il labirinto, l'oggetto, il cibo, il sesso, la replicazione; l'animale, il primate da cui poi deriva l'uomo hanno soltanto alcuni oggetti come loro controparte e come loro stessa sostanza.
L'uomo da tale situazione non ha compiuto un'evoluzione reale. Abbiamo detto che ha inventato il linguaggio, che c'è stata un'encefalizzazione, un processo di sviluppo dell'encefalo, che c'è stata una psicologizzazione dell'encefalo. L'uomo vive i sentimenti, l'affetto in maniera più complessa, più articolata, più astratta: l'uomo ha inventato l'astrazione. Ma l'astrazione è ancora qualcosa che è; non è (il) niente, non è l'altra cosa. Perciò, se l'uomo non è capace di pensare (il) niente, non è capace di pensare nient'altro, non è capace di pensare l'altro.
Ciò che è diverso dalla cosa l'uomo non lo può pensare.
Il mondo è fatto di cosa, nient'altro può essere pensato: la cosa, la quale può essere anche un'astrazione, la perfetta astrazione, il più alto teorema matematico, rimane una cosa. La filosofia è una cosa, l'essere è una cosa, un qualche cosa che la mente umana deve produrre con cui confrontarsi, con cui vedersi. Non è capace la mente umana di un procedimento diverso, come quello di cui sto parlando, dell'assenza nella quale la cosa non si crea, non si genera, sta zitta, è vuota.
E l'assenza di cui sto parlando, il fatto del vuoto, del nulla, produce finalmente l'altro, produce finalmente l'alterità, la coscienza dell'altro.
Dicevamo, nelle lezioni precedenti, che sembra proprio che sia la sostanza umana, il suo stesso percorso originario ad impedire la possibilità dell'altro, dell'alterità, del distacco, del distacco completo, della conoscenza del nulla completo.
Il bambino nasce, e nasce attraverso un rapporto con la madre dalla quale non è capace di distaccarsi, con la quale si fonde in una relazione strettissima. Attraverso fasi successive, nell'arco dei primi sette mesi di vita, produce già alcuni tentativi di distacco, di 'coscientizzazione', di formulazione di un pensare, produce un qualche cosa che assomiglia al vuoto, al nulla, al grande contenitore attivo che è l'assenza; contemporaneamente, tuttavia, produce un'altra condizione, un'attività di pensiero molto frammentaria: il bambino ha un pensiero molto frammentario. E' un contenitore e produce un contenitore che è come disgregato, che non ha un suo confine, un suo limite, una sua forma altra; ripete ciò che è la madre, ciò che è il senso del corpo della madre, ripete cioè un corpo. Il pensiero del bambino è fondamentalmente somatico, perciò è un pensiero del corpo, è un pensiero della cosa.
L'uomo adulto rappresenta una piccola evoluzione rispetto alla cosa, sarà colui che si sarà staccato dalla madre, che avrà accettato il distacco, avrà accettato di essere un po' meno cosa, un po' meno corpo, un po' meno frammentazione, un po' meno nulla rispetto a quel nulla errato, a quel nulla fragile, precario - come lo chiamo - che è l'immaginazione, la fantasia del bambino che produce la paura del nulla, la paura del niente, la paura della morte - della quale fra l'altro l'uomo non ha esperienza, venendogli in tal modo a mancare un'altra immensa parte di esperienza, quella dell'altra totalità dell'essere, l'esperienza cioè dell'antiessere, dell'alterità.
Prosegue la fase di crescita del bambino, arriva la fase preedipica e poi edipica in cui pure non si produce alterità, non si produce distacco; la madre non produce il distacco, non si produce l'entità, la causalità distacco - il principio del distacco -, il vuoto principiante del distacco, la possibilità che la mente umana pensi il vuoto, pensi il nulla, pensi lo zero, - lo zero affettivo, intendiamoci.
Apro una parentesi: lo zero, il vuoto, il distacco sono pensati, nella norma, nell'opinione generale, come fatti negativi; il distacco è qualche cosa di non partecipato, il vuoto è qualche cosa di pauroso, di terrifico, il nulla è equivalente alla morte. Riprendo invece tali termini, li faccio miei e do loro l'elemento e l'alimento affettivo, il calore affettivo, e diventano altro. Perciò quando parlo di distacco, di nulla, di altro, sono il distacco, il nulla, l'altro posti in un contesto differente, discosti dalla realtà normale della cosa; sono l'altro e il nulla affettivi e vuoti, capaci di essere grandi contenitori, capaci di evolversi ulteriormente.
E dico 'capaci di evolversi ulteriormente' perché è come se il bambino, nato per così dire dalla porta sbagliata, sia incapace di andare su livelli più profondi, quelli di cui parlavo all'inizio, dell'assenza profonda. Il bambino diventerà adulto, ma l'adulto non sarà tanto diverso dal bambino, si sarà evoluto per alcuni tratti, si saranno formate astrazioni, un minimo di distacco, ma la realtà sarà sempre cosa; l'uomo non ha prodotto la capacità di essere separato, di essere distaccato, di essere altro dall'altro.
Similmente, nell'evoluzione della specie, nel passaggio dal primate all'uomo, credo che nelle varie fasi, dall'homo erectus all'homo sapiens, all'homo sapiens sapiens, siano avvenuti procedimenti di strutturazione del pensiero, vi siano stati iniziali, originari segni del pensiero umano astratto - quel pensiero che ci ritroviamo ora, nella fase ultima dell'homo sapiens sapiens, nella fase dell'encefalizzazione cosiddetta compiuta - e si siano prodotti fenomeni di grande allucinazione. Il mondo è iniziato attraverso grandi allucinazioni: nella nuova specie si trasmetteva il mondo allucinato dell'animale, il mondo ristretto, fatto di confini, continuamente coatto, replicante, uguale a se stesso, il mondo dello specchio, dell'identità fissa. Perciò, già nel processo evolutivo - ammesso che il mondo sia il riflesso del pensiero umano e che la sua forma sia il linguaggio dell'uomo - il mondo è nato allucinato, è nato in mezzo a un grande delirio. Come avviene al bambino appena nato che è in mezzo al delirio: il bambino appena nato è continuamente allucinato, ha continue fantasie, nasce privo di un pensiero astratto, di un pensiero vuoto, per cui egli stesso occupa tutto lo spazio e, a sua volta, è occupato dalla madre; in tale doppia occupazione è come se morisse e, in tale morte, produce allucinazione, quasi per salvarsi da una fusione troppo stretta.
Vedo che la lezione sta producendo di nuovo informazioni in quantità eccessiva. D'altra parte - e apro una parentesi - devo pur dare tutte le informazioni; per parlare dell'altro livello, del livello dell'assenza, del livello che ritengo al di sotto del piano dell'essere, al di sotto del piano dell'inconscio del bambino, al di fuori della realtà comunemente pensata, capace del vuoto, capace di un'altra mente, di un linguaggio più complesso e astratto, sono costretto a condensare, a produrre un'infinità di elementi; occorre produrre un campo aperto in cui le cose sono fittissime perché è come generare una realtà nuova. Codesto generare, produrre realtà, forma e contenuto nuovi non può lasciare qualche cosa alle sue spalle; siccome è un procedere e il linguaggio, la conoscenza, l'affettività sono in progress, non mi è possibile lasciare indietro alcuni elementi, mi dispiace troppo. Ho la necessità, allora, di compattarli, in un certo senso, anche se sono vuoti nel loro centro in quanto assenti. Le informazioni che do sono tuttavia molto numerose: è come produrre un nuovo livello nell'universo, il che non è un'impresa da poco ed è costituita da un linguaggio strettissimo.
Nel leggere la lezione della volta scorsa o anche le lezioni precedenti, vedrete quanto il linguaggio, ogni cellula del nuovo corpo sia stretta (stretta come in una disposizione seriale di elementi molto fitti in sequenza) e ogni elemento, ciascuna singola particella sia a sua volta fittamente definita, pur essendo vuota, pur essendo libera, della libertà dell'anticosa. Vi accorgerete che, anche dopo due, tre, quattro pagine o dopo aver letto per intero una lezione, sarà dimenticata immediatamente perché non si produce in essa traccia, non si produce cosa: dovrà essere letta molte volte perché la traccia silenziosa, quella del vuoto si formi all'interno dell'individuo senza occupare spazio. La scrittura, il linguaggio, le forme, i contenuti che uso, essendo vuoti e appartenendo al linguaggio di cui sto parlando - un linguaggio di grande complessità, colmo d'affetto e di libertà al proprio interno -, non producono la memoria, non sono soggetti alla memoria meccanica che l'uomo ha prodotto per accumulare le cose. La memoria è un accumulo di cose.
Perciò nel leggere i testi delle lezioni o i miei testi in generale, la memoria meccanica non si forma, un'altra memoria agisce ed è la traccia vuota della cosa vuota. Ciò avviene tuttavia dopo che la persona è stata in grado di produrre quella disponibilità, quell'affetto, quel linguaggio più ampio per cui tali cose possano disporsi; allora se le ritroverà assimilate nel profondo, su un altro livello che incomincia a vivere, ad avere un'esistenza propria e a produrre a sua volta il proprio linguaggio, la propria forma anch'essa particolarmente definita.

4 febbraio 1993