La coscienza non
sa (coscientemente) della sua assenza”. Il gesto, per il
cui tramite il corpo-mente pensa, si nutre unicamente del folle scarto
che è abissale apertura a sé: su niente poggia se non
sull’infinita ricchezza che gli deriva dall’essere tutt’altro,
compiutamente. La prima “assenza”
a teatro è la liberazione dal discorso, è nella vanità
della scena e nella gratuità dell’atto. Nella voce l’arte
scenica può regredire miracolosamente fino al suo caos felice
e primigenio e ritrovare, magari, le sue origini; ovvero può
avanzare faticosamente dentro un cosmo che la trascende e l’annichilisce,
liberandola subito dalle convenzioni, quindi dai significati e finalmente
dalle forme. “Occorrerebbe
andare oltre l’attuale livello degli studi sui saperi e le tecniche
del corpo del teatro e istituire un’impossibile scienza cinesica
dell’attore, per considerare come i suoi gesti siano gli unici
e gli ultimi a restare liberi dal significato; gesti decisi nell’intenzione
ma vuoti di espressione, o meglio figure o forme concave che possano
o debbano essere riempiti o colorati di senso dallo spettatore, ingannato.
Il suo primo e vero inganno “teatrale” è infatti
quello di credere di vedere, di capire, di ricevere: in questo consiste
la sua “visione”, che è frutto di una sua adesiva
invenzione al vuoto gesto di un attore assente.” Il progresso di
un’analisi non riguarda l’ingrandimento del campo dell’ego,
non è la riconquista da parte dell’ego della sua frangia
d’incognito, [ma] è un vero capovolgimento, uno spostamento
[…], un declino dell’immaginario del mondo, un’esperienza
al limite della depersonalizzazione.”. La lingua di Astratta
Commedia, Evoluzione! e Oggetto-Mancato Il teatro e la
lingua (in-Assenza)
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