II lezione 1992-1993
 
 
Abbiamo introdotto, per cenni, per disegni vasti, il tema dell'assenza che si può riassumere in termini semplici come un nuovo livello più profondo, più vuoto, più simile al nulla, sul quale pensare le cose e permettere che esse esistano.
Ciò di cui parlo, come ho già detto più volte, non è un teorema logico-filosofico, come di solito nell'occidente si pone circa gli argomenti dell'esistenza e della conoscenza. Il mio discorso vuole non essere metafisico e non lo è, eppure si compone dei temi della conoscenza e della scienza. Per forza di cose, poiché mi occupo di un livello di esistenza finora mai posto, ma che ho verificato in me, nei miei pazienti e in alcuni lavori clinico-sperimentali, debbo passare attraverso le forche caudine che il discorso filosofico dell'occidente pone, debbo cioè passare attraverso la grande scienza o conoscenza dell'Essere di Parmenide, per cui tutto è e nulla non è, e di nulla non si può - con coscienza, aggiungo - parlare. Di 'nulla' si può parlare se facciamo filosofia, se facciamo conoscenza dell'ordine metafisico - intendo per 'ordine metafisico' ciò che non è direttamente esperibile, ciò che non appartiene al campo della psiche e della coscienza capace di esperire.
Il discorso filosofico di solito pone alcuni temi, ne sviluppa il linguaggio e arriva a determinate conclusioni, ma il discorso filosofico, come in generale il lógos occidentale, sta 'piatto', non va incontro, non produce alcun tipo di affetto e in un certo senso è giusto così perché si dice che l'affetto appartenga a un altro campo.
Il discorso filosofico o in generale il discorso del lógos, il discorso scientifico, il discorso matematico - tutto ciò che nell'occidente s'è formato nell'ambito dello sviluppo intellettuale della logica, della razionalità - di solito prescindono dall'affetto, non se ne occupano. Voglio invece occuparmene. Il mio discorso, che è conoscitivo, scientifico, razionale, che è astratto, del livello più alto possibile dell'astrazione, è affettivo, ha cioè relazione coinvolgente e allo stesso tempo distaccata, come dicevo l'anno scorso ha il 'distacco all'infinito', è capace di relazionarsi. Le mie parole, le mie frasi, i miei fraseggi, le mie note si relazionano di fatto, ma in una relazione assolutamente particolare che è inversa e sta in un segno che è un segno di vuoto
1 : A si relaziona ad A1 attraverso un passaggio che è vuoto, è zero. Il discorso che sto facendo parte da me - sono io il soggetto e mi astraggo, divento assente _ si fa vuoto nel mezzo, diventa lo zero che è il campo dell'assenza e ritorna ad A1, nel senso che si incava, si involve - non è un'involuzione, ma una rotazione - e coinvolge A1 che siete voi, per cui siete contenitori. Ma il percorso è passato da zero, cioè è passato da vuoto, tra me e voi c'è vuoto, c'è il livello che ho chiamato 'assenza'.
Il livello che ho chiamato 'assenza', come voi potete constatare sperimentalmente, esperienzialmente a livello della vostra coscienza, non è assente, anzi la relazione si pone profondamente, massimamente, nella modalità del 'coinvolgimento assente'. Nel momento stesso in cui la frase o il linguaggio o la nota - intendo la nota, la frase musicale - si pone, essa entra nella relazione e compie l'intero il passaggio: A soggetto si astrae, passa in 0, arriva ad A1, ritorna ad A e così via, passando continuamente attraverso il suo livello zero che è coinvolgente ma è astratto, è vuoto; è razionale ma toglie la razionalità, perché la razionalità diventerebbe un elemento pesante, cioè sarebbe un elemento al di sopra dello zero; entra nel discorso affettivo ed è discorso affettivo perché in tal caso affetto è l'intero camminamento, l'intero tragitto.
Perciò intendo 'affettivo' nel senso più astratto, più puro, più interiore del temine, certamente non l'elemento emotivo, l'elemento sentimentale nel senso deteriore dei termini. E' chiaro che 'affetto' significa anche che tutti i fattori del sentimento, dell'emozione appartenenti ai luoghi profondi del cervello, delle zone limbiche, arcaiche del sistema nervoso centrale, del talamo, dell'ipotalamo, fino alle zone alte, alle vie temporali, alle vie corticali, sono interessati e che quindi c'è un'integrazione perfetta dei procedimenti del sistema nervoso nel discorso che sto facendo: avverto e incomincio a conoscere tutto ciò anche a livello biologico. Ovviamente 'biologico' significa anche 'assente' di quella struttura biologica che imprime le sue orme, la sua durezza, la sua rigidità appena prima di quanto sto dicendo.
Ogniqualvolta uso un termine, della scienza, della filosofia, della logica, della matematica, della musica, della pittura, questo assume immediatamente la sua rotazione, cioè diventa altro; è quello, è esattamente quello, ma spostato al livello zero, ha compiuto il giro ed è entrato nella relazione tra me e il mondo, tra la mia mente che pensa, si astrae e ruota su se stessa e il mondo - ammesso in tal caso che essa entri in relazione col mondo, che esista e che occorra l'esistenza di un mondo esterno quando la mente è vuota e totalmente astratta. Tutti i termini, i concetti, gli enti hanno il loro posto e, nel momento stesso, escono dal loro posto, perdono la rigidità, la classificazione, la concettualità rigida, incapace di produrre l'elemento dell'affetto, l'elemento dell'intelletto più ampio, più complesso.
Quando dico 'assenza' significa che mi pongo continuativamente su di un piano ancora più astratto, più vuoto del nostro andirivieni: è il piano sul quale lavoro nelle mie terapie, sul quale lavoro per esempio componendo musica, è il piano sul quale pongo continuamente la relazione che è capace d'affetto e del massimo distacco.
Come vedevamo la volta scorsa quando dicevo che l'evoluzione aveva avuto un certo percorso, a un certo punto dell'evoluzione del pensiero umano si è formata l'idea dell'inconscio - l'idea ampia, freudiana dell'inconscio - come uno scarto, come un ente che si approfondisce, che va dentro la mente, che va sotto la terra, che va nella zona subliminale, che va forse nella direzione dell'assenza; ma l'assenza è vuota, il piano dell'assenza è totalmente vuoto, mentre l'inconscio non è altro che il residuo, l'anomalia del procedimento vuoto. Il sacco ch'è l'inconscio, ch'è la parte profonda di voi nasce con l'animale, nasce col bambino il quale cerca in qualche modo, attraverso i genitori, di produrre una maggiore variazione, una possibilità migliore d'esistenza e di relazione perché, chiuso nella sacca che è il suo mondo interno profondo, il mondo istintuale e il mondo della non coscienza, non potrebbe avere alcuna relazione con il mondo esterno e si ammalerebbe molto gravemente, ovvero non verrebbe neanche al mondo o verrebbe al mondo morto, ovvero sarebbe schizofrenico - accorciando un poco la problematica che riprenderemo.
Il piano dell'assenza si pone altrove, è altrove rispetto all'inconscio giacché è una saccatura, un vuoto il quale tuttavia non è affatto riempito, è un vuoto vuoto, è un vuoto che non ha nulla, che non ha bisogno di nulla, ma è un vuoto che, ritornando al discorso precedente, è capace dell'affetto. Siamo in uno dei paradossi più grandi, se non nel paradosso più grande che abbia mai incontrato o che si sia mai incontrato, in cui un elemento vuoto, totalmente vuoto, cioè assente di per se stesso, astratto totalmente, è capace di una relazione d'affetto; e la relazione d'affetto, come ho detto prima, è vuota, cioè è assente ed è capace di produrre assenza, vuoto e affetto nella persona che lo riceve, nella persona che entra nella relazione complessa.
Perciò la storia di cui vi sto parlando si può anche ricollegare in certo qual modo alla storia occidentale. Abbiamo poc'anzi parlato del 'campo' dell'essere. La posizione attuale del non essere che pongo come ulteriore fondamento, cioè l'assenza prima dell'essere e fuori dall'essere, capace di essere e del non essere, l'assenza che si pone nella direzione della subliminalità sommersa, nella direzione dell'inconscio, travalica, supera l'inconscio perché lo svuota, pur avendone un grande rispetto. Sto ritrovando a mano a mano il piano dell'assenza molto profondo, vuoto, in ogni persona che curo, quasi in ogni persona che incontro, diciamo nelle pieghe della sua evoluzione o dell'evoluzione della specie, dell'evoluzione della natura o delle cose, come tanti anni fa lo trovai attraverso il metodo dell''attivazione' che via via spiegherò meglio. Adesso lo trovo attraverso un discorso come quello di stasera che può essere semplice o anche enormemente complesso, perché sto formando un grande cavo, il vuoto dell'assenza in cui sento uscire a mano a mano i vostri processi inconsci.
In un certo senso devo rispettare molto l'elemento dell'inconscio, per il fatto che avrei considerato insensato tale elemento istintuale, animale, biologicamente primitivo nell'essere umano che ritenevo molto più sviluppato complessivamente di quanto poi in realtà mi son trovato dinanzi; dico 'rispettare' nel senso che, dopo averlo accantonato, dopo averlo ritenuto incapace di imprigionare l'enorme campo dell'assenza, mi sono accorto che invece il piano dell'inconscio continuava a influire sul punto dell'assenza, sul vuoto, non lasciando in pace l'evoluzione della specie, l'evoluzione dell'individuo singolo che sarebbe stato probabilmente capace dell'assenza - ammesso che l'evoluzione della specie sia già arrivata al punto dell'assenza, cosa per me non ancora precisata attualmente, ci sto arrivando a mano a mano.
Mi sembra che un punto molto importante da sottolineare sia che nella mia ipotesi, nella mia tesi, nel tema dell'evoluzione maggiore della specie, dell'intelletto, della coscienza, senza il piano dell'assenza, senza il piano globale - che è l'interezza, che probabilmente è l'uno, è l'intero, è l'uno platonico ovvero il due nel senso di cui parlavo, i due sistemi 1 e 2 più complessi -, il piano dell'inconscio non può essere trasformato. Il piano dell'inconscio, cioè, produce resistenze, blocchi, fermate, linguaggi alterni; ultimamente mi sembra quasi che la mente umana sia formata da meccanismi quasi casuali, dell'ordine casuale, come se nelle mente umana si formassero continuamente delle bozze, degli elementi incondizionati la cui lettura non può passare attraverso leggi di causa ed effetto; allora devo passare da uno dei differenti elementi per giungere poi all'intero che pongo in ogni istante, in ogni momento del rapporto terapeutico, e anche nella relazione attuale, in cui l'intero è continuamente insieme con tutti gli altri interi che sto ponendo, nel formulare e formare più interi - la legge della complessità degli interi, di cui abbiamo parlato l'anno scorso e che poi eventualmente riprenderemo.
Siffatta interezza è fondamentale nella storia dell'individuo, nella storia dell'evoluzione, nella storia clinica che osservo tutti i giorni poiché una parte dell'individuo tende a sfuggire e andare in un certo luogo, l'altra in un altro. Fin dai primordi della mia attività clinica ho parlato [P. Ferrari si avvicina al pianoforte e suona il mi centrale] di scissione, non nei termini posti dalla psichiatria, dalla psicanalisi, ma come se l'individuo fosse sempre scisso e le sue varie parti non fossero mai realmente unificate verso un centro che è vuoto, perché l'inconscio non ammette la certezza e l'unità vuota nella sua centralità e, siccome l'inconscio fino adesso ha prevalso nella specie umana - l'ultima nell'evoluzione e, per come è attualmente, ancora superiore appena di un gradino alla specie animale -, esso impedisce una strutturazione più complessa, più umana, più affettiva e l'impedisce fino agli estremi limiti.
Credo che tale elemento di unità, di doppia unità - devo porre qui la doppia unità perché l'unità sola non basta, ma è troppo complesso da spiegare all'interno del discorso di stasera - sia continuamente spezzato, continuamente violato; ma la violazione dell'unità o della doppia unità, ossia dell'unità complessa dell'essere, è violata ovunque, nello spazio, nel tempo, nella relazione tra un individuo e l'altro, nella struttura di un pezzo musicale, in un quadro, in una struttura architettonica: l'elemento dell'unità, dell'unità capace oltre tutto di essere vuota nel suo centro e quindi di porre il suo fattore affettivo profondo, è continuamente violata.
Allora la mia via è stata quella di non poter passare soltanto attraverso l'elemento che veniva continuamente violato, ma di dover fare i conti con la struttura inconscia che occupava lo spazio vuoto, mentre avevo ritenuto da sempre che quell'elemento fosse soltanto e soprattutto dell'umano e che l'umano l'avesse già al suo interno, dato che ricevevo informazioni dal piano della coscienza assente, quel piano che si pone al di là dei procedimenti inconsci.
Ritornando un attimo indietro, dico allora che è molto difficile che si possa porre l'unità vuota o la doppia unità vuota, capace di una centralità vuota oppure anche di più centralità vuote - che siano vuote - in un organismo complesso di vuoti, senza dover passare dal piano così profondo che è l'assenza.
Arrivati a questo punto, emerge la problematica di come poter affrontare l'inconscio, di come sottrargli la sua tendenza all'occupazione, all'elemento che dura in eterno, che non è capace assolutamente di cessare, di estinguersi. In generale, le terapie o le attività del pensiero umano che se ne occupano molto difficilmente possono realmente arrivare all'inconscio in maniera tale che parti di esso possano cessare, se non passano dal piano dell'assenza che è vuoto; perché l'inconscio ha come sua prerogativa fondamentale il fatto che è pieno, che tende a occupare ovunque. Soltanto su un piano in grado di non essere occupato, di essere silenzioso, di essere vuoto, di essere affettivo di un'affettività di ritorno che ricambia in continuazione, l'inconscio allora potrà essere a mano a mano smantellato, svuotato; non solo l'inconscio ma anche la realtà esterna agli uomini, fatta spesso e volentieri d'inconscio per via delle sue origini concrete, potrà essere a mano a mano smantellata, svuotata soltanto attraverso il procedimento dell'assenza. Il lavoro per assenza, il pensiero per assenza, l'affetto per assenza, il luogo che è vuoto, il luogo che si fa vuoto, il luogo che ha il linguaggio vuoto, che ha per ogni parola, per ogni nota un'infinità di parole alle sue spalle senza che queste debbano parlare, che ha per ogni accordo un'infinità di accordi alle sue spalle senza che questi debbano mostrarsi, sono già contenuti nella struttura perfettamente unitaria della complessità dell'unità e della complessità del vuoto il quale è vuoto affettivo.
Nel nostro cammino, nella nostra storia, e qui
2 ho posto la storia della conoscenza, è quasi come se la conoscenza avesse avuto dapprima un avviamento veloce e poi avesse teso a rallentare fino ad arrivare a un procedimento asintotico - forse quello chiamato 'fine della storia' da Hegel. Nella fase di rallentamento abbiamo avuto probabilmente alcune piccole rotture e attualmente abbiamo una rottura molto forte in cui il piano dell'assenza - che nel cammino evolutivo ha taciuto e che ritroviamo nelle pieghe della vita umana in situazioni e manifestazioni di piccolo, ben definito aspetto, in certe fasi del sonno di cui parlerò - entra in maniera chiara, potente nella storia e produce il suo lento, sinuoso, morbido mostrarsi, tale per cui gli elementi che si sono bloccati tramite certi procedimenti, certe chiusure inconsce, certi vuoti negativi possano essere ripresi, possano avere una loro coerenza maggiore attraverso un passaggio che avvenga su piani più profondi: ad esempio attraverso il passaggio a una maggiore capacità unitaria, il passaggio per cui il pensiero che emette l'individuo parta realmente da un'origine interna, la parola che viene emessa parta realmente da un'origine che è il punto centrale, che è il punto vuoto, che non ha neanche un minimo punto di scostamento da quello che possiamo dire essere il sé o l'io profondo già ruotati, già astratti, già fatti altri. Solitamente chi pensa, chi parla parte comunque da un piano vuoto, da un piano vacuo il quale deve essere astratto, deve essere ripreso: è quel piano che, nella civiltà occidentale e nella civiltà in generale, ha posto il procedimento della conoscenza, il procedimento della scienza, senza che si fosse ancora partiti dal punto primo, dall'origine prima, dall'origine più vuota possibile e nello stesso tempo più piena, più affettiva, più altamente astratta, più altamente intellettuale.
Per finire, dico che appartiene alla vostra esperienza quotidiana il fatto che chi cammina, chi parla, chi pone un gesto, chi entra in una relazione di linguaggio non parta mai da un punto più profondo, da un punto che è assente ma assente della parte positiva, da un punto che abbia un linguaggio più profondo, più potente, bensì sia sempre spostato, leggermente spostato. L'individuo, l'uomo, tutta la struttura conoscitiva non è mai simultanea a se stessa. Il discorso che faccio è invece perfettamente simultaneo a se stesso, anche se negli ultimi dieci minuti sento la fatica, non mia ma vostra, e la porto dentro. Il mio discorso musicale ad esempio è simultaneo a se stesso; ogni tipo di discorso, ogni tipo di moto, ogni attività che pongo, di tipo simbolico-astratto come di tipo affettivo, è simultanea a se stessa, è simultanea all'essere nulla.
Come ulteriore notazione potrei dire che negli ultimi dieci, quindici minuti c'era molta fatica: il mio discorso, essendo simultaneo a sé, è simultaneo anche a voi e alla parte di solito non simultanea a voi stessi: perciò, a mano a mano, produce l'esistenza e con ciò la resistenza dell'inconscio che è una delle forme meno simultanee, meno attuali, meno presenti nell'esistenza. Avrei potuto fermarmi dieci minuti fa, ma volevo portare almeno in parte alla conclusione il discorso, produrre l'unità che si stava formando, anche se negli ultimi dieci, quindici minuti, la mia parola diventava carica dell'inconscio, della stanchezza inconscia delle persone qui presenti e, nello stesso tempo, doveva fare il giro e doveva come lavarsi per sopperire, per togliere dai piedi le tracce che si stavano formando e che non erano assenti, anzi erano piene di un'occupazione continua. Allora la mia parola rallentava e il discorso probabilmente ha risentito di tale maggiore resistenza: la parola che è parola nel campo dell'esistere, che è un emergente, che non è l'assenza pura, si carica di tali elementi e nello stesso modo il mio corpo e il vostro soma; il vostro soma, che per mezz'ora è stato silente, ha in seguito incominciato a emettere la fatica dell'inconscio che non è capace di essere nell'attualità assoluta e vuota.


5 novembre 1992


( La simultaneità affettiva e assente )