Dell'indifferenziazione creatrice (la nientità indifferente-differente)

 

 

Esiste in natura uno stato talmente indifferenziato - privo all'evidenza di qualunque differenza, e perciò equivalente al tutto, non dissimile da qualsiasi altra cosa - che si situa totalmente entro la differenza. Appartiene perciò all'alterità: a ogni altra cosa (in-mancanza-della-cosa); (il) che (non) è niente. E' una nientità totipotente.

 

Ritengo che uno stadio della (a-)struttura del tessuto del sistema nervoso centrale nel suo formarsi abbia tale caratteristica e, come in un Raddoppio astratto, trovi le giuste connessioni (lasciandosi comunque aperto, ovvero immaturo  per ulteriori nessi). Guidato comunque dal suo stesso "finire".

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Della realtà rappresentata. Ameditazione.

 

 

La realtà fugge inorridita - e divertita - da ogni forma di rappresentazione: e il cervello mente l'asseconda, sorridendo all'apparizione del nulla conseguente.

 

 

Fuggendo fuggendo ci fu chi pensava che si potesse conservare l'immagine di una realtà - e chi la configurava - per il nutrimento della storia. Ma questa, nell'approssimarsi al suo presente, si ribellò, cancellando in tutta fretta quell'episodio che comunque ritenne marginale.

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre domande ametafisiche

 

 

1.      C'è necessità d'un reale come rappresentazione, oppure esso è unicamente il retaggio - la traccia residuale - d'un pensiero incompiuto?

 

 

2.      E' necessaria alla civiltà dell'uomo una realtà come rappresentazione, oppure è più interessante accedere al tópos in cui la realtà come rappresentazione è già cessata?

 

 

3.     La realtà come necessità di rappresentazione è forse un fossile mai estinto, ostacolo a un sentimento che accolga l'alterità?

 

                                                                      (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dell'accoppiamento morte-vita e linguaggio

 

 

In quanto esseri - nell'esser morto - parliamo: il linguaggio è espressione d'una morte avvenuta passo a passo nell'evoluzione del vivente. S'ode tuttavia fortemente nel linguaggio umano la traccia residua d'un'estinzione che non ancora ha avuto luogo entro il vivente: così il vivente e il già morto convivono, e a causa di tale convivenza non sufficientemente adempiuta - priva della necessaria presa di coscienza - nel loro imperfetto accoppiamento espongono nell'immagine d'un mondo esistente e rappresentativo, la speranza d'una vita e d'un'idea cariche d'angoscia e d'irresoluzione.

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cenni di storia presente

 

 

Che l'attuale crisi che si manifesta con la violenza in Israele, preceduta dalla caduta delle torri gemelle, sia l'espressione più immediata d'una morte - autistica e negativa - che vuole trovare altra collocazione? Espulsa dalla civiltà Occidentale e trasfigurata - e fatta vuota d'ingombro in-Assenza - è possibile che forse cerchi disperatamente una nuova espressività - intermedia - a cui l'abitudine umana - la sua tendenza a figurare e simboleggiare - non è ancora disposta?

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Morte del pensiero umano

 

 

La morte del pensiero (umano) è equivalente alla morte di Dio. Il morire del pensiero e il morire di Dio aprono ad-altro: altro equivale al mancare del pensare il mondo e del pensare al proprio pensiero che pensa il mondo e pensa se medesimo - l'autoconsapevolezza. Il cessare dell'autoconsapevolezza apre ad-altro. Altro manca di qualsiasi cosa - che il pensiero pensi. Ciò apre alla possibilità che nulla sia la cosa. La cosa cessa d'esistere quale cosa pensata: ad essa nulla si sostituisce. A-differenza della grave patologia schizofrenica: all'interno di questa l'oggetto, spinto dalla concretezza ed evidenza massimali si sostituisce alla sparizione coatta d'una realtà che esiste unicamente grazie all'inclinazione simbolica che il cervello-pensiero continuamente proietta - a sua conservazione, a mo' di ripetizione - su un mondo mai dissimile.

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il principio di ragione - o di altra-ragione

 

 

La realtà può non non-essere, come scrive Agamben circa il principio di ragione, per cui qualcosa è piuttosto che non essere.

 

 

Ma la realtà può non-essere, nel senso che può ricevere lo statuto della mancanza di essere, essendosi svincolata da quello e da ogni controllo che ne rispecchi l'esistenza. La realtà può ricevere la facoltà di oscillare tra essere e non essere, e in questa oscillazione scegliere di realizzarsi, accogliendo uno stadio equivalente al poter non non-essere. La realtà - mancante di sé - diviene realtà  non-essere, capace di linguaggio che ottempera alle richieste d'una morte vacante.

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il pensiero di mezzo e la morte

 

 

Il pensiero-pensare s'è fatto indiretto: esso in mezzo porta la perdita di sé - e di me quale testimone privilegiato. Da me sta discosto, in tal guisa il pensiero-pensare in-assenza designa - e disegna - la sua perdita - la sua medesima sostanza di morte: con ciò mi lascia continuamente spoglio d'una vita ormai trascorsa - in ogni attimo già vissuta e più e più volte già morta d'una morte con chiarezza e delicatezza a mio servigio.

A tal disegno ho offerto il mio progetto ...

 

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fine dell'evoluzione

 

 

Il paradosso più eclatante del nostro sapere è con ogni probabilità il fatto che l'uomo non è altro che una tappa intermedia - gettata lì in mezzo -, adatta ad interpretare il fatto che egli stesso, con la sua volontà di sapere, è segnale della sua fine e del lungo tragitto dell'evoluzione che ha portato un cervello tanto complesso e ampio a dire che nulla è e che il fine - a posteriori - è il poter dire che "già tutto è finito".

 

                                                                                                                        (P.F. I nuovi Foglietti della scienza, 2002)