VI lezione 1992-1993
 
 
Come avevo preannunciato la volta scorsa, le lezioni si svolgeranno ogni tre settimane invece che ogni quindici giorni, per le ragioni di cui ho già parlato e per altre ragioni di cui parlerò anche stasera.
Le lezioni a cui stiamo assistendo - vi sto assistendo anch'io in un certo senso perché, come vi ho detto, la lezione ha il linguaggio che si forma con me e con voi simultaneamente nel momento stesso in cui mi metto a pensare e voi pensate con me la storia del passaggio di cui sto parlando - sono un avamposto del ponte, del trait d'union tra la condizione umana attuale e la condizione umana che è altra, che si forma nell'altro, che ha l'assenza, che è capace di vuoto anziché della cosa.
Essendo le lezioni un avamposto, sono io stesso trascinato, portato, condotto, guidato sulla linea di cui sto parlando e sono io stesso sorpreso, stupito di fronte al formarsi di argomentazioni che fino a poco prima non erano così definite, così chiare, ovvero che pensavo si sarebbero formate fra un anno, due anni, tre anni, cinque anni o anche cento.
Le cinque lezioni di quest'anno sono perciò di una grande intensità: hanno in se stesse una quantità di informazioni che sono l'equivalente di una biblioteca e così anche le lezioni dell'anno passato, benché siano più astratte, più in un altro luogo, in una biblioteca propria dell'assenza, dell'estremità alta del cielo e della terra. Le lezioni di quest'anno sono più contenute in una condizione mentale capace della mente umana, capace dell'affetto umano; tuttavia mi sembrano in certi momenti di grande complessità, quasi al limite della possibilità di cognizione, di elaborazione, di affettività stessa - affettività razionale.
Ad esempio, la lezione della volta scorsa, che parlava del linguaggio, mi ha portato oltre tutti i linguaggi che mai avessi immaginato e avessi prodotto nel mio intero: il linguaggio si è sdoppiato, è diventato due, poi è diventato tre, quattro, simultaneamente, nello stesso modo in cui, quando compongo musica, simultaneamente a una certa frase musicale ne viene pensata un'altra su un piano successivo - un livello diverso corrispondente al precedente - che fa sì che il primo piano ruoti in seguito al compimento del secondo.
Così nel mio stesso dire esiste un linguaggio, una base al di sopra della quale si forma un altro linguaggio ulteriormente vuoto: tale vuoto fa ruotare la prima lingua e produce un'ulteriore terza lingua che è l'insieme dei due vuoti precedenti e perciò è l'insieme di un'alterità, di una compiutezza vuota che il primo linguaggio ha proposto, offerto, il secondo ha elaborato e portato nell'ambito di una situazione mentale. Se si esponesse soltanto il primo linguaggio che ho con me, insieme con me e oltre di me, esso sparirebbe all'istante, non sarebbe possibile averne memoria; tuttavia, mentre esso viene posto, simultaneamente in me si forma un altro livello di codesta lingua capace dell'elaborazione del primo livello e della produzione, perciò, di un alcunché che si possa mettere all'interno di un contenitore: quest'ultimo è il pensiero, è il pensiero altro, ovvero la mente.
L'identica cosa avviene quando compongo musica. Produco un livello fatto di una serie di segni, di note, di frasi che si dispongono all'istante in una struttura già data, in quell'istante data da me e mai preceduta da un alcunché; nel contempo nasce all'istante un altro livello che prende una serie di forme differenti che accompagnano e si congiungono con il primo livello, anzi producono un ulteriore livello, quello sottostante, come se ci fosse una base altra che è la base dell'assenza: è il totalmente silenzioso, di quel silenzio che è e ha al suo interno la vacuità intera, l'ampiezza intera, per cui chi si pone su tale livello può respirare, può condurre la mente, la sua coscienza, il suo pensare in altro modo.
Perciò, come dicevo poc'anzi, posto un certo livello che si forma, si conduce e si guida da solo, già formato e in formazione costante come il discorso che stiamo facendo adesso, contemporaneamente se ne forma un altro e, dato l'insieme di codesta contemporaneità, viene prodotto un altro livello subliminale che è il livello più astratto, più assente, più vuoto, più silenzioso, probabilmente anche più affettivo, entro il quale l'individuo, l'essere, il gruppo, l'umano, l'extra-umano può appoggiarsi.
Da un punto di vista concreto è un'operazione fatta in due tempi: viene suonato contemporaneamente a un livello A un secondo livello B che si sovrappone (raddoppia) perfettamente al primo senza che il primo (e il secondo) siano noti alla coscienza ordinaria. Ovvero, il livello A è composto in una situazione di simultaneità con l'ideazione in musica, la quale ha silenzio (è vuota di suono); il secondo livello assume in sé il primo e lo rende ulteriormente vuoto e silenzioso. Entrambi ruotano ora liberati dalla condizione di sonorità evidente, in una nuova articolazione, il livello C, che è l'insieme dei due precedenti e tuttavia costituisce un ulteriore livello che è dell'assenza più astratta, più pura, più vuota, anche forse la più umana, come dico attualmente. Una volta dicevo essere il livello più sensibilmente altro, maggiormente privo di connotati caratteristici dei linguaggi che conosciamo. Attualmente si è riempito invece di connotati più affettivi, più umani, più dell'ordine sensibile, tattile, visibile.
Vi ho parlato della musica perché la musica mi segue. Stiamo parlando dei linguaggi e, perciò, dico di quello musicale che più degli altri procede e corrisponde a me; mi riconosco ogni volta in esso nel momento stesso in cui mi metto a suonare e a 'vedere' la musica, a condurla con me oltre di me. E' un linguaggio che mi appartiene, in particolar modo nella fase della storicizzazione di codesto pensiero. Mi segue e mi anticipa: nel momento stesso in cui mi metto a suonare e a strutturare il linguaggio, nulla ne so in anticipo, nulla dei temi o delle frasi che si formeranno, eppure già le conosco, le conosco da sempre e, tuttavia, ogni volta si rinnovano.
Mi occorre siffatto linguaggio perché ogni volta, ogni giorno - quasi quotidianamente compongo, strutturo, eseguo musica - mi permette di comprendere, di capire quale sia la condizione attuale dell'io che è svuotato, che si è fatto assente, che si è fatto altro e quale percorso sarà condotto. Dal suono, dal risuonare, dalla simultaneità con cui si è formato il risuonare comprendo e comprenderò la situazione attuale del pensare ed anche il suo futuro, nel senso che in quello che è un accordo, una sorta di melodia, un passaggio da una situazione di maggiore a una di minore, da una situazione cromatica a una tonale, immediatamente avverto un linguaggio che è già futuro perché mi ha preceduto, come in questo momento in cui già sono in ascolto di me, di un tema e della sua lingua e sto parlando del linguaggio musicale di cui non sapevo che avrei parlato, né che l'avrei espresso in tal modo.
Parlo del linguaggio musicale da me intrapreso perché la musica è espressione d'una condizione assai particolare ad essa intrinseca che negli ultimi anni ho studiato, ma di cui non so ancora a sufficienza. Tali condizioni sembrano corrispondere a certi particolari stati della materia e della mia particolare conoscenza di quella - come la vedo manifestarsi nella sua forma biologica riguardante l'uomo o, più in generale, nella forma fisica del mondo e nella sua astrazione che è assenza di essere fisico. A tale condizione corrisponde l'insieme dei suoni che chiamo 'razionali' - di cui spiegherò in lezioni successive per esteso e che per ora definisco come suoni che non necessariamente appartengono alla ragione, per come finora è stato conosciuto e 'ha conosciuto' (il suono e il pensare in musica). Essi appartengono a una ragione più ampia, altra, più compiuta e complessa di quella nota ed essi, nella loro disposizione nuova, come io li compongo e li faccio esistere su un piano che è, al medesimo tempo, astratto e concreto, mi conducono per mano, mi facilitano la presa di coscienza - nella ragione mediata, ordinaria - di ciò che è l'espressione concreta-astratta di quel che io dico essere l'assenza, la mancanza e il superamento radicale dell'origine nota.
Nel momento stesso in cui risuona una nota, immediatamente di essa non colgo il timbro o l'altezza, ovvero li colgo in tempo secondo - com'è nella comprensione ordinaria comune a tutti gli uomini -, un momento dopo; all'istante ( in una comprensione più alta e complessa della realtà ), data una nota, capisco - nel senso di capio: prendo, apprendo - il livello ove quella nota è silente, capisco il silenzio della musica, capisco il silenzio; nel momento stesso in cui la nota si forma capisco quando e come la nota ha prodotto il proprio silenzio, ha cioè anticipato il mondo.
Credo che anche il discorso di stasera, come quello della volta scorsa, si faccia complesso e me ne dispiace. Mi dispiace perché non è capibile razionalmente, da parte della mente ordinaria, la complessità dell'intero discorso: le informazioni che do sono innumerevoli, chiedono lo spazio e lo spazio nella mente normale non c'è, lo spazio fisico è limitato, l'io fisico è strutturato in modo da essere compattato, il pensiero - scrivevo oggi - si addensa su se stesso per conoscere se stesso e in tale addensamento non conosce altro che sé e non è in grado di conoscere fuori di sé.
Per tornare alla musica, è interessante il fatto che, dati una nota o un insieme di note, una relazione fra note, una relazione fra intervalli, fra altezze, fra timbri, ciò che ascolto - mentre il piano evidente scompare immediatamente - è il nulla che esiste subliminale, il vuoto, l'antinota, la condizione di simultaneità, quella simultaneità in cui il mondo si è fatto e si è fatto altro, ha ruotato su se stesso e al posto del big bang, del nucleo addensato, si è formato il silenzio. La nota mi indica il luogo in cui, al posto di quel nucleo così duro e così denso pensato dagli uomini come origine, come grande moto di origine in cui in uno spazio piccolissimo si è addensato il mondo, nella forma sonora ho esperienza di un vuoto che si forma all'interno per procedere dall'altro lato dove, invece del big bang, il grande botto, si fa un vuoto che si spinge dall'altra parte, dov'è l'antispazio, l'antimondo.
E compongo giornalmente, quotidianamente codesto antimondo.
Dicevo ultimamente che con le ultime composizioni era come se dessi la forma di tunnel, di spazi vuoti profondi e lunghi che, passati sul livello del silenzio, attraversassero il mondo e l'antimondo e producessero un linguaggio ampio composto delle cose di cui vi sto parlando.
Come dicevo prima, non so perché sia nata proprio stasera la propensione a parlare con tale lingua e, in particolare, con quella che si occupa del suono, ovvero della relazione fra suoni che mi dà la possibilità di conoscere il livello dell'assenza, il luogo dove si è fatto il silenzio e in cui la nota tace.
Da codesto discorso, che mi sembra molto complesso per il fatto stesso che non si ha la possibilità di avere un'esperienza diretta, ordinaria del fenomeno dell'antisuono, del fenomeno del silenzio del suono, si arguisce anche il perché gli uomini abbiano tanto amato la musica e perché si ritenga così alto il livello di chi è capace di ascoltarla, come se la musica potesse transitare attraverso altre vie che non siano quelle della mediazione sensoriale, percettiva ordinaria. Per come è possibile ascoltare la musica, soprattutto quella di cui mi sto occupando relativa ai livelli simultanei e assenti, essa è capace di saltare il piano sensoriale e immediatamente impegnare i livelli più alti della corteccia cerebrale, i luoghi del vuoto, i luoghi dell'assenza, i luoghi del nulla, in un certo senso i luoghi dell'affetto.
[ Un lungo silenzio ]
Adesso vorrei a mano a mano tornare sul discorso del pensiero, sul discorso che ci è più vicino, sul discorso dell'affetto, del vuoto del pensiero capace di affetto, del pensare capace di trasformarsi in linguaggio mentale.
Finora avevo trattato del pensiero come livello, come linea, come susseguirsi rapidissimo di stadi di vuoto idonei a portarsi oltre o eventualmente a farsi subliminali rispetto alla cosità del mondo fatto di cose. Ora ciò che sta avvenendo di tale livello, di tale linea del pensiero è ciò che chiamerei accoglimento dello stesso pensiero. Dicevo che esiste il pensare vuoto che non ha la necessità della cosa e che il pensare vuoto dà anche luogo a un mondo, a una realtà che sono vuote.
La realtà, il mondo vuoti non sono quel vuoto conosciuto normalmente finora dagli esseri umani. Il vuoto di cui dico è l'assenza, è la capacità della cosa di togliersi di torno e far sì che si assuma quel distacco reale e giusto fra l'osservatore e la cosa, è la capacità dell'osservatore di accettare il distacco, la distanza giusta tra sé e la cosa in modo che questa non implichi quella 'cosità' che è stata la condizione dell'intoppo in cui il processo biologico si è arrestato, a causa del quale nella situazione evolutiva attuale il mondo, le cose sono viste in termini di cosa concreta, di cosa addensata e compatta, in generale di cosa.
E' un punto difficile da spiegare; è arduo apprendere che cosa significhi pensare privi di cosa, che cosa significhi pensare facendo a meno del pensiero stesso il quale, ritiratosi in se stesso, avendo ruotato di 360°, è scomparso di fronte a sé divenendo conoscitore del nulla di sé e del nulla delle cose. Finché si parla di svuotamento della concretezza, ciò è intuibile, in parte conoscibile; infatti nella storia umana si è parlato dello spirito che è opposto alla materia, come svuotamento della materia oppure come evoluzione della materia fino ad un livello x chiamato spirituale - ma lo spirituale non è nient'altro che un'altra faccia della medaglia, è ancora cosa.
Ciò che è complesso e che stiamo cercando di vedere e di produrre insieme è l'assenza stessa della cosa poiché il pensare, il concetto di pensare, l'atto del pensare sono cosa, ente, un ente prodotto dalla vita e ogni azione che l'uomo compia, anche quella di ritirarsi, anche quella di non essere - qualsiasi evento - è cosa. L'uomo è obbligato a essere cosa: questa è la situazione dell'evoluzione attuale.
Perciò il mondo, essendo almeno in gran parte proiezione dell'umano, dell'io fisico umano - l'io fisico e l'io spirituale sono assolutamente identici per me - è cosa e, essendo cosa, l'oggetto e il soggetto, i due campi, quello d'osservazione e quello d'osservato continuano a scontrarsi, non hanno spazio, non hanno interstizio; tanto che l'idea originaria umana della nascita del mondo è un grande botto che nasce dalla fibrillazione, dall'oscillazione di un nulla il quale si condensa in un momento, in uno spazio piccolissimo sotto la forza di gravità, producendo un nucleo estremamente denso, e da ciò l'esplosione.
Ma l'esplosione è ancora un nucleo frammentato in mille pezzi, non è certamente un nucleo che si è trasformato in altro, che si è trasformato in assenza di nucleo, in assenza gravitazionale, in assenza di densità, in alterità, in altro.
Il concetto di 'altro' è arduo, impossibile da pensarsi: l''altro' è l'oggetto supposto essere completamente diverso. Eppure, la ricerca dell'altro sembra essere una delle aspirazioni più grandi dell'uomo: la letteratura, la poesia, la filosofia ed ora persino la scienza si occupano dell'altro, dell'alterità. Ma il concetto di altro non potrà mai essere compreso, capito, conosciuto se non avverrà quel passaggio di cui stiamo parlando tale per cui l''altro' diventi l'equivalente della cosa nel mondo.
L'altro, nel nostro discorrere, nella nostra dimostrazione, è quel vuoto di cui parlo, è l'assenza. Sarebbe sufficiente pensare altro, pensare altrimenti; alla fin fine dalla condizione per cui esiste la cosa del mondo, la cosità - per cui abbiamo un corpo, uno spirito, un pensiero, per cui il mondo ha le cose, lo spazio, il vuoto, il nulla, i concetti -, si passa a un'altra condizione dove tutto ciò è totalmente diverso ed è nulla rispetto al mondo della cosa.
Sto comunque parlando di un fatto dell'esperienza, dell'esperienza dell'io fisico il quale è capace di cessare dall'essere io fisico, cioè cessa dall'essere continuamente sollecitato a produrre un mondo fisico, un mondo della nota, un mondo del timbro, un mondo delle altezze; cessa del suo tipo di organizzazione ed entra in un'organizzazione del tutto differente, capace d'essere vuoto nell'istante in cui esso pensa e produce concetto.
Anch'io ovviamente sono un ente fisico, un io naturale - non tanto ovviamente - anch'io sto parlando per concetti, per cui i concetti sono cose, la lavagna è una cosa, l'astrazione è una cosa, il pensare è una cosa; però nello stesso istante in cui parlo di una cosa, codesto pensiero è capace di ruotare e di farsi altro. Potete averne l'esperienza in luoghi molto profondi di voi stessi, in luoghi altri, probabilmente del tutto diversi dalla condizione edipica attraverso cui ogni uomo deve passare. Per inciso dico che la condizione dell'antipensare o dell'azione dell'antipensiero, dell'altro pensiero, della razionalità allargata sarebbe in grado di produrre l'antiedipo, il passaggio cioè oltre la condizione di fusionalità data dall'Edipo e oltre la situazione di morte, di Thanatos, che si instaura nella relazione di fusionalità presente nell'Edipo.
Perciò quando parlo di passaggio dalla cosa al nulla, si tratta di un passaggio nella radice delle cose e degli avvenimenti, entro lo spazio, entro il tempo, entro la coscienza. Quando parlo di ciò, parlo di un cambiamento della qualità della ragione e dell'affetto, il quale ha coscienza e distacco, è capace di riconoscere l'altro e di porsi fuori dalla riflessione su se medesimo insieme con la simultaneità del riconoscimento dell'altro come diverso da sé.
Ora, come abbiamo detto in altri discorsi, è come se le due condizioni della cosa e del nulla fossero in certi momenti assolutamente prossime l'una all'altra, nel senso che se la cosa, se codesta lavagna fosse capace di ammantarsi ( come avvolgersi in un manto ), di ritirarsi, di entrare in uno spazio appena prossimo allo spazio in cui essa è posta - e in cui è fissata dalla proiezione delle strutture-mediazioni mentali, biologiche, dell'io fisico che proietta il suo spazio-tempo organizzato da sempre in quel modo -, la lavagna sarebbe già cosa nell'ambito del nulla, sarebbe cosa diversa da se medesima, capace di esser diversa in ogni istante da se medesima.
Cerco di spiegare.
L'idea di questa lavagna è un'idea 'fissa' - eîdos, immagine, ideazione. Non spiego quali passaggi occorrano all'uomo per arrivare a formulare il concetto di lavagna, a dire che questa è una lavagna, è un oggetto 'lavagna'; non mi interessa adesso spiegare come faccia il bambino ad acquisire il concetto, dico piuttosto, in sintesi, che, nel momento in cui è acquisito l'oggetto lavagna, esso è fissato nella coscienza e nel mondo. E nel momento stesso in cui un oggetto è fissato - è questo oggetto e basta, non può essere altro, non può essere altrimenti - esso è cosa, è cosità del mondo, è cosa compatta nata da quell'originario luogo di massimo addensamento, di massimo addensamento del pensiero, di incapacità di nulla, di svuotamento, di incapacità dell'esperienza dell'essere nulla.
Quando dico 'nulla' non è la storia del nulla, non è il problema filosofico dell'essere e del nulla, non è il problema platonico né aristotelico né esistenziale. Quello di cui parlo, il 'nulla', potrebbe essere pensato simile all'assolutamente diverso, cioè l'altro: l'altro è nulla rispetto alla cosa, l'altro è altro, è realmente diverso, perciò è nulla rispetto alla cosità del mondo. Non è un concetto filosofico, della via lungo la quale s'è incamminata la filosofia, è l'esperienza di un alcunché di assolutamente altro, diverso dalla fissità della cosa.
Nella nostra mente, nella nostra esperienza quotidiana, nel nostro inconscio, le cose si fissano, il mondo si fissa e il mondo è fissato; il mondo che nasce probabilmente da una struttura materiale originaria, da un nulla originario materico - non è questo il momento in cui mi interessa spiegare ciò - si fissa nelle sue forme. Si fissa anche l'esperienza umana che non è capace di andare oltre il tipo di esperienza consistente nel segnalare l'esistenza di una cosa, concreta, fisica, che ho chiamato sovraliminale rispetto all'elemento subliminale, all'elemento di alterità, di fattore capace di contenere - disegno sempre un segno di contenimento -, di anticosa, di anticosità, di antipensiero, di pensiero che si scava e che è nulla nel momento stesso in cui si pone, di concetto che è nulla nel momento stesso in cui si pone, di mente che produce assenza.
Parlavo prima della lavagna; se fossi in grado di spostarla anche di un millimetro, di un milionesimo di millimetro, di un infinitesimo di spazio o di tempo ( di tempo e di spazio altri, del tutto similari a questi ), essa sarebbe già fuori dallo spazio fissato nella nostra mente, nel nostro luogo, nella nostra esperienza, non nostra ma dei milioni di anni di evoluzione biologica; come se l'evoluzione biologica avesse prefissato o fissato una struttura, la quale si è modificata partendo da un unico luogo, senza essere capace di quella mutazione o mutamento generale e radicale per cui la cosa potesse essere anticosa diversa da sé, non fissata e non prefissata nello spazio-tempo, nella condizione delle categorie troppo semplici o semplicistiche appartenute finora alla struttura mentale, fisica, filosofica kantiana della vita umana.
Dicevo che la nuova condizione è anche vicinissima poiché il passaggio da cosa a nulla e niente è minimo perché è l'altro. L'altro è come se fosse di fianco a noi ed è immediatamente altro, è completamente diverso, è l'alterità anche in noi stessi, è niente; però il niente è infinitamente lontano, è infinitamente altro, è totalmente diverso. E' il paradosso di codesto discorso: le cose e nulla si possono sintetizzare insieme, ma possono essere anche totalmente diversi e non produrre mai l'alterità, come se la struttura biologica si fosse fissata in un luogo, senza offrire alcuna possibilità di un passaggio di questo tipo ancora per miliardi o per milioni di anni o per sempre. E' come se occorresse un minimo spostamento, ma che è totale, dell'essere, dell'essere non solo biologico ma anche affettivo o pensante, teologico, psicologico. Mi dimentico sempre della psicologia perché è la scienza di riflesso e, come avevo detto, dovrebbe tacere l'inconscio, la mente dovrebbe essere una mente razionale più ampia, capace di uno spazio-tempo più assente e perciò capace di organizzarsi in strutture di costanza diversa, di identità e di identificazione diversa, allora la lavagna sarebbe altro, continuamente altro: io la vedo continuamente essere altro, non è mai essa, ed è libera di essere altrimenti.
Tutto ciò implica il fatto della conoscenza dell'altrimenti, il fatto della possibilità che la cosa non abbia la necessità di identificarsi, di avere una radice unica: come dicevo la volta scorsa, eventualmente è il pensiero che è capace di avere una radice doppia, triplice, è il linguaggio che ha un livello, un secondo livello, un terzo livello, un quarto livello simultanei. La simultaneità vuota, assente non è ancora caratteristica umana: io spero, attraverso tutto il lavoro che stiamo e sto facendo, che la simultaneità affettiva e vuota possa esser prodotta in modo tale che si faccia la strada attraverso l'intoppo di Thanatos rispetto ad Eros, nella storia umana, nella storia scientifica-umana.

14 gennaio 1993

( La mente e l'Altro )