16\12\99
II Seminario 19990-2000
Modelli etici (e scientifico-estetici) in-Assenza nell'oltrepassamento del secolo
Paolo Ferrari:
Il titolo del Seminario di questa sera è Modelli etici (e scientifico-estetici)
in-Assenza nell'oltrepassamento del secolo. E' un titolo che mi sembra
impegnativo, anche tutta la preparazione di questo seminario, sia per me che
per i miei colleghi che parleranno dopo di me, è stata complessa, direi anche
faticosa, faticosa mentalmente e corporalmente. Non ne conosco ancora precisamente
le ragioni, voglio indagarle durante il seminario stesso, voglio capire perché
questa messa in scena dei modelli costituisca un procedimento così faticoso,
così addentro ai corpi più che alle menti, sembra, e questo mi sorprende. Nell'evoluzione,
nel procedere delle varie trasformazioni che avvengono nella preparazione di
un seminario, durante il mese di pausa e di elaborazione, avvengono diverse
tappe: una tappa è quella per cui si arriva al fatto di individuare alcune immagini,
che poi sono quelle che vi abbiamo consegnato, di cui parleremo, e queste avevano
avuto una loro emergenza, come l'emergenza di cui parlo circa l'attività nuova
in-Assenza nell'oltrepassamento del secolo e nell'iniziarsi del nuovo secolo,
se non del millenio. L'emergenza di queste figure è nata in seguito a un lavoro
di cui ci stiamo occupando, che è relativo a un concorso in architettura per
la Biennale di Venezia, in cui fondamentalmente si chiedono delle idee circa
"la città del futuro", all'interno di un tema generale che ha il titolo Less
aesthetics more ethics, meno estetica più etica, relativamente alla progettualità
della città, alla progettualità del territorio, progettualità, diciamo, persino
delle menti umane. All'interno di questo progetto generale abbiamo voluto cogliere
alcune immagini che sono state distribuite, fondamentalmente due: una che parla
della natura e della sua dematerializzazione in-Assenza e che si riferisce
a questa figura generale*; l'altra è quella del luogo della città con murales
cyborg e con la Sibilla in-raddoppio; dentro alla Sibilla in-raddoppio
c'è la mia stessa testa vista di profilo, da una fotografia di qualche tempo
fa di Lisetta Carmi.
Dico della costituzione di questi elementi perché nel frattempo, mentre questi
elementi si stavano costituendo - e quindi è interessante vedere questo procedere
della formazione dei luoghi mentali -, c'è stata l'irruzione di un procedere
completamente nuovo che ha bucato questi elementi precedenti - e siamo sempre
a questo bucare nel centro, delle forme, dei contenuti - e questo elemento che
ha bucato il centro è quello che è riportato là* e che si riferisce a una fotografia
sempre di Lisetta Carmi da me elaborata. E' una fotocopia elaborata e rappresenta
il momento critico del parto: per chi non vedesse questa è la testa, queste
sono le gambe della donna, qui c'è la vagina, qui c'è la testa che esce. E dicevo
che questo seminario si porta appresso questo elemento, e questo è un elemento
di grande potenza affettiva e drammatica, anche se lì, come diceva anche Lisetta,
non c'è sangue, c'è quasi il momento dell'uscita di questa calotta senza una
drammatizzazione eccessiva. Però, comunque, il momento è culminante, è topico,
mentre le immagini che abbiamo distribuito, come questo paesaggio, sono immagini
di grande ampiezza, anche di pace, anche se al loro interno hanno un loro travaglio:
questa* è una fotografia che porta già nella sua struttura, non tanto nella
sua composizione quanto nella sua materia, uno scacco al cervello in quanto
è una fotografia di un paesaggio in cui non c'è stato il passaggio in camera
oscura dal negativo al positivo, ma l'immagine è stata subito colta nei primi
momenti del passaggio, per cui tutta la fotografia è al negativo, questi alberelli,
queste linee sono tutte al contrario, sono tutti posti in campo negativo senza
che ci sia un passaggio al positivo. Eppure questo sembra un luogo esistente
in realtà, ma il luogo è un luogo mentale, è il luogo di un'operazione: la fotografia
in questo caso, invece che essere elemento indicale, cioè di corrispondere punto
a punto con la realtà esistente, essendo la fotografia un elemento, un'impronta
- la pellicola porta l'impronta della realtà e quindi Barthes dice che la fotografia
è indicale, cioè ad ogni punto corrisponde una realtà esistente all'esterno
-, in questo caso, pur essendo l'impronta di un fotogramma, non corrisponde
a nessun elemento all'esterno perché questi elementi all'esterno non esistono:
e questo l'ho chiamato Paesaggio in-Assenza. Nell'elaborazione che voi
avete ci sono una serie di elementi che ancora conturbano l'episodio, lo modificano
ulteriormente, gli danno nuovi, ulteriori messaggi, ulteriori campi semantici:
c'è una calotta, il disegno di una calotta e questa è la tesi di laurea della
trasformazione della biblioteca di Terni fatta da Simona Riboni con il mio intervento,
con la mia coordinazione, con la coordinazione del Centro. E questa calotta
è ancora quella calotta di colui che nasce, e cioè il profilo di questo disegno
è pari pari la calotta cranica di uomo adulto che funge da volta, da volta trasformante,
da elemento catalizzatore-trasformatore di un luogo precedentemente adibito
a mercato e quindi a luogo concreto: la calotta di un cranio umano funge da
simbolo di trasformazione di un luogo di mercanzia in luogo dei sentimenti e
delle azioni intellettuali.
Allora, dicevo che mi ha interessato, mi ha colto di sorpresa il fatto che ieri
pomeriggio, stamattina, oggi sia venuto fuori questo elemento; questo elemento
è come se fosse questo stadio del parto attuale, per cui ogni Seminario si porta
appresso questa sorta di parto che è comunque il passaggio da uno stadio ad
un altro, è comunque la formulazione e la formazione dei ponti sottesi o sospesi
o i nessi, di cui parlavamo, che si devono porre tra un sistema in-Assenza
e un sistema attualmente vigente. Tutti questi elementi di cui stiamo parlando,
che stiamo distribuendo sono dei catalizzatori, ovvero dei luoghi in cui l'impulso
viaggia più veloce, che fungono da minor resistenza fra i due sistemi, uno in-Assenza
più vuoto, l'altro più pieno. Il cranio umano è ancora in eccesso pieno, non
passa ancora all'elemento vuoto del negativo, cioè dello svuotamento - negativo
non vuole dire "negativo, brutto e cattivo", vuole dire negativo e basta, vuole
dire dall'altra parte, cioè lo svuotamento.
Ed eccoci giunti qui, a questi fatti, a queste strutture che, in quanto modelli,
anzi in quanto catalizzatori sono anche i modelli di cui stiamo parlando, di
cui parla stasera il tema del Seminario. E siamo arrivati ai modelli: questa
Assenza in-paesaggio è un modello, tutto il discorso che c'è alle spalle
(la fotografia indicale, il negativo, eccetera) implica un modello, cioè è un
luogo in cui all'intelletto è stato dato scacco e quindi l'intelletto deve sospendersi,
deve catalizzare altro elemento se non vuole ritornare indietro e trovare il
campo vuoto; quello del cranio elaborato in questo modo, che è la fotocopia
e sono i vari passaggi di cui parleremo eventualmente, è un altro modello. Di
modelli continuiamo a porne, e sono modelli estetico-scientifici, sono modelli
in-Assenza, lo stesso discorso che sto facendo è un modello e cioè è la costruzione
di un alcunché che è comunque rappresentazione di un alcunché, ma essendo rappresentazione
al negativo di quello che è la realtà vigente, che è la realtà del pensiero
attuale come è stata fino adesso, siccome la realtà è vista al negativo perché
svuotata all'interno - perché questo procedimento svuota continuamente all'interno
e questo procedimento nasce in un luogo che noi abbiamo chiamato in-Assenza
-, questo stesso discorso è un modello al negativo, è un modello vuoto, è uno
degli elementi di questi enti che stiamo ponendo per costruire il nuovo ente
a-reale.
Passo la parola a Susanna.
Susanna Verri: Circa i ponti di cui diceva poco fa Paolo Ferrari, quindi
i ponti...
Paolo Ferrari: I ponti di Toccorì.
Susanna Verri: Eh sì. Il tema vicino a quello dei ponti, è il tema della
relazione con il sistema vigente, col sistema in cui viviamo e quindi del porre
continuamente delle relazioni a-relazioni, cioè col segno della a- specifico
di questo nuovo asistema di cui ci stiamo occupando, appunto tra un sistema
di realtà noto e l'asistema in-Assenza che stiamo descrivendo con questi seminari
e che abbiamo iniziato a descrivere a partire da tutto il lavoro sull'oggetto
reale assente, in-Assenza, e poi due anni fa e poi ancora dal '91, con tutto
questo ciclo dei Seminari dedicato - se vogliamo leggerlo in questi termini,
che è uno dei piani che più mi interessano -, diciamo, alla rivoluzione culturale
e antropologica, esperienziale o conoscitiva che è implicita in questo asistema
di cui ci stiamo occupando. Questa rivoluzione, proprio come modificazione dei
parametri e dei paradigmi di lettura, di esperienza della realtà, la stiamo
indagando attraverso i modelli di cui si diceva prima e di cui diremo ancora
questa sera, e la stiamo costruendo in ogni seminario, in ognuna delle operazioni
all'esterno o all'interno del Centro stesso, con ognuna delle iniziative, delle
attività e delle opere che sono mediatori in-Assenza.
Il tema del paradigma, del nuovo paradigma che proponiamo in-Assenza, utilizza
questo termine 'paradigma' con uno slittamento semantico rispetto al suo uso
consueto, ma di questi slittamenti ci occupiamo perché dobbiamo iniziare a descrivere
un'area nuova e quindi, creando questi ponti, utilizziamo anche parole della
scienza o di altri ambiti che poi andiamo a posizionare nell'asistema di cui
ci stiamo occupando. Questo termine 'paradigma' mi interessava questa sera circa
i modelli etici e scientifici, perché fa da relazione con quello che è il discorso,
il dibattito scientifico-epistemologico della filosofia della scienza dell'ultima
parte del secolo, in particolare con quel libro del '62 che fu La struttura
delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn che si pose questo tema di come nascano
e di come si modifichino le idee nella scienza, riprendendo questo termine 'paradigma'
dalla filosofia e applicandolo poi alla scienza per indicare un modello che
diviene base, fondazione di una tradizione scientifica coerente. Nel suo libro
poi Kuhn descrisse come la scienza a suo avviso procedesse non per accumulazione,
quindi per un aumento, una sovrapposizione dei diversi modelli scientifici,
ma attraverso delle crisi, quindi attraverso l'affermazione di un certo paradigma
per un certo periodo e poi il venir meno di questo: è come se il paradigma si
costruisse con un accordo su certi termini, su certe procedure anche, su certe
visioni da parte della comunità scientifica, giungesse quindi a determinare
l'andamento della scienza per un certo periodo, condizionasse per quello stesso
periodo la percezione stessa e il lavoro degli scienziati, per cui sostenne
Kuhn che, vigente un paradigma, ciò che non rientrava nel paradigma non veniva
recepito dalla scienza nel periodo di scienza normale, cioè nel periodo di affermazione
del paradigma, e fosse poi destinato a cadere a mano a mano che venivano scoperti
eventi sempre più discordanti con questa lettura che il paradigma aveva implicato.
Kuhn descrisse poi queste crisi di paradigmi che producevano una perdita di
tutto il sistema che si era prodotto precedentemente e l'apertura di una prospettiva
diversa che costituiva proprio una diversa visione del mondo, fino poi a porsi
la questione se il diverso paradigma implicasse semplicemente una diversa lettura
della realtà oppure se la realtà con il paradigma cambiato diventasse realmente
una realtà diversa, e quindi tutta la questione del rapporto tra la lettura
della realtà e la realtà stessa.
Questo è un tema che ci tocca da vicino, seppure in altri termini, perché nel
sistema in-Assenza, l'emergenza del nulla astratto in-Assenza, l'emergenza di
questi modelli di cui stiamo parlando produce un'interattività particolare,
cioè il nulla di cui ci occupiamo diciamo essere un nulla germinativo e non
negativo in senso deteriore - come diceva prima Paolo Ferrari -, ma è un nulla
germinativo, cioè è una condizione di vuoto da cui nasce una realtà di nuovo
tipo, e questo poi è il centro, è uno dei centri del modello anche teorico della
città del III millennio che abbiamo distribuito questa sera e di cui credo poi
altri parleranno. E' il centro, dicevo, perché questa nuova città del III millennio
a sua volta è un modello e quindi è a sua volta operatore di realtà; è una città
costruita, ideata e costruita, relazionata attraverso una costante in-Assenza,
cioè un grado zero che continuamente produce all'interno di questa città una
formazione, una decostruzione, una costruzione di sistemi complessi di particolare
tipo, all'interno di relazioni di particolare tipo, a cui partecipano tutti
gli abitanti della città; e dunque questa città, che è un'entità continuamente
in costruzione e decostruzione, attraversata da questo grado zero in-Assenza,
si autocostruisce attraverso le relazioni che si producono al suo interno, le
a-relazioni con gli oggetti, con le persone, con gli edifici, con tutto il luogo
e con tutto il particolare spazio-tempo da cui è composta. Ed è un modello di
ampia valenza, perché è uno dei modelli di questa interazione di un sistema
di nuovo tipo attraverso questo grado zero che nella città in-Assenza è posto
anche come fondamento etico della città stessa, degli abitanti stessi e delle
relazioni di nuovo tipo che si formano, implica continui processi di astrazione
da sé, quindi implica continui processi in una condizione che si dice "in-divenire
ulteriore", perché è l'uscita da sè verso l'altro, verso l'alterità per cui
questo grado zero è la massima predisposizione, perché implica continuamente
un azzeramento di sé e quindi implica, all'interno di questo modello, di questa
esperienza, anche l'unica reale possibilità di relazione con ciò che è diverso.
E allora il modello della città, che è questa città particolare che si autocostruisce,
si cura e cura lo spazio e produce uno spazio-tempo che è terapeutico a sua
volta, perché ha all'interno questo grado zero, è un modello anche di terapia
- io così l'ho letto in senso lato -, cioè di terapia applicato qui a una comunità
intera, applicato non solo alla comunità che abita la città, ma all'intera unità
città e collettività che la abita. E quindi poi a me ha interessato - e questo
è un po' anche il senso del mio intervento - la domanda implicita, che poi riprenderemo
in altri seminari, di come questo modello che abbiamo distribuito questa sera
sia poi sviluppabile anche su altri piani, e quindi il catalizzatore o il mediatore
è la città, ma l'asistema in-Assenza è anche fattore di terapia in senso lato
e in senso stretto. Quindi questo sarà probabilmente uno dei temi che potremo
sviluppare più avanti.
E qui mi fermo.
Paolo Ferrari: Luciano.
Luciano Eletti: L'altra volta avevo accennato al tema della tecnica,
che non è il tema della tecnologia, ma della ragione che pensa lo strumento
tecnico e intendo prima completare questa parte perché è fondamentale per cogliere
la linea di confine che si pone davanti alla scienza e al pensiero anche architettonico
della città e che dice qualcosa sulle difficoltà sia dell'etica che della scienza.
Nel mondo della tecnica l'etica è spiazzata, nel senso che lo strumento tecnico
è così potente che si pone come fine e se l'etica è il regno dei fini è chiaro
che è messa fuori gioco, nel senso che l'uomo non può più determinare un progetto
per cui esistano strumenti, ma è lo strumento che, nella sua vorticosa accelerazione,
toglie all'uomo la possibilità di prevedere e quindi neutralizza il sapere,
il coraggio etico dell'uomo. Questo Kuhn lo evidenzia tutto sommato, anche se
non è il suo tema principale, e Kuhn mette in evidenza l'antitesi, la relazione
tra la scienza normale e la scienza rivoluzionaria: la scienza normale è una
scienza che pensa l'oggetto - un pensare un oggetto - e ha una sua funzionalità,
è il regno della funzionalità, ma non pensa il pensare. E questo, come avevamo
già accennato l'altra volta, è un tema messo in luce ampiamente nel '900 come
un problema molto grande per la ragione dell'Occidente - prima ancora la scuola
di Francoforte ha parlato tanto a lungo, mettendo in evidenza le relazioni con
la società e la cultura di massa, che è un'invenzione di questo secolo -, come
quindi la ragione strumentale la faccia da padrone e rinchiuda l'uomo in un
ambito molto più ristretto di una ragione che sappia pensare il proprio fondamento;
questo, come avevamo accennato, era anche il tema husserliano della crisi delle
scienze europee, che precede addirittura la seconda guerra mondiale - anche
se fu pubblicato solo postumo -, dove lui addirittura risale e individua questo
tema - e qui Husserl è di una lucidità ammirevole - fino addirittura a Galileo,
che nell'invenzione della scienza nuova, insieme ad aver aperto un mondo nuovo,
occultò l'operazione che lui stesso stava facendo, per cui la scienza posteriore
- e qui è un problema sia di teoretica della scienza che di etica della scienza
- perse di vista ben presto l'operazione che Galileo inconsapevolmente fece,
ma che essendo fatta all'inizio non fu un problema, cioè il fatto che il pensare
sapeva distinguere l'aspetto metodico dello strumento dall'operazione propriamente
teoretica che apriva un campo. Tanto è vero che noi ancora oggi crediamo che
la formula matematica della rivoluzione dei pianeti sia la realtà, mentre è
solo un metodo per indagare la realtà, quello che Husserl chiamava "una sustruzione
logica", per cui le idee dell'uomo diventano la realtà e non si coglie più la
differenza tra lo strumento e il pensare uno strumento per attingere all'intelligibile.
Quindi, secondo me, i modelli etici sono posti fuori gioco dalla ragione strumentale,
perlomeno necessitano che s'indaghino in ambiti ben diversi da quelli tradizionali,
nel senso che l'etica è comunque legata a un ambito culturale abbastanza definito:
nell'ambito della globalizzazione è ben difficile che l'etica occidentale possa
essere il medium per un modello etico; e poi ci sono un'infinità di etiche:
c'è l'etica filosofica, l'etica delle istituzioni, connaturata alle istituzioni
stesse e l'etica pratica della gente che deve decidere del bene e del male,
e tutte queste tre etiche, compresa quella filosofica, credo che non riescano
a reggere l'infinità dei problemi, come si è visto anche a Seattle, dove c'è
un problema evidente di rapporto etica-economia, che non ha un pensiero e che
lo sappia pensare. Però è interessante vedere che quello che l'etica tradizionale
non riesce a fare, sta tentando di farlo in modi diversi una branca che mi sembra
stia nascendo dell'economia, che è un'economia della tecnologia o che potrebbe
essere, secondo me, un'economia filosofica della tecnologia e che ha dei rapporti
sì con l'etica filosofica e con una antropologia culturale che cerchi di spezzare
i rapporti con l'uomo dato, così come lo conosciamo, ma anche nell'ambito dello
studio della sociologia o dell'architettura si notano punti in cui si sta cercando
di scalzare il paradigma vecchio. Per esempio ieri sul supplemento del Sole
24 ore c'erano diversi articoli interessantissimi, uno in particolar modo,
di un professore di sociologia urbana della Bicocca, diciamo era come un'apologia
di quello che siamo noi come cittadini oggi. Ma c'è una piccola parabola che
secondo me è illuminante e che vorrei rifare perché è degna: come noi siamo
ancora indietro rispetto ai problemi nel pensare la città, come la città abbia
bisogno di essere pensata velocemente, come è detto in questo testo che vi è
stato presentato, come 'spazio-tempo etico', che è una formulazione sorprendente
per un'etica tradizionale. Cioè noi siamo, diceva, come quel personaggio di
un romanzo storico - e non so chi sia l'autore, Mayer o ... - che si intitola
I mobili del Signore di Berthelemy. Questo è un signore che viveva all'epoca
della Rivoluzione francese e che era stato designato archivista, titolo piuttosto
importante dell'ordine di Malta Gran Priorato di Parigi, ed aveva col tempo
accumulato dei mobili molto di buon gusto, aveva arredato benissimo il luogo
ed era stato ammirato per questo e teneva assai a questa sua creatura; però
venne la Rivoluzione, venne il Terrore, alla fine bussarono alla sua porta nell'agosto
del '92, gli dissero che la casa era requisita per poter alloggiare il cittadino
Capeto che era stato bloccato a Varennes. Dopodiché, cacciato, espropriato della
sua casa, questi negli anni seguenti non fa che compilare carte bollate presentandole
ai più sanguinari politici del Terrore, nel tentativo di avere indietro la sua
mobilia, che chissà dove era finita. E questo aspetto patetico è esattamente
la figura di noialtri cittadini oggi, che tentiamo di recuperare una città che
è stata già rivoluzionata: noi vogliamo ancora abitare in spazi antichi e confortanti
- dice Martinotti -, e non ci accorgiamo che invece tutto quanto è cambiato
e che non ha assolutamente senso rivivere nelle case costruite nel corso dei
secoli grazie all'accumulazione operosa di tante generazioni; noi tentiamo ancora
l'accumulo nella città, la conservazione dell'edificio storico o di abilitare
zone più o meno vecchie o antiche a una funzione nuova.
Ma la città è cambiata completamente, è cambiata nella sua struttura nel senso
che, oltre ad essere molto più ampia - il comune di Milano non ha un milione
e tre di abitanti, ma fa oltre sette milioni -, non esiste più una definizione
di periferia come poteva essere considerata all'inizio del secolo, e questa
comunque è diventata policentrica; noi pensiamo alla piazza come luogo centrale
della città, ma la città non ha più un centro, la metropoli è multicentrica,
quindi occorre evidentemente affrettarsi a pensare la città in un altro modo.
E c'è anche un altro esempio abbastanza carino, che era stato inserito in quel
testo, in cui la città degli ultimi dieci anni e quindi non di questo secolo,
proprio degli anni in cui stiamo vivendo, è simile ad un elettrodotto ad alta
tensione che sviluppa un campo di forze notevole e che è sempre pronto a scatenare
un lampo di ventimila volts da un momento all'altro, e questo elettrodotto però
- che è la città - non si sviluppa in termini lineari, ma il suo campo di forze
agisce a molta distanza, a cento miglia o cento chilometri dalla città, in tutte
le direzioni e all'apparenza è solo un elettrodotto che corre sulle campagne:
ci sono ancora le vacche, sembra che ci sia un'attività agricola, si direbbe
una campagna come noi pensiamo che sia ancora la campagna. In realtà non ci
vuole un nulla e questa città-elettrodotto scocca un lampo e da un momento all'altro
quella zona diventa un altro centro della città, quando a fino poco tempo prima
nulla si vedeva, come se ormai la città avesse un campo di forze tali che non
è controllabile dall'uomo o perlomeno dal modo in cui l'uomo pensa la città
e che sembra riportare in primo piano quella azione a distanza che tanto stupì
nella teoria newtoniana i contemporanei; e sembra quasi quell'azione a distanza
che il mondo cinese capisce così bene e a noi sembra stranissimo, per cui un
aspetto apparentemente vuoto e bucolico attorno a una città può trasformarsi
velocissimamente in qualcos'altro e ha senso che sia lì perché si rapporta con
milioni di abitanti.
Quindi ci sono molti elementi che spiazzano completamente il nostro tentativo
di pensare con i vecchi parametri e benché le mie forze non siano all'altezza
di cogliere appieno quello che è lo spazio-tempo etico che si vuole delineare,
una cosa è certa: che, come diceva Shakespeare, se una cosa va fatta è bene
sia fatta subito, anzi, nella fattispecie, che sia pensata subito perché noi
ci siamo dentro e abbiamo un grande bisogno di pensare.
Paolo Ferrari Allora, colgo questa metafora di Luciano, cioè colgo al
volo la metafora della città, cioè abbiamo preso questa città come elemento
metaforico, come punto di riferimento; questo scritto che avete, è un punto
di riferimento dal quale eventualmente staccarsi o nel quale o dal quale essere
intrecciato. Colgo al volo questo fatto dell'essere pensato perché mi interessa
questo elemento, questo pensiero che è saltato fuori. Io dico: “Questa qui è
una città*”, è comunque una metafora di una città, ma questo per spiegare queste
due immagini che sono state date o le altre due - ce ne sono altre due, sono
state costruite quattro immagini. Comunque ammettiamo che qui* ci sia questo
elemento centrale, che sia questo tema, che sia la città, mettiamo che questo
punto centrale sia questo paesaggio oppure sia la musica, di cui ci occuperemo
fra poco - suonerò un pezzo con Lisetta -, quello che a me interessa, quello
che importa in questo nuovo sistema è la possibilità che un alcunché possa essere
pensato in maniera differente e possa prodursi in questa differenza. Allora,
se in questo caso ho il tema della città e quindi ho questi punti convergenti
intorno a questo*, il problema che ho del mio pensare è il fatto di come riuscire
a pensare questo elemento di convergenza, staccarmi da tale elemento e avere
lo stesso una relazione con questo elemento e costruire una serie di elementi
che siano intorno a questo punto, in modo che questo punto a poco a poco diventi
vuoto. Allora, intorno a tale problema ho lavorato insieme con Andrea Moroni
- che se vuole potrà poi intervenire - circa come poter fare che alcune immagini
- come questa immagine del paesaggio al negativo, oppure l'immagine di una calotta
cranica, oppure la calotta cranica inserita in un modellino, il quale modellino
risponde a una biblioteca, a un mercato-biblioteca di una certa città -, oppure
come una città, la presentazione di una città, di un luogo di una città possa
diventare tempo-spazio e quindi si smaterializzi questa città e diventi tempo-spazio
pensabile o pensato, pensato con questo punto che si svuota; oppure come in
questa immagine, in cui c'è un gesto musicale - che è la fotografia d'inizio
da cui siamo partiti e che abbiamo già fatto vedere l'altra volta -, ulteriormente
elaborato, in cui è entrato questa specie di modello di un cranio che è svuotato,
che è dematerializzato e che fa parte di un modello di un luogo particolare
di una città, come tutto questo possa a sua volta diventare questo modello,
questo modello in-Assenza tale per cui il punto centrale, questa città,
che nella nostra mente risponde in maniera così concreta, diventi non solo un
elemento astratto e quindi diventi un concetto, ma questo concetto ulteriormente
si svuoti e entri in questo altro paradigma che noi abbiamo chiamato in-Assenza.
So che certamente sto facendo un discorso difficilissimo, è difficile anche
per me.
E come questa testa di bambino che nasce possa essere a sua volta dematerializzata
e smaterializzata, per cui questo abbia in qualche modo una relazione con questo
punto centrale* da cui siamo partiti, che è la città, la citta in-Assenza, cioè
che è la città dematerializzata; ma nello stesso tempo questo non sia un procedimento
analogico semplice per cui questo ricorda questo, ma i due elementi, messi in
una relazione con la città, con quello che abbiamo visto in Porta Garibaldi,
oppure con il Paesaggio in-Assenza al negativo, oppure con il gesto musicale
che si è trasformato, è diventato cranio, poi è diventato luogo, luogo dell'attività
pensante - per cui c'è questo elemento più azzurrino centrale che è anche questo
una parte, diciamo, il centro dell'attività cerebrale, questa trasparenza con
questi elementi di astrazione, con tutti questi elementi di trasformazione -,
ovvero come tutto questo, questo modello così complesso possa ricondursi e possa
ritornare al fatto di dire: “Io ho costruito questo spazio-tempo*, ovvero ho
costruito questo luogo”.
Io sto indicando e ho dato e sto spiegando un metodo, e anche questo metodo
è una metafora, una metafora di un metodo ulteriormente astratto. So che vi
faccio girare la testa, continuamente ruotare perché è forte l'impatto, è difficile:
è stato molto difficile poterlo costruire, cioè è stato molto difficile arrivare
da un concetto di città e dire: “Vi sottraggo, sottraggo questo elemento, per
cui in certo senso questa città la faccio diventare al negativo, un'impronta
al negativo”; nel momento stesso che diventa impronta al negativo questa città
non esiste più come elemento indicale, cioè non esiste punto a punto, perché
è al negativo, per cui questo sulla faccia della terra non esiste. Allora mi
sono liberato, in questo momento, dal concetto della mente che deve pensare
la città in questo modo, per cui c'è un centro che pensa a questo elemento e
pensa alla città, l'ho fatta diventare negativa, cioè l'ho smaterializzata:
è come se l'avessi fotografata al negativo, per cui il bianco è nero, il nero
è bianco e così via, e gli interventi sono diversi, e ho delle linee particolari,
per cui ho una linea di questo tipo che sembra reale, ma una linea fatta così,
punteggiata così non esiste al mondo in realtà, esiste teoricamente. Allora
se io svuoto questo punto*, lo porto al negativo, quello che a me interessava,
rispondendo un po' al problema sia della città come elemento terapeutico, sia
a Luciano, come riuscire a pensare a uno spazio-tempo terapeutico, cioè a una
città che curi se stessa e curi chi lo abita, è il fatto che la città, che questo
punto incominci ad ammettere una serie di elementi alla sua periferia, cioè
alla sua distanza ha una serie di elementi che hanno una relazione con sè, ma
sono contemporaneamente distanti da sè. Cioè un paesaggio dematerializzato non
ha una relazione diretta con questo punto centrale che è la città, però questo
qui è al negativo, questo si porta all'interno un altro elemento al negativo
- che è quel volo azzurro che si presenta -, porta all'interno il disegno, il
profilo di una calotta cranica, la quale calotta cranica ritorna su questo elemento;
ma la calotta cranica è stata anche il lavoro, l'elaborazione di una biblioteca,
un mercato che è diventato una biblioteca e che quindi ha aggiunto degli elementi
di astrazione. Allora io comincio ad astrarre, comincio a portare una serie
di elementi astratti alla periferia, questi elementi astratti - in astrazione
- incominciano ad avere una relazione l'uno con l'altro, per cui questo cranio
ritorna sull'elemento del paesaggio dematerializzato in cui è stato inserito
un elemento del cranio; oppure il fatto che questo elemento a poco a poco si
smaterializzi, cioè sia stato visto in maniera dematerializzata, cioè al negativo;
oppure che questo oggetto, questo elemento della vagina di donna con questo
cranio che esce fatto con una fotocopia da una fotografia - questa è una fotocopia
da una fotografia: questo punto se uno dovesse leggere qui e non sapesse cos'è,
non sa che cos'è, però nel momento stesso in cui gli viene indicato incomincia
nella sua mente a ricostruirlo, cioè ricostruisce questo cranio, ricostruisce
l'eventualità di due elementi, di un ente corporale che sta facendo uscire qualche
cosa. Però elaborato in questo modo questo è scomparso, si è dematerializzato.
Tutto questo processo di smaterializzazione, dematerializzazione, rimaterilizzazione
degli elementi permette di allontanarci da questo punto della città e di riuscire
a concepire una serie di elementi* che siano questi elementi periferici, i quali
hanno allargato completamente il campo e - come diceva Luciano - la città non
è più di un milione di abitanti, ma di sette milioni oppure di venti o cento
milioni oppure diventa di cinque miliardi o diventa tutto il mondo. Allora io
qui ho creato uno spazio, uno spazio-universo, ma questo spazio-universo ha
una caratteristica particolare perchè ha avuto continuamente questi processi
di dematerializzazione e di rimaterilizzazione, di inclusione ed è a sua volta
incluso in altri elementi, in altri fattori, in altre situazioni e condizioni.
Allora mi sono costruito uno spazio, il quale spazio, siccome ha subìto tutti
gli elementi di passaggio, di stadi di materilizzazione, smaterilizzazione,
fotocopie da fotografie, di inclusione, elementi inclusivi, eccetera - come
dicevamo l'altra volta -, ha prodotto una temporalità, si è prodotto in questo
passaggio un elemento temporale, il quale è diagrammatico, cioè procede per
passaggi successivi, però poi alla fine il processo è inclusivo, cioè il processo
sintetico è il processo sincronico. Allora io ho due tempi: diacronico e sincronico;
allora mi sono costruito anche uno spazio-tempo, che è lo spazio-tempo smaterializzato
che ha la capacità di rimaterializzarsi, e allora mi sono costruito e sono ritornato
a questo punto di inizio che era la città dematerializzata o smaterializzata
che ha accettato un elemento al negativo, e sono riuscito a pensare tutto questo
producendo continuamente una serie di elementi, quasi all'infinito, al negativo,
cioè svuotamenti continui i quali ammettono, in certi punti, un ritorno e quindi
degli elementi che si concretizzano ulteriormente e diventano di nuovo materiali,
i quali però si smaterializzano lo stesso, per cui qui ho formato, ho prodotto
la costante che chiamo "costante di grado zero". Questo è la cosa più difficile
al mondo, però è una delle cose più alte che il pensiero umano possa concepire.
Adesso sono stanchissimo.
Cesara Montoli: Riusciresti a dire a una arrivata qui così, portata dalla
piena diciamo, che cosa serve?
Paolo Ferrari: Ma, io non faccio discorsi di 'servizio', io sto facendo
un discorso logico-teologico, logico-strutturale-scientifico, di metodo, per
cui non mi occupo di servizi. Potrebbe essere un servizio generale: alleniamo
la mente al nuovo secolo, alleniamo la mente perchè la mente diventi intelligente,
e allora qui stiamo facendo l'allenamento della mente. Ma non solo: la capacità
di svuotarsi, di diventare vuota, di diventare assente, di diventare capace
di includere tutti questi processi è quello che permette il fatto che la tecnologia
non prenda la mano, per cui non diventiamo dei bambini malati di tecnologia
- primo; in secondo luogo c'è il fatto che se uno riesce a pensare a tutte queste
cose è capace di entrare in relazione con l'altro, con la differenza, perchè
questo è tutto un processo in differenza, per cui la differenza è uno dei pilastri
fondamentali per riconoscere l'altro; e poi ci sono altri diecimila significati
'di servizio', ma basta che uno debba andarseli a cercare. Certamente io parto
dall'elemento più complesso, più possibilmente complesso, pongo, offro questa
possibilità: ho infatti una stanchezza pazzesca perchè ho portato tutte queste
menti dietro a questo processo, e significa il fatto che se io riesco a fare
funzionare la mia mente, il mio cervello, il cervello dell'altro, riesco a far
pensare la nascita di un individuo come una città dematerializzata, una città
nuova e quindi capace di uno spazio terapeutico, ho fatto il più grande servizio
all'umanità che possa essere fatto.
Cesara Montoli: Dove è possibile l'incontro.
Paolo Ferrari: Appunto. L'incontro è fatto sulla capacità di mediare
in continuazione, di astrarre. L'incontro non è un incontro. Qui, in questo
luogo, stiamo progettando; il titolo è molto preciso: "Modelli scientifico-logico-estetici",
per cui mi sto attenendo a questo tema; l'incontro è questo che stiamo facendo.
Lei ha fatto una certa domanda su una serie di servizi, la mente subito domanda
a cosa serva; di solito è il bambino che fa questa domanda, dice: “Ma a cosa
mi serve?”.E quando cresce dice: “Osserviamo questo”. Allora tutta la scienza,
tutto il metodo, tutta l'epistemologia, tutta la filosofia non serve a niente,
non dovrebbe servire a niente. Serve perchè gli umani si evolvano e a mano a
mano hanno prodotto nuove entità e stanno producendo nuove entità, tali per
cui siamo arrivati al fatto di poter pensare che gli uomini possono costruire
degli spazi, possono costruire degli spazi etici: questo qui è un momento etico,
è un servizio etico, ma che non è direttamente concretizzabile, è un servizio
etico di tipo astratto, ma questa astrazione è affettiva, molto più affettiva
del servizio immediato. Il servizio immediato è quello che chiede sempre causa-effetto;
come il bambino fino a dieci anni, poi l'abbandona perchè diventa adulto e dice:
“Ma un momento, io studio: perchè studio il latino? mica perchè mi serve domani.
O perchè studio la matematica o la trigonometria? mica perchè mi metto a fare
i calcoli qui per terra per sapere quell'angolo com'è, ma per curarmi la mente”.
Quello che noi stiamo facendo qui è formare la mente delle persone in funzione
di questi nuovi modelli etici che sono fondamentali, perchè se no uno viene
spazzato via da quello che sta succedendo nel mondo, perchè c'è la globalizzazione,
perchè ci sono le nuove tecnologie, perchè il pensiero sta galoppando, ma non
è pronto anche a cogliere tutta questa modificazione che è più veloce dell'attività
mentale umana. Allora apriamo il sistema, il sistema diventa ancora più grande,
il più grande possibile in modo che questo stesso processo che il cervello umano
ha messo in moto - ma perchè era incapace di svuotarsi, e quindi l'ha messo
in moto in maniera inconsulta, ancora incompiuta -, si possa compiere e perchè
il cervello umano possa includere questi elementi che ha messo in moto e a sua
volta passare gli stadi, diventare questo stadio in-Assenza, che è lo stadio
superiore, ulteriore.
Cesara Montoli: Quindi serve ad acquisire una nuova postura mentale,
postura nel senso di posizione, di... come si può dire?
Paolo Ferrari: Sì, certamente, sono dei procedimenti culturali, dei procedimenti
storici, non solo, ma è anche qualche cosa in più perché noi stiamo producendo
un'attività, qui in mezzo abbiamo prodotto questo modello, ho fatto lo sforzo
di produrre questo modello per cui, all'interno del processo del cervello di
ognuno, anche se questo non serve immediatamente, siccome oltretutto ha una
grossissima potenza, questo incomincia a poter essere elaborato e a creare degli
spazi o degli interstizi dove il cervello prima era chiuso e chiedeva subito
un servizio; e quindi per esempio il cervello impara a sospendere il giudizio
ed ad attendere l'elaborazione, quindi a sospendere il tempo, eccetera, eccetera,
impara questi altri tipi di temporalità, che sono molto complessi e che sono
quelli che sono in atto, di cui abbiamo bisogno abbastanza velocemente.
Lisetta suoniamo?
Allora, questo pezzo che suoneremo è un pezzo che ho composto un po' di tempo
fa ed è intorno alla Mer di Debussy, è la Mer vista in-Assenza.
Chiediamo un'ulteriore concentrazione, sospensione mentale perchè è un pezzo
non facile, è un po' lungo per questo momento del Seminario, speriamo di arrivare
in fondo. Durerà circa 10 minuti.
[Lisetta Carmi esegue al primo pianoforte il pezzo presentato da Paolo Ferrari,
mentre Paolo Ferrari ne esegue simultaneamente il Raddoppio sul secondo pianoforte.
Durata 15 minuti.]
Paolo Ferrari: Siamo arrivati in fondo. Anche questo era un paesaggio
al negativo, era intorno alla Mer di Debussy, ed era il dialogo tra il
mare, il vento e le rocce, ma tutto svuotato, tutto al negativo, al negativo
nel senso di svuotamento e quindi di maggiore possibilità di astrazione e quindi
di maggiore infinito, di un infinito che si libera da un certo tipo di timbrica,
anche se la timbrica debussiniana è grandissima, ma questa la libero ulteriormente,
cioè quello che era il mondo decadente e la sospensione timbrica così sottile,
così giocata con particolari intervalli in questo dialogo tra Lisetta e me,
tutto quanto diventa sempre più un fatto mentale, anche se giocato attraverso
questi contrasti di cielo, mare e rocce. Con questo finisco.
Se c'è qualche altra domanda posso anche rispondere, se no andiamo. Lisetta,
sei stata brava.
Lisetta Carmi: Sì, mi è piaciuto molto.
Paolo Ferrari: Arrivederci a tutti.