19 dicembre 1996

II Seminario 'sui margini dell'Assenza' 1996-1997

La Post-evoluzione, ovvero il distacco complesso e assente
 

Paolo Ferrari: Stasera iniziamo con la presentazione di una scena, una scena di teatro. Questa scena di teatro è stata preparata per un lavoro che stiamo facendo che chiamiamo 'Teatro dell'Assenza' oppure 'Teatro della Post-evoluzione', come d'altra parte 'Post-evoluzione' è il titolo che abbiamo dato al Seminario di stasera:'La Post-evoluzione, ovvero il distacco assente e complesso'.
Questo teatro che contiene il concetto del distacco complesso e assente vuole mostrare, attraverso la messa in scena e la rappresentazione che viene privata della stessa rappresentazione in quanto è una comunicazione diretta, quello che è la sintesi dell'attività pensante relativa al nuovo livello di cui ci occupiamo, ovvero della Post- evoluzione. La Post-evoluzione è il luogo che ha relazioni con i margini della cosiddetta Assenza. L'Assenza è luogo dove noi riteniamo che possa mostrarsi, emergere una nuova condizione di Homo sapiens qualora esso sappia disporsi nel modo di recedere da alcuni elementi di eccesso della sua attività mentale, da alcuni elementi di deficit della sua attività mentale, da alcune condizioni anomale - per quello che Homo sapiens è nell'ambito evolutivo - dovute alla sua corporeità, alla sua sensorialità, alla percezione che esso ha del mondo.
In questo luogo del Teatro dell'Assenza sono stati posti alcuni elementi quali queste grandi scatole su cui sono stati disegnati due occhi che rappresentano gli occhi di una nuova dimensione corporale in cui gli occhi, ad esempio, non sono identici uno all'altro, ma ognuno percepisce in maniera a sé stante, differente la realtà con cui lo sguardo, la percezione, la sensazione fattasi assente si accoppia con la realtà e la costruisce da capo. Costruiamo in questo luogo il cosiddetto 'luogo capace di Assenza' in quanto è un luogo che è capace di venir meno, di non dover mostrare a tutti i costi la propria volontà di rappresentazione. In questo modo avrebbe potuto dirlo anche Schopenhauer, nei termini dell' eccesso della volontà dell'esistenza o della rappresentazione di sé che la mente umana e Homo, in generale, produce nelle sue varie fasi di relazione con una realtà. Diciamo che nella fase attuale moderna la realtà non è già data, la realtà viene costruita, la realtà viene a mano a mano costruita a seconda degli accoppiamenti che esistono dato un essere osservatore e un ente osservato; dato questo tipo di accoppiamento, si mostra, si fa emergere un nuovo livello o un livello che noi chiamiamo in generale realtà.
Questo luogo del Teatro dell'Assenza, della Post-evoluzione, è un luogo in cui noi vogliamo far emergere questi nuovi tipi di accoppiamento in una relazione immediata, diretta, non mediata, attraverso un linguaggio per forza concettuale come può essere quello di un Seminario, come quello di una lezione, o quello di uno scritto. Il teatro deve parlare direttamente attraverso questi linguaggi già fatti ovvero che nel momento stesso in cui essi si rappresentano, mostrano il loro essere al mondo. Di questo nel corso dei Seminari faremo vedere alcune registrazioni video.
Adesso quello che abbiamo voluto soltanto mostrare è questo luogo, questo luogo che nella sua costruzione ha alle spalle alcuni dipinti dell'Assenza, ha al suo interno gli occhi delle scatole in cui sono stati posti - come si diceva in una di queste rappresentazioni o meglio non-rappresentazioni o a-rappresentazioni - il compositore Messiaen, il compositore Stockhausen di cui io ho posto il cosiddetto Raddoppio che è quella composizione musicale specifica di questo nuovo livello di cui ci occupiamo.
Adesso, dopo questa breve presentazione, vorrei che fosse smontata qualche parte del teatro per poi poter continuare il Seminario.


[Vengono spostati alcuni quadri ed oggetti che componevano la scena del Teatro dell'Assenza, ad eccezione delle scatole-occhi, di alcuni piccoli strumenti musicali, di un leggio e di una campana]


Paolo Ferrari: Ora, abbiamo lasciato qualche segno di questo teatro non rappresentativo, anche se per forza di cose ha alcuni elementi della rappresentazione come questi brevi cenni, come questo signore africano che si è rotto già sulla scena e con cui abbiamo continuato poi il parlare, il dialogo; è servita la sua bellissima testa, scolpita molto bene (Paolo Ferrari la mostra ai presenti), che io ritengo quasi viva, come d'altra parte sono le sculture africane che contengono dentro lo spirito del villaggio, l'anima del villaggio. Questa testa è servita perché potessi dare linguaggio a ciò che io ritengo uno degli elementi fondanti di quella che è già in parte la capacità affettiva e mentale di Homo sapiens, e a quella che sarà nel futuro se esso riuscirà ad approcciare, a entrare nella relazione con una capacità di porsi a una distanza maggiore nonché affettiva, ugualmente affettiva: è una pièce che è stata chiamata 'La Testa, ovvero della distanza'. Lì dietro c'è un quadro dell'Assenza che indica, attraverso dei tratti veloci, la presenza di cinque umani, uno due tre quattro cinque: 'Il Dolore umano' l'ho intitolato; rappresenta, ovvero non rappresenta, mostra, si mostra - è molto difficile per un uomo occidentale non parlare della rappresentazione, dire che la cosa è essa, è sé stante - il dolore umano, è esso il dolore umano. Questo nasce dopo che avevo visto i corridoi di una USSL milanese dove c'erano le persone, soprattutto persone anziane, ad aspettare una visita, una visita medica, e ho voluto raccontare, o esso si è raccontato, questa attesa di questi uomini, di questi esseri, con il dolore posto qui in centro, e questo come se fosse l'anti-anti-dolore, quello che io chiamo la rotazione del dolore di cui poi Susanna Verri parlerà, [e parlerà] non tanto del dolore ma quanto di questo concetto di rotazione. Questo poi senza specchio non esiste più perché questo è la rappresentazione del... è il dizionario di filosofia che rappresenta la coscienza occidentale. E comunque qui in mezzo c'è un metronomo, è avvenuto il discorso sul tempo, il tempo che può essere vissuto in maniera molto diversa nel campo dell'Assenza, in un campo più astratto in cui la mente possa essere più astratta, il corpo possa astrarsi nel senso di non ingombrare la realtà come l'ha ingombrata fino adesso: e allora il discorso tra il tempo metronomico, il tempo sospeso, il tempo del nulla, inteso come tempo dell'Assenza di cui parleremo ampiamente: il tempo zero. E tutto questo non come discorso filosofico o soltanto come discorso scientifico, ma come la possibilità della messa in atto direttamente di queste nuove condizioni fenomeniche, di queste alterità, passando attraverso pure delle cognizioni scientifiche, metodologiche, di grande complessità di cui pare che il mondo occidentale abbia bisogno per disegnarsi, per rappresentarsi, per rappresentare la propria volontà di potenza, anche; e perciò attraversare tutti i campi della scienza, della filosofia per approdare a un metodo. Anche il teatro di cui stiamo parlando è una via al metodo, è una via alla possibilità della non rappresentazione ma della comunicazione diretta attraverso il veicolo concettuale in cui il concetto concepisce senza dover prendere, concepisce andando al di là della sua etimologia in cui c'è il tema del prendere, ma concepisce nel senso anche ulteriore di fecondare, di porre un'ulteriore matrice e probabilmente un'ulteriore capacità d'affetto.
Adesso lascerei a te la parola e poi la riprenderò.

Susanna Verri: Il discorso che penso di poter proporre questa sera toccherà il tema della complessità, di quello che se ne è inteso, per lo meno a grandi linee. Vorrei presentare alcuni concetti principali che sono passati sotto il nome di complessità nelle discipline scientifiche che negli ultimi venti o trent'anni si sono occupate di questo tema. Questo perché continuamente ricorre nella descrizione, nell'approccio al 'Sistema ai margini dell'Assenza' il termine di complessità, e quindi dovremo poi avvicinarci a cercare di comprendere che cosa questo termine significhi, ma nel sistema di cui noi ci occupiamo.
Per far questo è sicuramente opportuno avere qualche elemento di tutto quello che questo termine ha costituito nel campo scientifico precedente, e inoltre questo discorso ci servirà anche per ulteriormente esplorare, aprire l'area relazionale che si forma all'interno di ogni Seminario e che consente poi al Seminario di proseguire. Cioè, come probabilmente chi ci ha seguito negli altri anni ha notato e come si può vedere anche quest'anno, il Corso non segue un progredire tematico, cioè non ci sono temi successivi che vengono affrontati ad ogni Seminario. Si può dire in un certo senso anche che da un Seminario all'altro non ci sia un percorso o un tragitto, perché quello che noi dobbiamo fare non si pone su un ordine lineare in cui c'è un prima, un dopo, in cui ci siano da affrontare alcuni temi prima di altri: quello di cui trattiamo invece implica l'apertura di quel campo relazionale di cui dicevo prima e l'avvicinamento a quello che è un sistema, che noi abbiamo cominciato a definire come 'Sistema ai margini dell' Assenza', che implica tutto quel campo conoscitivo ed esperienziale di cui dicevo altre volte, cioè implica l'accostamento a un sistema che è realmente un sistema totalmente nuovo, quindi non ha un approccio solo concettuale, e sicuramente non ha un approccio tematico progressivo, anche se poi dovendo aprire un discorso utilizzo naturalmente anche dei concetti, utilizzo anche degli argomenti come farò questa sera col tema della complessità.
Il tema della complessità ci permetterà anche poi di accostare meglio quelli che sono gli elementi topici, specifici del campo dell'Assenza e più di tutto permetterà anche poi di avvicinarsi al tema dell'anti-anti, come accennava prima il dottor Ferrari nel suo discorso, che è forse uno dei temi più ardui da un certo punto di vista, e anche tuttavia semplice: lo vorrei mostrare in questo mio discorso perché è in un certo senso la sintesi di quello che può essere l'approccio a un sistema che è completamente diverso pur essendo presente nella realtà quotidiana, e cioè 'anti-anti' intende [significare] non semplicemente quello che comunemente noi consideriamo l'anti di un qualche cosa, cioè per esempio la semplice immagine allo specchio, ma implica una rotazione a 360 ° e dunque la rotazione a 360° di un sistema è un qualche cosa per cui questo sistema ruota su sé stesso, alla fine della rotazione non è identico a prima che questa rotazione fosse avvenuta perché questa rotazione è avvenuta, e d'altro canto questa rotazione non è evidente però ha prodotto questo movimento, e questo movimento di rotazione fa sì che ciò che c'è dopo sia differente da quello che c'era prima quando questa rotazione non era avvenuta, e però questo mutamento non è visibile, non è evidente. Semplificando, forse potrei dire che è assente, cioè è sottratto all'evidenza.
Vi dicevo, questo è un tema che io penso poi il dottor Ferrari riprenderà anche, o altre volte, perché è un tema veramente complesso in tutti i sensi, che però io cercavo adesso col mio discorso di cominciare a rendere intuibile, per lo meno in una prima relazione, perché questo, vi dicevo, è un campo relazionale e quindi è un campo in cui la comprensione si produce anche con relazioni successive di apprendimento che implica anche diversi gradi di comprensione o diverse modalità di comprensione in cui può essere anche significativo che certi temi inizino ad essere posti, e quindi possano iniziare ad essere disposti in un campo conoscitivo che poi dovrà essere ulteriormente specificato.
Il tema della complessità, dicevo prima, ha occupato l'ultimo trentennio, per lo meno, dello sviluppo scientifico a partire dalla crisi del paradigma riduzionistico che c'è stata intorno agli anni '60, per cui si sono incominciati ad abbandonare i criteri di ordine, semplicità, regolarità per studiare la realtà e per descriverla in termini scientifici attraverso leggi semplici e universali che contenessero il numero maggiore di fenomeni, perché si è cominciato a pensare, in base ad alcune scoperte che erano avvenute in quel periodo, che i fenomeni fossero meglio descrivibili attraverso leggi che potessero tenere conto anche di criteri che includessero al loro interno la possibilità del disordine, la possibilità della complessità, la possibilità in altri termini di elementi che non potevano essere riconducibili a quelle leggi riduzioniste che erano state utilizzate nel periodo precedente. In altri termini, un modo di approcciare, di osservare la realtà cambiava e richiedeva che venissero costruite altre leggi per osservarla e altri modelli per poterla comprendere. In quello stesso periodo, per esempio, si andava scoprendo con il caos deterministico un nuovo modo di leggere anche tutti i fenomeni naturali, la diversa prevedibilità, la minor prevedibilità di tutti i fenomeni della natura e ci si volgeva quindi anche ai temi della complessità che cominciavano a raccogliere, nella collettività scientifica, gruppi multidisciplinari di scienziati. Gli organismi biologici quindi incominciarono ad essere studiati come fenomeni complessi.
Come prima definizione di un sistema complesso si può partire dal considerare un sistema che sia composto da più elementi differenti, indipendenti tra di loro; questa è una definizione base, diciamo, che permette poi di estendere il discorso a seconda anche di come le diverse scuole scientifiche hanno approcciato il tema. Allora, ci sono state due principali impostazioni, una corrente che ha cercato di definire le caratteristiche che dovevano avere i sistemi complessi, e una corrente invece che ha cercato di definire in altro modo, opposto, la complessità considerandola come l'informazione mancante, cioè considerando come complesso tutto ciò che non era comprensibile, tutto ciò che mancava per la comprensione del funzionamento e della struttura del sistema, cercando anche di dare una quantizzazione a questo termine di complessità attraverso una formula matematica e sviluppando poi anche diversi altri concetti che poi vedremo più avanti. In sintesi, la prima tendenza, cioè quella di definire un sistema e in particolare un sistema biologico leggendone la struttura attraverso il concetto di complessità, ha portato a osservare e a definire alcune caratteristiche di sistemi complessi, caratteristiche che appunto in questo mio discorso volevo incominciare ad accennare perchè ci serviranno ad avere un'idea poi di certe modalità con cui ci troviamo a relazionarci nell'ambito del sistema costruito ai margini dell'Assenza.
Una prima osservazione sulle caratteristiche dei sistemi complessi è la loro struttura che si dice essere autoreferenziale, cioè organizzata in livelli gerarchici successivi ciascuno non riconducibile all'altro, in una struttura in cui questi livelli gerarchici successivi sono interrotti da anelli ricorsivi, cioè da anelli causali - si chiamano così, quindi perdonatemi la difficoltà magari apparente di questi termini che però secondo me è interessante che comincino a entrare anche nell'uso, nell'orecchio. E allora, dicevo, questi anelli ricorsivi sono degli anelli che collegano un anello con l'altro per cui c'è un ricircolo di ciò che esce da un livello superiore e rientra in un livello inferiore del sistema. Un esempio di anello ricorsivo semplice è il feedback che è la struttura di autocontrollo e di autoregolazione che nell'organismo umano per esempio studiamo e conosciamo correntemente in quanto tutti i meccanismi di feedback sono appunto quei meccanismi che si dicono causali, circolari semplici, perché tra un'entrata e un'uscita nel sistema c'è un collegamento circolare in quanto ciò che entra è legato a ciò che esce, ciò che esce è legato a ciò che entra in modo che la differenza tra i due sia mantenuta il più possibile vicina allo zero; e questo fa sì che il meccanismo sia un meccanismo di controllo che mantiene stabile il sistema e che è stato per esempio coinvolto nella regolazione nell'emissione in circolo degli ormoni o nei processi di respirazione, cioè in tutta una serie di sistemi di regolazione del nostro organismo.
La differenza tra un sistema così costruito di autoregolazione e un sistema autoreferenziale, cioè quello che ci interessa nel sistema complesso, è che l'entrata e l'uscita non sono prevedibili, cioé l'uscita non è prevedibile perché cambia, e cambia perché il sistema è dotato di caratteristiche sue particolari per cui l'uscita non è prevedibile e quindi noi siamo di fronte a quella che è stata chiamata in cibernetica 'macchina non banale', per cui ci sono tutti questi meccanismi causali di connessione però, data l'entrata, non si conosce l'uscita del sistema perché non è prevedibile, perché non è programmata, perché dipende dalla caratteristica stessa del sistema e non solo ma, variando ogni volta l'uscita, varia anche l'entrata e quindi in questo circolo così costituito, che è quello specifico dei sistemi complessi, si produce ogni volta un nuovo senso e un nuovo significato ad ogni passaggio, e quindi ognuna di queste componenti è significativa e portatrice di senso e di significato. Tutto questo complesso sistema quindi di questi anelli gerarchici successivi legati da questi circoli di causalità che legano l'entrata con l'uscita in questo modo, vi dicevo, fa sì che il sistema complesso sia autoreferenziale e questo gli consente di essere anche autorganizzantesi, cioè di autorganizzarsi, il che vuol dire di produrre, di avere una caratteristica tale per cui le premesse e i risultati dei suoi processi di organizzazione sono interrelati, cioè contemporaneamente ciò che è la premessa è anche il risultato di questo processo di autorganizzazione il cui esempio è tutto il funzionamento del DNA nell'uomo per la sintesi delle proteine, in cui quindi il DNA serve per codificare la sintesi delle proteine, ma questa avviene con la presenza delle proteine stesse. Questa caratteristica della capacità di autorganizzazione del sistema condiziona anche il sistema a una particolare modalità di relazione con l'esterno perché il sistema che si trovi ad essere autoreferenziale e autorganizzantesi, quando si rapporta con la realtà esterna ha un particolare tipo di rapporto con essa, cioè si pone in una situazione che viene definita di 'accoppiamento operazionale chiuso'; chiuso non significa che non è in relazione, significa che è assolutamente in relazione perché anzi, come vedremo dopo, ha bisogno per la sua sussistenza di questa relazione, però in questa relazione non mette in discussione la sua struttura interna; vale a dire che siccome questo sistema autoreferenziale e autorganizzantesi è costruito in modo da affrontare la realtà esterna ma anche in modo da mantenere le sue caratteristiche intrinseche, si relaziona dunque con la realtà esterna ma in modo che questa relazione non vada a modificare le sue caratteristiche intrinseche; e questo è l'aspetto che viene definito di 'accoppiamento operazionale chiuso'. Per inciso, alcune scuole che si sono occupate dello studio della complessità hanno invece poi sostenuto che il rapporto con l'esterno, e anzi la perturbazione di tutto questo sistema di equilibri che vi ho descritto, sia fondamentale per la crescita del sistema complesso e quindi, mentre alcune scuole vedono lo scopo fondamentale del sistema complesso nel mantenere il suo sistema operazionale chiuso e quindi nel relazionarsi senza essere modificato nella sua struttura interna, altre scuole hanno invece letto la funzione perturbatrice esterna, cioè il rumore che tende a interferire con il funzionamento del sistema, come uno degli elementi fondamentali per la sua crescita in quanto rompe sì l'organizzazione, ma rompendo questa organizzazione produce la possibilità di una differente e nuova riorganizzazione su un altro livello presumibilmente più complesso, purché ci sia la possibilità di osservarlo a un livello più complesso, e allora in questa seconda interpretazione l'elemento esterno di perturbazione diventa un elemento di crescita per il sistema, diventa un elemento, viene detto, creativo perché consente lo sviluppo di un sistema maggiormente complesso.
Io potrei dire anche una serie di altre cose però penso che potrei fermarmi su questa digressione sui sistemi complessi perché la cosa interessante è sempre poi tener presente il discorso nostro, dove dobbiamo arrivare e dove ci stiamo muovendo, e quindi tutto questo, come vi dicevo prima, questa escursione, diciamo, incursione nell'ambito della complessità m'interessava per porre, per darvi un'idea di tutto quello che implica e presuppone anche il superamento di alcuni di questi termini, ma comunque quando qui noi parliamo di complessità assente, quando parliamo di accoppiamento congruo con la realtà, col sistema di realtà, come dicevamo la volta scorsa, abbiamo comunque alle spalle tutto un lavoro e tutto un pensiero che è stato fatto che ha delineato questi termini con le modalità a cui vi ho rapidamente accennato. Poi noi da questo procediamo a specificare nel nostro sistema tutti questi discorsi, quindi non necessariamente teniamo valide tutte queste caratteristiche. Queste caratteristiche però - io vi parlavo prima di sistema anti-anti - sono come quelle che andranno poi in qualche modo raddoppiate nel sistema complesso di cui parliamo noi per costruire o per esplorare l'ambito di cui ci stiamo occupando. E quindi per ora mi fermerei a questo punto.


Paolo Ferrari: Riprendere questa dotta introduzione ai sistemi complessi, molto chiara, non è semplice, e introdurla in un sistema, diciamo, più... in cui... Questo è il metodo scientifico affettivo, perché la comunicazione è affettiva. Adesso l'operazione che io vorrei fare su questo tipo di comunicazione, su questo tipo di testo è di accorciare la distanza e nello stesso tempo portarla in un luogo all'infinito. Cioè il sistema complesso è un sistema che si occupa, diciamo, grosso modo, degli organismi biologici, in particolare degli organismi biologici i quali si sono messi a un certo punto a pensare. Ma circa realmente la complessità delle attività mentali non è che fino adesso si siano raggiunti grandissimi risultati, anche se questi sistemi complessi ci dicono una serie di modalità di organizzazione di come la mente potrebbe essere un modello, un modello attraverso cui la mente potrebbe essere raccolta - e infatti da questo sono nate poi le macchine cibernetiche, i computers.
Quello che a noi interessa è il fatto che questo termine 'complessità' è un termine ampio, ha un certo tipo di respiro, però comunque non deve essere mai confuso con complicazione, cioè nel linguaggio comune si dice complessità, però questa è la complessità scientifica
* , che ha al suo interno le varie definizioni, tipi di applicazioni, tipi di relazioni. Questa complessità, noi diciamo, è la complessità... a noi serve la complessità assente. Cioè questo tipo di complessità nel linguaggio scientifico ha i circoli ricorsivi, è un sistema autoreferenziale cioè capace di autorganizzarsi, eccetera; ma io prendo questo termine, prendo anzi questo oggetto costruito dalla mente umana: è un oggetto mentale, questo della complessità è un oggetto mentale; la mente umana costruisce oggetti mentali; ogni volta che noi ci mettiamo a pensare, ci mettiamo comunque a costruire un oggetto; quando pensiamo a un concetto, a un certo elemento, a un certo evento, costruiamo un oggetto che può essere dell'immaginazione, può essere anche una parola, ma è comunque un oggetto, ha una sua entità, una sua definizione, ha un suo luogo che occupa nella mente, nel corpo di chi pensa. E' un luogo astratto ovviamente però è un luogo. La complessità è uno di questi luoghi. Questa complessità, mentre veniva spiegata, entrava in chi volesse assumerla nella mente, entrava e occupava un posto. Susanna Verri era brava perché era capace anche di far sì che questo posto non fosse totalmente occupato mentre di solito il metodo scientifico produce una serie di concetti, questi concetti vanno e occupano la mente, occupano la struttura di chi riceve questi elementi. Allora già nell'esplicazione di questo concetto c'era un elemento di sottrazione, cioè nei termini di complessità, nei termini del concetto di autorganizzazione, nel concetto di autoreferenzialità, in tutti questi tipi di concetti era sottratto qualcosa, ma non sottratto al fatto che la complessità non potesse essere totalmente presente, anzi la complessità era ulteriormente presente, ma non aveva quella modalità che io chiamo modalità di essere una cosa, cioè di essere in eccesso oggetto: il fatto di essere oggetto, cioè di essere cosa, cioè di essere res e cioè di reificare veniva sottratto.
Voglio semplificare: ogni volta che noi pensiamo a una qualsiasi cosa, all'albero, al concetto di albero, al concetto di uomo, pavimento, quadro, ogni volta che noi facciamo questo tipo di operazione la nostra mente viene occupata da questo. Se questo elemento che è questa cosa - anche un concetto è una cosa - viene pensato, può essere pensato in un modo per esempio più affettivo - e qui entra l'altro elemento che è l'affettività, l'affetto
*-, allora questo oggetto è meno oggetto: può essere un oggetto - lo potremmo disegnare in questo modo - in cui è stato sottratto questo elemento, per cui questo è diventato meno oggetto, è diventato in qualche modo un pochettino diverso, differente da come era partito. Questo lo si vede bene se un libro di scienza, un libro di metodo, un libro di filosofia o la comunicazione di questi elementi sono fatti da un soggetto, da uno scritto i quali contengono una capacità di relazionarsi ovvero non hanno capacità di relazione. La scienza in generale se ne frega delle capacità di relazione, noi invece ci occupiamo degli elementi della relazione, i sistemi complessi si occupano dei problemi di relazione, dei temi della relazione. Allora stiamo cercando di costruire anche, in mezzo a tutte le varie questioni di cui ci occupiamo, anche una scienza affettiva; ma 'affettiva' non vuol dire l'affetto verso il micio, il gatto, il bambino; l'affetto di cui noi ci occupiamo è anche questo un affetto assente*, cioè è un affetto che è meno oggetto di quello a cui in generale gli uomini sono abituati cioè un affetto di solito immaturo: la specie umana di solito ha una capacità affettiva immatura, non è capace di voler bene. Il sistema complesso, che è fatto dal soggetto biologico, capace di pensare, capace quindi di relazionarsi, non è capace di affetto sufficientemente assente, cioè non è capace di un affetto tale per cui l'altro, che è l'ente su cui il soggetto sposta la propria energia affettiva, venga riconosciuto in quanto tale, in quanto esistente, in quanto altro. Nella storia dell'uomo, del bambino, per esempio, ci sono le varie fasi in cui il bambino impara a poco a poco - dovrebbe imparare - a staccarsi - come ormai dico da millenni, a ogni Seminario, si può dire - dalla madre, e la madre non è capace di staccarsi dal bambino in modo che ci sia un affetto reciproco con in mezzo uno stacco tale per cui il sistema si faccia complesso - cioè c'è la madre*, c'è il bambino, c'è anche il padre - e questa relazione madre-bambino diventi una relazione tale da porre il fatto che qui in mezzo possa costruirsi un alcunché, che è la separazione tra madre e bambino, in cui possa essere poi disposta quella che noi abbiamo chiamato la mente.
Cioè nelle varie discipline scientifiche di studio del bambino, incominciando dalla Klein e andando avanti a Bion e a tutta la scuola inglese, in particolare, e poi la scuola francese, si dice in poche parole che la separazione mancata tra madre e bambino, separazione affettiva mancata, impedisce al bambino di formare quelle capacità mentali, affettive che sono indispensabili perché egli o esso maturi. Ma anche questo è un sistema complesso perché non è che la madre possa lasciare il bambino e dire: "Sì, sì, tu vai per il mondo", perché il bambino non ne è capace; e così nella relazione affettiva esistono sempre due soggetti, c'è un soggetto verso un altro soggetto, oppure il soggetto anche verso l'oggetto, come abbiamo visto, verso l'oggetto mentale. Questa relazione è molto difficile da produrre in modo tale per cui questa relazione non occupi e cioè la relazione affettiva abbia quella giusta distanza tale per cui un uomo possa essere capace di volere bene a una donna, un uomo a un altro uomo, gli esseri umani possano relazionarsi in maniera matura, perché questa distanza tra un uomo e l'oggetto mentale, tra l' uomo e l'altro essere di solito è occupata, è occupata da quello che noi abbiamo chiamato il mondo inconscio, il quale mondo inconscio non vuole per niente separarsi da quell'altro, non vuole avere un minimo di separazione, oppure il mondo inconscio è quello che vuole dire: "Io uomo
*, io ego me ne sto da una parte, tutti quegli altri se ne stanno da un'altra parte, a me non importa nulla", anche se faccio finta di occuparmi di tutti quanti gli altri; ma questa qui non è una relazione affettiva, non è la posizione del distacco complesso e assente. La posizione del distacco complesso e assente è l'ulteriore passo rispetto a questo: il distacco è quando il soggetto è diventato talmente maturo per cui l'altro esiste realmente, ma esiste al punto tale per cui l'io del soggetto percipiente, del soggetto agente, del soggetto affettivo ha imparato quasi a sottrarsi, pur rimanendo totalmente presente. Questo lo si prova anche nella vita di tutti i giorni, cioè nel soggetto che è capace di relazionarsi con un altro soggetto oppure con la realtà esterna avendo la giusta distanza, ma senza scappare da una parte o scappare da un'altra, ma stando nella posizione giusta, questa relazione si compie e si compie facendo quasi un ponte fra sé e la realtà: la realtà sta lì, il soggetto sta qua, ma c'è quella forma di giusto accoppiamento di cui Susanna Verri parlava, l'accoppiamento complesso in cui noi aggiungiamo la parola 'assente', la parola 'assente' che è la parola ulteriore. Cioè questo dice che i sistemi relazionali umani, i sistemi relazionali affettivi, ma anche quelli intellettuali, anche quelli logici, quelli scientifici, quelli filosofici, per essere posti occorre che abbiano, come abbiamo detto, il giusto distacco, la giusta distanza, l'essere capaci di venire meno - cioè non essere oggetti mentali e basta - di produrre quello spazio vuoto tra il soggetto e l'altro, la solitudine in un certo senso dei soggetti, la solitudine profonda del soggetto, che non è autismo, che non è chiusura, ma che è capacità di relazione integra, intera fra un soggetto e l'altro oggetto o soggetto. Poniamo ulteriormente questo elemento che noi abbiamo chiamato Assenza.
Assenza, che cosa vuol dire? Nel vocabolario italiano vuol dire un alcunché che non c'è, un alcunché che si è allontanato, che è venuto meno
*. Io ho inventato questo nome nel senso che l'ho accoppiato a questa scienza di cui mi occupo, che è la scienza dell'Assenza, di questo luogo speciale di cui ho iniziato a parlare presentando il Teatro dell'Assenza. Cosa significa? Perché l'ho chiamato Assenza? Perché questo luogo di cui mi occupo è un luogo che è ulteriormente distante rispetto al luogo in cui normalmente la mente umana, l'affettività umana operano. Cioè è come se un alcunché si fosse ulteriormente spostato e avesse fatto venire meno ciò che è l'oggetto del mondo, l'oggetto-cosa del mondo, l'oggetto mentale, il concetto-oggetto-cosa. In altre parole, se da un lato la tendenza umana in parte si è evoluta nella storia, da un'altra parte c'è continuamente la tendenza alla regressione, alla dissociazione, alla non affettività, alla cosiddetta reificazione. Cioè Homo sapiens ha dentro di sé una brutta bestia che è l'inconscio; l'inconscio tende a far sì che il soggetto tenda comunque a sottrarsi dagli elementi più astratti, e fra gli elementi più astratti c'è il cosiddetto affetto di cui parlavo prima. A voi sembrerà strano il fatto che l'affetto possa essere una cosa astratta, ma l'affetto maturo è una cosa astratta nel senso che l'affetto maturo, come ripeto, è il fatto che un soggetto è capace di riconoscere l'altro, cioè è capace di far esistere realmente l'altro che è diverso da sé, e quindi la differenza. Un soggetto che sappia cogliere e produrre continuamente la differenza è un soggetto che io dico che è astratto nel senso che è un soggetto che ha imparato a non dover continuamente occuparsi della propria corporeità, della propria fisicità, della propria incolumità per poter riconoscere l'altro. Se voi pensate bene, l'altro è anche la morte, la morte è uno degli aspetti più altri o dell'alterità di cui uomo possa mai pensare, l'altro in assoluto è l'ignoto, l'altro è l'assenza totale, l'assenza totale è il fatto che il cervello a un certo punto incomincia a tacere, nel momento stesso in cui il cervello incomincia a tacere c'è quello che noi chiamiamo il processo della morte, e questa è l'alterità.
L'uomo, Homo sapiens, non è capace di accettare di vivere questa sua alterità ovvero, quindi, non è capace di vivere la sua assenza, l'assenza di sé. Una delle cose più difficili in Homo sapiens per esempio è il fatto di uscire dalla sua fase narcisistica, del bambino che esce da sé, che esce dalla sua fase narcisistica, si stacca dalla madre e va verso il mondo, e che in un certo senso esce da sé, che impara a staccarsi da sé. Lo staccarsi da sé è già una fase di assenza, lo staccarsi dalla madre vuol dire:"Mamma, stai al tuo posto, io sto di qua", ed è un elemento d'assenza, qui in mezzo tra la madre e il figlio c'è una separazione, separazione vuol dire assenza, non è piena ma c'è un vuoto, c'è un buco, un buco ha dentro la parola 'assenza', assenza significa, vien dal latino 'ab esse' e cioè 'essente lontano', 'essente da', cioè nel senso che c'è
* - quello che dicevo prima - un buco, c'è un vuoto, ma questo vuoto è talmente pregno, talmente potente che in questo vuoto c'è la mente: la mente umana è questo vuoto che è questo luogo dell'assenza. Dicevo, però: "Che cosa succede in Homo sapiens?" Che questa assenza viene continuamente riempita; c'è l'inconscio che incomincia con le pulsioni primarie, i desideri, la sessualità immatura, l'affetto immaturo che tendono a occupare questo luogo della mente; il delirio - è nella mente umana in generale continuamente sottostante - io lo scopro a mano a mano sempre nei miei pazienti, anche nei pazienti che possono sembrare anche più sani apparentemente in certe fasi; ci sono delle voci sottostanti, dei rumori sottostanti del cervello, cioé c'è il fatto che questa mente vuole continuamente delirare, vuole inventarsi una realtà, inventarsi un mondo. Allora un ulteriore luogo rispetto a questo tentativo di inventarsi il mondo sarebbe che la mente umana imparasse a tacere e a diventare più assente, ma nel tacere la mente umana non è che diventa assente perché diventa scema - scema vuol dire anche scemare -, non è che diventi deficiente, ma arriva a un punto tale per cui la mente è talmente cosciente di sé che fa quella rotazione di cui parlava Susanna Verri prima, gira totalmente su sé stessa, la complessità della mente diventa talmente ampia che può ruotare e cioè, invece di essere questo sistema che è tutto organizzato, fatto in questo modo, diventa un anti-anti-sistema, cioè diventa un sistema altro, differente da sé, la mente umana diventa differente da sé, il corpo umano, che è mediato da questa mente o che è inventato da questa mente, diventa altro da sé, la mente e il corpo umani diventano un altro da sé, cioè entrano in questo luogo, in questa nuova zona che abbiamo chiamato Assenza. Assenza, perché? perché la mente si è dimenticata di essere mente, il corpo si è dimenticato di essere mente, ed è quello che è poi l'esperienza quotidiana normale, e cioè che quando ogni persona per esempio ha assunto abbastanza di sé - la corporeità, la mente - sente che tutto quanto fa silenzio, non ha bisogno di sentire che ha un pezzo di piede, una gamba, un pezzo di sesso, un pezzo di testa perché quando le sente vuol dire che ci sono delle frammentazioni; quando le cose incominciano a far silenzio allora l'affettività, la razionalità, il linguaggio, l'intelletto incominciano a funzionare. Questo silenzio che è già nella norma - si dovrebbe trovare nella norma -, in un passo successivo diventa il silenzio dell'Assenza: quando la mente ha accettato la sua alterità, il suo essere diversa da sé, e quindi ha accettato il suo non essere ed è entrata nella dimensione di questo suo non essere, ma senza diventare deficiente, e perciò ha prodotto un accoppiamento con la realtà, un ulteriore livello di realtà la quale è diventata meno cosa, meno oggetto, meno elemento rozzo, meno ruvido, lo spazio è diventato altro, anche questo è ruotato, il tempo anch'esso è ruotato, sono diventati completamente altri rispetto a quelli che erano prima, allora noi siamo entrati nel campo dell'Assenza, di questo nuovo livello di nulla astratto, di capacità pensante; la chiamo pensante perché è capacità assente nuova, che abbiamo chiamato il luogo complesso del distacco assente, ovvero il luogo dell'Assenza.
Questo, secondo noi, è la posizione della post-evoluzione, cioè questo discorso porta il fatto che Homo sapiens diventerà Homo absctractus, sempre che possa imparare a distaccarsi dalla propria corporeità, dalla propria mente, che sappia essere individuo affettivo in questo distacco. Il distacco, ripeto, non vuol dire scappare, vuol dire stare lì e contemporaneamente distaccarsi, in una dimensione affettiva, e perciò accogliersi nel momento stesso in cui ci si distacca, accogliere l'alterità, il che significa accogliere persino la morte che è il massimo livello di distacco. Questa dimensione è la dimensione dell'Assenza
* e porta alla post-evoluzione. La post-evoluzione è la condizione in cui la mente ha cessato di essere mente, bensì ha ruotato, è diventata altra, in cui il corpo ha cessato di essere corpo, è diventato altro; hanno preso anche dei nomi diversi in quanto sono fatti in questa dimensione assente. Il Teatro dell'Assenza parla di questo, la Musica dell'Assenza parla di questo, i disegni del lavoro dell'Assenza parlano continuamente di tutta questa rivoluzione. La parola rivoluzione è proprio la rotazione, la rotazione totale, è il giro totale.
Aprirei la discussione.


Maurizio Gatti: Non credo di aver capito una cosa, Paolo. Nel momento in cui io sono in relazione con un altro, l'altro esiste in quanto io sono in relazione con lui. Quando io opero o riuscissi a fare il distacco affettivo, lui come esiste poi in relazione con me? perché è cambiato anche lui, perché è ruotato anche lui. Sono andato un po' in confusione su questo. Non so se sono chiaro.

Paolo Ferrari: Ma, innanzitutto non mi sembra che sia esatto il fatto che in quanto tu sei in relazione con l'altro, l'altro esiste nella relazione: l'altro esiste, e poi viene posta la relazione. Perché la posizione da cui sembri partito è il fatto che l'altro esista in quanto tu ti poni in relazione, da come tu l'hai posto. Perché qui si apre una discussione molto complessa: innanzitutto poniamo il fatto che l'altro esiste non in quanto in relazione, perché non è che l'altro esista perché tu poni la relazione, anche se l'altro in termini generali come realtà, per esempio dal punto di vista della filosofia idealistica, per esempio di Schelling o anche di certe posizioni idealistiche attuali, è la realtà che esiste in quanto c'è un soggetto che è capace di pensarla in quanto realtà; e questa è una delle posizioni. Dal punto di vista dell'oggetto-realtà in generale, questo può essere anche luogo di discussione, di possibilità nel senso che, in quanto c'è questa entità, questa entità che noi poniamo come differente, come altra, esiste in quanto esiste un certo tipo di relazione che può porre questa entità come differente, come altra. Se il nostro cervello non fosse in grado di pensare questa realtà come altra o come differente, questa realtà non avrebbe in effetti esistenza, e questa è la posizione idealistica, è la posizione estrema del cosiddetto costruttivismo, e poi lo riprenderemo un momento da un'altra parte.
Se noi invece la pensiamo in termini diciamo umani, questo lo dobbiamo portare in termini comunque più interpretativi, più vicini alla soggettività, nel senso che se un soggetto dice: "L'altro esiste perché mi pongo in relazione", già da questo punto di vista di partenza l'altro è stato in un certo senso un po' fregato, nel senso che lui poverino non esisteva, sono arrivato io e questo qua esiste, quindi c'è già un ego che si è posto e dice: "To', guarda, tu esisti perché esisto io", e quindi quest'altro non è il riconoscimento dell'altro, cioè l'altro è già scomparso, l'altro diventa esattamente la proiezione di noi, cioè se l'altro esiste perché io esisto l'altro è già una proiezione, cioè è il rispecchiamento di quello che io voglio che sia, e non è l'altro. Perciò quando noi parliamo in termini... è molta complicata la faccenda perché quando parliamo in termini generali di realtà allora possiamo porre tutti questi elementi di idealismo, di costruttivismo, eccetera. Quando parliamo dal punto di vista della relazione affettiva soggettiva umana allora, siccome ci sono anche tutte le questioni etiche - mentre per il riconoscimento della realtà non c'è il problema etico così profondamente posto, ma non solo etico ma anche quello psicologico, mentre nell'ambito del riconoscimento della realtà l'elemento psicologico deve stare più zitto, c'è l'elemento diciamo della logica, dell'elemento logico, dell'elemento conoscitivo, dell'elemento cognitivo -, quando parliamo del soggetto col soggetto, allora vedi che immediatamente la relazione non è posta, non è posta in quanto il soggetto è diventato una proiezione, cioè l'altro è l'immagine che io mi faccio dell'altro, posta in questo modo. Saltando questo punto, andiamo ulteriormente un passo in avanti e mettiamo che l'altro esista lo stesso per conto suo. Nel momento stesso che dici che si è posta la rotazione, se Homo sapiens incontra Homo absctractus - diciamo in questo modo, cioè che è stata posta tutta la rotazione -, in effetti l'altro per forza di cose diventa Homo abstractus, cioè qui è un paradosso nel senso che è il luogo dove io dico che questo teatro è il luogo dell'altro, cioè nel momento stesso che io pongo questo teatro, questo soggetto, questo africano, questi occhi, questi vuoti, nel momento stesso che io incomincio a parlare con questo elemento affettivo, astratto e vuoto, certamente io ho posto Homo abscrtactus, certamente chi si pone in relazione con me, in questo momento deve ruotare se no non capisce, ovvero la sua mente rimane ancorata a dei procedimenti troppo antiquati, troppo fissi, allora per forza deve fare questa capriola. Ed è una delle ragioni per cui, lavorando su questo piano, quello che si osserva di solito è, per esempio in campo terapeutico, il fatto che tu vedi insomma una persona che fa dei passi, raggiunge certi movimenti, diciamo non Homo abstractus ma certe capacità affettive, relazionali diverse, quando si incontra con le persone che sono rimaste con le loro strutture precedenti ci sono degli scontri fortissimi nel senso che il sistema di uno ha incominciato a ruotare, a muoversi in una direzione, a non proiettare, a non volere, a non occuparsi, a non imporre la sua volontà, conscio inconscio, ha cominciato a ritirarsi, mentre quell'altro o quegli altri manco per niente, e per cui continua, aumenta quasi la volontà prevaricatrice, anche se è silenziosa, nel senso di proiettare il più possibile sull'altro la propria fissità perché non si accetta il fatto che l'altro stia muovendo il suo processo per diventare anti-anti-sistema; ma questo è un dato di fatto. Questo succede per esempio in maniera patologica nelle situazioni schizofreniche: quando un soggetto schizofrenico nell'ambito familiare incomincia a muoversi, siccome nella schizofrenia, oppure nei tipi di patologie gravi dove un soggetto di solito è il punto focale in cui tutta la patologia familiare o di una struttura sociale oppure anche di una fabbrica o dove ci sono delle comunità il soggetto diventa spesso il luogo, può diventare il luogo dove tutta la patologia si riversa, lui diventa il sintomo di questo organismo e, diventato il sintomo di questo organismo, è diventato, questo soggetto, il luogo che tiene in piedi tutto l'organismo perché è sintomo, come in un corpo, cioé si forma un sintomo, non so, la polmonite, piuttosto che diciamo anche un tumore, c'è una modificazione sistemica, in un organismo c'è un sintomo che prende tutto il sistema, così in un ambito diverso, di tipo familiare o di tipo un po' più ampio, sociale, un soggetto diventa il sintomo, il luogo dove tutti i sintomi silenziosi di questo ente sono fissati e allora tutto il sistema ruota intorno a quello, e rigidamente esiste perché esiste questo; se, poverino, questo tenta di sottrarsi, cioè di modificare, cioè di far ruotare il suo sistema, soprattutto per andare verso l'astrazione invece di essere un oggetto reificato - perché lo schizofrenico oppure il malato nevrotico diventano degli oggetti di questo sistema -, se questo tenta di diventare meno oggetto di questo sistema, succedono di quei casini pazzeschi, nel senso che c'è proprio un tentativo di tutta la famiglia, di tutto l'ente di proiettare il più possibile ancora perché questo non si muova da lì, e quindi incomincia lo scontro e da questo scontro si vede se questo soggetto potrà mai venire fuori da questa situazione, ma non perché lui non possa venire fuori, ma perché la società, la cultura, la famiglia ha detto che lui non si può muovere perché se no tutta la famiglia deve muoversi. Io lo sto vedendo in una mia paziente schizofrenica la quale sta muovendo una serie di cose fortemente dentro di lei; vive in un laboratorio protetto che è dalle parti dell'ex manicomio e tutta la struttura non può ammettere che questo soggetto si possa muovere, perché comunque è un soggetto schizofrenico, ma un soggetto molto vivo, anche molto incasinato, fa chiasso, fa rumore, gli altri son più tranquilli, se ne stanno più silenziosi; questo soggetto si sta muovendo e tutta la struttura, dagli psichiatri agli psicologi agli infermieri agli operatori non possono sopportare che questo si muova, e quindi questo soggetto viene continuamente in qualche modo colpito, ma in maniera non lampante, perché la comunità, lo psichiatra non può dire: "Ti dò una martellata in testa e qui ti mollo", ma sono tutti meccanismi sottostanti di un equilibrio che si è mosso. Siccome questo soggetto è un soggetto abbastanza, pur nella sua malattia, potente nel senso che è vivo, in un certo senso, vibra, questo soggetto sta prendendo delle strade e questa comunità non gliele lascia prendere; quindi immaginiamoci nell'ambito familiare che cosa possa succedere, oppure nell'ambito del rapporto a due, nel rapporto a tre; in tutti questi rapporti l'altro è costretto a muoversi, comunque o quanto meno a riconoscere che l'altro ha fatto un movimento, ma nel momento stesso che lo riconosce non è più fisso, non è più al suo posto. Spero di aver risposto.

Fabrizio Stangalini: Evoluzione e post-evoluzione sono due termini che hai usato più di una volta.

Paolo Ferrari: Sì.

Fabrizio Stangalini: A me è sembrato, volevo o una conferma o una smentita, che l'evoluzione sia stata caratterizzata dalla formalizzazione dell'oggetto e dalla costruzione dei rapporti fra soggetto ed oggetto e che la post-evoluzione sia il togliere l'oggetto dal terreno, dallo spazio in modo tale che i rapporti siano esclusivamente tra soggetti.

Paolo Ferrari: Sì, la post-evoluzione è ancora di più, cioè quello che tu stai dicendo è l'utopia della cultura di Homo sapiens. La cultura Homo sapiens dice all'uomo: "Non reificarti". Cioé tutta la cultura, tutto lo sviluppo culturale, proprio il fatto dello sviluppo, della scuola, del libro, delle associazioni, della politica, della scienza è un tentativo continuo della non reificazione, perché c'è questo pericolo, cioè credo che l'uomo senta il pericolo che nel momento stesso in cui vengono tolti questi elementi che sono un tentativo dell'astrazione rispetto alla reificazione, Homo sapiens tenda a regredire, cioè tenda comunque a regredire. Questo lo si vede nel momento stesso in cui un soggetto si chiude in sé stesso, lo vediamo in ogni patologia possibile al mondo, il soggetto che si chiude in se stesso incomincia a poco a poco a ritornare indietro e a diventare una cosa; per cui già nella cultura umana c'è questa idea della non reificazione. Nella post-evoluzione c'è un fatto in più, la non reificazione è un dato di fatto, cioè è giusto quello che dici ma è come se ci fosse un fatto in più: è quello che sto cercando di spiegare, ma non se ne ha l'esperienza. La post-evoluzione non c'è ancora e io la premetto, la faccio esistere, ma non c'è ancora. La post-evoluzione vuol dire che la cosa non può esistere, non esiste alcuna cosa, nel senso che la mente umana o il corpo umano non possono per loro natura nuova produrre oggetti mentali, produrre enti concreti, cioè che tutto questo spazio è uno spazio continuamente vuoto e che continuamente si svuota e che quindi per forza di cose non può avere... cioé il fatto per esempio di non essere una cosa non è una sua caratteristica perché è un dato ovvio; è come dire che Homo sapiens non può ruggire, ma perché è un fatto suo, cioè lui parla. Qui è come se in Homo abscractus si fosse formato proprio un altro livello che molto probabilmente è la comunicazione di tipo mentale, cioè è una comunicazione più ampia della parola, è una comunicazione che passa su altre linee, su altri livelli, che non è però la telepatia, è un altro livello che passa attraverso i sistemi complessi di cui parlava Susanna Verri, in cui il linguaggio, in cui le questioni sono già altre in quanto la cosa non esiste più. Cioé potremmo fare questa ipotesi inversa: nel momento stesso che si formasse una cosa in Homo sapiens, muore. Cioè è in contraddizione totale, come se Homo sapiens improvvisamente diventasse un lupo, ma quello, come Homo sapiens, è morto.

Fabrizio Stangalini: Io pensavo, oltre alla cosa, anche all'oggetto come anche rappresentazione, quindi la rappresentazione nel romanticismo è una continua rappresentazione di oggetti, il tentativo di sublimarli, ma in realtà sono sempre più oggetti; la scienza contemporanea, la definizione addirittura, almeno secondo me, di rapporti tra oggetti, quindi la post-evoluzione è la rottura di questa necessità di costruire forme mentali in cui esiste l'oggetto e il soggetto, o il soggetto e l'oggetto, quindi il pensare e l'agire, che sia cosa o che sia un altro; la post-evoluzione potrebbe essere togliere proprio l'oggetto, fra cui anche la reificazione, fra cui anche la cosa, le cose, ma l'oggetto anche come rapporto fra soggetti, o sbaglio?

Paolo Ferrari: Potrebbe. Vuoi dire tu, Susanna?

Susanna Verri: Mentre Fabrizio parlava pensavo al teatro, al 'Teatro dell'Assenza' perché è proprio un teatro in cui è in scena la post-evoluzione, nel senso che il personaggio che si sta adesso a mano a mano delineando in questo teatro è un personaggio che vive in sé e porta sulla scena l'uomo della post-evoluzione. Questo personaggio ha rapporti con gli oggetti, particolari però, quindi si muove in una scena, che è quella che abbiamo visto, che non è una scena vuota di tutto, anzi è una scena in cui sono presenti alcuni oggetti - e prima veniva illustrato il senso di questi oggetti -, è una scena in cui egli ha portato e sono lì tutte le cose che provengono dalla cultura precedente, più oggetti nuovi: sono oggetti particolari perché non sono oggetti, sono per esempio questi occhi, sono queste scatole-occhi, queste operazioni concettuali e ancora di più simboliche, queste forme simboliche della nuova realtà, in questo caso queste scatole occhi che erano la forma, anche, la scatola, quindi la provenienza da ciò che è rimasto della cultura precedente: il resto della cultura precedente diventa forma simbolica di un corpo nuovo che è questo corpo astratto in Assenza che viene simbolizzato da questi due occhi. E poi ci sono tutti questi vari oggetti che sono quelli della vita anche quotidiana, di altre culture, della nostra o di altre, e questo personaggio si muove su questa scena, parla, prende questi oggetti, si relaziona, e dunque non potrei dire che l'oggetto è scomparso, però penserei che c'è con l'oggetto una relazione di nuovo tipo che fa sì che non ci sia né l'appropriazione dell'oggetto né la dipendenza dall'oggetto, che ci sia una relazione molto più libera di quella che è di consueto perché è un sistema di relazioni complesse e quindi non ha una causalità diretta, non sono relazioni semplici, sono relazioni in cui c'è comunque un altrove, c'è un punto di svuotamento per cui l'oggetto sta nella relazione col soggetto, ma attraverso una relazione complessa in cui quindi la relazione è svuotata, non è duale, non è immediatamente l'oggetto-il soggetto e basta.
 
Paolo Ferrari: Sì, questo da un certo punto di vista è vero. Ulteriormente, però, la caratteristica che è difficilissima per me da spiegare è il fatto per esempio che io adesso sto parlando, sto pensando, mi sto relazionando e tutto questo avviene in uno spazio vuoto, completamente vuoto, cioè dentro di me io ho ricordo di come si formava precedentemente l'attività pensante... se adesso per esempio si formasse l'attività pensante come oggetto, quindi con una struttura a margine e quindi con un non-vuoto... adesso a mano a mano dovrò pensare sempre di più come le differenze... d'altra parte mi è molto difficile riuscire a pensare e reificarmi e poi uscire dalla reificazione, cioè è un'operazione molto strana, anche se d'altra parte per poter concettualizzare in parte devo accettare questa reificazione, ma la mente o il corpo essendo totalmente vuoti, in quanto vuoti, cioè in quanto costantemente nella relazione con l'altro - e l'altro vuol dire l'altro da sé -, significa che in ogni momento Homo abstractus, che in questo momento rappresento, diciamo così, ha la relazione continuamente per esempio con il nulla, la relazione costantemente con la morte, la relazione costantemente con l'infinito, cioè di fronte a me non stanno gli oggetti: io vedo gli oggetti di fronte a me, però questi oggetti sono totalmente trasparenti, mentre nella visione normale questo oggetto è invece un elemento che è opaco; io non ho oggetti opachi, non mi si formano nella mente oggetti opachi. Però da questo punto di vista io non so che civiltà
*, che cultura possa formarsi perché molto probabilmente non si può formare nessuna cultura, perché anche questi elementi della cultura, dell'oggetto, della reificazione sono comunque provenienti dalla cultura di Homo sapiens. E' allo stesso modo come... quello che faccio sempre presente, che tra Homo sapiens e Homo absctractus c'è la differenza che c'è tra uno scimpanzé e l'uomo. E' come pensare all'uomo come se Homo sapiens riuscisse a pensare come uno scimpanzé e in continuazione potesse fare il diverso passaggio per cui da una parte è orangutan, non sa parlare e poi improvvisamente incomincia a parlare. Qui è come se fosse il parlare oltre il parlare, il pensare oltre il pensare, il pensare non è più pensare, è altro, e altro vuol dire questo che stiamo cercando di spiegare, questo anti-anti-sistema. Cioè è come se fosse sottratto tutto* e perciò tutto è assente, ma non è negativo anzi c'è questa sottrazione totale per cui il soggetto in un certo senso è estinto, è morto, è finito, è estinta la realtà, tutti questi elementi sono estinti, ciò nonostante c'è questa attività - l'ho chiamata attività perché non so come chiamarla - che supera questa condizione di estinzione. E' come se fosse, lo pongo sempre come esempio, il bambino che va a quattro zampe e poi incomincia a camminare a due zampe ma non può spiegare come ha abbandonato queste quattro zampe, che cos'è questo luogo precedente perché non può tornare indietro. Lo sforzo che stiamo facendo è quello di confrontare continuamente le due cose, ma è come spiegare l'esistenza di un altro sistema: il Sistema Assenza è un altro sistema, ovvero non è neanche un sistema perché il sistema fa parte di Homo sapiens, e c'è questo paradosso. Quello che dico d'altra parte è che vedo, per esempio nel mio lavoro terapeutico, che a mano a mano si formano certi luoghi per cui - come si diceva nella discussione precedente, di questo tipo di rotazione - l'altro deve venire, per cui intuisce questo nulla positivo, questo 'non essere' positivo, questo 'altrimenti' positivo, però nel momento stesso che l'intuisce, l'intuisce perché è in questo accoppiamento, in questa relazione con la situazione nuova che sto, che stiamo ponendo, ma poi non ce la fa a pensarla perché è venuta meno la relazione con questo tipo di accoppiamento. Non esiste ancora un processo per cui ci sia questo altro accoppiamento, questo accoppiamento con il vuoto; incomincia a esserci qua e là, nel lavoro quotidiano terapeutico questo lo trovo in continuazione. E d'altra parte questo si osserverà a mano a mano di più proprio in questo tipo di lavoro, nel senso che io faccio osservare all'altro a mano a mano i vari passaggi che fa, dove questo nulla positivo, questo vuoto, dove questo altro sistema si è formato e gli ha permesso il fatto che il vecchio sistema, poniamo patologico, ammalato, ha potuto cambiare di posizione. Ma lavoriamo sempre su questo paradosso, anche se invece questo è un elemento carino: di questo stadio è come se io ne parlassi, ne parlo normalmente, ma siamo in una situazione paradossale perché io ne parlo ma devo uscire, devo andare in un altro sistema, andare sui margini per poterne parlare, cioè devo uscire da me, cioè ogni volta devo distaccarmi da me, ed è poi questa la condizione naturale del sistema, anzi dell'antisistema.

Dottoressa Morandotti: Senta, nel discorso che ha fatto prima, dall'affettività poi è arrivato all'evoluzione, personalmente mi sono sentita sofferente; cioè la sofferenza è questo tragitto, con l'Assenza che abbiamo messo appunto tra noi, che ci sta, non ci sta; dove la mettiamo, se c'è?

Paolo Ferrari: Non ho capito. Se c'è, che cosa?

Dottoressa Morandotti: C'è una sofferenza in questo tragitto che lei ha formulato, insomma, tra l'affettività che ha iniziato dalla relazione della madre col bambino e l'evoluzione che prevede come modello ottimale che ci sia un distacco e quindi si formi questo spazio...

Paolo Ferrari: Già nella relazione normale ci dovrebbe essere questo distacco, questo è implicito nella condizione umana. Cioè nella condizione umana il fatto che la madre si distacchi dal bambino, che il rapporto sia distaccato nel senso che la madre sia capace di rimanere sé stessa e riconoscere il bambino come diverso da sé, cioè ci sia il taglio del cordone ombelicale, ma anche psicologico, questa è la condizione umana normale. Questo in un certo senso, se vogliamo chiamarlo così, è anche sofferenza, ma è sofferenza dal punto di vista dell'egoismo, dell'egocentrismo nel senso che invece la madre, già nel momento stesso in cui mette al mondo il bambino, nel momento stesso che il bambino esce dall'utero e va lungo il canale vaginale ed esce, la madre comunque lo spinge fuori e lo lascia andare, e deve lasciarlo andare; se lo trattiene il bambino sarà malato, tutta la vita sarà sofferente perché sarà sofferente mentalmente, perché non si sarà formata questa possibilità per lui dell'esistenza. Per cui questo concetto di distacco esiste già, è già implicito nella storia umana, nella nascita umana, se no l'uomo non potrebbe nascere. Già nel riconoscimento dell'altro, nel momento stesso in cui devo riconoscere l'altra persona, nel momento stesso in cui io debba riconoscere l'altra persona come diversa da me, ho il distacco perché se no sull'altra persona proietterò delle forme, dei miei desideri, invece di porre l'altro realmente come diverso da me. Nel momento stesso in cui io debba riconoscere la realtà, anche, come diversa da me, in questo momento c'è il distacco perché la realtà, comunque, il mondo, in generale, io devo vederlo diverso da me, se no fa da specchio, quindi non capirò mai niente, non conoscerò mai niente, mentre la conoscenza implica il fatto che l'altro, la realtà sia diversa. Quindi questo concetto del distacco è già una rotazione, questo tipo di rotazione c'è già nell'essere umano. Se noi questo vogliamo chiamarlo sofferenza possiamo chiamarlo sofferenza, però io lo chiamo maturità, cioè maturità umana. Quello che vedo è che quando la madre è immatura verso il figlio, il figlio arriva da me ed è nevrotico o è psicotico e quindi io devo curarlo, devo insegnargli quel distacco che non ha ricevuto dalla madre, o dal padre; c'entra anche il padre, non solo la madre; c'entra questo triangolo, che è poi il triangolo edipico che si forma; ma io devo riuscire a porgli quel distacco che non ha ricevuto da questo ambito familiare; ma questo distacco è distacco affettivo. Certamente occorre, io dico, una maturità e la maturità implica della sofferenza, questa probabilmente nell'essere umano... l'esistenza già di per sé stessa implica una sofferenza, il fatto di esistere, cioè essere compiuti nella propria esistenza, è una sofferenza, ma sofferenza che nel momento stesso che produce questa compiutezza diventa invece l'estrema gioia dell'esistere, però si deve compiere. Quello di cui sto parlando, questo tragitto verso l'Assenza, è l'ulteriore distacco, quindi capacità di lasciare andare, capacità di lasciare esistere l'altro e di riconoscerlo, quindi è la mancanza di aggressività, per esempio, cosa che nell'uomo rimane ancora per eredità animale; nel momento stesso in cui l'uomo impara a lasciare andare l'aggressività incomincia a riconoscere l'altro. Se l'uomo è aggressivo, deve prevaricare l'altro per cui deve imporre le proprie idee, i propri indirizzi, la propria volontà; se tutti questi elementi incominciano a venire meno, questo è già un tragitto verso questo ulteriore livello di distacco che attraverso tutte le varie formule o formulazioni che stiamo facendo è un ulteriore livello di distacco, ulteriormente affettivo, in cui non c'è più questo tentativo di Homo sapiens di tornare continuamente indietro alla regressione; cioè la madre mette al mondo un bambino che è già distaccato, in un certo senso. Una volta questo lo chiamavo 'cellula mentale', la capacità di dare immediatamente la mente affettiva al figlio, ma a tutto questo non ci sono ancora arrivato, cioè non lo so ancora come si possa formare poi concretamente, però quello che io so è che di fatto quanto più l'altro è riconosciuto... cioè il sistema umano è ancora molto piccolo, nel senso che anche dal punto di vista delle emozioni, delle sensazioni, degli affetti, noi riusciamo ad avere una prospettiva abbastanza ristretta, nel senso che se un qualche cosa avviene fuori dagli schemi che noi abbiamo, ma in generale dagli schemi - spazio tempo linguaggio - che ha Homo sapiens, non riusciamo a riconoscerlo. E io l'ho chiamato 'Assenza' anche perché significa che riusciamo ad andare oltre lo stadio schematico o della struttura presente dell'uomo, per cui l'uomo diventa capace di conoscere qualche cosa che fino adesso è stata troppo diversa da lui per poterla riconoscere. Cioè come se il sistema complesso Homo sapiens fosse ancora molto rudimentale tant'è che quando c'è stata la scoperta dell'America l'indios, l'indiano, le popolazioni primitive non sono state riconosciute per nulla, ma dovevano essere ricondotte a quello che l'uomo rinascimentale doveva concepire perché quegli altri erano degli altri, ma non sono stati riconosciuti come altri. Questa poi è la conquista degli uomini: qualche volta, diciamo, l'altro, lo straniero viene riconosciuto come entità, e non soffocato, non prevaricato. Questo per semplificare. C'è questo problema di questo concepimento dell'altra persona, o dell'altro in generale, che è una cosa molto importante. Poi qui il discorso diventa lungo perché se la realtà viene riconosciuta realmente come altra, ruota e diventa un'altra realtà. Comunque questo sarà per la prossime volte.
Possiamo fermarci qui. Stasera non facciamo neanche la musica.

Susanna Verri: C'è stato il dibattito.

Paolo Ferrari: Andiamo oltre, cioè la musica o il video li faremo quando... Il dibattito è più interessante adesso, diventa più interessante che non fare, proporre questi altri linguaggi. Abbiamo proposto il linguaggio del Teatro quindi, mi sembra, è più che sufficiente.
Quando ci vediamo?

Susanna Verri: Il sedici gennaio.

Paolo Ferrari: Arrivederci a tutti.