8 maggio 1997
VII Seminario 'Sui margini dell'Assenza' 1996-1997
Crisi e afflosciamento, morte e dissoluzione della fissità d'un sistema dominante (concreto e occupante) con eventuale sua sostituzione mediante un a-sistema assente (astratto-vuoto)
Paolo Ferrari: Siamo al penultimo
Seminario di quest'anno.
Come di recente facciamo, dò lettura del titolo. Il titolo è sempre una elaborazione
abbastanza complessa del tema di cui voglio trattare perché deve essere comunque
sufficientemente aperto, largo, e contemporaneamente deve dire dei concetti
molto precisi.
La formulazione del titolo mi permette di dare una coerenza interna al sistema
razionale di cui voglio parlare, ovvero produrre quei confini che gli necessitano
perché possa avere linguaggio. Di per se stesso questo sistema avrebbe dei confini
altri, ovvero avrebbe degli anti-confini, ovvero avrebbe una dimensione molto
più complessa che non quella di avere una sua circoscrizione, allora il titolo
mi serve perché questo sistema possa in qualche modo disegnarsi e segnarsi ed
avere un inizio di linguaggio, un inizio di espressione.
I quindici giorni prima del Seminario mi servono perché una certa idea portante,
di cui non so la matrice esplicita, evidente, possa in me maturare, essere assimilata
continuamente, e maturare giorno e notte in modo tale perché possa prendere
espressione; il titolo fa parte di una delle tappe per la formulazione poi di
questa espressione. Questa idea, che non è l'idea come solitamente siamo abituati
a pensare, ma è un'idea vuota e nello stesso tempo concreta - e anche questo
è un paradosso -, è un ente, è un qualche cosa che si forma dentro al mio cervello,
ovvero che l'anti-mente o la mente forma da una sua ragione d'essere, e poi
a poco a poco viene svuotata e poi viene di nuovo rimessa in circolo, poi svuotata
e rimessa in circolo: questo permette di arrivare a mano a mano all'articolazione
di un discorso relativo a questo sistema di cui ci stiamo occupando.
Il sistema di cui ci stiamo occupando sta prendendo il nome, che c'è nel titolo,
di a-sistema. Ha avuto fino adesso il nome di anti-anti sistema, il che significava
un sistema che si opponesse, in un certo modo, al sistema vigente, dominante,
ruotasse completamente in modo da svuotarsi e svuotare quello precedente e dare
luogo a una diversa dimensione relazionale: al posto di questa rotazione, che
era comunque un ente ancora in parte concreto, è diventato a-sistema, con la
a privativa, cioè è un sistema che ha dentro di sé la crisi stessa, la sua stessa
crisi, il suo stesso venir meno, la sua stessa dissoluzione, e cioè si pone
nella dimensione in cui la dominanza viene meno pur essendo un alcunché che
ha la possibilità di relazionarsi, ha la possibilità di inscrivere in qualche
modo una struttura - il sistema è anche una struttura, è una struttura in cui
gli elementi hanno un rapporto relazionale privilegiato fra di loro -, ma questa
struttura è anche una a-struttura, cioè è il fatto che questa struttura possa
venir meno, cioè possa avere al suo interno quella crisi di cui io parlo già
nel titolo: crisi e afflosciamento - afflosciamento è un termine concreto che
sta al posto di quello che usavo precedentemente di svuotamento.
Crisi significa il fatto che il sistema, esso stesso, nel momento stesso che
si pone questo linguaggio che io pongo, questa parola che io pongo, anche questo
logos che io pongo, ha al suo interno già il fatto che è già svuotato, è già
annichilito, è già annullato e perciò comporta, ha dentro di sé la sua assenza.
Questa crisi è il mezzo, la mediazione attraverso cui questo logos, questa parola,
questo linguaggio, questa forma, questa struttura sono capaci già, nel momento
stesso in cui si formano, di venir meno, e perciò di non essere occupanti. Uno
dei punti critici dell'occupazione del sistema dominante, cioè di sistema che
viene usato normalmente, il sistema mentale, il sistema intellettuale, anche
il sistema affettivo, il sistema sessuale, il sistema evoluzionistico, il sistema
politico, il sistema sociale, il sistema delle scienze, il sistema delle religioni,
il sistema delle filosofie, il sistema anche della letteratura, della poetica
anche, in un certo senso, ciò che li caratterizza è il fatto di avere al loro
interno una fissità, di non avere ancora al loro interno questo elemento di
crisi che è capace di farli venire meno, cioè di non produrre occupazione, di
non ingombrare la realtà, e cioè di formare una realtà che non è ingombrante
perciò è anti realtà, è una a-realtà.
Comprendo, mentre parlo di questo, comprendo anche il fatto che è molto difficile,
se non impossibile, per ciascuno di voi poter avere l'esperienza o immaginarsi
un sistema che sia il suo stesso privarsi, perché vorrebbe dire che in voi tutti
c'è un io che è capace di privarsi di sé, di un corpo che è capace di privarsi
di sé, di una mente che è capace di venir meno, che è nulla, di una realtà,
di un mondo che è capace di non essere niente, ma realmente, dal punto di vista
esperienziale, e anche dal punto di vista razionale. Ma sono convinto che il
fatto di poter comunicare in questo modo come io comunico, in questa dimensione
a-comunicazionale, questo, per un tratto, per un pezzetto, per un luogo, per
un topos suo specifico, nel vostro cervello, nella vostra mente, fa sì
che la mente possa fare un passo indietro, diventare a-mentale e prodursi questo
luogo che è il luogo altro, che è il luogo dell'assenza. Questo per via diretta,
chiamiamola per una intuizione di altro grado, attraverso comunque un elemento
razionale che io pongo, di una razionalità molto specifica che è la razionalità
dell'assenza, che è una a-razionalità, che è una razionalità che è capace di
essere affettiva e che quindi è capace di un linguaggio aperto.
Uno dei temi con cui io mi confronto in continuazione è la fissità del sistema:
qualora il sistema avesse al suo interno, assumesse questa crisi, questo svuotamento,
il sistema potrebbe diventare non fisso; diventando non fisso, da sistema dominante
concreto occupante, cioè lo spazio anche, la relazione spaziale, il tempo, come
abbiamo visto più volte, tutte queste varie dimensioni potrebbero diventare
capaci di non occupare e diventare capaci di poter essere sostituiti da un
a-sistema assenza che è un sistema astratto, cioè è un sistema essenziale,
una sorta di essenza vuota perché ha al suo interno la proprietà di essere vuota.
La proprietà di essere vuota significa in altre parole che è infinita, che è
quello che il cervello potrebbe esperire: l'a-mente potrebbe esperire il fatto
che davanti a sé non c'è nulla, ma non c'è il nulla, non c'è l'abisso, non c'è
il nulla abissale, non c'è il nulla annichilente, non c'è il nulla della morte
concreta, ma c'è un vuoto che vuol dire spazio capace di Assenza in cui, all'interno
di questo spazio, si disegnano poi le varie forme, alcuni segni che sono i segni
che io adopero nella mia pittura, oppure sono le note musicali o l'insieme delle
relazioni musicali che sono quei suoni che io sento nella relazione con questo
spazio-tempo particolare che però per me è assolutamente naturale.
Dico che questo, nel cervello, è possibile: basterebbe che il cervello, che
il corpo cervello, il corpo mente fosse in grado di poter venire meno, per una
sua parte, ed essere sostituito, svuotarsi - e adesso non sto a parlare di cosa
significhi questo svuotamento che comunque è una crisi e uno scarto da quello
che è normalmente - e poter assumere questa sua nuova proprietà.
Ci sarebbero tantissime altre cose, ma adesso preferisco dar la parola a Susanna.
Susanna introdurrà il tema di un anti-sistema, di un a-sistema, il tema che
ha prodotto il discorso di Deleuze e Guattari: noi vogliamo fare un discorso
anche storico, cioè vedere come la storia sta producendo a mano a mano, sta
conducendo verso luoghi dove il sistema dominante è capace di venire meno, e
quindi addentrarci dentro quello che è la cultura occidentale e anche dentro
quello che è la cultura orientale, cioè non ci poniamo fuori da questo contesto,
poniamo questo contesto e poi ci proponiamo fuori da questo contesto, ma questo
contesto deve esistere perché può produrre un accoppiamento molto interessante
tra il nulla e quello che è l'evento culturale più aperto, più astratto, più
complesso, e questo accoppiamento può produrre dei grossi effetti dal punto
di vista proprio della possibilità di espressione di questo nuovo topos.
Dopo Susanna interverrà Luciano come l'altra volta - ognuno di loro due adesso
sta formando il suo terreno di espressione -, e alla fine ci saranno le domande
o ci sarà un ulteriore mio elemento di intervento, se sarà possibile, tale da
riunire questi interventi. Luciano non so di che cosa tratterà, tutto quanto
è sospeso, sia nella relazione che farà Susanna, nella relazione che farà Luciano,
nella anti-relazione che farò io, nelle relazioni che si devono
compiere in questo nostro rapporto complesso.
A te la parola.
Susanna Verri: Paolo ha accennato poco fa al fatto che avrei parlato
di Deleuze e Guattari, e infatti arriverò poi nel mio intervento al loro libro
fondamentale - o così ritenuto per alcuni motivi che poi dirò -, del 1972, che
era L'antiedipo. Per arrivare a parlare di questo, però, mi occorre prima
fare un accenno a che cosa sia l'Edipo dal punto di vista psicoanalitico - quell'Edipo
come struttura simbolica che viene criticato nel testo di Deleuze e Guattari
- anche perché questo accenno all'Edipo ci interessa perché può essere posto
in continuità con gli altri interventi che avevo fatto precedentemente, a partire
anche dall'ultimo che riguardava la formazione del simbolo e del linguaggio
nel bambino.
Allora, parlerò brevemente di Lacan e della sua nozione di Edipo e di che cosa
avvenga nel superamento dell'Edipo perché in questo passaggio egli situa il
passaggio dall'immaginario al simbolico e dunque l'accesso al linguaggio del
soggetto, e descrive questo passaggio come qualcosa che avviene attraverso una
mancanza - di cui diremo prima. E quindi questo è il tema che abbiamo un po'
seguito nei miei excursus nel territorio psicoanalitico. Allora, Lacan
- brevissimamente voglio dirne qualcosa - è uno psicaonalista francese nato
all'inizio del secolo, nel 1901, morto nel 1981, che indagò l'inconscio partendo
da un punto di vista suo specifico particolare per cui l'inconscio veniva paragonato
al linguaggio, letto, descritto, interpretato e trattato secondo anche gli strumenti
propri dell'indagine linguistica che negli anni del suo operato si stava sviluppando.
Era uno psichiatra, quindi operò anche nelle istituzioni e quindi produsse un
collegamento molto consistente tra psichiatria e psicoanalisi; si occupò in
particolare anche della lettura della psicosi attraverso le categorie che andava
indagando. Il tema dell'Edipo e della formazione, attraverso quel passaggio
che poi vi descriverò, dall'immaginario al simbolico, dell'accesso al linguaggio
del soggetto, è uno dei suoi temi fondamentali. Attraverso questo passaggio,
quindi attraverso la risoluzione dell'Edipo che, come forse saprete, è quella
situazione simbolica, descritta dalla psicoanalisi per la prima volta, in cui
un bambino si trova ad essere coinvolto in un'attrazione, un desiderio per il
genitore del sesso opposto ed ha corrispondenti sentimenti di ostilità e di
aggressività per il genitore dello stesso sesso che sente come rivale, questo,
che è tutta una situazione inconscia con profonde radici che verranno poi affrontate
nel corso di tutta la vita e che vengono particolarmente indagate dalla cura
psicoanalitica e che vengono particolarmente criticate nella loro centralità
da L'antiedipo che poi vedremo, questa situazione edipica - vi dicevo
- viene posta da Lacan al centro della sua elaborazione.
Allora, il bambino si trova, si viene a trovare in una situazione, attorno ai
sei mesi, per cui comincia, prima ancora della fase edipica, a formare una sua
prima immagine unitaria di sé, una prima immagine di una sua forma corporea
unitaria, di una sua Gestalt corporea, dice Lacan, attraverso dei processi
di identificazione. In questa fase quindi il bambino non riconosce l'altro come
differente da sé, si riconosce però attraverso la sua identificazione con l'altro;
cioè questa fase, chiamata fase dello specchio appunto, avvia l'inizio dei primi
processi di riconoscimento di sé, dove sé però non è ancora un soggetto, è semplicemente
un'immagine speculare. La relazione con l'altro che si può formare in questa
fase è dunque una relazione a due termini di cui l'uno è speculare all'altro:
è una relazione quindi che viene definita duale, che è immaginaria perché c'è
soltanto l'immagine, non c'è la persona separata da sé, non c'è io e l'altro:
c'è io, e l'altro è ancora l'immagine dell'io. In questa fase i bambini si vedono
comunemente agire anche nella vita quotidiana questi continui processi di identificazione
per cui, dice Lacan, un bambino in questa fase piangerà se vede cadere un altro
bambino, oppure picchierà un bambino e poi dirà di essere stato picchiato perché
non distingue tra sé e l'altro. Questa fase è la fase dello specchio; in questa
fase il primo rapporto che viene investito in questo modo è naturalmente quello
con la madre. In questa situazione in cui prevale l'immaginario, il bambino
è soggetto al rapporto con la madre; se non intervenissero le fasi dell'Edipo,
successivo a questo periodo, il bambino non raggiungerebbe mai la sua definizione
come soggetto, e quindi la sua autonomia. Perché avvenga questo, occorre quel
passaggio dall'immaginario al simbolico, cioè la nascita del simbolo, di cui
parla Lacan, che avviene attraverso una mancanza e in particolare avviene attraverso
un'interdizione e un sacrificio: cioè occorre che ci sia l'intervento di un
terzo termine nella relazione che fino a quel momento era rimasta solo duale,
solo a due termini; occorre l'intervento del padre, della funzione simbolica
del padre affinché la relazione diventi triadica, cioè ci sia io, ci sia l'altro
e ci sia l'oggetto, non ci sia solo il rapporto speculare con l'oggetto. Il
padre interviene ponendo dunque una differenza; pone questa differenza attraverso
un'interdizione, attraverso cioè la proibizione del rapporto con la madre o,
meglio ancora - Lacan è più preciso in questo senso -, Lacan dice che, nella
fase precedente, il bambino aveva un tale desiderio delle cure della madre,
dell'amore della madre che si era identificato con l'oggetto del desiderio della
madre, quindi col fallo che per Lacan non è il pene ma è una struttura simbolica;
quindi il bambino, a livello dell'immaginario, è l'oggetto del desiderio della
madre: è un oggetto, è equivalente a un oggetto. Attraverso l'intervento dell'interdizione
paterna che vieta il possesso di questo oggetto - vieta al bambino di essere
fallo e vieta alla madre il possesso di questo oggetto -, avviene la rimozione
primaria di questo desiderio, cioè questo desiderio passa attraverso una mancanza,
entra nell'inconscio - e questo passaggio per Lacan è salutare, quindi siamo
di fronte qui a una rimozione che ha un valore positivo. Attraverso la mancanza,
cioè la sottrazione di questo desiderio che avviene attraverso la proibizione
paterna, il bambino entra nell'ordine simbolico, entra nella possibilità di
una relazione a tre, entra quindi, egli dice, nel linguaggio, entra in possesso
della sua soggettivazione. Gli diventa possibile l'identificazione non più con
un oggetto ma con la figura paterna, un'identificazione diversa da quella che
aveva vissuto nella fase dell'immaginario perché è l'identificazione con la
figura paterna che poi gli permetterà di agire nella realtà, di crescere, di
assumere tutta una serie di responsabilità, in quanto è un'identificazione che
è passata attraverso una mancanza, e quindi che non lo rende più identico a
una cosa ma gli consente semmai di avere il fallo, dice Lacan, non più di esserlo.
In questa fase, in questo passaggio, la mancanza è anche segnata da una castrazione
simbolica che avviene perché il padre, con la sua interdizione, con la metafora
del nome del padre che descrive questa azione simbolica esercitata dalla figura
paterna, attua una castrazione simbolica separando il bambino dal fallo, ed
è questa la fondazione del soggetto, secondo Lacan e secondo la sua analisi
strutturale formale.
Quello che anche avviene d'importante in questa fase è che si sviluppa l'inconscio,
cioè la relazione triadica, attraverso questa rimozione primaria, permette da
un lato che il soggetto inizi a definirsi, e si definisce attraverso un'ulteriore
separazione, cioè si definisce attraverso quella che Lacan chiama la Spaltung
che, da Spalte, in tedesco, significa separare, perché il soggetto non
coincide più con la sua immagine di sé, quindi s'istituisce un soggetto che
ha in sé una separazione perché il soggetto non è più quello che il soggetto
vorrebbe essere, non è solo la sua immagine ma è un soggetto articolato come
un'unità linguistica su due piani in cui c'è il discorso conscio e c'è il piano
psichico profondo. Questo soggetto, attraversato da questa mancanza, attraversato
da questa barra, dice Lacan, è quello poi che ha accesso al linguaggio.
Tutto questo discorso - abbastanza complesso, devo dire - è interessante; tutta
la formalizzazione di Lacan è estremamente sottile, quindi è estremamente interessante
come esercizio di complessità, anche, in un certo modo; non sfugge, tuttavia,
secondo Deleuze e Guattari, a quelle che sono le critiche fondamentali che loro
muovono alla psicoanalisi e cioè a questa eccessiva centralità che viene data
all'Edipo, che verrebbe data - secondo Delauze e Guattari ne L'antiedipo
- all'Edipo nella psicoanalisi e, soprattutto, alla centralità che produce
una riduzione nel senso che tutto il discorso del soggetto viene interpretato
sulla base di questa vicenda dell'Edipo, che pure è fondamentale, ma la lettura
psicoanalitica sarebbe riduttiva, secondo Delauze e Guattari, e soprattutto
sarebbe una lettura normativa, cioè questa legge del padre sarebbe l'equivalente
sociale di un atteggiamento di conservazione nei confronti anche del potere
dello Stato. L'Edipo è in effetti... con quella struttura che ho descritto,
con cui si forma l'accesso al linguaggio e al simbolico, si produce anche l'ingresso
nella cultura e contemporaneamente la possibilità di socializzare e l'accesso
anche alle strutture, quindi, simboliche e normative della società. Però Delauze
e Guattari ritengono che nel discorso psicoanalitico ci sia una lettura moralizzatrice
dell'inconscio e di tutte queste vicende, e che quello che da Freud era stato
scoperto come una fucina, una fabbrica, anche, di desideri, di capacità psichiche,
di energie continuamente ribollenti, il desiderio, in particolare, venga, dalla
lettura psicoanalitica, trasformato in una rappresentazione, in un qualche cosa
che da fabbrica diventa teatro, quindi da fabbrica produttiva diventa unicamente
una rappresentazione che può esprimersi nei lapsus, nei racconti, nei sogni,
nei sintomi, ma che perde il suo contatto produttivo nella realtà. In particolare
la struttura normativa dell'Edipo agirebbe in questo senso: agirebbe avendo
territorializzato il desiderio dentro la famiglia, cioè ridotto la lettura del
desiderio all'interno delle logiche parentali, continuando - secondo loro che,
da questo punto di vista, si avvicinano a Foucault nella sua critica alla psichiatria
del XIX secolo - quella logica di normalizzazione della follia e di lettura
della follia in termini unicamente anti... come qualche cosa che si oppone alla
legge del padre, oppure che esprime il contrasto tra gli istinti e la realtà
senza avere altre valenze, per esempio rivoluzionarie o discorsive, senza avere
altre valenze, anche, innovative, di apertura ad altri linguaggi o ad altri
discorsi, come invece Deleuze e Guattari sostengono, propongono, estremizzando
il discorso, forse, ne L'antiedipo. Questo testo - anche per l'epoca
in cui uscì, perché uscì nel '72, quindi immediatamente dopo o contemporaneamente
quasi al '68 -, ebbe grande rilievo per la portata rivoluzionaria attribuita
da Deleuze e Guattari all'inconscio che loro descrivono come un continuo produttore
di realtà e anche come depositario di una capacità rivoluzionaria continua.
Inoltre possiamo dire che questo testo, che porta come sottotitolo Capitalismo
e schizofrenia, aprì anche tutto il discorso di una relazione tra psicoanalisi
e marxismo, di un'estensione del discorso dell'inconscio al discorso sociale,
quindi di un parallelismo tra la lettura di certi processi produttivi e i processi
dell'inconscio. Tentò anche una proposta con quella che loro chiamarono schizoanalisi
che era un qualche cosa che veniva opposto alla psicoanalisi e che aveva con
questa certe differenze fondamentali consistenti per esempio nell'attribuire
al desiderio un punto fondamentale nella funzione produttiva - vi dicevo prima
-, produttrice di realtà, ma anche nel considerare il desiderio come struttura
capace di muovere l'inconscio a parlare molteplici linguaggi e quindi poi a
produrre, anche all'interno della società, una circolazione di flussi di molteplici
linguaggi e di interazioni tra soggetti non più soggetti ma descritti come macchine
desideranti. Cioè, la visione di Deleuze e Guattari pone questa entità della
macchina desiderante, mossa da questo inconscio produttivo, al centro della
descrizione della realtà, fondando questo concetto in cui il riferimento è l'inconscio
dello schizofrenico, perché il corpo senz'organi, cioè svuotato e frammentato
dello schizofrenico, così come era stato descritto da Artaud, a cui loro si
referiscono, o da Schreber, che era un famoso paranoico, noto nella letteratura
psicoanalitica perché scrisse lui stesso un libro in cui raccontava tutto il
suo delirio, perché Freud scrisse molto su di lui... insomma, questi esempi,
diciamo, di persone con questo inconscio così proliferante fungono, per Deleuze
e Guattari, da modelli per questa descrizione di un inconscio produttivo e di
una macchina desiderante che funziona con questa molteplicità di linguaggi in
cui comunque la schizofrenia è presa come limite. E quindi questo è uno dei
temi che ci possono interessare: la schizofrenia, nel discorso di Deleuze e
Guattari, è un limite, è una condizione limite continuamente esposta alla massima
precarietà, per questo è contemporaneamente produttiva e contemporaneamente
totalmente improduttiva perché si è svuotata in questo continuo produrre, in
questo continuo coincidere tra produrre e prodotto, continuamente al limite
dell'essere cosa.
Quello che ci può interessare di questo discorso, a mio avviso, è la sua portata
rivoluzionaria, è la sua rottura del discorso precedente psicoanalitico, è la
sua attenzione alla non normatività di un discorso, alla non fissità di un discorso,
a cercare di rompere tutti i discorsi precedenti che erano stati posti, e anche
a proporre - come poi è avvenuto nel testo successivo di Delauze e Guattari,
dell'80, Millepiani, che stanno adesso pubblicando tradotto in italiano
-, un nuovo modello conoscitivo, cioè il modello del rizoma che è un modello
di conoscenza che si apre contemporaneamente su più piani senza un asse centrale
- come era il modello definito nell'introduzione di Bifo, dei tempi precedenti
-, cioè non c'è più un modello di conoscenza arborescente, ad albero, con un
asse centrale dal quale si dipartono le conoscenze, ma c'è un modello di conoscenza
diffusa che parte da più punti, che associa anche elementi disomogenei - come
avviene nella macchina che basta che funzioni, ma che può associare anche gli
elementi più eterogenei -, c'è un elemento di molteplicità e c'è un variare
dei criteri, per cui vengono letti i singoli elementi, cioè c'è la rottura significante,
che è uno dei principi che ispira il rizoma, per cui i principi interpretativi
non sono fissi una volta per tutte ma cambiano in continuazione secondo il fluire
di questo processo molteplice.
Penso di potermi fermare a questo punto, anche se ci sarebbero moltissime cose
da dire; forse potrò intervenire più avanti, ma per adesso penso sia il caso
di fermarmi.
Paolo Ferrari: Luciano, vieni qua. Porti la sedia? Vuoi la sedia?
Luciano Eletti: Non so...
Paolo Ferrari: Come vuoi. Aspetta [avvicinando il microfono], perché
se no non si sente. Dicci dove stai.
Luciano Eletti: Non so ancora cosa dirò esattamente, però mi sembrava
utile partire da un articolo, apparso oggi sul Corriere della
Sera, di Claudio Magris, dal titolo curiosò: L'irresistibile fascino
del nulla, dalle dispute dei letterati barocchi alla moderna scienza dei buchi,
perché gli intellettuali dissertano sul niente, dove si accenna a uno degli
autori di cui pensavo di dir qualcosa, per quanto mi è possibile. E qui Magris
dice che perfino Heidegger, quando parla dell'uomo come luogotenente del nulla,
non è immune da questa enfasi gratificante degli scrittori barocchi, non filosofi
ma letterati, che svolgono, sembra, su un piano letterario, la strana moda delle
nature morte che nel '600 imperversa e che sembra appunto l'atto artistico di
questa misconosciuta letteratura del niente; qui addirittura vengono chiamati
nientisti. Allora - qui l'accenno a Heidegger è dovuto, però mi sembra un po'
riduttivo - cercavo di portare qualche ragione di Heidegger, per quello che
sono riuscito a capire di Heidegger - spesso lui stesso non capiva quello che
stava dicendo -, però è importante questo come richiamo al nulla e all'uomo
in quanto esserci come progetto nel mondo, che è tale solo in quanto si trattiene
presso il niente; e non da un punto di vista intellettualistico, anzi Heidegger
fa una critica molto forte all'intellettualismo della negazione che non ha nulla
a che fare con il niente.
Vediamo se trovo un tema da cui partire.
Dell'accenno all'essere per la morte avevo detto l'altra volta, non vorrei ripassarci.
Quando si pensa al niente si pensa come a un'idea che, già nell'origine greca,
è l'immagine; e allora il niente sembra la negazione di questa immagine; cioè
ci facciamo l'immagine, poi ce la neghiamo, e tutto avviene a livello mentale:
l'immagine. E questo in genere è il concetto formale. Heidegger dice che questo
però non è il niente anzi, la negazione non fonda il niente, è il niente che
fonda la negazione. Infatti esiste un momento - Heidegger dice che funziona
solo per pochi attimi - un momento dell'angoscia, che va al di là dell'aspetto
formale, che è l'unico che ci mette di fronte a questa scoperta del niente:
ci si angoscia non di qualche cosa ma appunto di niente. Ci angoscia il niente.
Per cui una delle domande che farò poi al Dottore sarà in che maniera, se è
veramente possibile - chiaramente non dal suo punto di vista - che l'angoscia
sia solo rivelatrice del niente, se non c'è altra via di questa pura mente negativa
anche se non in modo formale.
L'altra che intendevo accennare, in maniera, così, imprecisa, era quella che
riguarda il linguaggio, cioè l'aspetto nichilistico, anche, del discorso razionale
- mi spiace non riuscire a prendere il discorso in modo giusto -, cioè il linguaggio
dell'esplicitazione totale è quello che richiede il continuo fondamento, cioè
il principio di ragione è quello che richiede che per ciascuna cosa ci sia la
sua ragione; questa ragione però è quella che gli riconosce il soggetto stesso
che non è fondato ma è anzi il fondante e ciò che apre, nel progetto, il mondo
delle cose. E però questo è una semplice riflessione del soggetto che il soggetto
fa con se stesso fino a non trovare più altro che se stesso, cioè l'altro è
lasciato fuori: è lui stesso che riconosce questo fondamento. E così il discorso
non funziona. Non funziona il mio.
Paolo Ferrari: Poni la domanda, allora. Se vuoi porla.
Luciano Eletti: L'uomo, per uscire da se stesso, la persona ha bisogno di
questa angoscia? Come può non rispecchiarsi semplicemente nell'altro, rivedendo
in tutto ciò che lo circonda se stesso, nelle cose, negli altri? Come fa a uscire
dal suo cerchio? Questo paradosso di dover vivere l'angoscia per avere questa
nientificazione delle cose che lo circondano e che sembrano essere tutto il
mondo.
Paolo Ferrari: Be', il fatto che l'altro sia altro è quello che fino adesso
stiamo cercando di esporre, cioè il fatto che se Homo sapiens cominciasse a
porre l'altro realmente come altro, come differenza, questo è già il luogo del
nulla, già quello che pone il termine della psicoanalisi, quello che diceva
prima Susanna di Lacan, o che ha posto Freud precedentemente, o che abbiamo
visto le volte precedenti posto da Bion, il fatto del passaggio di questo elemento,
di questo luogo, di questo topos, che è anche un luogo metaforico del
superamento dell'immagine di sé e dell'entrata nel mondo simbolico, è già un
passaggio per il riconoscimento di un'alterità, di una differenza rispetto a
se stesso.
Quello di cui io parlo, questo nulla di cui io parlo non ha nulla a che fare
con l'angoscia: non è detto che per accedere a questo nulla si debba passare
attraverso l'angoscia e si debba riconoscere il nulla attraverso l'angoscia.
Quello di cui io parlo è realmente una differenza, ed è perciò un porsi, un
disporsi di questo luogo, di questo fatto di farsi altro, ma in cui il soggetto,
per farsi altro, incomincia ad accettare il fatto che lui stesso è capace di
farsi nulla e di farsi altro in se stesso. Che questo poi di fatto implichi
- almeno nella storia che io vedo, in quello che è stata la storia esperienziale,
quello che io vedo nella formazione delle persone, quello che vedo nella formazione
terapeutica, quello che vedo nel superamento del confine schizofrenico, quello
che vedo nel superamento del confine edipico... c'è comunque in questo un passaggio
attraverso l'angoscia, ma non credo che sia l'angoscia heideggeriana, credo
che il passaggio attraverso l'angoscia sia l'accettazione di quello che io dicevo
nel titolo, che è questo concetto,*
che è questo stato, che è questo stato permanente di crisi. Questo probabilmente
potrebbe essere quello che si accompagna a un'angoscia. Ma perché c'è l'angoscia?
Perché il sistema fino adesso è stato fisso: il sistema umano, la mente umana,
la struttura, lo schema corporale umano - e adesso dal campo filosofico passo
nel campo, diciamo, della relazione, chiamiamola psicologica, anche se non è
psicologica, chiamiamola biologica, chiamiamola neurobiologica, io sono molto
neurobiologo sui generis... è il fatto che il cervello pensa uno schema
corporale, il cervello ha inventato uno schema corporale, il cervello ha inventato
una sua mente, il cervello ha inventato un suo modo di disporsi in una relazione
con il mondo esterno, questo mondo esterno l'ha generato lui stesso in un accoppiamento.
Allora, l'angoscia che cos'è? E' relativa al fatto che esista uno schema, questo
schema significa che c'è una fissità; il problema che c'è a monte di tutto questo
è il fatto che la fissità possa venire meno. Nella patologia grave, ma anche
nella fase pre-edipica, questa fissità è massima: Freud descrive, nelle varie
fasi, la fase orale, la fase anale; la Klein la fase schizoparanoide e poi la
fase della depressione, che è una fase un po' più morbida rispetto alla fase
schizoparanoide che è un elemento molto fisso; cioè noi tutti, Homo sapiens
ha tutti questi luoghi di fissità. Ma i luoghi di fissità, perché? Perché questo
corpo-mente è relativo a una struttura corporale, a una struttura neurologica
corporale, a un cervello e a un corpo-cervello delle fasi precedenti, di una
materia precedente come quella animale; ma quella animale è derivata da un elemento
della materia ancora precedente che è quella del mondo, della nascita del mondo,
del Big-bang, dell'oggetto-mondo, il quale oggetto-mondo non è capace, non esiste,
a mio avviso - e in questo posso entrare, diciamo, in una specie di idealismo
-, non può esistere se non in quanto pensato, cioè c'è comunque un accoppiamento:
deve esistere un accoppiamento tra un ente che è il cervello-pensiero-corpo
che è capace di pensare un alcunché, quindi che è capace di pensare una cosa,
questa cosa entra in questa relazione, data questa relazione incomincia a esistere
un mondo. Se poi questo elemento di fissità, questo insieme che sto disegnando
è capace a sua volta di venir meno, e cioè di avere realmente al suo interno
un elemento di crisi, di crisi molto ampia - la disegno*
in questo modo -, e quindi è capace di farsi assente, allora tutto questo, tutto
l'universo è capace di farsi assente, la cosa incomincia a diventare capace
di farsi assente. Siccome in tutto questo c'è l'accoppiamento con lo stato di
morte - e Heidegger parla dell'uomo, dell'essere umano come essere per la morte,
quindi di essere capace per la morte, di essere indotto, di essere capace verso
questo elemento che è la morte -, se la morte realmente è un ente all'interno
del sistema, di tutto questo schema, di tutti questi tipi di relazione, un elemento
che produce come risposta l'angoscia, allora l'angoscia è vera come un elemento,
come uno stadio. Ma perché si produce l'angoscia? L'angoscia non è a mio avviso
uno stato di verità di per se stesso, l'angoscia - in questo caso, in questo
sistema che sto descrivendo, non in altri sistemi -, quest'angoscia è il fatto
che tutto questo sistema, nel momento stesso che incomincia a rompere i suoi
vari schemi per cui incomincia ad avere la sua crisi al suo interno, incomincia
ad accettare la morte e il cervello incomincia ad accettare la sua stessa morte,
la mente incomincia ad accettare la sua stessa morte, il corpo la sua stessa
morte, ha all'interno questa crisi che produce un a-sistema*
cioè un sistema che incomincia a svuotarsi e afflosciarsi e quindi accetta di
rompere i propri equilibri, e l'accettazione e la rottura dei propri equilibri:
lo vedete in ognuno di voi, ognuno di voi di fronte a una novità non è capace
di aderire immediatamente a questa novità con tutto se stesso, è capace magari
con dei meccanismi di aderire, ma non di entrare in relazione con questa novità
e quindi di riconoscere la novità come elemento nuovo, come elemento estraneo,
ma lo pone a distanza. L'altro, in generale, come abbiamo visto tante volte,
è posto a distanza, è posto come ente straniero, non c'è subito una relazione,
una capacità di connessione, di accoppiamento perché l'altro è comunque un qualche
cosa che rompe la struttura equilibrante di un sistema che è vecchio, che deve
continuamente appoggiarsi su equilibri che sono di una struttura materiale,
biologico-materiale molto vecchia.
Il concetto di altro che io esprimo nella rottura di equilibrio... l'altro è
la rottura di questi equilibri, cioè l'altro di per se stesso, nel momento stesso
che un soggetto è capace di rompere i suoi equilibri, ma non di rompere i suoi
equilibri andando verso una direzione in cui di solito c'è la patologia, e cioè
c'è una rottura degli equilibri andando verso un impoverimento del sistema,
ma se c'è una rottura degli equilibri tale per cui un alcunché si organizzi
su un livello maggiore, questa rottura di equilibri è già il riconoscimento
dell'altro, cioè l'altro esiste in quanto il sistema ha accettato di venir meno,
cioè il sistema non è più egoista. Si dice che la teoria scientifica parli dell'evoluzione,
del sistema evolutivo, evoluzionistico come quello del gene egoista, cioè che
nell'evoluzione il gene, gli individui - e in particolare la loro struttura
genetica - che permangono, che riescono a sopravvivere sono quelli della maggiore
fitness, della maggiore capacità, della maggiore idoneità, e quindi c'è
la legge del più forte, in un certo senso, nella storia evoluzionistico-biologica.
Questo è uno degli elementi del fatto per cui il sistema comunque si replica,
e si replica attraverso questa legge della forza e attraverso questo equilibrio
della forza; è un sistema generale evoluzionistico, è un sistema generale che
si autoriproduce, si riproduce e, in un certo senso, è rispecchiante secondo
questa sua identità che è quella di una idoneità a un ambiente esterno. Il sistema
che sto disegnando io è un sistema molto più complesso in cui invece viene immesso
il fatto che... che cos'è che produce invece il fatto di un'evoluzione, la possibilità
di evoluzione? La rottura degli equilibri e quindi quei sistemi che sono capaci
di rompere un equilibrio al proprio interno e quindi una lettura diversa. L'uomo
arriva al fatto che l'uomo è l'unico animale, l'unica struttura ancora animale,
la quale produce la cultura. La cultura che cosa fa? E' l'unico elemento che
è capace di riconoscere l'altro. Il riconoscimento dell'altro è l'unico elemento
che ha in se stesso il fatto di poter rompere l'equilibrio della propria struttura
rispecchiante per riconoscere un altro ente come diverso da sé, e quindi ammettere
quello che è un sistema che abbiamo chiamato il sistema affettivo.*
Ora, mi interessa arrivare a questo elemento, a questo concetto, a questo stato
che noi abbiamo chiamato affettivo perché è l'unico sistema che, in qualche
modo, chi più chi meno conosce; conosce quando lui è in una relazione affettiva
con l'altro; ognuno di voi, come soggetto, come soggetto storico, come soggetto
individuale, come soggetto sociale sa riconoscere, in qualche modo, quando lui
è soggetto affettivo. Ora, questo può essere un punto di esempio, di possibilità
di esperienza di ognuno di voi di tutto questo sistema complesso che sto disegnando.
Ci sarà stato in ognuno di voi il fatto di un passaggio da uno stato di minore
affettività a uno stato di maggiore affettività, da uno stato di anaffettività
a uno stato di affettività, da uno stato di povertà interiore - chiamiamola
di povertà spirituale, per intenderci, anche se non è spirituale, ma di scambio,
di relazione - a uno stato di maggiore ricchezza interiore. Questo può servire
come punto di riferimento a quando io dico cosa s'intenda per sistema più vuoto,
cioè - anche sempre mettendomi in relazione con la problematica di Luciano -
che cosa s'intenda per il fatto di uscire da sé. Perché fondamentalmente nel
sistema di cui io parlo, nel sistema dell'Assenza il sé non esiste neanche più,
non c'è né io né sé, il sistema è già fuori di sé, è sempre comunque fuori di
sé, è sempre comunque altro. Ma è difficilissimo capire che cosa voglia dire
questo in un'esperienza, perché per me il fatto di vedere un oggetto, di vedere
uno spazio è che sono fuori di me, sono in relazione con questo oggetto, non
so neanche più dove sia il soggetto, chi sia io chi sia altro, ma non ha nessuna
importanza, non ha più bisogno di un punto di riferimento, anzi io dicevo nel
passato che io era morto per cui non aveva più nessuna possibilità né di esistenza
né di riferimento, ma questo non aveva nessuna importanza, è perché sono tutti
schemi che noi abbiamo. Allora, ritornando al fatto affettivo, chi ha provato
il fatto del passaggio da un sistema anaffettivo a un sistema affettivo capisce
che il suo sistema affettivo è certamente più vuoto del sistema anaffettivo.
Cioè quando il sistema umano è anaffettivo, è un oggetto, è una cosa; quando
il sistema diventa affettivo, diventa capace di amore, capace di relazionarsi,
diventa meno cosa; e di questo ognuno di voi può avere esperienza. Comunque
il bambino questa affettività l'acquisisce nei vari passaggi, nelle varie tappe
della sua vita, della sua esperienza, quando passa appunto la fase edipica,
anche se è normativa, anche se è tutte queste varie cose - io dico una fase
edipica speciale, in particolare quella di cui mi occupo è una fase edipica
che è comunque una metafora, il superamento comunque della propria soggettività
rispecchiante. Il sistema affettivo è un sistema che è più vicino a un sistema
Assenza,*
e cioè significa che il sistema Assenza sarebbe il sistema affettivo moltiplicato
mille, cento, due volte, quattro volte, cioè è un sistema affettivo, iperaffettivo
che si è svuotato. Questo può essere paragonato al fatto di quando un sistema
è anaffettivo, quando un sistema è rispecchiante, quando un soggetto invece
di essere soggetto storico, sociale, culturale, è un oggetto, è una cosa: questa
differenza tra questa cosa e il sistema affettivo è la stessa differenza, un'analoga
differenza tra affettivo e assenza. L'assenza è un sistema affettivo che si
è svuotato ulteriormente di questa affettività; svuotandosi di questo è uscito
totalmente da sé; l'estraneità, l'estraneo non esiste neanche più perché il
soggetto è anti-soggetto, è a-soggetto, si è svuotato di questa soggettività.
In tutto questo, se è già stato superato il livello della morte, di tutti questi
livelli di cui ho parlato e di cui riprenderemo, e cioè la morte è diventata
astratta, eccetera eccetera eccetera, in tutto questo non c'è più nessun tipo
di angoscia, l'angoscia non esiste più, l'angoscia semmai esiste da questo punto
dell'assenza nel ritornare indietro,*
nell'andare a mano a mano a riprendere l'angoscia di quello che è lo stato dell'essere
di Homo sapiens il quale è in una relazione d'angoscia con la sua possibilità
di essere altro. Perché? Perché ha tutti questi schemi dentro di sé, ha tutte
queste relazioni, la mente ancora non è capace di essere a-mentale, la mente
è ancora un qualche cosa che schematizza un corpo e il corpo ha bisogno di avere
un certo schema perché se no si disfa, perché se no il soggetto vive l'angoscia
di morte.
Questa è una delle possibili risposte, è una delle tante possibili risposte.
A te la parola, se vuoi replicare a questo problema, se è abbastanza esauriente
un discorso di questo tipo, anche se so che sono passato dall'ambito filosofico,
ho preso la filosofia e l'ho portata dentro a un sistema biologico-analitico-evoluzionistico,
e proprio nel sistema dell'Assenza, cioè io comunque parlo nel mio sistema,
un sistema che assume tutti gli altri, cioè che li prende dentro di sé.
Chi vuol fare domande, faccia pure.
Renata Ranieri: Scusa, non ho capito bene perché nel sistema Assenza
è superata l'affettività.
Paolo Ferrari: Perché è un ulteriore sistema. Non è tanto che sia superata,
ma quanto che io adesso prendevo questi elementi, questi punti per spiegare
che cosa volesse dire, nel senso che dicevo che l'affettività rispetto a un
sistema anaffettivo è comunque un sistema che è più vuoto, è più vuoto nel senso
positivo, cioè che è più capace di fare entrare l'altro. Dato il sistema affettivo,
il sistema Assenza non ha neanche più bisogno di questa affettività perché di
per se stesso è affettivo, cioè non è un problema essere affettivo o meno. Quando
il sistema è affettivo, non è che si domandi più di essere affettivo: è affettivo
punto e basta. Questo sistema Assenza è ulteriormente il fatto affettivo che
si è svuotato di questa proprietà dell'affettività e ha assunto un'altra proprietà
che abbiamo chiamato Assenza: è una proprietà, la quale proprietà ha anche dentro
di sé, nel momento stesso che entra in relazione con tutti questi sistemi precedenti...
Quando è da solo, questo sistema è vuoto, è totalmente vuoto e ha questa proprietà
del vuoto, particolare del vuoto; quando si relaziona, entra dentro, ed entra
in relazione con gli altri, assume la veste, il valore di un'affettività poi,
fra le altre cose, molto particolare perché è un'affettività in cui l'estraneo,
in cui l'affettività è simultanea all'altro, cioè l'altro esiste contemporaneamente,
esiste simultaneamente in uno spazio-tempo molto differente da quello che è
normale, ma è una relazione continua, cioè l'assenza esiste in una relazione
continua, in un'interazione continua, in un'interazione per assenza di ciò di
cui abbiamo parlato, e ha quest'altro tipo di proprietà che possiamo chiamare
anche affettiva, ma che è ulteriormente, è di un'affettività al quadrato, cioè
si è svuotata di questa proprietà affettiva, come da un sistema-cosa è diventato
un sistema-uomo, e uomo è diventato un sistema assente, si è ulteriormente liberato
di un alcunché, ha preso un'altra proprietà.
Lisetta, vuoi fare una domanda?
Lisetta Carmi: No, non voglio far domande. Penso a tante cose, ma non
voglio far domande, anche perché io non sono una da domande. Già in India, quando
un guru mi ha detto... c'eran tanti indiani, facevano domande domande domande
e io ero lì, alle sette di mattina, con questo guru, che non era Babaji, era
un altro. Poi gli indiani sono andati via tutti e io vedevo tutti che parlavano.
"Cosa domanda tutta questa gente?". Poi questi sono andati tutti via e lui ha
detto a questa signora che mi aveva portato: "Domanda alla tua amica se ha da
far delle domande". Io ho detto: "Io non ho domande da fare". E allora lui ha
detto: "E' una grande anima". Perché è vero, che domande vuoi fare? Io, o sperimento
o...
Paolo Ferrari: No, ma una domanda come proposizione, anche. Non è detto
che sia una domanda a qualcuno, una domanda come proposizione. Io domando in
continuazione, per esempio.
Lisetta Carmi: Io sono un tipo che o va avanti e sperimenta e
capisce, o se no non fa domande. E io cerco... dico: "Con questo sistema nuovo
veramente sento che vado avanti", ma non riesco a far domande, non riesco a
chiedere. Io intuisco, quando tu parli, io intuisco, capisco quello che dici,
intuisco più che capire, e poi quando vado a Cisternino vado avanti, ma non
riesco a chiederti perché quello, perché... Non riesco, ecco...
Paolo Ferrari: No, no. Per quello dicevo che la domanda non è detto che
sia una cosa relativa a me. La domanda è una domanda... quando io per esempio
parlo di tutto questo, è come se fosse continuamente una domanda, capisci?
Lisetta Carmi: Sì!
Paolo Ferrari: La domanda è anche questo. La domanda... per dire che non
è qualche cosa di affermativo, che comunque tutto questo sistema ha dentro di
sé*
questo elemento che è continuamente aperto, e quindi è continuamente una domanda,
ed è per quello che dico che è continuamente una relazione.
Lisetta Carmi: Certo. Ma io posso solo entrare in relazione, appunto.
Quando la relazione dentro di me va in una certa dimensione, io riesco ad andare
oltre. E' tutto lì.
Laura Morandotti: Io sarei un po' più a terra, diciamo. Per esempio,
il fatto che la mente si sia creata lo schema corporeo, appunto, gli schemi
fissi di cui abbiamo parlato prima, di cui hai parlato prima, per esempio per
me uno schema fisso è anche, tra gli altri, il fatto di avere appreso che ci
sono, non so, le cose negative, le cose positive. E adesso, il fatto che l'uomo
sia costituito da sistemi fissi, questi sono un ostacolo per raggiungere lo
stato di assenza, che a me sembra di aver capito appunto come stato positivo
per questa affettività, adesso non so ripetere bene, però mi sembra di aver
capito che è una cosa bella raggiungere l'assenza per una nuova affettività.
Quindi, sono un ostacolo questi sistemi fissi, su cui poi siamo cresciuti, perché
il sistema fisso ci ha anche permesso dei punti di riferimento: se uno deve
crescere deve avere...
Paolo Ferrari: Certamente, io non parlerei neanche di ostacolo, è che
il sistema fisso adesso... devi tener conto che il sistema, nel momento stesso
che è fisso, è dominante. Cioè, certamente questi, naturalmente, possono servire,
anche perché se il bambino non ha uno schema corporale... lo schizofrenico spesso
non ha uno schema corporale per cui deve passare continuamente... entra sempre
nella situazione dello specchio per cui lui si riconosce soltanto nello specchio,
e quindi la formazione di uno schema e la formazione di una serie di passaggi
sono necessari, ma quello che io ho scoperto è che non sono così necessari,
cioè non è detto che siano così. Il fatto è che la nostra mente è ancora troppo
vincolata a una struttura corporale, cioè il corpo-mente è ancora troppo rimasto
legato a certe condizioni precedenti, gli schemi che noi abbiamo sono quelli
delle condizioni precedenti, non sono quelli che Homo sapiens potrebbe
sviluppare in quanto ha inventato per esempio il linguaggio astratto: il linguaggio
astratto è la rottura comunque di uno schema, se ci pensi. La natura precedentemente
era sempre in una relazione concreta, cioè l'animale non può indicare una cosa
ad un altro animale, passare a un altro animale attraverso un fatto culturale
quello che ha appreso; l'uomo può, attraverso la parola, passare quello che
ha appreso, da una generazione all'altra passa quello che ha appreso, la storia
dice questo. Quindi questo significa che già la cultura umana ha rotto gli schemi
precedenti perché se ci fossero gli schemi precedenti saremmo ancora a quattro
zampe; il fatto che andiamo su due zampe e siamo barcollanti è la rottura di
uno schema, quindi tutta l'evoluzione, in un certo senso, è continuamente questa
rottura dello schema. Allora, noi certamente veniamo da questi vari schemi per
cui, se noi facciamo determinate cose, diciamo che questo è un elemento o buono
o cattivo, oppure abbiamo paura perché passa il tram e non dobbiamo andarci
sotto perché... però quello che avviene in quest'altra dimensione, da questo
altro stadio da cui io posso osservare questi elementi, è che questi schemi
che noi abbiamo costruito non è mica detto che siano così, cioè questi schemi
sono quelli di un vecchio sistema il quale non era ancora capace di astrarre:
è un sistema che aveva molto dentro di sé gli elementi della paura, della fuga,
quello dell'aggressività, cioè tutti gli elementi di schema che sono quelli
dell'animalità. L'animale ne ha bisogno per poter sopravvivere, una struttura
come quella naturale ha bisogno... è uno schema fatto così. L'uomo che cosa
ha fatto? E' venuto fuori Homo sapiens e Homo sapiens in un certo senso
ha detto: "Inventiamo un'altra cosa", e ha inventato la mente. Mica gli animali
hanno la mente. Per questo ha rotto ogni schema precedente. E ha inventato questa
dimensione, ha inventato la dimensione affettiva, ha inventato la dimensione
culturale, ha inventato la storia. Gli animali non hanno la storia. Quindi ha
comunque, Homo sapiens, rotto tutti gli schemi precedenti. Io dico che
quegli schemi che noi avevamo in precedenza, quegli schemi che noi abbiamo ancora
dentro, molto forti, molto rigidi, se si riesce a uscire da questo sistema,
si guardano questi schemi e si dice: "No". Io dico: "No, guardate che non funziona".
Questi schemi sono troppo vecchi, fanno parte di una certa idea per cui sembra
che di questa idea non si possa fare a meno, invece se ne può fare benissimo
a meno: è la mente che si è inventata, che adopera ancora questo schema, e non
è detto che sia così. Per esempio non è mica detto che la morte sia un abisso,
oppure non è mica detto che l'altro sia questa cosa paurosa, o che l'angoscia
non possa essere mantenuta, oppure che lo schizofrenico, per esempio, per il
fatto che lui non si vede allo specchio, pensa di non esistere, oppure, non
so, l'io: l'io è un ente astratto, tu esisti ma mica devi dirti continuamente
che tu esisti; esisti e per esistere non hai bisogno di ritornare a te stessa;
esisti in quanto sei, ma in quanto c'è questa astrazione che continua a dire
che ci sei; quindi non hai continuamente bisogno di una percezione, di ritornare
a te. Quindi c'è tutta una serie di schemi che Homo sapiens ha rotto
ma di cui noi non ci rendiamo mica più conto. Allora, io dico che, dati tutti
questi elementi, ci sono una serie di schemi che io vedo all'interno di Homo
sapiens che devono essere superati, cioè schemi che fino adesso hanno funzionato
in un certo modo però, in certi casi, hanno funzionato pure male, non sono affatto
adattivi, manco funzionano per la realtà attuale; altri ancora hanno funzionato
però, molto probabilmente, sono degli equilibri troppo rigidi, e perché sono
così rigidi? Perché, io dico, si sono mantenuti lontani, questo equilibrio vita-morte
si mantiene troppo lontano da un elemento, da quello che è la paura del sistema
di estinguersi, cioè il sistema è come se fosse molto lontano da quella che
è la sua possibilità di estinguersi. E questo è uno schema che gli animali hanno,
per cui l'istintualità, tutti questi livelli mantengono l'animale, in un certo
senso, in vita lontano molto da quella che è la sua possibilità di estinguersi
perché tutta l'evoluzione dice che deve stare lontano dall'estinguersi. Cioè
ci sono tutta una serie di schemi, nella storia evoluzionistica, che ha funzionato
per miliardi di anni, non per mille anni o cento, sono quattro miliardi di anni
che c'è la storia degli oggetti nel mondo, che poi sono diventati delle cose
viventi quattro milioni di anni fa, però tutti questi hanno creato gli schemi.
Adesso io dico che la cultura umana, il pensiero umano ha ulteriormente un altro
livello, il quale livello può funzionare senza gli schemi che hanno funzionato
fino adesso, per cui non c'è bisogno di uno schema corporale, non c'è bisogno
di una mente che pensi se stessa, non c'è bisogno di uno spazio, non c'è bisogno
di un tempo, non c'è bisogno di tutto questo, ci sono altri tipi di relazione.
Una delle proprietà di tutto questo e della relazione è che... fino adesso lo
schema è dire che questo esiste lì dentro, che questo oggetto in quanto oggetto
ha una materia fatta così; quest'altro sistema ha una proprietà che dice che
è vuota, per cui questo elemento... al di là di quello che è la sensorialità
fisica immediata, c'è un altro livello che dà come una dimensione, come una
percezione, chiamiamola così per intenderci, che questo elemento non è un elemento
pieno ma è un elemento vuoto, ma il nostro cervello, sugli schemi precedenti,
continua a dire che è un elemento pieno, eccetera eccetera. Ed è per quello
che il problema è questa fissità, poter superare questa fissità, perché non
è mica detto che superando questa fissità succeda la catastrofe anzi, il contrario;
l'affettività già è la rottura di una serie di schemi precedenti, del fatto
del bambino che deve continuamente riferirsi alla madre, oppure il maschio alla
madre, la bambina al padre, che non c'è la possibilità di distacco, che non
c'è la possibilità di vivere la depressione, eccetera eccetera, invece tutte
queste possibilità ci sono, tant'è che gli uomini... poi l'umanità in qualche
modo è riuscita a vivere rompendo proprio gli schemi che c'erano precedentemente,
se no non sarebbe potuto nascere Homo rispetto all'animale, perché una rottura
più grande di questa... pensiamo soltanto il fatto di andare in piedi invece
di andare a quattro zampe; oppure di avere inventato la parola, e quindi il
simbolo.
Renata Ranieri: Scusa, questo discorso dell'evoluzione che è sempre
stata la rottura degli schemi può anche presupporre che l'evoluzione nel futuro
possa avere delle forme di comunicazione senza la materia?
Paolo Ferrari: Ma, son domande troppo... cioè è una domanda cui dico che
sì, potrebbe esser sì come no, cioè io conosco altri tipi di relazioni complesse
che non seguono gli schemi secondo determinate logiche concrete come funzionano
adesso, ma non voglio rispondere su determinati elementi così concreti, cioè
io parlo sempre di temi teorici ad alta complessità logica, non voglio rispondere
sul fatto che esiste, esisterà il fatto che possan volare gli oggetti. Cioè
il fatto della materia... già nell'assenza è implicito il fatto che una
serie di elementi, gli schemi della materia precedente si sono modificati: l'assenza
ha già modificato una serie di schemi su cui si reggeva la struttura materiale,
cioè la struttura organica, organico-biologica o un cervello si sosteneva in
un certo modo, per cui già la relazione... in questo, io dico sempre, già lo
spazio e il tempo sono già diversi: in questa situazione lo spazio-tempo sono
diversi per cui la relazione materiale, la materia ha già cambiato il suo statuto,
è già in un sistema diverso, ed è il sistema che sto spiegando, ma non mi interessa
l'elemento specifico se... in quanto assenza è già molto più vuota di materia
e quindi molto più capace di relazionarsi in assenza, e quindi di relazionarsi
attraverso le vie ultramateriali, chiamiamole così.
Anche questa sera saltiamo la musica ché è tardi.
Lisetta Carmi: No, devi suonare.
Paolo Ferrari: Un pezzettino di musica... sono anche un po' stanco. Allora,
mi metti su il diciassette. Vado a lavarmi.
Userò dei timbri nuovi.
Allora, vediamo di accoppiarli con il pianoforte.
[Paolo Ferrari esegue un raddoppio per pianoforte di un pezzo di musica per
strumenti elettronici da lui composto e precedentemente registrato. Durata 4'30''
circa]
Paolo Ferrari: Adesso posso andare?
Arrivederci. Ci vediamo il...?
Studenti: Il 5 giugno.
Paolo Ferrari: 5 giugno. Arrivederci.