15/6/06.

Per il Seminario 22/6/06.

 

Nato e non-nato. Differire del gesto che genera mondo nel suo generoso mancare. E’ evidente il mancare? E’ non-dato-il-mancare?

 

 

101. Incontrai un uomo per strada, accanto a una porta semiaperta. Era silenzioso, con lo sguardo verso terra. Mi venne alla mente di proporgli qualche domanda, sul perché fosse lì, o qualunque altra cosa riguardasse quel suo atteggiamento all’apparenza un po’ sconsolato, ma in realtà ben determinato, non si sa a che cosa. Non ne feci niente; tirai dritto per la mia strada, ché quella posizione era la sua, proprio la sua e nulla aveva da condividere con me, se non che lui era quel mio essere taciturno, talvolta, e pensieroso. Da non disturbare, se possibile. Infatti apparteneva a un mondo che già non c’era più.

                                                     

                                                                     (Sotto l’influenza degli aforismi kafkiani)

                                                                                                                                                      (P.F, Aforismi della transizione, 2006)

 

 

 

 

Della vita e del pensare

   Se non fossimo altro, tutt’altro, non esisteremmo quali uomini pensanti.

                                                                                                                                                     (P. F., Aforismi in-Assenza, 1997-2006)

 

 

 

 

 

Ciò che (ora) si può dire: soltanto in quanto manca, è assente, allora (la cosa) esiste.

Soltanto in quanto ha la facoltà di mancare, d'essere assente, il che equivale ad (essere) altrimenti da sé - equivalente a mancante di sé, ad altro da sé, prima-di- sé -, esiste (per la cosa) la facoltà-probabilità d'esistenza.

La cosa esiste (unicamente) in-mancanza di sé. La cosa esiste unicamente nell'accoppiamento con la sottrazione (assenza) di sé.

                                                                                                                                                                                            (P. F., Op. cit.)

 

 

 

 

C’è nel nostro assetto cerebrale un eccesso di eccitabilità. sER sovrasta sIR. Eccitazione sovrasta inibizione. L’inibizione, anche la capacità d’estinzione dello stimolo, ha un’efficacia, forse una presenza inferiore, al processo di eccitazione, d’apprendimento. Ciò deriva probabilmente dalla necessità dell’organismo animale di far fronte il meglio e il più in fretta possibile all’ambiente che lo circonda. Il pareggiamento delle due dinamiche – meno e più - renderebbe l’organismo debole, in balia degli eventi, impotente di fronte alle necessità della sopravvivenza. Ma qualora la sopravvivenza fosse data, la finalizzazione dell’azione sarebbe ancora così necessaria?

In questo caso la stratificazione inibitoria, il piano della mancanza potrebbe meglio farsi presente e contare di più, non solo negli equilibri interni al sistema, ma anche nella relazione tra sistema e mondo esterno. Fino al raggiungimento d’un valore massimo, dato il quale tutto il livello di quel genere, eccitazione-inibizione, s’estinguerebbe, per dar luogo a una differente capacità relazionale, a una differente ricezione di stimoli, a una differente risposta all’oggetto mondo. Un oggetto mancato, potrebbe affiorare, lentissimamente, con chiarezza lampante ed evidenza assoluta.

                                                                                                                       (P. F., Aforismi in-Assenza, 1997-2006)

 

 

 

 

  “Dimostrerò nelle pagine seguenti che esiste una tecnica psicologica che consente di interpretare i sogni, e che, applicando questo metodo, ogni sogno si rivela come una formazione psichica densa di significato, che va inserita in un punto determinabile dell’attività psichica della veglia. Tenterò inoltre di chiarire i processi da cui derivano la stranezza e l’oscurità del sogno e di dedurre la natura delle forze psichiche dalla cui cooperazione o dal cui contrasto il sogno trae origine. (…)”

                                                                                                                (S. Freud, L’interpretazione dei sogni, 1899)

 

 

 

 

Raddoppio (in-assenza) significa allentare i vincoli che tengono fissa e incoercibile la realtà allo sguardo di chi la osserva e l’ascolta con occhi saldi  e orecchie pulite. Farla oscillare fino al limite della rottura degli equilibri cui il cervello umano s’aggrappa per dominare le cose del mondo; lasciar andare la corda fin troppo tesa dello sguardo e dell’essere: introdurre la complessità nuova d’un comporsi, disporsi, costruirsi e decostruirsi, pensar meglio oltre quel vincolo, udir meglio oltre l’impatto consueto dei suoni (e dei rumori), viver meglio con una ragione e un sentimento che si sono fatti ampli a sufficienza per raccogliere tutti i mancamenti sui quali s’è aperto l’udito e lo sguardo; essere tra loro uno di loro, liberati da un destino di morte troppo vorace.

                                                                                                                                                                                (P. F., Op. cit., 2006)

 


 

Pierre-Jean Jouve

 

Frammento

 

Vedrà scomparire tutti i segni.

Tu non vuoi, sui muri

Che l'odore sottile

del vuoto

Che separa per sempre

L'Essere nulla e il segno.

 

 

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Nada

 

Se il miracolo del giorno è amare il giorno

Nella carne, nel crimine, e nell'amore

Il miracolo della notte è non amare niente

Nessun amore, nessuna dolcezza del giorno

 

Il miracolo dell'amore è non amare niente

Non conoscere niente nei buchi delle stelle

Non sapere niente, né vivere né apparire

Essere la fiamma di non esistere in niente