21/11/96

Seminario 'Sui margini dell'Assenza' 1996-1997

Senza titolo, come un'introduzione

Paolo Ferrari: Innanzitutto benvenuti.
Me ne starei così bene in silenzio perché si è formato un bel silenzio, ma penso che occorra anche parlare.
Siamo giunti al secondo anno del secondo biennio di studi su questo complessissimo processo, stato, condizione che ho chiamato Assenza; già la parola implica una serie di problemi grossissimi per il modo di pensare dell'Occidente, modo di pensare a cui mi attengo: sono un pensatore concettuale, sono uno scienziato, sono un ricercatore, sono uno psicoterapeuta e, oltre che di questi tipi di attività, come molti sanno, mi occupo di musica, di poesia in modo particolare, secondo linguaggi completamente nuovi che non possono essere misurati secondo le griglie note fino ad ora alla struttura mentale, agli strumenti che il mondo occidentale usa per misurare certe questioni di metodo. Sono uno studioso di metodo, mi interessa introdurre un metodo che sia completamente nuovo, che esso metodo non sia soltanto un metodo rigido, ma che possa esprimere un linguaggio, un linguaggio complesso. La complessità è quella branca della scienza che si occupa in particolar modo delle relazioni fra punti di un certo sistema e delle interazioni che vi possono essere fra i diversi punti di questo sistema in modo particolarmente stretto tale per cui si dice che un piccolo movimento in una certa parte del globo - un soffio, un alito di una persona - possa muovere un monsone dall'altra parte del globo attraverso le interazioni che possono avvenire in questo sistema. Tutto questo io voglio indagarlo attraverso il metodo scientifico - la teoria dei sistemi fa parte del metodo scientifico attuale - però, all'interno di questo, io ho anche l'interesse, la capacità di sviluppare un metodo che sia oltre quello scientifico, ovvero diversamente da quello scientifico, tale per cui il metodo scientifico possa anch' esso tacere, e cioè farsi assente.
Vi è stato distribuito il dattiloscritto di una parte dell'ultimo saggio che ho scritto, il
IV Saggio sull'Assenza; comprende la prima e la seconda parte. Il IV Saggio è stato scritto anche relativamente alla musica di cui mi occupo, che è una musica complessa, dalle relazioni complesse, dalla struttura linguistica nuova, capace di autorganizzazione interna - e questo è un altro concetto di cui parleremo. E' una musica che ha al fondo un linguaggio estremamente affettivo, di un'affettività che è anch'essa però su un livello della complessità, ovvero che porta al suo interno la capacità del distacco - il distacco è un altro concetto di cui ci occuperemo. Insieme con queste prime due parti del Saggio c'è un sunto fatto da uno dei nostri collaboratori, e questo perché? perché in questo modo a me interessava che il linguaggio usato da me per illustrare il metodo dei sistemi complessi in evoluzione potesse essere visto anche da un'altra persona, da un altro punto di vista che osservasse questo tipo di linguaggio, questo tipo di disposizione degli elementi sulla pagina, degli elementi nel mondo, tale per cui la collocazione posta in modo differente, perché filtrata da una mente differente, producesse un altro risultato, attraverso cui poter ulteriormente analizzare ciò che il metodo stava dicendo circa questo tema che si chiama 'l'Assenza'.
La parola Assenza, come dicevo, implica dei grossi problemi al suo interno, in quanto è già di per se stessa un elemento che dice della non presenza di qualche cosa, dell'allontanamento forse. Nel mondo occidentale questa parola ha qualche cosa di doloroso al suo interno, porta con sé un timore, un timore della mancanza di presenza, oppure la paura, oppure il negativo che si vede in particolar modo in certe patologie in cui il malato mentale, e particolarmente il malato psicotico, è completamente assente al mondo reale - quello che noi chiamiamo mondo reale -, e cioè al suo posto c'è una sorta di vuoto, c'è una sorta di assenza. Quello di cui io parlo è un'assenza dall'altro lato, completamente opposto, cioè è l'assenza che si attua quando il sistema umano che è capace di un enorme sviluppo dal punto di vista del linguaggio astratto, del linguaggio simbolico, del linguaggio razionale affettivo, è capace in quel punto, ovvero potrebbe essere capace in quel punto di cessare e di produrre la sua assenza, l'assenza della sua capacità complessa di esistere nel mondo e di fare esistere una realtà nel mondo: ciò io ho chiamato Assenza. E' una sorta di vuoto che si genera quando il livello più alto della conoscenza, il livello più alto della relazione, il livello più alto della relazione anche più affettiva, attua un ulteriore livello tale per cui, attuandosi questo ulteriore livello, esso cessa ed insieme ad esso cessa di esistere ciò che noi abbiamo chiamato universo. Questo, la cessazione, può evocare dei fantasmi di paura, la cessazione è spesso collegata con la morte, col venir meno, con l'estinguersi. Nella storia dell'evoluzione ci son state estinzioni di massa: quella che tutti conoscono, anche perché va di moda, è quella dei dinosauri di circa centocinquanta milioni di anni fa. Questa estinzione di massa ha prodotto successivamente il fatto di uno sviluppo enorme di altre categorie di esseri viventi, quindi un elemento di estinzione, quell'elemento di estinzione che per tutti gli uomini ingenera un'idea di paura, un'idea di un nulla terrificante, ha prodotto invece nella storia evolutiva delle specie umane, nella storia biologica, un alcunché che è stato capace di produrre un'ulteriore evoluzione, cioè specie più evolute, organizzazioni di specie più evolute. Perciò voglio introdurre un momento questo fatto, questa parola Assenza, questo ente-parola Assenza e lo segno
* perché è un ente vuoto, come ho detto precedentemente, un qualche cosa che avviene in seguito alla cessazione. Noi tutti, cioè tutti gli esseri umani hanno all'interno - secondo la mia ipotesi di lavoro che ho poi verificato in questi anni, lavoro in campo terapeutico ma anche sperimentale - un fattore che io ho chiamato fattore Assenza, [hanno] dei fattori di cessazione all'interno, cioè ogni essere umano è capace al suo interno di autoprodurre delle cessazioni, anche se non lo sa. Queste cessazioni che avvengono al suo interno, questi vuoti positivi che si formano al suo interno sono quelli che sono capaci di produrre poi l'attività pensante normale. La parola cessazione indica immediatamente la parola nulla, con la cessazione c'è il nulla.
Una delle condizioni migliori per la mente umana è quella che è descritta nell'ordine del metodo orientale, che è quello della meditazione. Nella meditazione si arriva a vivere, ad avere esperienza di un alcunché che è assomigliante al nulla di cui io parlo, cioè è la cessazione dell'attività inconscia della mente, dell'attività ripetitiva della mente, la quale mente impara a fare silenzio
*. Questo di cui sto parlando è ancora questo luogo, è sempre il luogo che ho chiamato Assenza; allora questo luogo che ho chiamato Assenza è l'altra faccia della medaglia di questo eccesso di presenza che le cose del mondo, che la realtà mentale, che la realtà psicofisica in genere produce e che induce deformando la capacità di relazionarsi in maniera congrua con una realtà che in tal modo potrebbe essere più vuota, più silenziosa. In altre parole ognuno di voi...
(Entra un partecipante: Buonasera, scusate.)
Buonasera.
Dicevo che la parola-concetto di Assenza o l'esperienza, sia l'esperienza conoscitiva, sia l'esperienza anche psicofisica di questo luogo che ho chiamato Assenza, è quel punto in cui l'eccesso in generale di cui le cose sono fatte, di cui la mente umana è fatta, di cui il corpo umano è fatto, o si sono strutturati nella loro storia biologica evolutiva, impara a cessare, apprende a essere maggiormente silenzioso. In altre parole ognuno di voi esperimenta normalmente, sente dentro di sé per esempio la presenza continua di un discorso, di idee, di coazioni, di frammenti di parole, quello che è il flusso della coscienza, che non è neppure il flusso della coscienza, ma è un flusso inconscio, è una presenza eccessiva di una mente che non è capace di tacere. Uno dei risultati di questo livello dell'Assenza è quello per cui questa mente eccessiva impara a tacere di tutti questi frammenti, di tutti questi elementi in più, di questa sua coazione a ripetere tale per cui la mente deve continuamente specchiarsi per dire che esiste; cioè la mente umana fino ad ora, prima del verificarsi di questo luogo che ho chiamato Assenza, che è un ulteriore livello del pensiero, la mente umana non ha ancora appreso a cessare ovvero a fare silenzio.
Per indagare tutto ciò, per indagare questo ulteriore livello per cui è probabile l'esistenza all'interno del sistema umano di una predisposizione alla capacità di cessare di tutti gli elementi che vi sono in sovrabbondanza e quindi di cessare dell'organizzazione come si è andata compiendo nella storia evolutiva, io uso in genere un apparato concettuale, seguo, sto cercando di strutturare un metodo tale per cui questo metodo possa a poco a poco autoaffermarsi, possa a poco a poco autocondursi in questo luogo in cui avviene questa dimensione che ho chiamato Assenza. E anche questo è un paradosso, nel senso che dove c'è Assenza non ci dovrebbe essere pensiero, d'altra parte come premessa ho detto che occorre un apparato di pensiero, voglio che ci sia un apparato di pensiero, quello che noi abbiamo in un certo senso di più alto, un pensiero affettivo come l'ho chiamato, quello che abbiamo di più alto della capacità di astrarre, della capacità di concettualizzare, della capacità simbolica per poter dire dell'esistenza di un qualche cosa che è l'Assenza e che è un qualche cosa che è capace di non essere tale, di non essere quella cosa, cioè di essere la sua stessa estinzione, il suo stesso nulla. Anche il nulla è un concetto - che io uso -, è un concetto la cui radice è una radice che produce timore, produce rumore, produce angoscia. Il nulla di cui io parlo, che è in corrispondenza con questo luogo che ho chiamato dell'Assenza, è un nulla invece costruttivo, è un nulla creativo, è un nulla che genera, come se Homo sapiens, andando al fondo di sé, accettando nella massima complessità di sé di estinguere quello che esso è stato fino adesso, potesse accettare un alcunché che è diverso dall'esistenza che fino adesso ha vissuto, che è il suo venir meno, il suo essere altro e in questo essere altro accettare che la dimensione sia capace di nulla.
A questo punto, dopo questa breve introduzione che è anche di grandissima complessità... Vi prego di avere pazienza, voglio condurre pezzo per pezzo, per mano, comunque col massimo distacco, questi concetti che sono completamente nuovi perché non si ha esperienza di questo stadio, poter segnare dei sentieri e che questi sentieri siano ininterrotti, che si possa formare un intreccio e che questa dimensione possa emergere, e possa emergere non in maniera inconscia, ma possa emergere attraverso tutto l'apparato razionale che secondo me occorre per dire un alcunché, almeno nel mondo occidentale, che si porti appresso un significato; poco alla volta noi ripasseremo sempre da questo punto, come un'onda del mare che continua a ritornare sulla spiaggia, ma ogni volta è diversa, e ogni volta io parlerò di questo stadio dell'Assenza, di questo concetto dell'Assenza, di questo vuoto dell'Assenza, sempre come un'onda che si rinnova, come un nulla che si rifà.
E adesso volevo che quello che ho introdotto fosse visto possibilmente da un altro punto di osservazione, attraverso il suo tipo di percorso, il suo tipo di analisi, il suo tipo di punto di repere, da Susanna Verri che è colei che collabora da vicino, anche in campo terapeutico, nell'ambito di questo lavoro in cui il fine è poter produrre almeno in parte questo nuovo livello della razionalità assente.
Susanna Verri: Quello che posso incominciare a dire dal mio punto di vista questa sera parte da una considerazione, da una differenza che illustra la via che quest'anno seguirò nei miei interventi e che sarà un po' diversa da quella che ho tenuto l'anno scorso. L'anno scorso nel ciclo di Seminari sui margini dell'Assenza i miei interventi avevano la funzione di accompagnare il discorso principale, di porre un'altra voce, come questa sera d'altro canto, però la via che io ho seguito era quella di cercare di partire dalla cultura nota, esistente, da diversi campi, da diversi ambiti culturali, da diversi temi all'interno della cultura che noi conosciamo - e poi vi dirò qualche dettaglio -, comunque di partire da questi margini della cultura già nota, già acquisita e da qui protendere il mio discorso verso il campo del pensare dell'Assenza, cercando non un collegamento però un trait d'union, cercando di esplorare anche alcuni dei principali concetti e temi limitrofi, quanto cioè era già stato da altri pensato, e porlo in relazione a questo campo nuovo di cui noi ci stiamo occupando.
In particolare poi, data anche la mia formazione, anche la mia attività qui al Centro, l'anno scorso per diversi incontri avevamo percorso il tema della schizofrenia, anche perché, come dirò più avanti, la schizofrenia nel nostro discorso, nell'ambito dell'Assenza è presa poi a paradigma di una condizione esistenziale che esce dall'ambito specificatamente clinico in cui è solitamente considerata. E dunque avevo esplorato alcune relazioni, alcuni rapporti tra il tema della morte e la schizofrenia, tra la situazione di margine, di confine e la schizofrenia, tra la rivoluzione e la schizofrenia, gli scritti di diversi autori che di questi temi si erano occupati passando da Arieti, Searles, Lang, Racamier, per citare i principali; poi, uscita dall'ambito clinico, ho affrontato alcuni punti di condizione schizofrenica che avevano prodotto opere d'arte o del pensiero di grande interesse cercando il limite appunto tra la condizione schizofrenica e poi l'altro, e avevamo così visto il lavoro di Artaud e il suo teatro, e poi Hölderlin e la sua poesia.
Usciti dall'ambito della schizofrenia ci eravamo occupati di qualche tema di epistemologia, delle teorie della complessità, di altri vari temi, per darvi l'idea di tutto un lavoro che, come vi dicevo prima, percorreva questo margine ma partiva dal già dato; quindi io fondavo i miei interventi sul già dato, fondavo i miei interventi su una relazione che preparavo su questi temi e poi sviluppavo nel corso del Seminario dal punto di vista della differenza, dal punto di vista quindi del confine tra tutto ciò che questi temi arrivavano a toccare e ciò che di oltre si poteva proporre nell'ambito dell'Assenza.
Quest'anno il percorso sarà diverso, cioè quest'anno non mi è più sembrato idoneo partire dal già dato, dunque cercherò di muovermi senza preparare in precedenza gli interventi - o il meno possibile -, senza svolgere quindi un programma nell'intervento - o il meno possibile -, e soprattutto partendo direttamente dall'ambito del campo di cui noi ci occupiamo, quindi affrontando se non la spiegazione quanto meno un primo contatto, una prima circospezione come si dice quando si esplora un campo e si cominciano a raccogliere alcuni elementi fondamentali che in questo campo ci sono, quindi alcuni dei concetti che stiamo ponendo nuovi in questo campo del pensare dell'Assenza. E dunque questa sera ho preso in considerazione il programma dei Seminari perché è una sintesi in cui tutti questi concetti affiorano con una densità particolare e quindi mi sembra utile poterne segnalare alcuni che verranno poi svolti nel lavoro di tutto l'anno ma che mi sembrano segnare come un percorso, perché io procedo ancora così, perché la mia logica o il mio pensiero, comunque fondato sulle categorie razionali, chiede un percorso, anche se poi invece nel campo dell'Assenza il tema del percorso razionale, come vedevamo, è soltanto un aspetto, ma non è sicuramente sufficiente e forse a volte neppure fondamentale.
Il primo punto di questo progetto dei Seminari, di questo programma, subito all'inizio, nella prima frase, è la rivoluzione culturale ed antropologica implicita, interna e poi anche esplicitata in questo discorso che noi poniamo. Si tratta di una rivoluzione culturale-antropologica ma non solo, è oltre perché c'è un aspetto conoscitivo, un aspetto gnoseologico e poi c'è invece un aspetto esperienziale in quanto si tratta di andare a modificare il metodo, la storia evolutiva, la cultura di Homo sapiens s. - e questo è l'aspetto conoscitivo -, ma anche poi il suo modo di vivere la fine, il finire e poi conseguentemente di vivere la vita e di vivere la morte, e sulla morte c'è un concetto nuovo: la mors abstracta. Questo tema, questo amplissimo tema è già in un certo senso una sintesi di tutto il discorso e prelude a quello che è la trasformazione, in un certo senso - anche se trasformazione non mi piace come termine -, diciamo, il passaggio, perché stiamo parlando anche di evoluzione da Homo sapiens a Homo abstractus. L'Homo abstractus adesso qua voi non lo vedete, lo vedrete a casa nel programma che vi è arrivato: c'è un disegno, c'è un disegno che raffigura
Homo abstractus, un altro Homo abstractus lo potete invece vedere nel testo del Saggio che è stato distribuito. Qui vedete anche l'accostamento di un discorso concettuale di un saggio con un disegno, questo perché il lavoro sui diversi linguaggi e la relazione tra i diversi linguaggi che nell'ambito dell'Assenza vengono prodotti è uno degli ambiti specifici di cui ci occupiamo. Homo abstractus è l'ente reale virtuale - altro concetto che troverete nel programma del Seminario -, è l'universo assente, Homo che diventa egli stesso universo assente perché si è separato, ha abbandonato l'attaccamento alla cosa, ha abbandonato la propensione a farsi riempire dalla cosa, quindi ha abbandonato la preminenza della sua sensorialità, e in questo si è disposto a una dimensione relazionale più duttile e sottile, una dimensione relazionale che nel programma dei Seminari è detta anche poter essere pensata attraverso e oltre i modelli delle leggi della complessità e dei teoremi del caos perché è una dimensione relazionale a cui si vuole dare, per poterla pensare, anche, come diceva prima il dottor Ferrari, un modello scientifico.

Questa nuova dimensione relazionale è quella che tuttavia fonda una dimensione materica differente: materica perché implica anche una diversa corporeità, perché nel momento in cui c'è il passaggio dell'abbandono o comunque del superamento del vincolo della provenienza animale, quindi del vincolo dell'eccesso sensoriale di provenienza animale, allora è data la possibilità di minor riempimento di tutti quelli che sono i sistemi inconsci e di tutti quelli che sono i meccanismi dei sistemi inconsci, i processi di morte concreta, thanatos - altro punto -, e dunque il superamento di quella che è la schizofrenia della specie. Questo è un altro punto importante perché parliamo di schizofrenia, parliamo di scissione dell'esserci, ma questo non è la malattia come comunemente si intende, include anche quella, perché come vedevamo l'anno scorso quella può essere una condizione in cui particolarmente si manifesta questa tendenza della specie, ma tuttavia noi usiamo il termine schizofrenia come paradigma di una tendenza della realtà tutta a frammentarsi, a scindersi, a regredire, all'allucinazione, a non avere una unità complessa, ma tutta la realtà è esposta continuamente per sua condizione di formazione antica a questa condizione e quindi tutta la realtà, anche la condizione di normalità consueta, perché noi diciamo che la malattia è di fondo, come modello gnoseologico, la consideriamo una condizione di specie. Quello che avviene all'interno dell'ambito del pensare dell'Assenza è che possa essere prodotta per questa specie di provenienza animale, per questa specie che ha imparato a utilizzare i linguaggi astratti, che ha imparato in parte quindi a svincolarsi dalla sua concretezza eccessiva, ma che non riesce del tutto a uscirne, come è ben spiegato poi nel Saggio, viene proposta a questa specie una possibilità di un diverso accoppiamento congruo con la realtà, accoppiamento proprio nel senso di accoppiamento strutturale quasi, cioè quindi di una disposizione che si modifica, una disposizione quasi spaziale, quasi come se fosse una molecola che si muove nello spazio fino a che riesce a trovare la giusta posizione per legarsi - penso al legame recettore-mediatore mediato da un enzima, per esempio -; allora nello stesso modo l'accoppiamento congruo è quello che si produce nella realtà mediato dal fattore Assenza. I diversi linguaggi - e qui finisco - di cui ci occupiamo e che presentiamo anche al Corso, come la musica, come la pittura, come i filmati - quando verranno distribuiti -, sono l'espressione di questa realtà che esprimendo il grado zero dell'Assenza ha rinunciato ad essere cosa sia sul piano mentale che sul piano sensoriale, quindi questi linguaggi rappresentano anche l'espressione della possibilità di accesso e di attivazione di questa realtà che ha cessato di essere cosa, quindi di accesso e di attivazione: accesso perché l'accesso è il piano conoscitivo, attivazione perché vengono attivati, o questo perlomeno è il contesto che noi poniamo, all'interno del singolo, e questo è il piano esperienziale. Io mi fermerei.

Paolo Ferrari: Se qualcuno vuol fare delle domande le faccia pure prima che io prosegua, perché mi rendo conto della difficoltà del tema e di ciò che significa la fondazione di un alcunché che comunque è capace anche di non essere e che quindi ha questo paradosso in sé. In maniera più semplice quello che si potrebbe dire di tutto ciò - quello a cui noi siamo abituati normalmente, la specie umana è abituata normalmente attraverso il suo cervello, attraverso il suo corpo, attraverso poi i vari strumenti che ha imparato ad adoperare, a far nascere, come la psiche, l'intelletto, la razionalità - è che il nostro cervello ha la caratteristica di dire che le cose esistono, che c'è un corpo che esiste, che c'è un oggetto che esiste, che ci sono degli enti; anche il pensiero più puro, più astratto è comunque un qualche cosa che c'è, è un qualche cosa che si mostra. Il nostro cervello fino adesso è capace di pensare soltanto il fatto che un qualche cosa ci sia, se qualche cosa non c'è esso dice:"E' nulla". Nel momento stesso in cui dice che è nulla dice la totale estraneità, non è capace assolutamente di pensare questo che noi chiamiamo, che gli uomini in generale hanno chiamato nulla, cioè se io dicessi, se chiedessi a chiunque di voi che cos'è il nulla, questo nulla, costui potrebbe fare un discorso di tipo filosofico, di tipo intuitivo, di tipo logico, anche, intorno a questo alcunché che è nulla, ma nessuno ha l'esperienza di questo. Cioè il pensiero, attualmente, il cervello che costruisce un certo tipo di pensiero ha inventato un pensiero che è assolutamente limitato perché al di fuori di quello che esso dice di essere, di esistere, di far sì che si mostri il fenomeno - ma anche il noumeno, cioè la cosa in sé -, al di là di questo non c'è nulla, a meno che ci siano altri tipi di considerazioni che sono le credenze, che sono le religioni, che è tutto il campo della metafisica il quale ha una sua identità, ha una sua configurazione, ha una sua struttura, ha un suo apparato di esistenza, ma anche la metafisica, cioè ciò che è al di là del mondo fisico comunque il pensiero umano lo pensa come un qualche cosa che è, che esiste. Il pensiero umano non può pensare qualche cosa di diverso dall'esistere, non può pensare qualche cosa che sia nulla perché questo è un paradosso; può pensarlo in un certo senso, ma d'altra parte non può averne esperienza; il nulla in un certo senso non esiste.
Allora noi siamo in una situazione in cui tutto quello che le categorie scientifiche, metodologiche, metafisiche riescono a pensare, come diceva prima Susanna Verri... riusciamo a pensare soltanto in termini di cosità. Io chiamo cosità anche il pensiero più astratto, più puro, anche se io penso alla forma più astratta di un linguaggio scientifico, filosofico, di un fatto metafisico, di una divinità, di un'estensione di nulla, di luce, di qualsiasi tipo di cosa, comunque questo è un qualche cosa che c'è, si forma questo esserci, questo esserci io lo chiamo 'cosa' in quanto è un ente che si mostra. Noi non siamo capaci di pensare ovvero di avere esperienza di un qualche cosa che è assente: quello che io ho chiamato Assenza. Tutto ciò, dal punto di vista di come Homo sapiens pensa fino adesso, è ovvio perché al di là di dove ci sono le cose c'è una specie di abisso, una specie di burrone, c'è nulla. Ma Homo sapiens non si è ancora interrogato realmente sul fatto che questo tipo di pensare non presupponga o non abbia al suo interno... abbia una premessa la quale è un anti-pensare, è un diverso stare al mondo, è un diverso configurare tale che questa configurazione sia capace di non mostrarsi ma, con il non mostrarsi, che questo 'non' sia il puro nulla, non sia la pura sparizione della realtà conosciuta. Assenza è in certo senso sparizione di tutta la realtà nota, ma contiene al suo interno un valore, un'essenza, una dimensione - ma esperienziale - tale per cui il pensiero può pensare e può avere esperienza di nulla, che è completamente un'altra cosa. Purtroppo debbo usare la parola 'cosa', devo usare questi termini, devo usare questo intricato modo di dire che è quello del pensiero umano perché sennò dovrei pensare soltanto per via mentale, per via mentale che si è già astratta, che si è già fatta vuota, però voi non capireste nulla. Anche così è molto difficile far capire, però ulteriormente sarebbe difficile far capire attraverso il silenzio assoluto. Oltretutto attraverso il silenzio assoluto la mente umana continuerebbe a proiettare: il nulla, l'essere, la cosa sono proiezioni della mente umana, non della mente come ente astratto ma di un cervello che continua a produrre delle cose che noi abbiamo chiamato mente. E' un cervello che è fatto in un certo modo, un corpo che è fatto in un certo modo, questo qualche cosa nella via, nell'evoluzione, attraverso una serie di cambiamenti enormi ha prodotto questa entità che abbiamo chiamato cervello, encefalo; l'encefalo ha la neocorteccia, la neocorteccia è la parte più alta del nostro sistema pensante e questo ha prodotto questo tipo di pensiero; ma questo pensiero, ripeto, non è capace di pensare assente, non è capace di pensare nulla, ovvero non è capace di antip-ensare; cioè quello che sto dicendo non è neanche un pensare, è un'altra cosa. La cosa difficilissima da far sì che esista, che si autofondi, che prenda luogo, che entri nei cervelli è il fatto che... è il cambiamento di sistema, cioè quello che sto presupponendo, quello che sto comunicando, per via assente, è il cambiamento di sistema. Noi siamo vissuti in un certo tipo di sistema che è quello della coscienza autoriflessiva, della coscienza del fatto che l'uomo, Homo sapiens, ha imparato a interrogarsi sulle cose, interrogarsi su sé stesso e dire:"Sì, io ci sono, le cose ci sono", e questo è il sistema in cui la realtà esiste, ma non ha ancora imparato a introdurre dentro di sé questo nulla perché l'introduzione di questo nulla per lui sarebbe l'esperienza della sua morte, del suo essere altro, del suo cessare di esistere di questa sua complessità. Nel nostro mondo lo schizofrenico in un certo senso vive questo tipo di esperienza ma lo vive a livello elementare, cioè lo vive non nella complessità autocosciente, non nell'ambito della coscienza che è il livello più alto che Homo sapiens ha raggiunto, ma avendo soffocato, tagliato la coscienza; per il timore di vivere, per il timore di essere cosciente, per il timore di avere esperienza della realtà ha accettato di morire dentro di sé; accettando di morire ha accettato il buio totale, ha accettato il nulla, ma il nulla negativo come se fosse morto prima ancora di nascere, ancora prima di vivere.

Quello di cui io sto parlando è invece il giro completo, cioè il fatto che Homo sapiens s. è diventato talmente capace di concettualizzare, di elaborare, di essere un essere affettivo - essere complesso e affettivo - tale per cui questo punto più alto della sua complessità biologica, psichica, mentale sia capace di fermarsi, di produrre la sua cessazione stessa, la sua estinzione tale per cui quest'altro campo, quest'altro sistema possa emergere. Questo altro sistema che deve emergere è questo sistema che ho chiamato Assenza la quale ha al suo interno una serie di leggi completamente diverse da quelle a cui noi siamo abituati a pensare. Nel suo punto più complesso è esso stesso completamente assente, non ha bisogno, non ha necessità di presenziarsi, non ha necessità di esistere, non ha alcuna necessità. Nei suoi sistemi meno complessi ha per esempio il fatto che non ha fissità: noi pensiamo sempre attraverso dei termini di fissazione, dobbiamo fissare quel microfono, quel pianoforte, quel quadro, quella persona, proiettare su questo un'idea, un'immagine, introiettare l'immagine, farla diventare cosa, poi astrarla, poi farla diventare un fatto mentale, poi un fatto concettuale, ma tutti questi sono dei passaggi di fissazione dell'idea. Nel campo assente la fissazione dell'idea viene meno, c'è la massima duttilità e l'idea, la parola, il linguaggio hanno la possibilità di interconnettersi attraverso degli altri tipi di regole, di autocostruzione, di autogenerazione, come io spesso ho chiamato.
Ora quello che posso fare, tuttalpiù, a mano a mano, è ripassare continuamente da questo punto, comunicarlo comunque, farlo attraversare dalle altre menti che possono essere in ascolto, farlo passare attraverso l'allargamento della razionalità, per cui la razionalità non diventi escludente - ma la razionalità del mondo occidentale che è stata escludente verso altri sistemi -, allargare questa razionalità in modo che questo altro, che questa altra evenienza, che questa altra Assenza possa entrare, e il sistema stesso razionale, dalla sua razionalità escludente, possa accettare almeno in parte di estinguersi per poter fare emergere questo altro livello di una razionalità che è molto più affettiva. La razionalità che noi usiamo, la razionalità del mondo occidentale, la razionalità scientifica, il metodo, spesso è anaffettivo, spesso è chiuso, spesso è negativo, nega ciò che è diverso da sé, e in questo senso ha negato l'esistenza di altre culture, le ha volute includere in sé distruggendo determinate possibilità di sviluppo di altri modelli, di altre modulazioni. Quello di cui io sto parlando è che questa Assenza possa entrare anche nella razionaliltà normale
*, ovvia, quella scientifica, quella del metodo scientifico, o del metodo che ha prodotto la tecnologia; ma che
questa razionalità sia capace, sia disposta, cioè sia posta in un certo modo tale per cui quello che è altro da sé possa comunque essere incluso, essere portato dentro in modo che la razionalità, che è un grande tema umano - intendiamoci bene - perché ha permesso il fatto che il mondo non fosse più un elemento magico, un elemento casuale, totalmente casuale, che l'altro potesse essere riconosciuto in qualche modo come esistente, che ha posto le basi di un'esistenza, che ha tolto l'uomo dalla sua istintualità animale... ma questa razionalità come dicevo è troppo fissa. Quello che voglio è che questi elementi dell'Assenza, di questo vuoto di razionalità... che questa razionalità possa in parte venire meno, ma non venire meno in senso negativo, possa aprire un varco perché questa razionalità altrimenti possa accludere, includere nuovi eventi, nuove condizioni, nuove condizioni più affettive, [possa essere] più capace di accettare un allargamento della conoscenza, un allargamento dell'affettività verso l'inclusione dell'altro e quindi proporre un tema, un metodo tale per cui anche la dimensione sociale, socio-culturale, la dimensione antropologica possa essere così maggiormente duttile, tale per cui ulteriori fattori, che fino adesso sono stati esclusi, possano essere introdotti e possano essere affettivamente accolti, e il linguaggio possa aprirsi.
A questo punto, come è consuetudine degli anni passati, farò sentire un pezzo di musica, di musica dell'Assenza. La prossima volta verrà distribuito anche il
IV Saggio dell'Assenza che adesso è in pubblicazione; abbiamo presentato la prima pagina, le bozze della prima pagina. E' un Saggio sulla musica, su questo nuovo linguaggio, cioè è l'ingresso nel linguaggio musicale del mondo occidentale, della struttura, chiamiamola, grosso modo, linguistica del mondo occidentale, della contemporaneità della musica occidentale, della musica complessa occidentale, di un ulteriore fattore che è questo fattore Assenza. Come è consuetudine, in attesa del Seminario ho composto un pezzo per strumenti elettronici che stasera raddoppierò, cioè mi accoppierò in quella condizione strutturale, congrua con questo pezzo pre-registrato per strumenti elettronici, attraverso il pianoforte, e perciò lavorando in simultaneità. E perciò ogni volta questo accoppiamento potrebbe essere differente perché ogni volta questa dimensione di cui sto parlando è cangiante, è l'onda che ritorna sulla spiaggia, ma è anche la spiaggia che continua a modificarsi, ma è anche il mare che continua a essere altro, che può essere una cosa diversa dall'essere mare, cioè perde la fissità di cosa e diventa atto profondamente astratto, ma anche di altra dimensione affettiva, razionale.
Questa musica, come i vari linguaggi di cui stiamo parlando, dalla pittura, anche ad una nuova dimensione filosofica, sociale, culturale... a mio avviso quello cui sto arrivando è il fatto che possono predisporre il livello mentale - ma proprio del cervello, dei sistemi cerebrali come son fatti fino adesso - a includere la loro possibilità di venire meno rispetto a quell'eccesso di cui fino adesso sono composti, costruiti, chiusi.
Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che, molto probabilmente, al di sotto di questa struttura che noi abbiamo, di questa struttura dell'esserci, dell'esserci delle cose, del formulare un pensiero che è comunque chiuso, che è fisso, c'è probabilmente una predisposizione - intendo predisposizione biologica, ma non genetica, probabilmente a un livello più profondo che non la struttura genetica -: all'interno dei processi cerebrali-mentali, psicologici, ante-psicologici, ante-mentali c'è un livello che però non ha mai parlato, c'è un livello che ha prodotto la mente, ha prodotto la psiche, ha prodotto il pensiero, ma esso stesso si è considerato come generatore di qualche cosa, ma esso stesso non è mai stato come elemento in sé generantesi, autogenerantesi; questo è un pre, è un antecedente. Quando suono, quando compongo sono antecedente rispetto a me, quando parlo - anche adesso sto parlando - sono antecedente a me, sono su questo livello in cui c'è un pre, una disposizione pre, il cervello pensa prima di pensarsi, e anche questo è un paradosso, però così avviene. Una dimostrazione di questo potrebbe essere il fatto che se io metto una musica pre-registrata di qualsiasi autore, in simultanea io posso mettermi a suonare e accoppiarmi con questo autore, ma attraverso una complessità estrema del linguaggio musicale, senza conoscere prima il contenuto di quella musica, anche senza conoscere lo stesso compositore, quindi non sapere nulla ma, siccome la mia condizione è quella del pre, è quella dell'antecedere me stesso, cioè del cervello che antecede se stesso, questa antecedenza permette di accoppiarsi con tutto quello che comunque è dopo: il pensiero umano è dopo, la musica è dopo, l'arte è dopo, il gesto è dopo, tutto viene dopo, in seconda battuta.
Io penso l'Assenza come un contenitore duttile, ad alta complessità di nessi interattivi fra di loro che precedono, che sono la matrice della mente per quella che noi conosciamo.
Da questo punto di vista un'ultima cosa dico: il fatto è... perché sono abituato ad esporre l'intero sistema, mi dicono che anche la mia musica tende a esporre immediatamente, a dire immediatamente già subito chi è, mentre di solito un autore va per pezzettini e dice: "Io adesso dico questo pezzettino, un altro pezzettino, preparo l'uditore a tutto questo...". Io dico: "Nella prima battuta dico già tutto", allora dirò nella seconda battuta già tutto, nella terza battuta già tutto, in ogni battuta già tutto; in ogni mia parola c'è già tutto: sono, queste, unità olistiche: olon, intero, intere.

Allora, dicevo, perché dico la parola 'matrice'? ché mente vuol dire matrice, mente viene...la sua radice è 'ma', dal sanscrito, che è matrice, ma la mente comunque, la parola mente in un certo senso mentisce a se stessa, mente, dice una bugia, mente. La parola 'ma'... cioè questa mente ha bisogno comunque di retroagire, di ritornare indietro ad essere 'ma', ad essere matrice, ha bisogno di essere il nulla di questa matrice, di essere in un certo senso generatrice di sé: la mente deve autogenerarsi, finché non si autogenererà non sarà capace del suo luogo assente e quindi di produrre quello che è il suo livello più alto, astratto, ulteriormente privo di simboli, cioè simbolico che ha tolto la sua simbologia, si è svuotato.
Qui ci sarebbe da fare una serie di collegamenti con la parola pensiero, la quale parola pensiero dipende da pendere, pendere vuol dire un'inclinazione, ma quindi vuol dire che pende da qualche cosa, ma allora perché il pensiero non viene prima? Comunque se pendo pendo da un punto, ma allora quel punto lì che cos'è? che lingua sta parlando? che cosa sta dicendo? E allora trovare la matrice del pensiero prima che penda, mentre noi quando parliamo o, in generale, Homo sapiens si butta avanti e pende, non è prima. Infatti la grande arte, la grande musica spesso è un'anticipazione, è un antecedente, non pende, mentre di solito si tende a pendere, a buttarsi in avanti, a proiettare - si dice in termini analitici, in termini clinici anche, o in termini anche generali, filosofici -, a proiettare addosso alle cose, a pendere, a buttarsi addosso invece di stare indietro; stare indietro vuol dire anche distacco, vuol dire riuscire a porre distanza e quindi vuoto e quindi ritorniamo a questo vuoto che è l'autogenerarsi. Il vuoto vuol dire non il vuoto negativo ma la matrice, ma il contenitore duttile, il contenitore che è capace di farsi assente e di interagire in maniera complessa e vuota.
Adesso mi fermo qua e suono.

[Paolo Ferrari esegue al pianoforte il Raddoppio di un brano di musica elettronica da lui stesso precedentemente composta. Durata 4' e 20"]

Paolo Ferrari: Questa sera non spiego ulteriormente questo linguaggio musicale, questo gesto anche musicale, gesto compositivo, gesto musicale, gesto pianistico. Nel Saggio è spiegato questo anticipare il tempo in musica, il grado zero, non su quello che voi avete ma su quello che sarà distribuito la prossima volta. Allora io mi fermo qui, e adesso aspetto le vostre domande.

Maurizio Gatti: Apprendere a estinguersi significa apprendere il distacco o il distacco è la conseguenza di questo imparare?

Paolo Ferrari: Dunque, il distacco è una delle condizioni dell'elemento
dell'estinzione, è una delle condizioni tali per cui... condizione è un luogo dell'estinzione, è un luogo di questo campo dell'estinzione, dell'estinzione astratta. Ma anche qui bisogna intenderci bene perché il distacco è il distacco positivo, cioè il distacco significa il fatto che la persona, che il soggetto, che Homo sapiens ha imparato a coinvolgersi totalmente, in questo suo totale coinvolgimento con l'altro impara anche ad avere distanza dall'altro, nel senso che lo riconosce come altro: è questa la cosa difficilissima. Cioè di solito noi, come dicevo prima, il soggetto umano proietta sull'altro qualche cosa, pensa che l'altro sia comunque un'immagine propria, lo porta dentro i propri schemi, lo porta dentro le proprie forme anche inconsce, anche senza saperlo, dentro la propria immagine, lo copia, o fa sì che l'altro copi se stesso. Il distacco è una delle condizioni tali per cui l'altro può esistere, si forma, come io dico, una specie di fossato tale per cui su esso possano essere buttati i ponti, ma i ponti permettono che l'altro esista e io esista in una corrispondenza interattiva, positiva, senza che ci sia questo elemento proiettivo o l'elemento fusionale.

Il distacco è comunque uno degli elementi dell'estinzione perché la mente umana, la mente del bambino è quella che si è attaccata alla madre e, come ho detto prima, questa Assenza non è una cosa sconosciuta in Homo sapiens: in Homo sapiens l'Assenza è il luogo dove il bambino si è staccato dalla madre. Se il bambino non si stacca dalla madre, nei suoi vari passaggi, e quindi non forma un vuoto tra sé, cioè tra questo essere e questa madre, non si forma qui questo elemento vuoto - e questo è l'Assenza, cioè Assenza nel senso di mancanza di fusione tra questi due elementi -, se non si forma qui in mezzo* questa divaricazione, questa evacuazione, non si formerà mai la mente umana. Cioè il bambino psicotico è quello che ancora è legato alla madre, è ancora interconnesso totalmente con la madre; se il bambino non accetta che la madre esca dalla stanza, vada, sia assente, il bambino non formerà mai la sua mente, e su questo grandi studi sono stati fatti dalla scuola kleiniana, da Bion in particolare. Per cui questa parola Assenza, che sembra una parola così nuova, comunque l'uomo, Homo sapiens, l'ha già dentro di sé. Qualsiasi uomo che non sia psicotico, che ha comunque differenziato sé dalla madre - anche dal padre, in altra misura - ha dentro di sé l'elemento assente, cioè ha prodotto il distacco. E' questo che gli permette il fatto di vedere l'altro uomo distaccato ma - come dico - comunque nel massimo coinvolgimento sennò il distacco è un elemento negativo, il distacco vuol dire essere dietro al vetro, essere da un'altra parte, essere lontani; invece si è vicini, si è totalmente presenti con il distacco. E questo è uno dei primi tratti dell'estinzione, dell'estinzione comunque di questa propensione della mente umana, o del corpo umano più che altro, ad attaccarsi alla madre, ad attaccarsi alla matrice, a non accettare il venir meno, quindi a non accettare il principio di realtà, il principio di realtà secondo Freud.
Allora quello che è interessante è che questo distacco parli, che questa Assenza in cui si è formata questa mente possa parlare. Cioè, si è formata questa divaricazione, ma chi parla è un qualche cosa che è venuto dopo, cioè che si è messo al posto di questa divaricazione che è questa mente, quasi la mente fosse ancora un'interconnessione, fosse la paura ancora di distaccarsi abbastanza. Invece, se questo distacco che io segno sempre così
*, che è un segno di astrazione, che è un segno di contenitore, è quella matrice, quella 'ma', la precondizione, può parlare esso stesso senza formare la mente, cioè prima del formarsi della mente, se parla prima del formarsi della mente, se incomincia a formulare un linguaggio, questo linguaggio sarà il linguaggio assente; allora tutta la realtà cambia perché è una realtà pre-concepita, concepita in anticipo e non un pensiero che si è buttato addosso - la realtà, cioè la realtà fisica stessa.

Partecipante: Lei vive l'esperienza dell'Assenza, quindi. Nel momento in cui lei è in questo luogo, lo scorrere del tempo come lo misura?

Paolo Ferrari: Dunque, questo è un tema interessante, è un tema interessante perché, per quello che dicevo fino adesso, il tempo è zero, è azzerato, cioè il tempo è l'intemporalità, è l'intemporalità astratta, come la chiamo.

Partecipante: Dunque neanche un tempo capovolto, come nel sogno?

Paolo Ferrari: No, assolutamente, è un tempo anticipato, cioè, come dicevo prima, è come se io vivessi continuamente questo stato per cui il tempo è un tempo precedente, è un tempo anticipato; cioè prima che il tempo si butti addosso, prima che il tempo si concretizzi penso il tempo; continuamente penso la realtà prima che si concretizzi la realtà, prima che il pensiero si formi, prima che questa sedia abbia materia, prima che questo tappeto... prima che lei esista io continuo a pensare questo precedente, io vivo continuamente questo tempo in antecedenza e quindi è come se vivessi il futuro in continuazione. L'altra mia struttura, la mia struttura destra che invece è quella cognitiva, che in un certo senso si pone sopra questo elemento che ha sottratto tutto quanto - ma per poter vivere nella condizione attuale -, segna il tempo nella sua temporalità normale, però continuamente su questo stadio vuoto della temporalità; infatti il Saggio si chiama "Il grado zero del tempo. La musica nel grado zero del tempo". Cioè quando suono, quando parlo sono sempre in anticipo rispetto a quello che sta succedendo, ma in anticipo anche rispetto a me, rispetto alla mia fisicità, nelle cose, sono continuamente in anticipo, e questo è difficile da spiegare esperienzialmente perché non se ne ha l'esperienza; ma comunque è la sottrazione, il tempo si è estinto. Quello che probabilmente viene chiamato... nella struttura grande della religione cristiana è avvenuta già l'Apocalisse, la realtà per quella che era è già estinta. E' tempo appunto di vivere una realtà tale per cui quei legami di realtà, quelli concreti, perché la realtà pende a causa del pensiero che pende... il tempo stesso che noi viviamo, che normalmente si vive, è un tempo in un certo senso ritardato, è un tempo molto più astratto, molto più vuoto, è un tempo contenitore, è un tempo che contiene invece che un tempo che scorre, e questo sarà il prossimo Saggio dove lavorerò proprio su questi concetti che sono concetti filosofici, da Sant'Agostino a Bergson, al tempo di Einstein, o tempo-spazio. E' un tempo che si organizza dall'interno, non è un tempo già dato, e son tutti concetti nuovi. E' un tempo che si autogenera ed autogenerandosi entra nel tempo già costituito, ma lo accetta come dato ipotetico esistente in quanto per il momento esiste quello, esiste quello e l'altro, e allora si integra e lo include, include il tempo storico, il tempo evolutivo, il tempo biologico.

Partecipante: Lo include dilatandolo?

Paolo Ferrari: No, lasciandogli il tempo... no, è diverso il processo perché il tempo zero, cioè il tempo che si è annullato, che si è fatto vuoto lo include contenendolo, ma non modificandolo, in un certo senso; anche perché per il mio mestiere come psicoterapeuta ho la massima puntualità, devo finire o entrare in seduta in quel minuto lì, devo finire la seduta in quel momento lì. O anche come musicista, se io sballassi il tempo... è un tempo che non segue il tempo della battuta precostituita, ma io seguo il tempo interno della musica già precostituita, riesco a entrare nella mente del compositore - avevo lavorato con musiche di Debussy, con i Preludi di Debussy, oppure con compositori moderni, tipo Grisey -, entro direttamente nel tempo mentale della composizione del pezzo e non nel tempo della battuta, entro nel tempo mentale, cioè nella relazione temporale in cui il compositore ha composto la sua musica sentendo nel suo tempo mentale, e io entro in quella relazione ma non seguendo il tempo della battuta, tant'è che la mia musica è molto più ampia, è molto più larga, è una battuta che segue un tempo che ha un grande respiro, e non è un tempo metronomico ma ha un tempo interno; se io sballassi il tempo interno sballerebbe tutto quanto, si disfa tutto quanto; e quindi [il tempo zero] include quell'altro tempo, include il tempo metronomico.

Partecipante: Quindi diciamo che nel momento in cui lei pensa vuoto, fa seguire l'altro autore anche sconosciuto o conosciuto, in quel momento lì la coscienza del tempo che scorre esiste ma viene negata per seguire l'altro tempo?

Paolo Ferrari: Non negata, viene inclusa, la parola negata è sbagliata. Cioè quando c'è il processo di estinzione non viene negato nulla, viene incluso: il processo di estinzione è il processo di inclusione, quindi il processo di inclusione significa che in me o nel pensiero o in questo luogo dell'Assenza viene portato dentro quest'altro elemento e quest'altro elemento, proprio perché è portato dentro, in quel momento si estingue, ma non viene negato, per carità, io non nego nulla. Cioè il processo d'estinzione non è una negazione, è un'inclusione; è come dire che il pensiero umano non è che debba negare il pensiero del mio gatto, manco per niente, lo include, cioè il pensiero astratto includerà anche il pensiero istintuale, non è che debba negarlo, poi lo trasformerà, ma non è che debba negare, non è che debba negare tutto il pensiero precedente.

L'errore che ha fatto spesso il pensiero umano è quello di avere negato il pensiero, non so, degli Indios perché sono considerati un pensiero inferiore; ma quelle lì sono tutte aberrazioni del pensiero umano; eventualmente viene incluso e viene elaborato, viene portato... gli viene data la sua collocazione giusta, diciamo. Prendiamo per esempio il tempo di Grisey, gli viene data la sua collocazione giusta, io seguo questa collocazione ma nello stesso tempo lo includo in un tempo, in una dimensione molto più ampia... E' come dire: il tempo metronomico, il tempo normale è un tempo molto piccolo, questo è un tempo con una potenza molto maggiore e quindi se lo prende dentro e allora può, seguendo il proprio tempo, includere anche quell'altro; non ha bisogno di negarlo, non ha bisogno di escludere, questo non è esclusivo, è inclusivo. E' difficile, perché noi siamo abituati a escludere; però d'altra parte anche ogni elemento affettivo invece tende a includere; è come dire: questo tempo o questo fattore è diverso, lo lascio come diverso, tengo la sua diversità, ho il processo più ampio e lo lascio entrare, ma esso esiste; nel momento stesso che entra esso assume la qualità o la proprietà dell'estinzione e, assumendo questa qualità, è un'ulteriore qualità, non è che ne perda qualcuna. La capacità di estinguersi non è una perdita, è una perdita secondo il pensiero vecchio, ma la cessazione è un pensiero nuovo. E' un po' complicato, comunque ci stiamo andando verso, anche la sua... Poi a mano a mano ci incontreremo su tutte queste questioni. Questa sera abbiamo già detto un intero, entreremo in questo intero. Il tempo è un intero anche quello perché questo tempo, il tempo zero, è un tempo che include anche la morte, che non ha bisogno del passaggio dalla vita alla morte, è un tempo ulteriore, è un tempo astratto, è un tempo affettivo. E' un tempo della morte astratta, quello che ho chiamato la morte astratta.
Va beh, ci lasciamo qui. Ci rincontriamo il 19 dicembre.
Arrivederci a tutti.