29/6/95
IX Seminario 1994-1995
Susanna Verri:
Distribuiamo i manifesti grandi
e piccoli relativi al Comma del manifesto della non arte , della non vita-morte.
Istruzioni astratte.
Paolo Ferrari; Allora siamo all'ultimo incontro di quest'anno; ci
rivedremo verso metà ottobre, il 19 ottobre, e inventeremo un altro cammino.
Stasera vorrei che fosse la serata dedicata alle domande, a una discussione,
a possibili elementi dialettici relativi al campo che sto indagando, che stiamo
indagando; questo prende sempre diverse vie e continua a sorprendermi, come
d'altra parte - e io me ne accorgo dopo - è nella logica poi dell'evoluzione.
Il processo evolutivo in generale, quello concreto, quello che ha portato dalla
cellula a Homo sapiens o dalle catene di carbonio, o ancora indietro
dal big bang fino a Homo sapiens, è un procedimento che
va avanti senza che sia mai prevedibile a priori la strada che prenderà:
la si conosce solo successivamente e solo successivamente si possono formulare
delle ipotesi o confermare delle idee circa la via, il perché sia stata
presa una certa via piuttosto che un'altra.
Il processo che sto seguendo, anzi il processo dell'assenza che mi sta seguendo
e in cui sono inserito è un altra via evolutiva. Sto indagando questa
altra via evolutiva, la quale via evolutiva non parte più dalla cellula
o dal nucleotide o dalla materia inerte, ma parte da quello che noi abbiamo
chiamato materia pensante. La materia pensante nella sua radice non è
nulla, pensare non è niente: se noi prendessimo il pensare, lo facessimo
uscire dal corpo, lo mettessimo lì, il pensare non sarebbe niente, cioè
sarebbe un nulla; se l'attività pensante - o attività o passività
pensante -, se ci pensate bene, uscisse dal cervello, se questa emanazione uscisse
dal cervello, fosse staccata direttamente, completamente da un soma e si mettesse
lì in mezzo, uno direbbe: “Ma non c'è, non si vede, non è
niente”. Finché è all'interno di un soma è all'interno
di un ciclo vita-morte che è quello che conduce la danza dell'evoluzione,
la strada dell'evoluzione normale delle cose; allora si dice essere l'ultimo
elemento intervenuto in questo lungo cammino evolutivo che, pensate, dura da
quattro miliardi di anni, da quando si dice sia l'origine dell'universo. In
effetti in realtà l'evoluzione si fa partire da quando è nata
la materia vivente; sulla materia vivente poi a poco a poco si è innestata
a un certo punto l'attività pensante.
Allora, quello che dicevo è che quello di cui sto indagando, è
quello in cui sono in mezzo è un processo evolutivo, ma di altra specie,
non è un processo evolutivo concreto, è un processo evolutivo
astratto: cioè è come se all'origine di tutte le cose ci fosse
questa materia-pensiero, questa assenza-pensiero, questa attività-pensiero
assente la quale sta aprendosi una strada, sta aprendosi una via e io ci sono
in mezzo. Come dicevo prima se noi prendiamo questo benedetto pensiero, cioè
l'attività pensante, l'attività anche psicologica più in
generale, questa rispetto a quello che è il mondo somatico, il mondo
biologico, il mondo concreto, non è niente: non è un oggetto,
non si vede, è invisibile, è intoccabile, è intangibile,
non ha coordinate, non ha i parametri che sono quelli della materia concreta.
In alcuni stadi della filosofia o delle filosofie orientali oppure di certe
vie delle filosofie occidentali si dice che il pensiero o il corpo sia agito
da certe energie: a me non è mai piaciuta questa idea dell'energia, energia
è sempre un qualcosa di molto concreto, di molto aspecifico. Quello di
cui sto parlando è una questione molto specifica, molto circostanziata,
che ha dei confini, che produce dei confini, che produce delle limitazioni,
che produce dei vincoli, ma poi da questi vincoli produce, dà luogo a
perfetti processi d'astrazione che io ho chiamato 'assenza'.
Questa premessa la voglio fare perché sto osservando la divaricazione
netta fra due entità. L'entità concreta, che è quella somatica,
biologica, che è quella dei corpi, è quella per cui la terra gira,
per cui il sole sta fermo e quell'altro si muove, ecc., ecc., quella per cui
la cellula impara a moltiplicarsi, la cellula impara a morire, imparando a morire
impara a mettersi in relazione con altre cellule e diventa un sistema pluricellulare
e dà un sistema pluricellulare - adesso faccio dei cenni, così,
anche per chi non fa il medico e quindi non frequenta questi luoghi. Ma alla
fin fine quello che sto osservando, quello di cui mi sto nutrendo e a cui sto
cercando di dare linguaggio è proprio questo nulla, questo nulla che
è il distacco, è la parte assente rispetto a qualche cosa che
invece è somatico; noi ragioniamo ancora in termini somatici: dato che
c'è un essere o una cosa, data questa cosa noi possiamo intorno a questa
cosa ragionare, ma se qui in mezzo non c'è niente noi non possiamo far
niente. E io invece dico: “Se non c'è niente incominciamo a fare qualche
cosa” e questo qualche cosa è un processo, un procedimento che è
per assenza, che è completamente diverso da quello precedente; anche
perché la mente e quindi tutti i processi psicologici, anche la follia,
anche l'alterità di cui parlavamo, l'altro, nascono sempre, sono stati
fatti nascere comunque da un ciclo vita-morte in cui l'individuo è solitamente
inserito: cioè la mente, la ragione sono inserite in un corpo, questo
corpo è derivato da certe catene dell'acido desossiribonucleico, queste
a loro volta sono nate da certi anelli di idrogeno, la sostanza inorganica è
diventata organica, ma anche qui in mezzo, tra la sostanza inorganica e quella
organica, c'è qualche cosa che è assente, che è vuoto.
Si dice spesso del salto di qualità, io dico invece che c'è qualche
cosa che è assente rispetto a quello che noi pensiamo sia presente, concreto
perché noi siamo abituati a pensare soltanto in termini concreti, in
generale - io no, io l'ho superato.
Allora tutto il nostro procedimento di pensiero, tutto quello che noi teorizziamo,
quello che noi vediamo, quello che noi facciamo, le nostre azioni sono impregnate
completamente dell'oggetto concreto perché il nostro corpo deriva da
un oggetto concreto: noi camminiamo, noi vediamo, noi andiamo a sbattere, noi
sentiamo, noi abbiamo dei sentimenti, delle sensazioni che sono sempre degli
oggetti concreti. L'evoluzione è fatta di oggetti concreti, per cui c'è
stata un'evoluzione sempre successiva di oggetti concreti; gli oggetti concreti
si sono specializzati ed hanno imparato a diventare meno concreti: la scimmia
è meno concreta dell'ameba, ha più capacità, più
capacità nervosa, una maggiore capacità di organizzazione; un
corpo, un organismo biologico ha più capacità di organizzazione
di una cellula singola, anche se la cellula si è fatta il suo confine
e si è separata dal resto e ha prodotto un distacco: in questo distacco
ha prodotto una differenza.
Quello che sto dicendo è che la differenza è un ente che non c'è:
se io penso per differenza penso per enti che non ci sono, la differenza è
qualche cosa che non c'è. Se la differenza la porto al massimo grado
io parlo di un altro, di un'alterità perché è una differenza
assoluta; la differenza assoluta è quella che è stata chiamata
nella storia "la mente di Dio", è la differenza assoluta rispetto a quello
che è la concezione umana del soma, del mondo; quello che è stato
pensato al massimo della differenza è la mente di Dio. La mente di Dio
è stata pensata anche da alcuni pensatori religiosi -da Meister Eckhart,
come avevamo detto - come il massimo livello del nulla, come massima espressione
del nulla, cioè come questo ente che non c'è, che non ha bisogno
di manifestarsi, non ha la necessità di esserci, cioè privo di
quella catena della necessità.
Allora - dicevo - sono inserito dentro a questo nuovo processo, il quale processo
non è concreto: io continuo a pensare in termini di vuoto, di assenza,
vedo questo luogo che è assente e sono inserito in questo luogo assente.
E' molto probabile - da quello che sto capendo sempre meglio e sempre di più
in questi giorni - il fatto che in me sia successo che si è distaccata
massimamente l'attività pensante da quello che è l'attività
somatica, biologica, cioè il ciclo vita-morte: il ciclo vita-morte va
per conto suo, una serie di elementi dell'attività pensante si son distaccati.
Ma bisogna fare una premessa: anche nella situazione schizofrenica, nella situazione
schizoide, nella situazione nevrotica, si è distaccata la situazione
mentale dalla situazione corporea, in tutte le situazioni, diciamo, di un certo
tipo di patologia c'è una scissione tra il corpo e la mente. Io non sono
di questo genere, quello che sto indagando non è assolutamente di questo
genere, e probabilmente è successo che in questo processo che sto seguendo
ormai da anni, e che d'altra parte è anche molto doloroso in certi momenti
perché squarcia, cioè annichilisce, l'attività somatica,
l'attività biologica in generale, la vita-morte per dar luogo a questo
distacco dell'attività pensante che è niente, che è vuoto,
che abbiam visto non è niente, non si tocca, ha dovuto accettare in se
stessa di morire, di venire meno; venendo meno ha prodotto questo distacco,
ha prodotto questo elemento in mezzo, questo vuoto, questo nulla. Questo nulla
è pensare. Presuppongo che nella situazione scimmiesca a poco a poco
sia successo che nella scimmia, che non sa pensare, hanno incominciato a pulsare
delle situazioni di un vuoto, delle situazioni di un qualche cosa che non era
niente. Questo ha fatto sì che quello che era tanto, che era eccessivo,
che era il vitalismo - il fatto che si arrampica sulle piante, che mangia l'erba,
che ne fa di tutti i colori, che si accoppia in continuazione -, dovesse venire
meno, cioè la scimmia in quanto scimmia, in quanto entità biologica
scimmia, moriva. Morendo la scimmia-entità biologica nasceva un qualche
cosa che non era niente, che era la morte trasformata, era una morte astratta,
era il pensiero che si faceva: la scimmia morendo diventava scimmia-pensiero
e poi man mano pensiero e poi Homo e in tutti i vari passaggi attraverso
le ere. Diventato Homo è successo che a un certo punto, in questa
situazione Homo sapiens in me ha incominciato a morire; in questo morire,
in questa vibrazione assoluta, potentissima, in questo squarciamento di questo
vivere - ma senza questo vivere e morire, senza perdere mai conoscenza e quindi
afferrando continuamente una conoscenza dell'unità del sé -, incominciava
a farsi fuori e a farsi sotto un'altra attività pensante che era quel
vuoto liberato da Homo sapiens che accettava di morire, di non essere,
di non essere per le sue parti che erano in eccedenza rispetto a questa attività-nulla
vuoto, nulla vuoto a cui, in generale, diamo nome pensiero. Io non do più
il nome pensiero perché è assenza, perché è una
cosa molto più vuota dell'attività pensante normale, è
molto più astratta, molto più ampia, molto più silenziosa,
anche molto più attiva; è quel nulla attivo di cui parlavo.
Ulteriormente stanno succedendo altri fatti, ulteriori fenomeni di questa morte
del sistema biologico, del sistema somatico Homo sapiens; al posto di
questo continuano a venire fuori dei processi di Homo absens, di questa
attività astratta: l'attività astratta in massimo grado è
il linguaggio, è una forma di linguaggio, è l'espressione di una
espressione linguistica che io continuo ad usare, un'espressione linguistica
che mi permette di essere presente, ma nel momento stesso in cui sono presente
di essere anche in un altro luogo o di raccogliere le istanze di tanti altri
luoghi pur essendo qui, e quindi di essere in una situazione spazio-temporale
differente da quella che è la solita norma - che è quella del
pensiero di Homo sapiens -, la quale deriva da un soma che è ancora
legato strettamente a vita-morte e quindi ancora molto concreto. E allora il
suo spazio-tempo è molto limitato perché è inserito in
un sistema ancora molto concreto, ancora soggetto a una temporalità che
non si è sviluppata ulteriormente.
Ora ho dovuto fare questa lunga premessa perché, siccome stanno succedendo
dei fatti molto importanti, non potevo farne a meno.
Sono stati distribuiti delle specie di manifesti che sto adoperando adesso per
illustrare questa attività - questa attività artistica, questa
attività scientifica, questa attività non arte-non scienza, questa
attività altro -, che adesso apporrò nelle varie parti del Centro
e che dovranno guidare l'attività pensante di chi entra qui dentro. Chi
entra qui dentro è la persona che consapevolmente o inconsapevolmente
a poco a poco accetta che la sua parte vecchia di soma-psiche muoia e possa
prodursi questo spazio vuoto, questo nulla che è il nuovo pensare dell'assenza.
Lui comunque in questa situazione in cui le relazioni astratte sono di questo
tipo di complessità, di questo tipo di unitarietà, se le coglie,
nel momento stesso in cui le coglie, in quel momento accetta di venire meno
rispetto a quello che è la sua eccedenza, la sua eccedenza che gli impedisce
di vivere un livello più complesso e più completo e quindi di
realizzare un pochettino una sua identità maggiore, una sua unità
maggiore, di venire fuori da quella che ho chiamato la schizofrenia umana.
Mi fermo qui, a questa premessa, perché vorrei raccogliere delle domande,
vorrei raccogliere un minimo di dibattito.
Paolo Ferrari: Tu, Susanna, volevi porre il tema dell'altro?
Susanna Verri: Sì, pensavo di porlo in prosecuzione anche del
discorso che avevo fatto l'altra volta ancora con un accenno, nel senso che
il tema dell'altro è un tema di grandissima portata e avevo individuato
per questa sera la possibilità di agganciarmi al discorso dell'altra
volta per poi giungere a puntualizzare un aspetto che in particolare mi aveva
colpito in questi giorni, cioè una specificità del tuo modo di
porti e di pensare anche questo tema, di ripensarlo all'interno del campo dell'assenza
in modo originale, totalmente originale. L'altra volta avevo parlato dell'antipsichiatria
di Basaglia, del tema del riconoscimento dell'altro da sé, della differenza;
il percorso che avevo pensato per questa sera era quello di giungere a puntualizzare
velocemente come il tema dell'altro sia stato pensato sempre, in qualche modo,
come se l'altro fosse da escludere, vedevamo l'altra volta, oppure da riconoscere,
da poter accettare oppure - accennerò questa sera come è stato
pensato da Lacan in particolare relativamente alla psicosi - come un qualche
cosa che pone una differenza.
Paolo Ferrari: L'altro come alterità, quindi non l'altro come
alieno, come malato, perché ci sono tanti livelli di altro...
Susanna Verri: Sì.
Paolo Ferrari: ... perché l'altro sei anche tu rispetto a me,
o l'altro è l'altro...
Susanna Verri: Perché in genere io ne parlo in un modo che comprende
tutti questi aspetti, cioè ne parlo come alla radice, perché poi
è come se il discorso a mano a mano che viene specificato possa prendere
le varie facce di questo tema: l'altro, a livello del soggetto, come altro da
sé, quindi come origine di riconoscimento dell'altro da sé, come
origine della possibilità di rapporto, di relazione , oppure l'altro
come differenza da sé e quindi come distacco da sé, e quindi come
quello che dicevo adesso del discorso lacaniano. Per esempio nel discorso lacaniano
questo altro da sé è quello che fonda la possibilità di
linguaggio. Era questa specificazione che mi chiedevi? E poi si può avanti
ancora a differenziare perché l'altro di cui parliamo qui a mio parere
è queste cose, ma è anche il tema dell'assenza e quindi è
l'estrema espressione dell'altro, cioè è l'altro da sé,
è la differenza da sé, ma è anche proprio il totalmente
altro, quello che è probabilmente è anche difficile da comunicare,
perché del totalmente altro, quindi del tema dell'assenza nella sua massima
espressione, non se ne ha l'esperienza, cioè io non ne ho l'esperienza.
Quindi se parlo, parlo più facilmente dei due altri ambiti di cui ho
accennato, cioè dell'altro come riconoscimento dell'altro da me, quindi
come fondazione del rapporto interpersonale, quindi come possibilità
di riconoscimento della differenza dell'altro da me e dell'altro come altro
da me nel senso di differenza di me da me, quindi di possibilità di distacco
di me da me stessa, di ciascuno da sé e quindi come nascita del linguaggio,
se vogliamo seguire Lacan, il quale dice che il linguaggio è il luogo
dell'altro perché nasce soltanto quando sia data la possibilità
di rinuncia al godimento primario, quello che Freud chiama la pulsione di morte.
Allora Lacan dice che solo nel caso in cui sia data questa rinuncia, in cui
sia intervenuta la castrazione simbolica, è possibile che la pulsione
di morte venga contenuta, venga distanziata e in questa distanza nasca il linguaggio;
e poi ancora dice Lacan che in particolare questo non avviene nella psicosi,
per cui nella psicosi esiste invece questo dominio della pulsione di morte per
cui l'altro non si struttura, non è governabile e quindi allora la cura
consisterebbe nel tentativo di tenere a freno questo altro, questo altro che
non è educato, di fare barriera, di fare in modo che non invada eccessivamente.
Il tema che mi interessava e che avevo seguito questa settimana partiva da queste
considerazioni e poi anche da una frase che avevo letto nel racconto di Paolo
La nascita dell'altro, scoperchiando la mente di Dio - che sta ricorreggendo
in questo periodo - in cui c'è un affermazione nella quale si poneva
l'alterità come necessaria, cioè si poneva il piano dell'altro
- e in questo caso l'altro prende tutta la gamma, dalla differenza da sé,
dal distacco da sé fino poi al campo dell'assenza -, questa alterità
come necessaria: cioè il silenzio, quell'alterità che sono necessari
e compagni alle cose perché non implodano, perché restino anche
dopo il loro terminare. Mi aveva colpito questa necessità perché
l'altro come necessario non è sostenuto in questi altri pensieri che
avevo detto, al massimo si arriva a doversene difendere ed è una differente
accezione di altro; l'altro come necessario è il fondamento del campo
dell'assenza, è il fondamento della possibilità che venga immesso
nella realtà un altro piano di consistenza differente, di esistenza differente
tale per cui qui si dice che le cose non implodano, quindi non scoppino all'interno,
non siano soffocate dalla loro stessa concretezza. E avendo poi fatte queste
considerazioni è interessante il manifesto che abbiamo distribuito perché
mi è sembrato in linea con questo discorso, perché in questo manifesto
della 'Non arte, della non vita-morte' mi sembra si spieghi appunto questa necessità,
cioè si pone, nell'emergenza del nuovo livello di realtà che abbiamo
chiamato assenza, la possibilità anche di un'uscita dal ciclo di vita-morte
del pensiero, dal ciclo vita-morte-pensiero, cioè dell'esistenza di un
tipo di attività pensante che acceda appunto a questo stadio di cui si
parla in cui tutto è già estinto, ma nulla è morto perché
l'estinzione non coincide con la morte.
Paolo Ferrari: Col vecchio tipo di morte!
Susanna Verri: Questo era l'ambito delle considerazioni che avevo fatto.
Paolo Ferrari: Io raccolgo un po' di sollecitazioni. Tu, Anna, avevi
un tema sul Raddoppio, se non sbaglio.
Anna Lafranconi: Più o meno. Avevo in mente il Raddoppio in quanto
nell'ambito dello svolgimento dei Seminari abbiamo conosciuto il Raddoppio come
una delle forme con cui l'assenza manifesta la propria differenza rispetto ai
canoni consueti. Col Raddoppio vengono indicati l'atto e l'effetto di quel processo
per cui due temi o due livelli di realtà separati e distinti suonano
insieme in modo tale che il secondo apporti al primo un ulteriore livello assente.
Il Raddoppio è il proporre, ma anche il generarsi di un altro livello
più capiente e in generale più complesso di quella realtà
di cui si decide il Raddoppio; quindi non è una ripetizione del primo
livello con un qualche spostamento, bensì è l'introduzione di
un nuovo fattore per mezzo del livello secondo, tale per cui tutto l'insieme
risulti più assente, risuoni più assente - o meglio anzi -, più
capace di tessere una trama di relazioni vuote non solo all'interno del campo
ristretto della composizione stessa, bensì nel campo allargato che comprende
anche l'osservatore o l'ascoltatore, che non è più un soggetto
passivo, ma entro la struttura di spazio e tempo che si è instaurata.
Quindi il Raddoppio equivale a dare luogo a un campo di relazioni complesse
nel quale la modalità di relazione si ponga più assente e - come
hai detto tu molto precisamente - più capace di alterità e di
astrazione e quindi si introduce in questo modo un insieme che è maggiormente
capace di esistenza . Nei Seminari noi abbiamo avuto modo di conoscere il Raddoppio
in musica, che è appunto la duplicazione simultanea di una certa composizione
musicale, con un altro livello costituito da un'altra composizione appartenente
al campo dell'assenza, in generale. Ora, quello che mi chiedevo era se fosse
possibile vedere, considerare quali Raddoppi le relazioni create qui al Centro
dalle tele stesse, dalla disposizione delle tele, dalle relazioni tra le tele
e gli altri oggetti esistenti al Centro e quali Raddoppi, per esempio, le nuove
forme degli ultimi giorni, dell'ultimo periodo, create tramite gli specchi,
con i disegni sugli specchi. Quindi mi domandavo e ti domandavo se è
possibile pensare appunto quali Raddoppi tutte queste relazioni presenti al
Centro Studi.
Paolo Ferrari: Ci sono altre domande? Se no incomincio a rispondere a
queste.
Io risponderei con un allargamento del tema; cioè il problema che ho,
o che il campo di cui mi occupo ha in sé intrinseco, è il fatto
del crearsi e generarsi di un linguaggio, di un certo livello linguistico che
è comunque una strada, cioè il formarsi di una strada: la specializzazione
e la specialità di questo livello di cui ho parlato o di questa assenza,
di questo pensiero assente, di questo pensare assente, in assenza o il pensare
col distacco o la possibilità di essere altro, la fondazione di questo
altro. Una delle proprietà, delle caratteristiche in cui mi sono immesso,
in cui ho seguito il percorso è il fatto che questo campo da totalmente
assente, da totalmente altro si è fatto volta per volta, si fa di volta
in volta sempre più circoscritto, più circoscritto in una sua
identità altra che assume e porta con sé i diversi linguaggi,
i livelli linguistici che si sono usati fino adesso storicamente, culturalmente.
Uno dei livelli linguistici, una delle manifestazioni linguistiche è
per esempio il raddoppio; ovvero il fatto che, dato questo campo così
assente, così vuoto - e in questo caso, stasera, assente significa pensante
altro, essente altro, essente capace di essere altro o diverso da sé
-, questo può includere, può partecipare e poi includere e assumersi
la responsabilità, chiamiamola così, del posizionamento dei vari
'altri' che ci sono stati storicamente. Come diceva Susanna ci sono tanti livelli
dell'altro: l'altro è quello che è di fronte a me, l'altro è
l'alterità, quello che il poeta va cercando fuori dal mondo, fuori da
sé, fuori da una realtà circoscritta, l'altro è quello
che per il cristiano è la divinità o il paradiso, l'altro è
l'altro mondo, l'altro è, per il pensatore psicanalitico, la nascita
del linguaggio, l'altro è, per il bambino, la capacità di distaccarsi
dalla madre e il riconoscere una realtà esterna a sé, diversa
da sé e porre in mezzo il fatto che ci sia questa differenza; cioè
l'altro è un capitolo molto ampio del pensare, del pensare umano. Ma
quello che voglio fare capire sempre con maggiore precisione [è un altro]
fatto. Prendiamo questo esempio: la scimmia, il pensiero, il cervello della
scimmia, prima che la scimmia pensasse di poter parlare, di avere un linguaggio
simbolico, ma anche lo scimpanzé più evoluto, più intelligente
del branco non avrebbe mai capito che a un certo punto sarebbe andato a parlare,
non l'avrebbe mai saputo, non gli sarebbe mai venuto neanche lontanamente in
mente il fatto che a un certo punto avrebbe parlato, che avrebbe usato degli
strumenti sofisticati o degli strumenti linguistici sofisticati, ma non solo,
non avrebbe mai potuto capire il fatto che o improvvisamente o a un certo punto
della sua evoluzione il mondo si sarebbe allontanato totalmente; lo scimpanzé
viveva sugli alberi, nella sua tana, il mondo è circoscritto, come il
bambino vive in un mondo circoscritto, vive un mondo intorno a sé, anche
il bambino difficilmente pensa che il mondo gli sprofondi intorno e a un certo
punto il mondo scompaia perché si fa distaccato. Quello che voglio dire,
che mi sembra molto interessante in questo nuovo livello linguistico di cui
mi sto occupando e che mi sembra semplice anche da spiegare, più facile
di una volta, è il fatto che quello di cui sto parlando, questo livello
dell'assenza, non è nient'altro che il fatto che [io], un essere, un
essere umano, Homo sapiens è diventato adulto, è diventato
grande e si è accorto che il mondo è molto più distaccato,
è molto più vuoto rispetto a Homo sapiens il quale dice:
“No, il mondo è qui, è qui attaccato e io sto attaccato qui, la
mamma è ancora lì, il papa è ancora lì, io sto attaccato
qui, anche se ho imparato un pezzettino di distacco, perché se non avessi
questo pezzettino di distacco avrei tutta una confusione, avrei un mondo tutto
attaccato a me e non avrei neanche imparato ad essere ente linguistico”. Come
diceva Susanna, Lacan dice che il bambino in un passaggio diventa ente linguistico.
Come cerco di spiegare ai miei allievi quando parlo di linguaggio, non parlo
della voce, della parola o dello scritto, il linguaggio è il mondo, la
relazione, l'interazione è un'interazione linguistica: questo microfono
mi significa questo, vuol dire questo, mi serve a questo; la presenza di un'altra
persona mi significa questo, mi produce questo, mi produce una serie di segni,
da questi segni ho delle risposte, queste risposte mi producono un campo che
è il campo linguistico dentro cui sto agendo; io ho un corpo, sono un
corpo, sono un ente somatico, un ente pensiero; questo è un campo linguistico,
io sono linguaggio. Il passo ulteriore dell'assenza è il fatto che il
campo linguistico umano è un pochettino più evoluto di quello
scimmiesco: la scimmia a un certo punto si è trovata il fatto che il
mondo si allontanava, si allontanava e lo vedeva come un cannocchiale al contrario;
poi a un certo punto l'uomo che nasceva - Homo erectus o i vari uomini,
il bipede barcollante - cominciava a stare in piedi, ad arrangiarsi, a diventare
sempre meno concreto e quindi anche a stare in piedi in maniera più astratta
- in modo più barcollante vuol dire più astratto - senza dover
attaccarsi gambe, mani e piedi, ma, dovendo stare in piedi, ad avere una stazione
eretta che è comunque un processo più vuoto rispetto al fatto
di andare a quattro zampe. Il bambino impara ad andare in piedi e quindi il
suo campo diventa più vuoto rispetto al fatto di andare a quattro zampe;
il bambino da una mancanza di linguaggio o da un linguaggio segnico incomincia
a parlare, il campo diventa più vuoto, cioè il mondo si allontana
e assume un distacco e allora il mondo in questo spazio nasce, si libera l'altro
che non è più l'altro morto, non è l'altro morente, non
è più la pulsione di morte lacaniana, che non mi è ancora
abbastanza chiaro che cosa sia, se sia un elemento di totale fusionalità,
se sia un elemento di simbiosi, una simbiosi dell'individuo con se stesso, una
simbiosi dell'individuo tra sé e la madre, tra sé e il padre,
se sia l'elemento simbiotico in sé che produce probabilmente una pulsione
alla morte, cioè una pulsione alla degenerazione, alla aspecificità
del processo, al non distacco e perciò se non c'è distacco non
c'è ente linguistico.
Allora ritorniamo alla scimmia. La scimmia vede allontanare tutto questo, o
meglio, nei vari passaggi dalla scimmia all'uomo - adesso non so i vari passaggi
antropologici, non li ricordo mai - gli individui che passano hanno incominciato
ad accorgersi di un mondo diverso e credo che fossero terrorizzati perché
non erano organizzati in quanto ogni volta se ne apriva un altro: hanno avuto
il tempo che hanno avuto, cioè hanno avuto un buon tempo. Quello che
succede a me è che invece non ho tempo: mi succede il fatto che improvvisamente
questo nuovo campo che sto esplorando, questo campo dell'assenza, che non è
nient'altro che tutto il campo che a me era esterno, con cui avevo distacco,
avevo distacco umano, è diventato distacco all'infinito, cioè
il mondo è diventato vuoto, totalmente vuoto. Cioè come era successo
per la scimmia-linguaggio-uomo, per cui il campo linguistico dell'uomo se l'uomo
fosse rimasto ancora scimmia sarebbe stato un mondo completamente vuoto, così
per me il campo è totalmente vuoto. Quello che sta succedendo è
che sto capendo dal punto di vista antropologico, antropocentrico forse, ma
liberandomi dall'antropocentrismo, che cosa sia questo vuoto, cioè sto
applicando un campo linguistico a un campo che però ha superato già
la lingua; allora questo sarebbe una contraddizione: infatti quello che dicevo
gli anni passati [era] che non sapevo come fare, non sapevo come dire perché
il linguaggio che noi usiamo, ma il linguaggio anche in termini più ampi,
quello filosofico, logico, matematico, fisico, non può spiegare assolutamente
niente, è un mondo piccolissimo. All'interno di questo allora ho inventato
altri linguaggi: ho inventato la pittura, ho inventato il pianoforte, il raddoppio,
gli specchi, sto inventando tutti questi elementi perché rendano un confine
a questo linguaggio; però nello stesso tempo il mio linguaggio è
continuamente vuoto: io parlo di questo, questo per sua fortuna lascia qualche
scia, che è il seme che voi vi portate dentro, è il seme generativo,
è il raddoppio, in un certo senso, di quello che è la realtà
vostra che è ancora nel campo di Homo sapiens, di Homo. Questo
seme cosa porta? Porta al fatto che a poco a poco si formi un distacco e
si formi questo campo di niente - il distacco vuol dire un campo di niente -;
ma questo campo di niente paradossalmente, ma in maniera molto interessante
- l'ha detto anche Bion che è uno psichiatra francese che ha studiato
i bambini psicotici -, questo campo di niente è il pensiero, cioè
il pensiero non è nient'altro che il fatto che il microfono è
qui ed io sono qui, il fatto che io sia qui [e che] io abbia un'interazione
tra questi due elementi, questo è il pensiero. Perciò il pensiero
non è niente perché qui in mezzo non c'è niente, c'è
soltanto questa interazione. Allora, se io rendo l'interazione più complessa,
massimamente complessa - e questo Centro è questa interazione massimamente
complessa -, io fondo un altro pensiero. Ma questo pensiero è fatto di
nulla perché non ha bisogno degli oggetti precedenti, non solo, ma si
inserisce in uno spazio-tempo che non è più lo spazio-tempo di
prima - infatti ho parlato di intemporalità -, potrebbe fare a meno dello
spazio-tempo, ma non essere atemporale, perché comunque fonda un altro
linguaggio, un altro livello linguistico che è il tempo capace di farsi
assente, di farsi vuoto.
Io uso le categorie umane per parlare di questo altro linguaggio, ma io sono
inserito in questo altro linguaggio, conosco benissimo il tempo che è
vuoto, per cui una parte di me, per esempio, è continuamente vuota, è
in un tempo vuoto e questa parte di me non nasce né muore, non le succede
niente, è continuamente questo vuoto, spazio-tempo vuoto; l'altra parte
invece, che segue le leggi storiche, biologiche, segue il tempo-spazio, accetta
di vivere e morire, ma perché non gliene frega niente, perché
si è formata questa divaricazione in cui l'attività vuota ha preso
il posto dell'attività concreta: questo vuoto, questa attività
vuota, questa differenza, questa interazione vuota per cui io sono qui, quello
è lì e in questo spazio questo è l'altro, è l'alterità.
Allora l'alterità è fondamentale. Dicevo già ai gruppi,
anni fa, che se non si fosse fondata l'alterità in ogni Homo -
Homo sapiens - l'uomo non potrebbe pensare perché non potrebbe
avere uno spazio tra sé e l'altro, tra sé e sé; allora
in Homo c'è già questo in bozza, in maniera ancora primordiale,
questa alterità. Questa alterità è la sua capacità
pensante. Allora diciamo che la sua capacità pensante in un certo senso
deriva dalla situazione somatica, ma è anche separata, è anche
tutt'altro; questo tutt'altro se è portato in un altro campo è
anche la follia, perché la follia è l'espressione di un qualche
cosa che è tutt'altro, di un insieme che, in certo senso, è diventato
tutt'altro però è rimasto fuso insieme: è successo un connubio
tra corpo, pensiero, psiche, questo è imploso su se stesso e in questa
implosione è diventato altro, si è fondato in un certo senso questo
altro [che] però non ha la libertà di essere capace di fondare
un pensiero altro; è altro, ma non è capace di fondare un pensiero
altro, cioè non è capace di pensarsi, non ha la capacità
autoriflessiva che è quella di Homo sapiens, però - come
dicevo l'altra volta - è comunque altro. Allora di questa alterità
noi fondamentalmente ne abbiamo bisogno, Homo sapiens ne ha bisogno,
perché non si fonderebbe mai il pensiero se un uomo non riconoscesse
l'altro uomo diverso da sé. Questo è il principio dell'amore,
questo è chiamato il principio dell'amore, ma non è niente di
speciale, è un principio fisiologico: cioè l'amore è il
fatto che uno riconosca l'altro come diverso da sé e interagisca lasciando
lo spazio giusto e cioè lo riconosca come valido, come altro. L'altro
può essere una persona, l'amico, la madre, il figlio, ma l'altro può
essere anche il folle il quale altro è successo che è diventato
altro. Allora, se io conosco l'altro, il folle come altro, totalmente altro
e gli lascio la sua alterità, su questa sua alterità posso fondare
il fatto che lui diventi capace di autoriflessione e quindi di fondare la sua
stessa alterità - e questo è uno dei principi della mia terapia,
cioè che l'altro diventi capace, data la sua alterità, cioè
dato che lui è altro rispetto a me, dati tutti i suoi nuclei psicotici
che comunque si sono fondati in maniera altra, che quest'altro diventi capace
di fondarsi, di distaccarsi da sé e quindi di fondarsi come nuovo ente
linguistico astratto-vuoto. Questo nuovo ente linguistico astratto-vuoto è
quello che non ha più in sé il ciclo di vita e di morte, non c'entra
più niente; come d'altra parte il pensiero umano, anche se attaccato
al soma, in quanto si è separato, in quanto ha minimamente il distacco,
in questo distacco non dipende dal soma, non muore nel soma, non implode nel
soma, tant'è che si è fondata la scienza, si è fondata
la filosofia, si sono fondate queste grandi categorie le quali non parlano di
vita e di morte, non dipendono dal fatto che il tempo sta passando, però
pur essendo distaccate hanno dentro di sé l'errore del fatto di non aver
scavato dentro il tempo e dentro lo spazio da cui derivano, dal soma da cui
derivano per cui fanno finta di essere distaccate, [ma] non sono sufficientemente
distaccate.
A questo punto ci sarebbe da fare tutto un nuovo discorso [riguardo] alle reti
telematiche, al nuovo mondo di esplorazione, al mondo digitale che è
il tentativo di rendere il pensiero-mente umano immortale, in un certo senso,
di renderlo come altro, come un'alterità, come un sostituirsi alla mente.
Però lì c'è un altro errore fondamentale: che la mente
non ha accettato ancora di poter morire e di distaccarsi da sé e di fondare
un mondo - anche quello delle macchine - che possa non avere più queste
radici vecchie da cui comunque deriva.
E io mi fermo, se no qui diventa... Vuoi andare avanti tu?
Susanna Verri: Io andrei anche avanti, ma...
Paolo Ferrari: Cinque minuti, perché poi devo suonare.
Susanna Verri: In che direzione? quella telematica?
Paolo Ferrari: E sì, su questa cosa qui; appena qualche cenno
sulla depersonalizzazione.
Susanna Verri: In sintesi relativamente a una mostra che c'è alla
Triennale che si chiama 'Oltre il villaggio globale' e che tratta tutti i temi
dell'evoluzione tecnologica a fondamento di nuovi tipi di relazione uomo-macchina
e uomo-realtà attraverso la mediazione dei sistemi tecnologici, ci occupavamo,
dicevo in relazione a questo, di considerare il tentativo di astrazione che
comunque sussiste in questo tipo di esperienza, in questo tipo di ricerche,
nel concetto stesso anche di realtà virtuale, quando si cerca di produrre
un altro tipo di realtà che non è quella concreta, esistente comunemente,
reale, e non è neanche quella di fantasia - come leggevo nel catalogo
-, bensì un tipo differente di realtà prodotta da un nuovo tipo
di interazione tra l'uomo e gli strumenti tecnologici. Tra i problemi che osservavamo
in questo tipo di procedere - che io osservavo come problemi e sperimentavo
anche all'interno di alcuni giochi interattivi che ci sono alla mostra, ma che
per gli esperti del settore sono obbiettivi, invece noi li possiamo considerare
dei problemi per i motivi che adesso dirò e anche per quello che ha detto
Paolo - [c'è il fatto] che tutto il progetto telematico opera producendo,
per esempio, un nuovo tipo di realtà, cioè la realtà virtuale,
in cui c'è una diversa esperienza e concezione dello spazio e del rapporto
tra la sensorialità e la realtà. Cioè quello che avviene
è che si è immessi in uno spazio - quello virtuale - che è
concepito diversamente da quello della realtà cui noi siamo abituati
perché, per esempio, è uno spazio allargato - si dice -, senza
confini, in cui l'accesso è costantemente facilitato.
Paolo Ferrari: E' uno spazio aperto.
Susanna Verri: E' uno spazio aperto in cui, per esempio, non è
dato tragitto, non c'è un percorso, non c'è il concetto di viaggio
in questo spazio perché tutto è contemporaneamente lì,
esistente, subito pronto; non c'è limite in un certo senso. Uno spazio
aperto che, se l'uomo non sperimentasse la sua corporeità legata al sistema
vita-morte, legata ai processi dei vincoli che ancora noi abbiamo, potrebbe
probabilmente fruire in tutta la sua ampiezza, ma che, avendo invece ancora
un corpo, un inconscio, un suo sistema concreto vincolato ai termini vecchi,
diciamo, esperisce invece come un sistema aperto in cui comunque non può
stare perché il suo sistema lo porta indietro. Comunque questo tentativo
di uno spazio aperto, di una realtà meno esistente, astratta, avviene
all'interno del termine telematico senza i passaggi necessari perché
anche il corpo e la mente possano fare questi passaggi, cioè avviene
con una specie io direi anche d'inganno dei sensi, perché questi sistemi
della realtà virtuale sono studiati in modo da dare una percezione della
realtà sensoriale realistica al massimo, in contatto con una realtà
che però è virtuale; quindi inducono un senso di massima realtà
all'interno di un'esperienza con una realtà che invece di fatto non esiste.
E questo è un tentativo d'astrazione, però è anche un processo
allucinatorio se noi lo vediamo da un altro punto di vista, può essere
anche un processo di allucinazione. Quello che a noi interessa è che
è anche un tentativo di distaccare il soggetto da sé, cioè
di creare un sistema di relazioni in cui il soggetto non sia in primo piano,
ceda il passo a una rete di comunicazioni, a un sistema accessibile a tutti,
al 'villaggio globale' in cui il soggetto non è preminente, si fa da
parte e valgono le interazioni orizzontali, potrei dire. Quindi è un
tentativo che ha tutti e due gli aspetti: ha questa ricerca di un distacco da
sé, in qualche modo, letto per lo meno dal nostro punto di vista, e insieme
però il fatto che questa avvenga senza che siano maturate all'interno
dell'individuo e all'interno della specie le condizioni tali per cui questo
distacco da sé avvenga veramente sulla radice, quindi avvenga veramente
sui sistemi vita-morte e non soltanto per l'inganno dei sensi, senza poi che
i processi più profondi siano in grado di seguire, ma invece si trovino
spiazzati senza che questo produca...
Paolo Ferrari: Cioè c'è una grossissima divaricazione,
quello che osservo è una divaricazione molto grande tra l'immissione
di questi processi che sono molto più astratti, molto più vuoti,
[e la realtà consueta]. Il sistema digitale comunque io lo preferisco
in generale, anche dal punto di vista musicale: per esempio io non registro
con sistemi analogici, anche se si dice che certa musica dovrebbe essere [registrata]
con sistemi analogici, con i vecchi sistemi a nastro; di gran lunga la mia musica
l'ho registrata su sistemi digitali, perché il sistema digitale comunque
implica un passaggio da quella che è la condizione naturale. Il sistema
analogico è la condizione naturale, cioè il microfono è
il sistema analogico: registra le cose, poi c'è una decodificazione ed
è il sistema con cui noi sentiamo con le nostre orecchie; il sistema
digitale fa un operazione in più: cioè fa una decodificazione,
produce una serie di patterns, di set, di numeri [e quindi di suoni], all'interno
di questi numeri ne vengono scelti alcuni, [e] alcuni, in un certo sistema di
decodificazione, poi saranno quelli che rimarranno come forma definitiva sul
nastro Dat - in maniera un po' grossolana [questa è] la questione. Ora
non mi ricordo come funziona esattamente il Dat, ma comunque quello che mi interessa
è il fatto che il Dat funziona nel senso che c'è un intervento
sul numero e c'è la scelta di alcuni numeri rispetto ad altri. Questa
scelta è comunque un atto di astrazione rispetto a quella che è
l'emissione del dato puro naturale che il microfono fa rispetto a un nastro
analogico dei vecchi sistemi di registrazione.
Allora, tutti questi sistemi a me interessano molto in quanto c'è la
tendenza a un processo interattivo generale, cioè la tendenza a un'idea
di unitarietà, a un'idea di insieme, un'idea di linguaggi simultanei.
C'è un mondo che si sta muovendo in questa direzione, è un mondo
che usa delle vie astratte, delle vie non analogiche, delle vie per differenza,
delle vie che hanno come loro base lo zero (0) e l'uno (1), hanno il nulla o
un qualche cosa. Questa via è una via che comunque, a mio avviso, produce
una differenza rispetto a quello che era il mondo precedente: il mondo precedente
era un mondo che funzionava per analogia, adesso questa incomincia a produrre
una differenza. A me interessa questa differenza, però questa differenza
si deve portare appresso il soma vecchio il quale deve accettare tale differenza;
ma il soma vecchio non l'ha accettata affatto. Adesso a me non interessa se
quest'altro sistema sia buono o cattivo, non me ne frega niente, dico [che]
il sistema soma, il ciclo vita-morte non ha accettato ancora questa differenza
e allora vediamo cosa succede. Ma a me interessa che questa differenza sia posta.
Adesso farò un pezzo che è l'ultimo pezzo del canto con la nostra
Loretta, la quarta parte. Questa è la quarta parte del Canto mistico.
E' anche il canto della differenza, cioè in questo canto viene data la
differenza dal canto tradizionale: viene inserito il canto tradizionale o il
lieder o il canto medioevale o il canto gregoriano o del canto del madrigale
- ci sono molti elementi del madrigale -, però questo comunque è
nel mondo digitale ormai, il mondo astratto; ed ecco la differenza: è
esso stesso la differenza, si potrebbe chiamare, invece che Canto mistico,
Canto della differenza. Anche perché è interessante, se
potete seguirlo, il fatto di come viene fatto, per esempio, l'accompagnamento
perché io non accompagno nel termine classico, cioè ponendomi
accanto alla musica che ho scritto per voce, accanto e accompagnandola, cioè
rendendola più armoniosa o più complessa, stando all'interno di
essa. Io mi metto accanto a questa, ma la raddoppio cioè la rendo comunque
più complessa, cioè produco un distacco ulteriore rispetto a questa
voce che già è distaccata; e quindi anche nell'accompagnamento
che faccio delle mie musiche comunque agisce questo tipo di raddoppio, che è
il raddoppio che è all'interno di questo insieme che stiamo esplorando,
insieme-afflato vuoto.
[Paolo Ferrari esegue il Raddoppio del Canto mistico cantato da Loretta
Gasparutti (durata 4' e 15'')]
Allora chiudiamo qui con questo bel Canto della differenza.
Sarebbe utile che in questi mesi in cui non ci vediamo leggeste qualche cosa
circa questo tema della differenza, questo tema del linguaggio, dell'alterità
e chi vuole può passare qui dal Centro per avere poi delle delucidazioni
sui testi da leggere, chiedendo di Susanna o di Anna.
E allora compiamo questo piccolo passo, questo primo, iniziale distacco.
Ci vediamo a ottobre. Arrivederci.