19 dicembre 1996
II Seminario 'sui margini dell'Assenza' 1996-1997
La Post-evoluzione, ovvero
il distacco complesso e assente
Paolo Ferrari: Stasera
iniziamo con la presentazione di una scena, una scena di teatro. Questa scena
di teatro è stata preparata per un lavoro che stiamo facendo che chiamiamo
'Teatro dell'Assenza' oppure 'Teatro della Post-evoluzione', come d'altra
parte 'Post-evoluzione' è il titolo che abbiamo dato al Seminario
di stasera:'La Post-evoluzione, ovvero il distacco assente e complesso'.
Questo teatro che contiene il concetto del distacco complesso e assente
vuole mostrare, attraverso la messa in scena e la rappresentazione che viene
privata della stessa rappresentazione in quanto è una comunicazione
diretta, quello che è la sintesi dell'attività pensante relativa
al nuovo livello di cui ci occupiamo, ovvero della Post- evoluzione. La Post-evoluzione
è il luogo che ha relazioni con i margini della cosiddetta Assenza.
L'Assenza è luogo dove noi riteniamo che possa mostrarsi, emergere
una nuova condizione di Homo sapiens qualora esso sappia disporsi nel modo
di recedere da alcuni elementi di eccesso della sua attività mentale,
da alcuni elementi di deficit della sua attività mentale, da alcune
condizioni anomale - per quello che Homo sapiens è nell'ambito evolutivo
- dovute alla sua corporeità, alla sua sensorialità, alla percezione
che esso ha del mondo.
In questo luogo del Teatro dell'Assenza sono stati posti alcuni elementi
quali queste grandi scatole su cui sono stati disegnati due occhi che rappresentano
gli occhi di una nuova dimensione corporale in cui gli occhi, ad esempio,
non sono identici uno all'altro, ma ognuno percepisce in maniera a sé
stante, differente la realtà con cui lo sguardo, la percezione, la
sensazione fattasi assente si accoppia con la realtà e la costruisce
da capo. Costruiamo in questo luogo il cosiddetto 'luogo capace di Assenza'
in quanto è un luogo che è capace di venir meno, di non dover
mostrare a tutti i costi la propria volontà di rappresentazione. In
questo modo avrebbe potuto dirlo anche Schopenhauer, nei termini dell' eccesso
della volontà dell'esistenza o della rappresentazione di sé
che la mente umana e Homo, in generale, produce nelle sue varie fasi di relazione
con una realtà. Diciamo che nella fase attuale moderna la realtà
non è già data, la realtà viene costruita, la realtà
viene a mano a mano costruita a seconda degli accoppiamenti che esistono dato
un essere osservatore e un ente osservato; dato questo tipo di accoppiamento,
si mostra, si fa emergere un nuovo livello o un livello che noi chiamiamo
in generale realtà.
Questo luogo del Teatro dell'Assenza, della Post-evoluzione, è
un luogo in cui noi vogliamo far emergere questi nuovi tipi di accoppiamento
in una relazione immediata, diretta, non mediata, attraverso un linguaggio
per forza concettuale come può essere quello di un Seminario, come
quello di una lezione, o quello di uno scritto. Il teatro deve parlare direttamente
attraverso questi linguaggi già fatti ovvero che nel momento stesso
in cui essi si rappresentano, mostrano il loro essere al mondo. Di questo
nel corso dei Seminari faremo vedere alcune registrazioni video.
Adesso quello che abbiamo voluto soltanto mostrare è questo
luogo, questo luogo che nella sua costruzione ha alle spalle alcuni dipinti
dell'Assenza, ha al suo interno gli occhi delle scatole in cui sono stati
posti - come si diceva in una di queste rappresentazioni o meglio non-rappresentazioni
o a-rappresentazioni - il compositore Messiaen, il compositore Stockhausen
di cui io ho posto il cosiddetto Raddoppio che è quella composizione
musicale specifica di questo nuovo livello di cui ci occupiamo.
Adesso, dopo questa breve presentazione, vorrei che fosse smontata
qualche parte del teatro per poi poter continuare il Seminario.
[Vengono spostati alcuni quadri ed oggetti che componevano la scena del
Teatro dell'Assenza, ad eccezione delle scatole-occhi, di alcuni piccoli strumenti
musicali, di un leggio e di una campana]
Paolo Ferrari: Ora, abbiamo lasciato qualche segno di questo
teatro non rappresentativo, anche se per forza di cose ha alcuni elementi
della rappresentazione come questi brevi cenni, come questo signore africano
che si è rotto già sulla scena e con cui abbiamo continuato
poi il parlare, il dialogo; è servita la sua bellissima testa, scolpita
molto bene (Paolo Ferrari la mostra ai presenti), che io ritengo quasi viva,
come d'altra parte sono le sculture africane che contengono dentro lo spirito
del villaggio, l'anima del villaggio. Questa testa è servita perché
potessi dare linguaggio a ciò che io ritengo uno degli elementi fondanti
di quella che è già in parte la capacità affettiva e
mentale di Homo sapiens, e a quella che sarà nel futuro se esso riuscirà
ad approcciare, a entrare nella relazione con una capacità di porsi
a una distanza maggiore nonché affettiva, ugualmente affettiva: è
una pièce che è stata chiamata 'La Testa, ovvero della distanza'.
Lì dietro c'è un quadro dell'Assenza che indica, attraverso
dei tratti veloci, la presenza di cinque umani, uno due tre quattro cinque:
'Il Dolore umano' l'ho intitolato; rappresenta, ovvero non rappresenta, mostra,
si mostra - è molto difficile per un uomo occidentale non parlare della
rappresentazione, dire che la cosa è essa, è sé stante
- il dolore umano, è esso il dolore umano. Questo nasce dopo che avevo
visto i corridoi di una USSL milanese dove c'erano le persone, soprattutto
persone anziane, ad aspettare una visita, una visita medica, e ho voluto raccontare,
o esso si è raccontato, questa attesa di questi uomini, di questi esseri,
con il dolore posto qui in centro, e questo come se fosse l'anti-anti-dolore,
quello che io chiamo la rotazione del dolore di cui poi Susanna Verri parlerà,
[e parlerà] non tanto del dolore ma quanto di questo concetto di rotazione.
Questo poi senza specchio non esiste più perché questo è
la rappresentazione del... è il dizionario di filosofia che rappresenta
la coscienza occidentale. E comunque qui in mezzo c'è un metronomo,
è avvenuto il discorso sul tempo, il tempo che può essere vissuto
in maniera molto diversa nel campo dell'Assenza, in un campo più astratto
in cui la mente possa essere più astratta, il corpo possa astrarsi
nel senso di non ingombrare la realtà come l'ha ingombrata fino adesso:
e allora il discorso tra il tempo metronomico, il tempo sospeso, il tempo
del nulla, inteso come tempo dell'Assenza di cui parleremo ampiamente: il
tempo zero. E tutto questo non come discorso filosofico o soltanto come discorso
scientifico, ma come la possibilità della messa in atto direttamente
di queste nuove condizioni fenomeniche, di queste alterità, passando
attraverso pure delle cognizioni scientifiche, metodologiche, di grande complessità
di cui pare che il mondo occidentale abbia bisogno per disegnarsi, per rappresentarsi,
per rappresentare la propria volontà di potenza, anche; e perciò
attraversare tutti i campi della scienza, della filosofia per approdare a
un metodo. Anche il teatro di cui stiamo parlando è una via al metodo,
è una via alla possibilità della non rappresentazione ma della
comunicazione diretta attraverso il veicolo concettuale in cui il concetto
concepisce senza dover prendere, concepisce andando al di là della
sua etimologia in cui c'è il tema del prendere, ma concepisce nel senso
anche ulteriore di fecondare, di porre un'ulteriore matrice e probabilmente
un'ulteriore capacità d'affetto.
Adesso lascerei a te la parola e poi la riprenderò.
Susanna Verri: Il discorso che penso di poter proporre questa
sera toccherà il tema della complessità, di quello che se ne
è inteso, per lo meno a grandi linee. Vorrei presentare alcuni concetti
principali che sono passati sotto il nome di complessità nelle discipline
scientifiche che negli ultimi venti o trent'anni si sono occupate di questo
tema. Questo perché continuamente ricorre nella descrizione, nell'approccio
al 'Sistema ai margini dell'Assenza' il termine di complessità, e quindi
dovremo poi avvicinarci a cercare di comprendere che cosa questo termine significhi,
ma nel sistema di cui noi ci occupiamo.
Per far questo è sicuramente opportuno avere qualche elemento
di tutto quello che questo termine ha costituito nel campo scientifico precedente,
e inoltre questo discorso ci servirà anche per ulteriormente esplorare,
aprire l'area relazionale che si forma all'interno di ogni Seminario e che
consente poi al Seminario di proseguire. Cioè, come probabilmente chi
ci ha seguito negli altri anni ha notato e come si può vedere anche
quest'anno, il Corso non segue un progredire tematico, cioè non ci
sono temi successivi che vengono affrontati ad ogni Seminario. Si può
dire in un certo senso anche che da un Seminario all'altro non ci sia un percorso
o un tragitto, perché quello che noi dobbiamo fare non si pone su un
ordine lineare in cui c'è un prima, un dopo, in cui ci siano da affrontare
alcuni temi prima di altri: quello di cui trattiamo invece implica l'apertura
di quel campo relazionale di cui dicevo prima e l'avvicinamento a quello che
è un sistema, che noi abbiamo cominciato a definire come 'Sistema ai
margini dell' Assenza', che implica tutto quel campo conoscitivo ed esperienziale
di cui dicevo altre volte, cioè implica l'accostamento a un sistema
che è realmente un sistema totalmente nuovo, quindi non ha un approccio
solo concettuale, e sicuramente non ha un approccio tematico progressivo,
anche se poi dovendo aprire un discorso utilizzo naturalmente anche dei concetti,
utilizzo anche degli argomenti come farò questa sera col tema della
complessità.
Il tema della complessità ci permetterà anche poi di
accostare meglio quelli che sono gli elementi topici, specifici del campo
dell'Assenza e più di tutto permetterà anche poi di avvicinarsi
al tema dell'anti-anti, come accennava prima il dottor Ferrari nel suo discorso,
che è forse uno dei temi più ardui da un certo punto di vista,
e anche tuttavia semplice: lo vorrei mostrare in questo mio discorso perché
è in un certo senso la sintesi di quello che può essere l'approccio
a un sistema che è completamente diverso pur essendo presente nella
realtà quotidiana, e cioè 'anti-anti' intende [significare]
non semplicemente quello che comunemente noi consideriamo l'anti di un qualche
cosa, cioè per esempio la semplice immagine allo specchio, ma implica
una rotazione a 360 ° e dunque la rotazione a 360° di un sistema è
un qualche cosa per cui questo sistema ruota su sé stesso, alla fine
della rotazione non è identico a prima che questa rotazione fosse avvenuta
perché questa rotazione è avvenuta, e d'altro canto questa rotazione
non è evidente però ha prodotto questo movimento, e questo movimento
di rotazione fa sì che ciò che c'è dopo sia differente
da quello che c'era prima quando questa rotazione non era avvenuta, e però
questo mutamento non è visibile, non è evidente. Semplificando,
forse potrei dire che è assente, cioè è sottratto all'evidenza.
Vi dicevo, questo è un tema che io penso poi il dottor Ferrari
riprenderà anche, o altre volte, perché è un tema veramente
complesso in tutti i sensi, che però io cercavo adesso col mio discorso
di cominciare a rendere intuibile, per lo meno in una prima relazione, perché
questo, vi dicevo, è un campo relazionale e quindi è un campo
in cui la comprensione si produce anche con relazioni successive di apprendimento
che implica anche diversi gradi di comprensione o diverse modalità
di comprensione in cui può essere anche significativo che certi temi
inizino ad essere posti, e quindi possano iniziare ad essere disposti in un
campo conoscitivo che poi dovrà essere ulteriormente specificato.
Il tema della complessità, dicevo prima, ha occupato l'ultimo
trentennio, per lo meno, dello sviluppo scientifico a partire dalla crisi
del paradigma riduzionistico che c'è stata intorno agli anni '60, per
cui si sono incominciati ad abbandonare i criteri di ordine, semplicità,
regolarità per studiare la realtà e per descriverla in termini
scientifici attraverso leggi semplici e universali che contenessero il numero
maggiore di fenomeni, perché si è cominciato a pensare, in base
ad alcune scoperte che erano avvenute in quel periodo, che i fenomeni fossero
meglio descrivibili attraverso leggi che potessero tenere conto anche di criteri
che includessero al loro interno la possibilità del disordine, la possibilità
della complessità, la possibilità in altri termini di elementi
che non potevano essere riconducibili a quelle leggi riduzioniste che erano
state utilizzate nel periodo precedente. In altri termini, un modo di approcciare,
di osservare la realtà cambiava e richiedeva che venissero costruite
altre leggi per osservarla e altri modelli per poterla comprendere. In quello
stesso periodo, per esempio, si andava scoprendo con il caos deterministico
un nuovo modo di leggere anche tutti i fenomeni naturali, la diversa prevedibilità,
la minor prevedibilità di tutti i fenomeni della natura e ci si volgeva
quindi anche ai temi della complessità che cominciavano a raccogliere,
nella collettività scientifica, gruppi multidisciplinari di scienziati.
Gli organismi biologici quindi incominciarono ad essere studiati come fenomeni
complessi.
Come prima definizione di un sistema complesso si può partire
dal considerare un sistema che sia composto da più elementi differenti,
indipendenti tra di loro; questa è una definizione base, diciamo, che
permette poi di estendere il discorso a seconda anche di come le diverse scuole
scientifiche hanno approcciato il tema. Allora, ci sono state due principali
impostazioni, una corrente che ha cercato di definire le caratteristiche che
dovevano avere i sistemi complessi, e una corrente invece che ha cercato di
definire in altro modo, opposto, la complessità considerandola come
l'informazione mancante, cioè considerando come complesso tutto ciò
che non era comprensibile, tutto ciò che mancava per la comprensione
del funzionamento e della struttura del sistema, cercando anche di dare una
quantizzazione a questo termine di complessità attraverso una formula
matematica e sviluppando poi anche diversi altri concetti che poi vedremo
più avanti. In sintesi, la prima tendenza, cioè quella di definire
un sistema e in particolare un sistema biologico leggendone la struttura attraverso
il concetto di complessità, ha portato a osservare e a definire alcune
caratteristiche di sistemi complessi, caratteristiche che appunto in questo
mio discorso volevo incominciare ad accennare perchè ci serviranno
ad avere un'idea poi di certe modalità con cui ci troviamo a relazionarci
nell'ambito del sistema costruito ai margini dell'Assenza.
Una prima osservazione sulle caratteristiche dei sistemi complessi
è la loro struttura che si dice essere autoreferenziale, cioè
organizzata in livelli gerarchici successivi ciascuno non riconducibile all'altro,
in una struttura in cui questi livelli gerarchici successivi sono interrotti
da anelli ricorsivi, cioè da anelli causali - si chiamano così,
quindi perdonatemi la difficoltà magari apparente di questi termini
che però secondo me è interessante che comincino a entrare anche
nell'uso, nell'orecchio. E allora, dicevo, questi anelli ricorsivi sono degli
anelli che collegano un anello con l'altro per cui c'è un ricircolo
di ciò che esce da un livello superiore e rientra in un livello inferiore
del sistema. Un esempio di anello ricorsivo semplice è il feedback
che è la struttura di autocontrollo e di autoregolazione che nell'organismo
umano per esempio studiamo e conosciamo correntemente in quanto tutti i meccanismi
di feedback sono appunto quei meccanismi che si dicono causali, circolari
semplici, perché tra un'entrata e un'uscita nel sistema c'è
un collegamento circolare in quanto ciò che entra è legato a
ciò che esce, ciò che esce è legato a ciò che
entra in modo che la differenza tra i due sia mantenuta il più possibile
vicina allo zero; e questo fa sì che il meccanismo sia un meccanismo
di controllo che mantiene stabile il sistema e che è stato per esempio
coinvolto nella regolazione nell'emissione in circolo degli ormoni o nei processi
di respirazione, cioè in tutta una serie di sistemi di regolazione
del nostro organismo.
La differenza tra un sistema così costruito di autoregolazione
e un sistema autoreferenziale, cioè quello che ci interessa nel sistema
complesso, è che l'entrata e l'uscita non sono prevedibili, cioé
l'uscita non è prevedibile perché cambia, e cambia perché
il sistema è dotato di caratteristiche sue particolari per cui l'uscita
non è prevedibile e quindi noi siamo di fronte a quella che è
stata chiamata in cibernetica 'macchina non banale', per cui ci sono
tutti questi meccanismi causali di connessione però, data l'entrata,
non si conosce l'uscita del sistema perché non è prevedibile,
perché non è programmata, perché dipende dalla caratteristica
stessa del sistema e non solo ma, variando ogni volta l'uscita, varia anche
l'entrata e quindi in questo circolo così costituito, che è
quello specifico dei sistemi complessi, si produce ogni volta un nuovo senso
e un nuovo significato ad ogni passaggio, e quindi ognuna di queste componenti
è significativa e portatrice di senso e di significato. Tutto questo
complesso sistema quindi di questi anelli gerarchici successivi legati da
questi circoli di causalità che legano l'entrata con l'uscita in questo
modo, vi dicevo, fa sì che il sistema complesso sia autoreferenziale
e questo gli consente di essere anche autorganizzantesi, cioè di autorganizzarsi,
il che vuol dire di produrre, di avere una caratteristica tale per cui le
premesse e i risultati dei suoi processi di organizzazione sono interrelati,
cioè contemporaneamente ciò che è la premessa è
anche il risultato di questo processo di autorganizzazione il cui esempio
è tutto il funzionamento del DNA nell'uomo per la sintesi delle proteine,
in cui quindi il DNA serve per codificare la sintesi delle proteine, ma questa
avviene con la presenza delle proteine stesse. Questa caratteristica della
capacità di autorganizzazione del sistema condiziona anche il sistema
a una particolare modalità di relazione con l'esterno perché
il sistema che si trovi ad essere autoreferenziale e autorganizzantesi, quando
si rapporta con la realtà esterna ha un particolare tipo di rapporto
con essa, cioè si pone in una situazione che viene definita di 'accoppiamento
operazionale chiuso'; chiuso non significa che non è in relazione,
significa che è assolutamente in relazione perché anzi, come
vedremo dopo, ha bisogno per la sua sussistenza di questa relazione, però
in questa relazione non mette in discussione la sua struttura interna; vale
a dire che siccome questo sistema autoreferenziale e autorganizzantesi è
costruito in modo da affrontare la realtà esterna ma anche in modo
da mantenere le sue caratteristiche intrinseche, si relaziona dunque con la
realtà esterna ma in modo che questa relazione non vada a modificare
le sue caratteristiche intrinseche; e questo è l'aspetto che viene
definito di 'accoppiamento operazionale chiuso'. Per inciso, alcune scuole
che si sono occupate dello studio della complessità hanno invece poi
sostenuto che il rapporto con l'esterno, e anzi la perturbazione di tutto
questo sistema di equilibri che vi ho descritto, sia fondamentale per la crescita
del sistema complesso e quindi, mentre alcune scuole vedono lo scopo fondamentale
del sistema complesso nel mantenere il suo sistema operazionale chiuso e quindi
nel relazionarsi senza essere modificato nella sua struttura interna, altre
scuole hanno invece letto la funzione perturbatrice esterna, cioè il
rumore che tende a interferire con il funzionamento del sistema, come uno
degli elementi fondamentali per la sua crescita in quanto rompe sì
l'organizzazione, ma rompendo questa organizzazione produce la possibilità
di una differente e nuova riorganizzazione su un altro livello presumibilmente
più complesso, purché ci sia la possibilità di osservarlo
a un livello più complesso, e allora in questa seconda interpretazione
l'elemento esterno di perturbazione diventa un elemento di crescita per il
sistema, diventa un elemento, viene detto, creativo perché consente
lo sviluppo di un sistema maggiormente complesso.
Io potrei dire anche una serie di altre cose però penso che
potrei fermarmi su questa digressione sui sistemi complessi perché
la cosa interessante è sempre poi tener presente il discorso nostro,
dove dobbiamo arrivare e dove ci stiamo muovendo, e quindi tutto questo, come
vi dicevo prima, questa escursione, diciamo, incursione nell'ambito della
complessità m'interessava per porre, per darvi un'idea di tutto quello
che implica e presuppone anche il superamento di alcuni di questi termini,
ma comunque quando qui noi parliamo di complessità assente, quando
parliamo di accoppiamento congruo con la realtà, col sistema di realtà,
come dicevamo la volta scorsa, abbiamo comunque alle spalle tutto un lavoro
e tutto un pensiero che è stato fatto che ha delineato questi termini
con le modalità a cui vi ho rapidamente accennato. Poi noi da questo
procediamo a specificare nel nostro sistema tutti questi discorsi, quindi
non necessariamente teniamo valide tutte queste caratteristiche. Queste caratteristiche
però - io vi parlavo prima di sistema anti-anti - sono come quelle
che andranno poi in qualche modo raddoppiate nel sistema complesso di cui
parliamo noi per costruire o per esplorare l'ambito di cui ci stiamo occupando.
E quindi per ora mi fermerei a questo punto.
Paolo Ferrari: Riprendere questa dotta introduzione ai sistemi
complessi, molto chiara, non è semplice, e introdurla in un sistema,
diciamo, più... in cui... Questo è il metodo scientifico affettivo,
perché la comunicazione è affettiva. Adesso l'operazione che
io vorrei fare su questo tipo di comunicazione, su questo tipo di testo è
di accorciare la distanza e nello stesso tempo portarla in un luogo all'infinito.
Cioè il sistema complesso è un sistema che si occupa, diciamo,
grosso modo, degli organismi biologici, in particolare degli organismi biologici
i quali si sono messi a un certo punto a pensare. Ma circa realmente la complessità
delle attività mentali non è che fino adesso si siano raggiunti
grandissimi risultati, anche se questi sistemi complessi ci dicono una serie
di modalità di organizzazione di come la mente potrebbe essere un modello,
un modello attraverso cui la mente potrebbe essere raccolta - e infatti da
questo sono nate poi le macchine cibernetiche, i computers.
Quello che a noi interessa è il fatto che questo termine 'complessità'
è un termine ampio, ha un certo tipo di respiro, però comunque
non deve essere mai confuso con complicazione, cioè nel linguaggio
comune si dice complessità, però questa è la complessità
scientifica*
, che ha al suo interno le varie definizioni, tipi di applicazioni, tipi di
relazioni. Questa complessità, noi diciamo, è la complessità...
a noi serve la complessità assente. Cioè questo tipo di complessità
nel linguaggio scientifico ha i circoli ricorsivi, è un sistema autoreferenziale
cioè capace di autorganizzarsi, eccetera; ma io prendo questo termine,
prendo anzi questo oggetto costruito dalla mente umana: è un oggetto
mentale, questo della complessità è un oggetto mentale; la mente
umana costruisce oggetti mentali; ogni volta che noi ci mettiamo a pensare,
ci mettiamo comunque a costruire un oggetto; quando pensiamo a un concetto,
a un certo elemento, a un certo evento, costruiamo un oggetto che può
essere dell'immaginazione, può essere anche una parola, ma è
comunque un oggetto, ha una sua entità, una sua definizione, ha un
suo luogo che occupa nella mente, nel corpo di chi pensa. E' un luogo astratto
ovviamente però è un luogo. La complessità è uno
di questi luoghi. Questa complessità, mentre veniva spiegata, entrava
in chi volesse assumerla nella mente, entrava e occupava un posto. Susanna
Verri era brava perché era capace anche di far sì che questo
posto non fosse totalmente occupato mentre di solito il metodo scientifico
produce una serie di concetti, questi concetti vanno e occupano la mente,
occupano la struttura di chi riceve questi elementi. Allora già nell'esplicazione
di questo concetto c'era un elemento di sottrazione, cioè nei termini
di complessità, nei termini del concetto di autorganizzazione, nel
concetto di autoreferenzialità, in tutti questi tipi di concetti era
sottratto qualcosa, ma non sottratto al fatto che la complessità non
potesse essere totalmente presente, anzi la complessità era ulteriormente
presente, ma non aveva quella modalità che io chiamo modalità
di essere una cosa, cioè di essere in eccesso oggetto: il fatto di
essere oggetto, cioè di essere cosa, cioè di essere res e
cioè di reificare veniva sottratto.
Voglio semplificare: ogni volta che noi pensiamo a una qualsiasi cosa,
all'albero, al concetto di albero, al concetto di uomo, pavimento, quadro,
ogni volta che noi facciamo questo tipo di operazione la nostra mente viene
occupata da questo. Se questo elemento che è questa cosa - anche un
concetto è una cosa - viene pensato, può essere pensato in un
modo per esempio più affettivo - e qui entra l'altro elemento che è
l'affettività, l'affetto*-,
allora questo oggetto è meno oggetto: può essere un oggetto
- lo potremmo disegnare in questo modo - in cui è stato sottratto questo
elemento, per cui questo è diventato meno oggetto, è diventato
in qualche modo un pochettino diverso, differente da come era partito. Questo
lo si vede bene se un libro di scienza, un libro di metodo, un libro di filosofia
o la comunicazione di questi elementi sono fatti da un soggetto, da uno scritto
i quali contengono una capacità di relazionarsi ovvero non hanno capacità
di relazione. La scienza in generale se ne frega delle capacità di
relazione, noi invece ci occupiamo degli elementi della relazione, i sistemi
complessi si occupano dei problemi di relazione, dei temi della relazione.
Allora stiamo cercando di costruire anche, in mezzo a tutte le varie questioni
di cui ci occupiamo, anche una scienza affettiva; ma 'affettiva' non vuol
dire l'affetto verso il micio, il gatto, il bambino; l'affetto di cui noi
ci occupiamo è anche questo un affetto assente*,
cioè è un affetto
che è meno oggetto di quello a cui in generale gli uomini sono abituati
cioè un affetto di solito immaturo: la specie umana di solito ha una
capacità affettiva immatura, non è capace di voler bene. Il
sistema complesso, che è fatto dal soggetto biologico, capace di pensare,
capace quindi di relazionarsi, non è capace di affetto sufficientemente
assente, cioè non è capace di un affetto tale per cui l'altro,
che è l'ente su cui il soggetto sposta la propria energia affettiva,
venga riconosciuto in quanto tale, in quanto esistente, in quanto altro. Nella
storia dell'uomo, del bambino, per esempio, ci sono le varie fasi in cui il
bambino impara a poco a poco - dovrebbe imparare - a staccarsi - come ormai
dico da millenni, a ogni Seminario, si può dire - dalla madre, e la
madre non è capace di staccarsi dal bambino in modo che ci sia un affetto
reciproco con in mezzo uno stacco tale per cui il sistema si faccia complesso
- cioè c'è la madre*,
c'è il bambino, c'è anche il padre - e questa relazione madre-bambino
diventi una relazione tale da porre il fatto che qui in mezzo possa costruirsi
un alcunché, che è la separazione tra madre e bambino, in cui
possa essere poi disposta quella che noi abbiamo chiamato la mente.
Cioè nelle varie discipline scientifiche di studio del bambino,
incominciando dalla Klein e andando avanti a Bion e a tutta la scuola inglese,
in particolare, e poi la scuola francese, si dice in poche parole che la separazione
mancata tra madre e bambino, separazione affettiva mancata, impedisce al bambino
di formare quelle capacità mentali, affettive che sono indispensabili
perché egli o esso maturi. Ma anche questo è un sistema complesso
perché non è che la madre possa lasciare il bambino e dire:
"Sì, sì, tu vai per il mondo", perché il bambino non
ne è capace; e così nella relazione affettiva esistono sempre
due soggetti, c'è un soggetto verso un altro soggetto, oppure il soggetto
anche verso l'oggetto, come abbiamo visto, verso l'oggetto mentale. Questa
relazione è molto difficile da produrre in modo tale per cui questa
relazione non occupi e cioè la relazione affettiva abbia quella giusta
distanza tale per cui un uomo possa essere capace di volere bene a una donna,
un uomo a un altro uomo, gli esseri umani possano relazionarsi in maniera
matura, perché questa distanza tra un uomo e l'oggetto mentale, tra
l' uomo e l'altro essere di solito è occupata, è occupata da
quello che noi abbiamo chiamato il mondo inconscio, il quale mondo inconscio
non vuole per niente separarsi da quell'altro, non vuole avere un minimo di
separazione, oppure il mondo inconscio è quello che vuole dire: "Io
uomo*,
io ego me ne sto da una parte, tutti quegli altri se ne stanno da un'altra
parte, a me non importa nulla", anche se faccio finta di occuparmi di tutti
quanti gli altri; ma questa qui non è una relazione affettiva, non
è la posizione del distacco complesso e assente. La posizione del distacco
complesso e assente è l'ulteriore passo rispetto a questo: il distacco
è quando il soggetto è diventato talmente maturo per cui l'altro
esiste realmente, ma esiste al punto tale per cui l'io del soggetto percipiente,
del soggetto agente, del soggetto affettivo ha imparato quasi a sottrarsi,
pur rimanendo totalmente presente. Questo lo si prova anche nella vita di
tutti i giorni, cioè nel soggetto che è capace di relazionarsi
con un altro soggetto oppure con la realtà esterna avendo la giusta
distanza, ma senza scappare da una parte o scappare da un'altra, ma stando
nella posizione giusta, questa relazione si compie e si compie facendo quasi
un ponte fra sé e la realtà: la realtà sta lì,
il soggetto sta qua, ma c'è quella forma di giusto accoppiamento di
cui Susanna Verri parlava, l'accoppiamento complesso in cui noi aggiungiamo
la parola 'assente', la parola 'assente' che è la parola ulteriore.
Cioè questo dice che i sistemi relazionali umani, i sistemi relazionali
affettivi, ma anche quelli intellettuali, anche quelli logici, quelli scientifici,
quelli filosofici, per essere posti occorre che abbiano, come abbiamo detto,
il giusto distacco, la giusta distanza, l'essere capaci di venire meno - cioè
non essere oggetti mentali e basta - di produrre quello spazio vuoto tra il
soggetto e l'altro, la solitudine in un certo senso dei soggetti, la solitudine
profonda del soggetto, che non è autismo, che non è chiusura,
ma che è capacità di relazione integra, intera fra un soggetto
e l'altro oggetto o soggetto. Poniamo ulteriormente questo elemento che noi
abbiamo chiamato Assenza.
Assenza, che cosa vuol dire? Nel vocabolario italiano vuol dire
un alcunché che non c'è, un alcunché che si è
allontanato, che è venuto meno*.
Io ho inventato questo nome nel senso che l'ho accoppiato a questa scienza
di cui mi occupo, che è la scienza dell'Assenza, di questo luogo speciale
di cui ho iniziato a parlare presentando il Teatro dell'Assenza. Cosa significa?
Perché l'ho chiamato Assenza? Perché questo luogo di cui mi
occupo è un luogo che è ulteriormente distante rispetto al luogo
in cui normalmente la mente umana, l'affettività umana operano. Cioè
è come se un alcunché si fosse ulteriormente spostato e avesse
fatto venire meno ciò che è l'oggetto del mondo, l'oggetto-cosa
del mondo, l'oggetto mentale, il concetto-oggetto-cosa. In altre parole, se
da un lato la tendenza umana in parte si è evoluta nella storia, da
un'altra parte c'è continuamente la tendenza alla regressione, alla
dissociazione, alla non affettività, alla cosiddetta reificazione.
Cioè Homo sapiens ha dentro di sé una brutta bestia che
è l'inconscio; l'inconscio tende a far sì che il soggetto tenda
comunque a sottrarsi dagli elementi più astratti, e fra gli elementi
più astratti c'è il cosiddetto affetto di cui parlavo prima.
A voi sembrerà strano il fatto che l'affetto possa essere una cosa
astratta, ma l'affetto maturo è una cosa astratta nel senso che l'affetto
maturo, come ripeto, è il fatto che un soggetto è capace di
riconoscere l'altro, cioè è capace di far esistere realmente
l'altro che è diverso da sé, e quindi la differenza. Un soggetto
che sappia cogliere e produrre continuamente la differenza è un soggetto
che io dico che è astratto nel senso che è un soggetto che ha
imparato a non dover continuamente occuparsi della propria corporeità,
della propria fisicità, della propria incolumità per poter riconoscere
l'altro. Se voi pensate bene, l'altro è anche la morte, la morte è
uno degli aspetti più altri o dell'alterità di cui uomo possa
mai pensare, l'altro in assoluto è l'ignoto, l'altro è l'assenza
totale, l'assenza totale è il fatto che il cervello a un certo punto
incomincia a tacere, nel momento stesso in cui il cervello incomincia a tacere
c'è quello che noi chiamiamo il processo della morte, e questa è
l'alterità.
L'uomo, Homo sapiens, non è capace di accettare di vivere
questa sua alterità ovvero, quindi, non è capace di vivere la
sua assenza, l'assenza di sé. Una delle cose più difficili in
Homo sapiens per esempio è il fatto di uscire dalla sua fase narcisistica,
del bambino che esce da sé, che esce dalla sua fase narcisistica, si
stacca dalla madre e va verso il mondo, e che in un certo senso esce da sé,
che impara a staccarsi da sé. Lo staccarsi da sé è già
una fase di assenza, lo staccarsi dalla madre vuol dire:"Mamma, stai al tuo
posto, io sto di qua", ed è un elemento d'assenza, qui in mezzo tra
la madre e il figlio c'è una separazione, separazione vuol dire assenza,
non è piena ma c'è un vuoto, c'è un buco, un buco ha
dentro la parola 'assenza', assenza significa, vien dal latino 'ab esse' e
cioè 'essente lontano', 'essente da', cioè nel senso che c'è*
- quello che dicevo prima - un buco, c'è un vuoto, ma questo vuoto
è talmente pregno, talmente potente che in questo vuoto c'è
la mente: la mente umana è questo vuoto che è questo luogo dell'assenza.
Dicevo, però: "Che cosa succede in Homo sapiens?" Che questa
assenza viene continuamente riempita; c'è l'inconscio che incomincia
con le pulsioni primarie, i desideri, la sessualità immatura, l'affetto
immaturo che tendono a occupare questo luogo della mente; il delirio - è
nella mente umana in generale continuamente sottostante - io lo scopro a mano
a mano sempre nei miei pazienti, anche nei pazienti che possono sembrare anche
più sani apparentemente in certe fasi; ci sono delle voci sottostanti,
dei rumori sottostanti del cervello, cioé c'è il fatto che questa
mente vuole continuamente delirare, vuole inventarsi una realtà, inventarsi
un mondo. Allora un ulteriore luogo rispetto a questo tentativo di inventarsi
il mondo sarebbe che la mente umana imparasse a tacere e a diventare più
assente, ma nel tacere la mente umana non è che diventa assente perché
diventa scema - scema vuol dire anche scemare -, non è che diventi
deficiente, ma arriva a un punto tale per cui la mente è talmente cosciente
di sé che fa quella rotazione di cui parlava Susanna Verri prima, gira
totalmente su sé stessa, la complessità della mente diventa
talmente ampia che può ruotare e cioè, invece di essere questo
sistema che è tutto organizzato, fatto in questo modo, diventa un anti-anti-sistema,
cioè diventa un sistema altro, differente da sé, la mente umana
diventa differente da sé, il corpo umano, che è mediato da questa
mente o che è inventato da questa mente, diventa altro da sé,
la mente e il corpo umani diventano un altro da sé, cioè entrano
in questo luogo, in questa nuova zona che abbiamo chiamato Assenza. Assenza,
perché? perché la mente si è dimenticata di essere mente,
il corpo si è dimenticato di essere mente, ed è quello che è
poi l'esperienza quotidiana normale, e cioè che quando ogni persona
per esempio ha assunto abbastanza di sé - la corporeità, la
mente - sente che tutto quanto fa silenzio, non ha bisogno di sentire che
ha un pezzo di piede, una gamba, un pezzo di sesso, un pezzo di testa perché
quando le sente vuol dire che ci sono delle frammentazioni; quando le cose
incominciano a far silenzio allora l'affettività, la razionalità,
il linguaggio, l'intelletto incominciano a funzionare. Questo silenzio che
è già nella norma - si dovrebbe trovare nella norma -, in un
passo successivo diventa il silenzio dell'Assenza: quando la mente ha accettato
la sua alterità, il suo essere diversa da sé, e quindi ha accettato
il suo non essere ed è entrata nella dimensione di questo suo non essere,
ma senza diventare deficiente, e perciò ha prodotto un accoppiamento
con la realtà, un ulteriore livello di realtà la quale è
diventata meno cosa, meno oggetto, meno elemento rozzo, meno ruvido, lo spazio
è diventato altro, anche questo è ruotato, il tempo anch'esso
è ruotato, sono diventati completamente altri rispetto a quelli che
erano prima, allora noi siamo entrati nel campo dell'Assenza, di questo nuovo
livello di nulla astratto, di capacità pensante; la chiamo pensante
perché è capacità assente nuova, che abbiamo chiamato
il luogo complesso del distacco assente, ovvero il luogo dell'Assenza.
Questo, secondo noi, è la posizione della post-evoluzione,
cioè questo discorso porta il fatto che Homo sapiens diventerà
Homo absctractus, sempre che possa imparare a distaccarsi dalla propria corporeità,
dalla propria mente, che sappia essere individuo affettivo in questo distacco.
Il distacco, ripeto, non vuol dire scappare, vuol dire stare lì e contemporaneamente
distaccarsi, in una dimensione affettiva, e perciò accogliersi nel
momento stesso in cui ci si distacca, accogliere l'alterità, il che
significa accogliere persino la morte che è il massimo livello di distacco.
Questa dimensione è la dimensione dell'Assenza*
e porta alla post-evoluzione. La post-evoluzione è la condizione in
cui la mente ha cessato di essere mente, bensì ha ruotato, è
diventata altra, in cui il corpo ha cessato di essere corpo, è diventato
altro; hanno preso anche dei nomi diversi in quanto sono fatti in questa dimensione
assente. Il Teatro dell'Assenza parla di questo, la Musica dell'Assenza
parla di questo, i disegni del lavoro dell'Assenza parlano continuamente di
tutta questa rivoluzione. La parola rivoluzione è proprio la rotazione,
la rotazione totale, è il giro totale.
Aprirei la discussione.
Maurizio Gatti: Non credo di aver capito una cosa, Paolo. Nel
momento in cui io sono in relazione con un altro, l'altro esiste in quanto
io sono in relazione con lui. Quando io opero o riuscissi a fare il distacco
affettivo, lui come esiste poi in relazione con me? perché è
cambiato anche lui, perché è ruotato anche lui. Sono andato
un po' in confusione su questo. Non so se sono chiaro.
Paolo Ferrari: Ma, innanzitutto non mi sembra che sia esatto
il fatto che in quanto tu sei in relazione con l'altro, l'altro esiste nella
relazione: l'altro esiste, e poi viene posta la relazione. Perché la
posizione da cui sembri partito è il fatto che l'altro esista in quanto
tu ti poni in relazione, da come tu l'hai posto. Perché qui si apre
una discussione molto complessa: innanzitutto poniamo il fatto che l'altro
esiste non in quanto in relazione, perché non è che l'altro
esista perché tu poni la relazione, anche se l'altro in termini generali
come realtà, per esempio dal punto di vista della filosofia idealistica,
per esempio di Schelling o anche di certe posizioni idealistiche attuali,
è la realtà che esiste in quanto c'è un soggetto che
è capace di pensarla in quanto realtà; e questa è una
delle posizioni. Dal punto di vista dell'oggetto-realtà in generale,
questo può essere anche luogo di discussione, di possibilità
nel senso che, in quanto c'è questa entità, questa entità
che noi poniamo come differente, come altra, esiste in quanto esiste un certo
tipo di relazione che può porre questa entità come differente,
come altra. Se il nostro cervello non fosse in grado di pensare questa realtà
come altra o come differente, questa realtà non avrebbe in effetti
esistenza, e questa è la posizione idealistica, è la posizione
estrema del cosiddetto costruttivismo, e poi lo riprenderemo un momento da
un'altra parte.
Se noi invece la pensiamo in termini diciamo umani, questo lo dobbiamo
portare in termini comunque più interpretativi, più vicini alla
soggettività, nel senso che se un soggetto dice: "L'altro esiste perché
mi pongo in relazione", già da questo punto di vista di partenza l'altro
è stato in un certo senso un po' fregato, nel senso che lui poverino
non esisteva, sono arrivato io e questo qua esiste, quindi c'è già
un ego che si è posto e dice: "To', guarda, tu esisti perché
esisto io", e quindi quest'altro non è il riconoscimento dell'altro,
cioè l'altro è già scomparso, l'altro diventa esattamente
la proiezione di noi, cioè se l'altro esiste perché io esisto
l'altro è già una proiezione, cioè è il rispecchiamento
di quello che io voglio che sia, e non è l'altro. Perciò quando
noi parliamo in termini... è molta complicata la faccenda perché
quando parliamo in termini generali di realtà allora possiamo porre
tutti questi elementi di idealismo, di costruttivismo, eccetera. Quando parliamo
dal punto di vista della relazione affettiva soggettiva umana allora, siccome
ci sono anche tutte le questioni etiche - mentre per il riconoscimento della
realtà non c'è il problema etico così profondamente posto,
ma non solo etico ma anche quello psicologico, mentre nell'ambito del riconoscimento
della realtà l'elemento psicologico deve stare più zitto, c'è
l'elemento diciamo della logica, dell'elemento logico, dell'elemento conoscitivo,
dell'elemento cognitivo -, quando parliamo del soggetto col soggetto, allora
vedi che immediatamente la relazione non è posta, non è posta
in quanto il soggetto è diventato una proiezione, cioè l'altro
è l'immagine che io mi faccio dell'altro, posta in questo modo. Saltando
questo punto, andiamo ulteriormente un passo in avanti e mettiamo che l'altro
esista lo stesso per conto suo. Nel momento stesso che dici che si è
posta la rotazione, se Homo sapiens incontra Homo absctractus - diciamo in
questo modo, cioè che è stata posta tutta la rotazione -, in
effetti l'altro per forza di cose diventa Homo abstractus, cioè qui
è un paradosso nel senso che è il luogo dove io dico che questo
teatro è il luogo dell'altro, cioè nel momento stesso che io
pongo questo teatro, questo soggetto, questo africano, questi occhi, questi
vuoti, nel momento stesso che io incomincio a parlare con questo elemento
affettivo, astratto e vuoto, certamente io ho posto Homo abscrtactus, certamente
chi si pone in relazione con me, in questo momento deve ruotare se no non
capisce, ovvero la sua mente rimane ancorata a dei procedimenti troppo antiquati,
troppo fissi, allora per forza deve fare questa capriola. Ed è una
delle ragioni per cui, lavorando su questo piano, quello che si osserva di
solito è, per esempio in campo terapeutico, il fatto che tu vedi insomma
una persona che fa dei passi, raggiunge certi movimenti, diciamo non Homo
abstractus ma certe capacità affettive, relazionali diverse, quando
si incontra con le persone che sono rimaste con le loro strutture precedenti
ci sono degli scontri fortissimi nel senso che il sistema di uno ha incominciato
a ruotare, a muoversi in una direzione, a non proiettare, a non volere, a
non occuparsi, a non imporre la sua volontà, conscio inconscio, ha
cominciato a ritirarsi, mentre quell'altro o quegli altri manco per niente,
e per cui continua, aumenta quasi la volontà prevaricatrice, anche
se è silenziosa, nel senso di proiettare il più possibile sull'altro
la propria fissità perché non si accetta il fatto che l'altro
stia muovendo il suo processo per diventare anti-anti-sistema; ma questo è
un dato di fatto. Questo succede per esempio in maniera patologica nelle situazioni
schizofreniche: quando un soggetto schizofrenico nell'ambito familiare incomincia
a muoversi, siccome nella schizofrenia, oppure nei tipi di patologie gravi
dove un soggetto di solito è il punto focale in cui tutta la patologia
familiare o di una struttura sociale oppure anche di una fabbrica o dove ci
sono delle comunità il soggetto diventa spesso il luogo, può
diventare il luogo dove tutta la patologia si riversa, lui diventa il sintomo
di questo organismo e, diventato il sintomo di questo organismo, è
diventato, questo soggetto, il luogo che tiene in piedi tutto l'organismo
perché è sintomo, come in un corpo, cioé si forma un
sintomo, non so, la polmonite, piuttosto che diciamo anche un tumore, c'è
una modificazione sistemica, in un organismo c'è un sintomo che prende
tutto il sistema, così in un ambito diverso, di tipo familiare o di
tipo un po' più ampio, sociale, un soggetto diventa il sintomo, il
luogo dove tutti i sintomi silenziosi di questo ente sono fissati e allora
tutto il sistema ruota intorno a quello, e rigidamente esiste perché
esiste questo; se, poverino, questo tenta di sottrarsi, cioè di modificare,
cioè di far ruotare il suo sistema, soprattutto per andare verso l'astrazione
invece di essere un oggetto reificato - perché lo schizofrenico oppure
il malato nevrotico diventano degli oggetti di questo sistema -, se questo
tenta di diventare meno oggetto di questo sistema, succedono di quei casini
pazzeschi, nel senso che c'è proprio un tentativo di tutta la famiglia,
di tutto l'ente di proiettare il più possibile ancora perché
questo non si muova da lì, e quindi incomincia lo scontro e da questo
scontro si vede se questo soggetto potrà mai venire fuori da questa
situazione, ma non perché lui non possa venire fuori, ma perché
la società, la cultura, la famiglia ha detto che lui non si può
muovere perché se no tutta la famiglia deve muoversi. Io lo sto vedendo
in una mia paziente schizofrenica la quale sta muovendo una serie di cose
fortemente dentro di lei; vive in un laboratorio protetto che è dalle
parti dell'ex manicomio e tutta la struttura non può ammettere che
questo soggetto si possa muovere, perché comunque è un soggetto
schizofrenico, ma un soggetto molto vivo, anche molto incasinato, fa chiasso,
fa rumore, gli altri son più tranquilli, se ne stanno più silenziosi;
questo soggetto si sta muovendo e tutta la struttura, dagli psichiatri agli
psicologi agli infermieri agli operatori non possono sopportare che questo
si muova, e quindi questo soggetto viene continuamente in qualche modo colpito,
ma in maniera non lampante, perché la comunità, lo psichiatra
non può dire: "Ti dò una martellata in testa e qui ti mollo",
ma sono tutti meccanismi sottostanti di un equilibrio che si è mosso.
Siccome questo soggetto è un soggetto abbastanza, pur nella sua malattia,
potente nel senso che è vivo, in un certo senso, vibra, questo soggetto
sta prendendo delle strade e questa comunità non gliele lascia prendere;
quindi immaginiamoci nell'ambito familiare che cosa possa succedere, oppure
nell'ambito del rapporto a due, nel rapporto a tre; in tutti questi rapporti
l'altro è costretto a muoversi, comunque o quanto meno a riconoscere
che l'altro ha fatto un movimento, ma nel momento stesso che lo riconosce
non è più fisso, non è più al suo posto. Spero
di aver risposto.
Fabrizio Stangalini: Evoluzione e post-evoluzione sono due termini che hai usato più di una volta.
Paolo Ferrari: Sì.
Fabrizio Stangalini: A me è sembrato, volevo o una conferma o una smentita, che l'evoluzione sia stata caratterizzata dalla formalizzazione dell'oggetto e dalla costruzione dei rapporti fra soggetto ed oggetto e che la post-evoluzione sia il togliere l'oggetto dal terreno, dallo spazio in modo tale che i rapporti siano esclusivamente tra soggetti.
Paolo Ferrari: Sì, la post-evoluzione è ancora di più, cioè quello che tu stai dicendo è l'utopia della cultura di Homo sapiens. La cultura Homo sapiens dice all'uomo: "Non reificarti". Cioé tutta la cultura, tutto lo sviluppo culturale, proprio il fatto dello sviluppo, della scuola, del libro, delle associazioni, della politica, della scienza è un tentativo continuo della non reificazione, perché c'è questo pericolo, cioè credo che l'uomo senta il pericolo che nel momento stesso in cui vengono tolti questi elementi che sono un tentativo dell'astrazione rispetto alla reificazione, Homo sapiens tenda a regredire, cioè tenda comunque a regredire. Questo lo si vede nel momento stesso in cui un soggetto si chiude in sé stesso, lo vediamo in ogni patologia possibile al mondo, il soggetto che si chiude in se stesso incomincia a poco a poco a ritornare indietro e a diventare una cosa; per cui già nella cultura umana c'è questa idea della non reificazione. Nella post-evoluzione c'è un fatto in più, la non reificazione è un dato di fatto, cioè è giusto quello che dici ma è come se ci fosse un fatto in più: è quello che sto cercando di spiegare, ma non se ne ha l'esperienza. La post-evoluzione non c'è ancora e io la premetto, la faccio esistere, ma non c'è ancora. La post-evoluzione vuol dire che la cosa non può esistere, non esiste alcuna cosa, nel senso che la mente umana o il corpo umano non possono per loro natura nuova produrre oggetti mentali, produrre enti concreti, cioè che tutto questo spazio è uno spazio continuamente vuoto e che continuamente si svuota e che quindi per forza di cose non può avere... cioé il fatto per esempio di non essere una cosa non è una sua caratteristica perché è un dato ovvio; è come dire che Homo sapiens non può ruggire, ma perché è un fatto suo, cioè lui parla. Qui è come se in Homo abscractus si fosse formato proprio un altro livello che molto probabilmente è la comunicazione di tipo mentale, cioè è una comunicazione più ampia della parola, è una comunicazione che passa su altre linee, su altri livelli, che non è però la telepatia, è un altro livello che passa attraverso i sistemi complessi di cui parlava Susanna Verri, in cui il linguaggio, in cui le questioni sono già altre in quanto la cosa non esiste più. Cioé potremmo fare questa ipotesi inversa: nel momento stesso che si formasse una cosa in Homo sapiens, muore. Cioè è in contraddizione totale, come se Homo sapiens improvvisamente diventasse un lupo, ma quello, come Homo sapiens, è morto.
Fabrizio Stangalini: Io pensavo, oltre alla cosa, anche all'oggetto come anche rappresentazione, quindi la rappresentazione nel romanticismo è una continua rappresentazione di oggetti, il tentativo di sublimarli, ma in realtà sono sempre più oggetti; la scienza contemporanea, la definizione addirittura, almeno secondo me, di rapporti tra oggetti, quindi la post-evoluzione è la rottura di questa necessità di costruire forme mentali in cui esiste l'oggetto e il soggetto, o il soggetto e l'oggetto, quindi il pensare e l'agire, che sia cosa o che sia un altro; la post-evoluzione potrebbe essere togliere proprio l'oggetto, fra cui anche la reificazione, fra cui anche la cosa, le cose, ma l'oggetto anche come rapporto fra soggetti, o sbaglio?
Paolo Ferrari: Potrebbe. Vuoi dire tu, Susanna?
Susanna Verri: Mentre Fabrizio
parlava pensavo al teatro, al 'Teatro dell'Assenza' perché è
proprio un teatro in cui è in scena la post-evoluzione, nel senso che
il personaggio che si sta adesso a mano a mano delineando in questo teatro
è un personaggio che vive in sé e porta sulla scena l'uomo della
post-evoluzione. Questo personaggio ha rapporti con gli oggetti, particolari
però, quindi si muove in una scena, che è quella che abbiamo
visto, che non è una scena vuota di tutto, anzi è una scena
in cui sono presenti alcuni oggetti - e prima veniva illustrato il senso di
questi oggetti -, è una scena in cui egli ha portato e sono lì
tutte le cose che provengono dalla cultura precedente, più oggetti
nuovi: sono oggetti particolari perché non sono oggetti, sono per esempio
questi occhi, sono queste scatole-occhi, queste operazioni concettuali e ancora
di più simboliche, queste forme simboliche della nuova realtà,
in questo caso queste scatole occhi che erano la forma, anche, la scatola,
quindi la provenienza da ciò che è rimasto della cultura precedente:
il resto della cultura precedente diventa forma simbolica di un corpo nuovo
che è questo corpo astratto in Assenza che viene simbolizzato da questi
due occhi. E poi ci sono tutti questi vari oggetti che sono quelli della vita
anche quotidiana, di altre culture, della nostra o di altre, e questo personaggio
si muove su questa scena, parla, prende questi oggetti, si relaziona, e dunque
non potrei dire che l'oggetto è scomparso, però penserei che
c'è con l'oggetto una relazione di nuovo tipo che fa sì che
non ci sia né l'appropriazione dell'oggetto né la dipendenza
dall'oggetto, che ci sia una relazione molto più libera di quella che
è di consueto perché è un sistema di relazioni complesse
e quindi non ha una causalità diretta, non sono relazioni semplici,
sono relazioni in cui c'è comunque un altrove, c'è un punto
di svuotamento per cui l'oggetto sta nella relazione col soggetto, ma attraverso
una relazione complessa in cui quindi la relazione è svuotata, non
è duale, non è immediatamente l'oggetto-il soggetto e basta.
Paolo Ferrari: Sì, questo da un certo punto di vista
è vero. Ulteriormente, però, la caratteristica che è
difficilissima per me da spiegare è il fatto per esempio che io adesso
sto parlando, sto pensando, mi sto relazionando e tutto questo avviene in
uno spazio vuoto, completamente vuoto, cioè dentro di me io ho ricordo
di come si formava precedentemente l'attività pensante... se adesso
per esempio si formasse l'attività pensante come oggetto, quindi con
una struttura a margine e quindi con un non-vuoto... adesso a mano a mano
dovrò pensare sempre di più come le differenze... d'altra parte
mi è molto difficile riuscire a pensare e reificarmi e poi uscire dalla
reificazione, cioè è un'operazione molto strana, anche se d'altra
parte per poter concettualizzare in parte devo accettare questa reificazione,
ma la mente o il corpo essendo totalmente vuoti, in quanto vuoti, cioè
in quanto costantemente nella relazione con l'altro - e l'altro vuol dire
l'altro da sé -, significa che in ogni momento Homo abstractus, che
in questo momento rappresento, diciamo così, ha la relazione continuamente
per esempio con il nulla, la relazione costantemente con la morte, la relazione
costantemente con l'infinito, cioè di fronte a me non stanno gli oggetti:
io vedo gli oggetti di fronte a me, però questi oggetti sono totalmente
trasparenti, mentre nella visione normale questo oggetto è invece un
elemento che è opaco; io non ho oggetti opachi, non mi si formano nella
mente oggetti opachi. Però da questo punto di vista io non so che civiltà*,
che cultura possa formarsi perché molto probabilmente non si può
formare nessuna cultura, perché anche questi elementi della cultura,
dell'oggetto, della reificazione sono comunque provenienti dalla cultura di
Homo sapiens. E' allo stesso modo come... quello che faccio sempre presente,
che tra Homo sapiens e Homo absctractus c'è la differenza che c'è
tra uno scimpanzé e l'uomo. E' come pensare all'uomo come se Homo sapiens
riuscisse a pensare come uno scimpanzé e in continuazione potesse fare
il diverso passaggio per cui da una parte è orangutan, non sa parlare
e poi improvvisamente incomincia a parlare. Qui è come se fosse il
parlare oltre il parlare, il pensare oltre il pensare, il pensare non è
più pensare, è altro, e altro vuol dire questo che stiamo cercando
di spiegare, questo anti-anti-sistema. Cioè è come se fosse
sottratto tutto*
e perciò tutto è assente, ma non è negativo anzi c'è
questa sottrazione totale per cui il soggetto in un certo senso è estinto,
è morto, è finito, è estinta la realtà, tutti
questi elementi sono estinti, ciò nonostante c'è questa attività
- l'ho chiamata attività perché non so come chiamarla - che
supera questa condizione di estinzione. E' come se fosse, lo pongo sempre
come esempio, il bambino che va a quattro zampe e poi incomincia a camminare
a due zampe ma non può spiegare come ha abbandonato queste quattro
zampe, che cos'è questo luogo precedente perché non può
tornare indietro. Lo sforzo che stiamo facendo è quello di confrontare
continuamente le due cose, ma è come spiegare l'esistenza di un altro
sistema: il Sistema Assenza è un altro sistema, ovvero non è
neanche un sistema perché il sistema fa parte di Homo sapiens, e c'è
questo paradosso. Quello che dico d'altra parte è che vedo, per esempio
nel mio lavoro terapeutico, che a mano a mano si formano certi luoghi per
cui - come si diceva nella discussione precedente, di questo tipo di rotazione
- l'altro deve venire, per cui intuisce questo nulla positivo, questo 'non
essere' positivo, questo 'altrimenti' positivo, però nel momento stesso
che l'intuisce, l'intuisce perché è in questo accoppiamento,
in questa relazione con la situazione nuova che sto, che stiamo ponendo, ma
poi non ce la fa a pensarla perché è venuta meno la relazione
con questo tipo di accoppiamento. Non esiste ancora un processo per cui ci
sia questo altro accoppiamento, questo accoppiamento con il vuoto; incomincia
a esserci qua e là, nel lavoro quotidiano terapeutico questo lo trovo
in continuazione. E d'altra parte questo si osserverà a mano a mano
di più proprio in questo tipo di lavoro, nel senso che io faccio osservare
all'altro a mano a mano i vari passaggi che fa, dove questo nulla positivo,
questo vuoto, dove questo altro sistema si è formato e gli ha permesso
il fatto che il vecchio sistema, poniamo patologico, ammalato, ha potuto cambiare
di posizione. Ma lavoriamo sempre su questo paradosso, anche se invece questo
è un elemento carino: di questo stadio è come se io ne parlassi,
ne parlo normalmente, ma siamo in una situazione paradossale perché
io ne parlo ma devo uscire, devo andare in un altro sistema, andare sui margini
per poterne parlare, cioè devo uscire da me, cioè ogni volta
devo distaccarmi da me, ed è poi questa la condizione naturale del
sistema, anzi dell'antisistema.
Dottoressa Morandotti: Senta, nel discorso che ha fatto prima, dall'affettività poi è arrivato all'evoluzione, personalmente mi sono sentita sofferente; cioè la sofferenza è questo tragitto, con l'Assenza che abbiamo messo appunto tra noi, che ci sta, non ci sta; dove la mettiamo, se c'è?
Paolo Ferrari: Non ho capito. Se c'è, che cosa?
Dottoressa Morandotti: C'è una sofferenza in questo tragitto che lei ha formulato, insomma, tra l'affettività che ha iniziato dalla relazione della madre col bambino e l'evoluzione che prevede come modello ottimale che ci sia un distacco e quindi si formi questo spazio...
Paolo Ferrari: Già nella relazione normale ci dovrebbe
essere questo distacco, questo è implicito nella condizione umana.
Cioè nella condizione umana il fatto che la madre si distacchi dal
bambino, che il rapporto sia distaccato nel senso che la madre sia capace
di rimanere sé stessa e riconoscere il bambino come diverso da sé,
cioè ci sia il taglio del cordone ombelicale, ma anche psicologico,
questa è la condizione umana normale. Questo in un certo senso, se
vogliamo chiamarlo così, è anche sofferenza, ma è sofferenza
dal punto di vista dell'egoismo, dell'egocentrismo nel senso che invece la
madre, già nel momento stesso in cui mette al mondo il bambino, nel
momento stesso che il bambino esce dall'utero e va lungo il canale vaginale
ed esce, la madre comunque lo spinge fuori e lo lascia andare, e deve lasciarlo
andare; se lo trattiene il bambino sarà malato, tutta la vita sarà
sofferente perché sarà sofferente mentalmente, perché
non si sarà formata questa possibilità per lui dell'esistenza.
Per cui questo concetto di distacco esiste già, è già
implicito nella storia umana, nella nascita umana, se no l'uomo non potrebbe
nascere. Già nel riconoscimento dell'altro, nel momento stesso in cui
devo riconoscere l'altra persona, nel momento stesso in cui io debba riconoscere
l'altra persona come diversa da me, ho il distacco perché se no sull'altra
persona proietterò delle forme, dei miei desideri, invece di porre
l'altro realmente come diverso da me. Nel momento stesso in cui io debba riconoscere
la realtà, anche, come diversa da me, in questo momento c'è
il distacco perché la realtà, comunque, il mondo, in generale,
io devo vederlo diverso da me, se no fa da specchio, quindi non capirò
mai niente, non conoscerò mai niente, mentre la conoscenza implica
il fatto che l'altro, la realtà sia diversa. Quindi questo concetto
del distacco è già una rotazione, questo tipo di rotazione c'è
già nell'essere umano. Se noi questo vogliamo chiamarlo sofferenza
possiamo chiamarlo sofferenza, però io lo chiamo maturità, cioè
maturità umana. Quello che vedo è che quando la madre è
immatura verso il figlio, il figlio arriva da me ed è nevrotico o è
psicotico e quindi io devo curarlo, devo insegnargli quel distacco che non
ha ricevuto dalla madre, o dal padre; c'entra anche il padre, non solo la
madre; c'entra questo triangolo, che è poi il triangolo edipico che
si forma; ma io devo riuscire a porgli quel distacco che non ha ricevuto da
questo ambito familiare; ma questo distacco è distacco affettivo. Certamente
occorre, io dico, una maturità e la maturità implica della sofferenza,
questa probabilmente nell'essere umano... l'esistenza già di per sé
stessa implica una sofferenza, il fatto di esistere, cioè essere compiuti
nella propria esistenza, è una sofferenza, ma sofferenza che nel momento
stesso che produce questa compiutezza diventa invece l'estrema gioia dell'esistere,
però si deve compiere. Quello di cui sto parlando, questo tragitto
verso l'Assenza, è l'ulteriore distacco, quindi capacità di
lasciare andare, capacità di lasciare esistere l'altro e di riconoscerlo,
quindi è la mancanza di aggressività, per esempio, cosa che
nell'uomo rimane ancora per eredità animale; nel momento stesso in
cui l'uomo impara a lasciare andare l'aggressività incomincia a riconoscere
l'altro. Se l'uomo è aggressivo, deve prevaricare l'altro per cui deve
imporre le proprie idee, i propri indirizzi, la propria volontà; se
tutti questi elementi incominciano a venire meno, questo è già
un tragitto verso questo ulteriore livello di distacco che attraverso tutte
le varie formule o formulazioni che stiamo facendo è un ulteriore livello
di distacco, ulteriormente affettivo, in cui non c'è più questo
tentativo di Homo sapiens di tornare continuamente indietro alla regressione;
cioè la madre mette al mondo un bambino che è già distaccato,
in un certo senso. Una volta questo lo chiamavo 'cellula mentale', la capacità
di dare immediatamente la mente affettiva al figlio, ma a tutto questo non
ci sono ancora arrivato, cioè non lo so ancora come si possa formare
poi concretamente, però quello che io so è che di fatto quanto
più l'altro è riconosciuto... cioè il sistema umano è
ancora molto piccolo, nel senso che anche dal punto di vista delle emozioni,
delle sensazioni, degli affetti, noi riusciamo ad avere una prospettiva abbastanza
ristretta, nel senso che se un qualche cosa avviene fuori dagli schemi che
noi abbiamo, ma in generale dagli schemi - spazio tempo linguaggio - che ha
Homo sapiens, non riusciamo a riconoscerlo. E io l'ho chiamato 'Assenza' anche
perché significa che riusciamo ad andare oltre lo stadio schematico
o della struttura presente dell'uomo, per cui l'uomo diventa capace di conoscere
qualche cosa che fino adesso è stata troppo diversa da lui per poterla
riconoscere. Cioè come se il sistema complesso Homo sapiens
fosse ancora molto rudimentale tant'è che quando c'è stata la
scoperta dell'America l'indios, l'indiano, le popolazioni primitive non sono
state riconosciute per nulla, ma dovevano essere ricondotte a quello che l'uomo
rinascimentale doveva concepire perché quegli altri erano degli altri,
ma non sono stati riconosciuti come altri. Questa poi è la conquista
degli uomini: qualche volta, diciamo, l'altro, lo straniero viene riconosciuto
come entità, e non soffocato, non prevaricato. Questo per semplificare.
C'è questo problema di questo concepimento dell'altra persona, o dell'altro
in generale, che è una cosa molto importante. Poi qui il discorso diventa
lungo perché se la realtà viene riconosciuta realmente come
altra, ruota e diventa un'altra realtà. Comunque questo sarà
per la prossime volte.
Possiamo fermarci qui. Stasera non facciamo neanche la musica.
Susanna Verri: C'è stato il dibattito.
Paolo Ferrari: Andiamo oltre, cioè la musica o il video li
faremo quando... Il dibattito è più interessante adesso, diventa
più interessante che non fare, proporre questi altri linguaggi. Abbiamo
proposto il linguaggio del Teatro quindi, mi sembra, è più che
sufficiente.
Quando ci vediamo?
Susanna Verri: Il sedici gennaio.
Paolo Ferrari: Arrivederci a tutti.