AFORISMI
IN_ASSENZA 1997-2003
Paolo Ferrari
L’oggetto,
in quanto luogo dell’osservazione-osservato
Un modello possibile per un mondo regolato dall’asistema in-assenza
è quello che concerne come costante fondamentale una costante in-A
posta quale relazione tra l’osservazione e l’osservato. Stando
così il rapporto l’osservato – in quanto oggetto concreto
recepibile dagli organi sensoriali e percettivi – è disposto
oltre il limite degli eventi – l’orizzonte degli eventi, al
di là del quale l’oggetto compare, senza il “precipitare
addosso” all’osservazione (sensibile). L’oggetto è
pertanto posto entro un distacco sensibile, dato il quale è possibile
l’osservazione. Senza tale distacco all’infinito – il
buon infinito – non potrebbe esistere alcuna osservazione e nessun
moto potrebbe essere possibile alla conoscenza e all’esperienza.
Tale modello ammette quindi l’esistenza d’un mondo, posta
la condizione che un antecedente costante in-Assenza sia premesso ad ogni
tentativo di conoscenza sensibile e razionale.
Circa il recitare (in-Evoluzione!)
Tutt’attorno
all’attore è illuminata la zona affettiva: la voce ne è
veicolo, la parola ha l’espressione dell’affettivo, mancando
l’emozionalità concreta e simbiotica – l’affetto
non cerca il consenso, né l’assenso, bensì la sospensione
dell’oggetto concreto corpo-mente-cosa, per accedere all’altro
da sé, al mancare tout-court.
L’affettivo in-mancanza assume in sé la scena e ne dà
il movimento; l’affettivo è anche ciò che è
capace di cessare, finire, morire dell’oggetto-concreto, corpo-mente-mondo
in eccesso.
Attraverso lo strumento del recitare – della voce, della parola,
del volto o del corpo – si attua la perdita dell’attore-soggetto,
che arretra da sé – muore per attimi-pensanti – e dà
di questo morire – lacunoso – la strada perché chi
partecipa dell’evento scopra il cessare incessante della sua mente-corpo
in-ascolto.
La voce e la parola raccolgono l’immagine e la estendono fuori dei
loro confini. Sono coadiuvati da una scena che apre nei suoi punti cardinali
all’infinito, tramite correlazioni a loro volta capaci di perdere
il concreto saturare dell’oggetto, facendo balenare l’oggetto-mancato:
l’oggetto vuoto, il mondo che è bucato nel suo centro e perciò
si lascia vivere e conoscere più vero e più assente.
La voce si attua
nella parola e la sostiene: la parola non è persa nella voce, come
ad esempio nel teatro di Carmelo Bene. Resta come differenza.
La parola, nell’insieme con le altre parole, in una sintassi del
discorso complesso e non lineare - a più foci, a più direzioni
- resta garante d’un senso che impronta una realtà assente
tramite le parole e il discorso bucati-nel-mezzo, aperti all’alterità
di chi recita e di chi partecipa dell’evento.
Del
cervello umano e delle sue proprietà
Il cervello umano, nel suo stadio più evoluto, ha la proprietà
di bastarsi (da solo), senza dover dipendere per il suo equilibrio-sostentamento
da alcun oggetto esterno, a meno che una propensione (residua) verso quell’oggetto
(mancato) non derivi da una scelta che nasca dall’interno di sé.
Il perdersi, il dissiparsi,
il farsi altrimenti dal proprio, lo smarrire – e ciò che
ne deriva – sono le variabili nascoste da cui emerge Astratta Commedia
e il Teatro dell’O.M.; lo smangiarsi della lingua e il suo disseminarsi
ovunque con-sentimento.
Di quanto all’esterno
– la realtà del mondo – si concepisce e s’offre,
il cervello-mente si nutre onde fabbricare il suo habitat mancato, capace
ad ogni tratto d’un luogo pari a un oggetto-mancato, d’un
tempo che uguaglia la fine-del-mondo.
Verso
un anti-adattamento
A certi impulsi di
costruzione (e decostruzione), a certe istanze d’un sistema nervoso
asservito alle pressioni d’adattamento d’un rapporto organismo-ambiente
d’antica specie evoluzionistica, l’uomo è costretto;
in particolar modo il suo cervello più evoluto è incluso
in questa attività antica di permanenza. Al niente invece questo
cervello aspira. A perdere di quell’antica pressione evolutiva,
non più necessaria: già esiste entro un altro stadio il
sistema di Homo s. Esso è fatto d’un finissimo niente: una
nientità rispetto all’oggetto-cosa-mondo; un mancare rispetto
alla pressione teleologica dell’organismo umano-animale, costretto
entro un habitat non più di sua pertinenza.
Il cervello (superiore) dell’uomo è costretto a rispondere
continuamente e ad emettere senza sosta impulsi, e perciò azioni
o pensieri che derivano a quell’antica spinta biologica adattativa.
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