Un uomo tranquillo
Al di là d'un muro che segnava il confine d'un vecchio giardino
separandolo da una strada che procedeva in salita segnata da un acciotolato
abbastanza regolare, aveva sentito per più giorni e più
notti improvvisi strepiti intervallati da profondissimi silenzi.
Dapprincipio aveva lasciato correre; ma poi non ne aveva potuto più.
Avrebbe voluto saperne almeno qualcosa ... Si era perciò allontanato
miglia e miglia da quel muro di separazione, come per prendere una lunghissima
rincorsa al fine di saltare al di là di quel confine oltre il
quale si verificava un evento per lui misterioso e seducente.
Ma mai riuscì nell'impresa. Lo ritrovarono riverso, probabilmente
annegato in un piccolissimo lago all'estrema periferia di quel paese
immenso in cui egli aveva abitato per metà circa delle aspettative
naturali di vita. Poteva dirsi essere quella porzione d'acqua un semplice
stagno, dove qua e là sporgevano zolle di terra con piccoli sassi.
L'altezza dell'acqua era così bassa che animaletti di tutti i
tipi, da lucertole a marmotte, da galline a coniglietti lo potevano
attraversare senza quasi bagnarsi.
La caduta
Non che non fosse anormale cadere continuamente per le ragioni più
impensate; alle volte per aver incontrato sulla strada rami d'albero,
un giorno persino a causa d'un ramoscello d'ulivo dalle foglie tenerissime
e d'un delicato color verde, appena nate. Ma sia lui, sia chi solitamente
lo frequentava, s'erano talmente abituati a tali accidenti che nessuno
ci faceva più caso. Anzi, quelli che gli erano da tempo amici,
avevano anch'essi imparato a buttarsi giù, a terra, all'istante
accompagnando con un piccolo grido o con un cenno d'assenso quella caduta
collettiva poi non così stravagante né spiacevole. Sembrava
quell'uomo caduco un novello Re Sole sorto dalla più sublime
precarietà.
Un innamoramento imprevisto
Quel tardo pomeriggio di sole e di sereno - qualche nuvola si intratteneva
pure all'orizzonte - s'era allontanato da riva ad ampie bracciate. Nuotava
già da un bel po' di tempo nella piccola baia a forma di ferro
di cavallo, segnata ai lati da due scogliere di piccole dimensioni e
dai sassi nerastri, di origine vulcanica e da un arenile dalla sabbia
finissima e brillante, che risplendeva spesso come metallo argentato.
Aveva l'animo sereno, felice in quella nuotata, anche se dal fondo a
poco a poco gli emergeva un sentimento ancora non perfettamente a fuoco.
Una leggera inquietudine, una sensazione di impercettibile mancanza
lo teneva ora in sospeso. Egli, nella vita, faceva lo scrittore: da
ultimo s'era dato alla poesia. E ora un verso gli faceva eco, non diversamente
da un cirro che navigava nel cielo aperto sopra la sua testa, pronto
a confondersi e a sparire con le ombre che già a quell'ora del
meriggio facevano la loro comparsa consueta e di dovere.
E se si fosse scordato di quel verso a causa del perdurare della distanza
che ora s'infrapponeva in modo notevole tra lui e la riva da cui s'era
staccato?
Decise dunque di porre termine a quel giocoso excursus, cui egli aveva
dato espressione essendosi recato - gli pareva - già di prima
mattina sulla spiaggia dal disegno a semicerchio piuttosto stretto,
a mo' d'uncino - egli non ricordava più in modo esatto. Il verso
nel frattempo aveva tentato una fuga da ogni lato del capo. Ed egli
aveva cercato invano di fissarlo. Ma a mano a mano non c'era stato più
nulla da fare: la luce del tramonto, in particolar modo una striscia
riverberante causata da quell'ora in cui ogni pensiero tende a calare,
messasi di traverso a mo' di diagonale consustanziale allo specchio
di mare liquido e sfavillante, gli aveva obnubilato la memoria così
che il poema, che pareva arridergli in quel tempo e nel quale egli si
beava, fu cancellato già al suo esordire. Tale sventurata vicenda
era capitata in modo curiosamente coincidente con quanto già
s'era verificato durante la sua vita piuttosto breve, nel mezzo della
quale - o nei pressi della fine - egli s'era invaghito senza sospettarlo
d'un'idea folgorante che lo aveva stregato. Così s'esprimeva
quell'intuizione íncipit possibile - non tuttavia accertabile
- d'un poema in prova, un'idea sperimentale che fremeva dal desiderio
di dichiararsi: "Di là di quel muro s'estende il mare, e
noi tutti immancabilmente lo attraversiamo".
Una testa che non volle staccarsi
Era così certo del suo senso d'equilibrio e di giustezza - si
arrabbiava tuttavia spessissimo con i consimili, impelagandosi in discussioni
che duravano ore e ore, in qualche occasione s'era addirittura parlato
di giorni - che, quando si trattò del turno in cui avrebbe dovuto
dire la sua circa un avvenimento d'importanza cruciale, non trovò
più la forza di parlare: sfinito - forse acquietatosi per un
istante - s'addormentò risvegliandosi soltanto molto più
tardi, quando avvertì dei rumori di ruote cingolanti che lo stavano
portando al patibolo - egli presumeva - dove gli avrebbero mozzato di
netto la testa. Non se ne rammaricò più che tanto, non
preoccupandosi di quanto invece l'accadimento richiedeva. Si accinse
a subire l'esecuzione, aspettando quieto con la testa ben appoggiata
al ceppo di morte, che quella gli si staccasse di dosso, nettamente
tranciata dalla lama affilatissima della macchina perfetta qual è
la ghigliottina. Ma all'apparenza niente di tutto questo accadde: con
totale sorpresa, con colpevole sbigottimento - del boia, che mai aveva
fallito nella sua onorata carriera - la testa non si staccò dal
tronco. Rimase invece avvinghiata al collo, mostrando in modo lampante
il segno esatto del taglio per quanto in teoria sarebbe dovuto accadere.
E come in pratica certamente lo fu, anche se era oscuro il modo con
cui ciò s'era verificato. Il boia fece alcuni passi indietro
a causa del fatto inaspettato; s'era ritirato così come chiunque
era nei pressi del condannato. La folla nel frattempo era ammutolita,
compiaciuta di quanto stava per accadere - l'esecuzione d'un condannato
- e spaventata, al medesimo tempo, perché la testa non era caduta.
S'era dapprima allontanata, ma poi, sospinta chissà come da moto
spontaneo, s'era fatta di nuovo sotto, disegnando la forma ben modellata
d'una corona regale: il che stava ad indicare l'esecuzione perfettamente
riuscita del re di cui quell'uomo, venuto da chissà dove, aveva
preso il posto senza clamore sproporzionato.
Paolo Ferrari, 2002