29/6/95

IX Seminario 1994-1995

Susanna Verri:
Distribuiamo i manifesti grandi e piccoli relativi al Comma del manifesto della non arte , della non vita-morte. Istruzioni astratte.
Paolo Ferrari; Allora siamo all'ultimo incontro di quest'anno; ci rivedremo verso metà ottobre, il 19 ottobre, e inventeremo un altro cammino.
Stasera vorrei che fosse la serata dedicata alle domande, a una discussione, a possibili elementi dialettici relativi al campo che sto indagando, che stiamo indagando; questo prende sempre diverse vie e continua a sorprendermi, come d'altra parte - e io me ne accorgo dopo - è nella logica poi dell'evoluzione. Il processo evolutivo in generale, quello concreto, quello che ha portato dalla cellula a Homo sapiens o dalle catene di carbonio, o ancora indietro dal big bang fino a Homo sapiens, è un procedimento che va avanti senza che sia mai prevedibile a priori la strada che prenderà: la si conosce solo successivamente e solo successivamente si possono formulare delle ipotesi o confermare delle idee circa la via, il perché sia stata presa una certa via piuttosto che un'altra.
Il processo che sto seguendo, anzi il processo dell'assenza che mi sta seguendo e in cui sono inserito è un altra via evolutiva. Sto indagando questa altra via evolutiva, la quale via evolutiva non parte più dalla cellula o dal nucleotide o dalla materia inerte, ma parte da quello che noi abbiamo chiamato materia pensante. La materia pensante nella sua radice non è nulla, pensare non è niente: se noi prendessimo il pensare, lo facessimo uscire dal corpo, lo mettessimo lì, il pensare non sarebbe niente, cioè sarebbe un nulla; se l'attività pensante - o attività o passività pensante -, se ci pensate bene, uscisse dal cervello, se questa emanazione uscisse dal cervello, fosse staccata direttamente, completamente da un soma e si mettesse lì in mezzo, uno direbbe: “Ma non c'è, non si vede, non è niente”. Finché è all'interno di un soma è all'interno di un ciclo vita-morte che è quello che conduce la danza dell'evoluzione, la strada dell'evoluzione normale delle cose; allora si dice essere l'ultimo elemento intervenuto in questo lungo cammino evolutivo che, pensate, dura da quattro miliardi di anni, da quando si dice sia l'origine dell'universo. In effetti in realtà l'evoluzione si fa partire da quando è nata la materia vivente; sulla materia vivente poi a poco a poco si è innestata a un certo punto l'attività pensante.
Allora, quello che dicevo è che quello di cui sto indagando, è quello in cui sono in mezzo è un processo evolutivo, ma di altra specie, non è un processo evolutivo concreto, è un processo evolutivo astratto: cioè è come se all'origine di tutte le cose ci fosse questa materia-pensiero, questa assenza-pensiero, questa attività-pensiero assente la quale sta aprendosi una strada, sta aprendosi una via e io ci sono in mezzo. Come dicevo prima se noi prendiamo questo benedetto pensiero, cioè l'attività pensante, l'attività anche psicologica più in generale, questa rispetto a quello che è il mondo somatico, il mondo biologico, il mondo concreto, non è niente: non è un oggetto, non si vede, è invisibile, è intoccabile, è intangibile, non ha coordinate, non ha i parametri che sono quelli della materia concreta. In alcuni stadi della filosofia o delle filosofie orientali oppure di certe vie delle filosofie occidentali si dice che il pensiero o il corpo sia agito da certe energie: a me non è mai piaciuta questa idea dell'energia, energia è sempre un qualcosa di molto concreto, di molto aspecifico. Quello di cui sto parlando è una questione molto specifica, molto circostanziata, che ha dei confini, che produce dei confini, che produce delle limitazioni, che produce dei vincoli, ma poi da questi vincoli produce, dà luogo a perfetti processi d'astrazione che io ho chiamato 'assenza'.
Questa premessa la voglio fare perché sto osservando la divaricazione netta fra due entità. L'entità concreta, che è quella somatica, biologica, che è quella dei corpi, è quella per cui la terra gira, per cui il sole sta fermo e quell'altro si muove, ecc., ecc., quella per cui la cellula impara a moltiplicarsi, la cellula impara a morire, imparando a morire impara a mettersi in relazione con altre cellule e diventa un sistema pluricellulare e dà un sistema pluricellulare - adesso faccio dei cenni, così, anche per chi non fa il medico e quindi non frequenta questi luoghi. Ma alla fin fine quello che sto osservando, quello di cui mi sto nutrendo e a cui sto cercando di dare linguaggio è proprio questo nulla, questo nulla che è il distacco, è la parte assente rispetto a qualche cosa che invece è somatico; noi ragioniamo ancora in termini somatici: dato che c'è un essere o una cosa, data questa cosa noi possiamo intorno a questa cosa ragionare, ma se qui in mezzo non c'è niente noi non possiamo far niente. E io invece dico: “Se non c'è niente incominciamo a fare qualche cosa” e questo qualche cosa è un processo, un procedimento che è per assenza, che è completamente diverso da quello precedente; anche perché la mente e quindi tutti i processi psicologici, anche la follia, anche l'alterità di cui parlavamo, l'altro, nascono sempre, sono stati fatti nascere comunque da un ciclo vita-morte in cui l'individuo è solitamente inserito: cioè la mente, la ragione sono inserite in un corpo, questo corpo è derivato da certe catene dell'acido desossiribonucleico, queste a loro volta sono nate da certi anelli di idrogeno, la sostanza inorganica è diventata organica, ma anche qui in mezzo, tra la sostanza inorganica e quella organica, c'è qualche cosa che è assente, che è vuoto. Si dice spesso del salto di qualità, io dico invece che c'è qualche cosa che è assente rispetto a quello che noi pensiamo sia presente, concreto perché noi siamo abituati a pensare soltanto in termini concreti, in generale - io no, io l'ho superato.
Allora tutto il nostro procedimento di pensiero, tutto quello che noi teorizziamo, quello che noi vediamo, quello che noi facciamo, le nostre azioni sono impregnate completamente dell'oggetto concreto perché il nostro corpo deriva da un oggetto concreto: noi camminiamo, noi vediamo, noi andiamo a sbattere, noi sentiamo, noi abbiamo dei sentimenti, delle sensazioni che sono sempre degli oggetti concreti. L'evoluzione è fatta di oggetti concreti, per cui c'è stata un'evoluzione sempre successiva di oggetti concreti; gli oggetti concreti si sono specializzati ed hanno imparato a diventare meno concreti: la scimmia è meno concreta dell'ameba, ha più capacità, più capacità nervosa, una maggiore capacità di organizzazione; un corpo, un organismo biologico ha più capacità di organizzazione di una cellula singola, anche se la cellula si è fatta il suo confine e si è separata dal resto e ha prodotto un distacco: in questo distacco ha prodotto una differenza.
Quello che sto dicendo è che la differenza è un ente che non c'è: se io penso per differenza penso per enti che non ci sono, la differenza è qualche cosa che non c'è. Se la differenza la porto al massimo grado io parlo di un altro, di un'alterità perché è una differenza assoluta; la differenza assoluta è quella che è stata chiamata nella storia "la mente di Dio", è la differenza assoluta rispetto a quello che è la concezione umana del soma, del mondo; quello che è stato pensato al massimo della differenza è la mente di Dio. La mente di Dio è stata pensata anche da alcuni pensatori religiosi -da Meister Eckhart, come avevamo detto - come il massimo livello del nulla, come massima espressione del nulla, cioè come questo ente che non c'è, che non ha bisogno di manifestarsi, non ha la necessità di esserci, cioè privo di quella catena della necessità.
Allora - dicevo - sono inserito dentro a questo nuovo processo, il quale processo non è concreto: io continuo a pensare in termini di vuoto, di assenza, vedo questo luogo che è assente e sono inserito in questo luogo assente. E' molto probabile - da quello che sto capendo sempre meglio e sempre di più in questi giorni - il fatto che in me sia successo che si è distaccata massimamente l'attività pensante da quello che è l'attività somatica, biologica, cioè il ciclo vita-morte: il ciclo vita-morte va per conto suo, una serie di elementi dell'attività pensante si son distaccati. Ma bisogna fare una premessa: anche nella situazione schizofrenica, nella situazione schizoide, nella situazione nevrotica, si è distaccata la situazione mentale dalla situazione corporea, in tutte le situazioni, diciamo, di un certo tipo di patologia c'è una scissione tra il corpo e la mente. Io non sono di questo genere, quello che sto indagando non è assolutamente di questo genere, e probabilmente è successo che in questo processo che sto seguendo ormai da anni, e che d'altra parte è anche molto doloroso in certi momenti perché squarcia, cioè annichilisce, l'attività somatica, l'attività biologica in generale, la vita-morte per dar luogo a questo distacco dell'attività pensante che è niente, che è vuoto, che abbiam visto non è niente, non si tocca, ha dovuto accettare in se stessa di morire, di venire meno; venendo meno ha prodotto questo distacco, ha prodotto questo elemento in mezzo, questo vuoto, questo nulla. Questo nulla è pensare. Presuppongo che nella situazione scimmiesca a poco a poco sia successo che nella scimmia, che non sa pensare, hanno incominciato a pulsare delle situazioni di un vuoto, delle situazioni di un qualche cosa che non era niente. Questo ha fatto sì che quello che era tanto, che era eccessivo, che era il vitalismo - il fatto che si arrampica sulle piante, che mangia l'erba, che ne fa di tutti i colori, che si accoppia in continuazione -, dovesse venire meno, cioè la scimmia in quanto scimmia, in quanto entità biologica scimmia, moriva. Morendo la scimmia-entità biologica nasceva un qualche cosa che non era niente, che era la morte trasformata, era una morte astratta, era il pensiero che si faceva: la scimmia morendo diventava scimmia-pensiero e poi man mano pensiero e poi Homo e in tutti i vari passaggi attraverso le ere. Diventato Homo è successo che a un certo punto, in questa situazione Homo sapiens in me ha incominciato a morire; in questo morire, in questa vibrazione assoluta, potentissima, in questo squarciamento di questo vivere - ma senza questo vivere e morire, senza perdere mai conoscenza e quindi afferrando continuamente una conoscenza dell'unità del sé -, incominciava a farsi fuori e a farsi sotto un'altra attività pensante che era quel vuoto liberato da Homo sapiens che accettava di morire, di non essere, di non essere per le sue parti che erano in eccedenza rispetto a questa attività-nulla vuoto, nulla vuoto a cui, in generale, diamo nome pensiero. Io non do più il nome pensiero perché è assenza, perché è una cosa molto più vuota dell'attività pensante normale, è molto più astratta, molto più ampia, molto più silenziosa, anche molto più attiva; è quel nulla attivo di cui parlavo.
Ulteriormente stanno succedendo altri fatti, ulteriori fenomeni di questa morte del sistema biologico, del sistema somatico Homo sapiens; al posto di questo continuano a venire fuori dei processi di Homo absens, di questa attività astratta: l'attività astratta in massimo grado è il linguaggio, è una forma di linguaggio, è l'espressione di una espressione linguistica che io continuo ad usare, un'espressione linguistica che mi permette di essere presente, ma nel momento stesso in cui sono presente di essere anche in un altro luogo o di raccogliere le istanze di tanti altri luoghi pur essendo qui, e quindi di essere in una situazione spazio-temporale differente da quella che è la solita norma - che è quella del pensiero di Homo sapiens -, la quale deriva da un soma che è ancora legato strettamente a vita-morte e quindi ancora molto concreto. E allora il suo spazio-tempo è molto limitato perché è inserito in un sistema ancora molto concreto, ancora soggetto a una temporalità che non si è sviluppata ulteriormente.
Ora ho dovuto fare questa lunga premessa perché, siccome stanno succedendo dei fatti molto importanti, non potevo farne a meno.
Sono stati distribuiti delle specie di manifesti che sto adoperando adesso per illustrare questa attività - questa attività artistica, questa attività scientifica, questa attività non arte-non scienza, questa attività altro -, che adesso apporrò nelle varie parti del Centro e che dovranno guidare l'attività pensante di chi entra qui dentro. Chi entra qui dentro è la persona che consapevolmente o inconsapevolmente a poco a poco accetta che la sua parte vecchia di soma-psiche muoia e possa prodursi questo spazio vuoto, questo nulla che è il nuovo pensare dell'assenza. Lui comunque in questa situazione in cui le relazioni astratte sono di questo tipo di complessità, di questo tipo di unitarietà, se le coglie, nel momento stesso in cui le coglie, in quel momento accetta di venire meno rispetto a quello che è la sua eccedenza, la sua eccedenza che gli impedisce di vivere un livello più complesso e più completo e quindi di realizzare un pochettino una sua identità maggiore, una sua unità maggiore, di venire fuori da quella che ho chiamato la schizofrenia umana.
Mi fermo qui, a questa premessa, perché vorrei raccogliere delle domande, vorrei raccogliere un minimo di dibattito.
Paolo Ferrari: Tu, Susanna, volevi porre il tema dell'altro?
Susanna Verri: Sì, pensavo di porlo in prosecuzione anche del discorso che avevo fatto l'altra volta ancora con un accenno, nel senso che il tema dell'altro è un tema di grandissima portata e avevo individuato per questa sera la possibilità di agganciarmi al discorso dell'altra volta per poi giungere a puntualizzare un aspetto che in particolare mi aveva colpito in questi giorni, cioè una specificità del tuo modo di porti e di pensare anche questo tema, di ripensarlo all'interno del campo dell'assenza in modo originale, totalmente originale. L'altra volta avevo parlato dell'antipsichiatria di Basaglia, del tema del riconoscimento dell'altro da sé, della differenza; il percorso che avevo pensato per questa sera era quello di giungere a puntualizzare velocemente come il tema dell'altro sia stato pensato sempre, in qualche modo, come se l'altro fosse da escludere, vedevamo l'altra volta, oppure da riconoscere, da poter accettare oppure - accennerò questa sera come è stato pensato da Lacan in particolare relativamente alla psicosi - come un qualche cosa che pone una differenza.
Paolo Ferrari: L'altro come alterità, quindi non l'altro come alieno, come malato, perché ci sono tanti livelli di altro...
Susanna Verri: Sì.
Paolo Ferrari: ... perché l'altro sei anche tu rispetto a me, o l'altro è l'altro...
Susanna Verri: Perché in genere io ne parlo in un modo che comprende tutti questi aspetti, cioè ne parlo come alla radice, perché poi è come se il discorso a mano a mano che viene specificato possa prendere le varie facce di questo tema: l'altro, a livello del soggetto, come altro da sé, quindi come origine di riconoscimento dell'altro da sé, come origine della possibilità di rapporto, di relazione , oppure l'altro come differenza da sé e quindi come distacco da sé, e quindi come quello che dicevo adesso del discorso lacaniano. Per esempio nel discorso lacaniano questo altro da sé è quello che fonda la possibilità di linguaggio. Era questa specificazione che mi chiedevi? E poi si può avanti ancora a differenziare perché l'altro di cui parliamo qui a mio parere è queste cose, ma è anche il tema dell'assenza e quindi è l'estrema espressione dell'altro, cioè è l'altro da sé, è la differenza da sé, ma è anche proprio il totalmente altro, quello che è probabilmente è anche difficile da comunicare, perché del totalmente altro, quindi del tema dell'assenza nella sua massima espressione, non se ne ha l'esperienza, cioè io non ne ho l'esperienza. Quindi se parlo, parlo più facilmente dei due altri ambiti di cui ho accennato, cioè dell'altro come riconoscimento dell'altro da me, quindi come fondazione del rapporto interpersonale, quindi come possibilità di riconoscimento della differenza dell'altro da me e dell'altro come altro da me nel senso di differenza di me da me, quindi di possibilità di distacco di me da me stessa, di ciascuno da sé e quindi come nascita del linguaggio, se vogliamo seguire Lacan, il quale dice che il linguaggio è il luogo dell'altro perché nasce soltanto quando sia data la possibilità di rinuncia al godimento primario, quello che Freud chiama la pulsione di morte. Allora Lacan dice che solo nel caso in cui sia data questa rinuncia, in cui sia intervenuta la castrazione simbolica, è possibile che la pulsione di morte venga contenuta, venga distanziata e in questa distanza nasca il linguaggio; e poi ancora dice Lacan che in particolare questo non avviene nella psicosi, per cui nella psicosi esiste invece questo dominio della pulsione di morte per cui l'altro non si struttura, non è governabile e quindi allora la cura consisterebbe nel tentativo di tenere a freno questo altro, questo altro che non è educato, di fare barriera, di fare in modo che non invada eccessivamente.
Il tema che mi interessava e che avevo seguito questa settimana partiva da queste considerazioni e poi anche da una frase che avevo letto nel racconto di Paolo La nascita dell'altro, scoperchiando la mente di Dio - che sta ricorreggendo in questo periodo - in cui c'è un affermazione nella quale si poneva l'alterità come necessaria, cioè si poneva il piano dell'altro - e in questo caso l'altro prende tutta la gamma, dalla differenza da sé, dal distacco da sé fino poi al campo dell'assenza -, questa alterità come necessaria: cioè il silenzio, quell'alterità che sono necessari e compagni alle cose perché non implodano, perché restino anche dopo il loro terminare. Mi aveva colpito questa necessità perché l'altro come necessario non è sostenuto in questi altri pensieri che avevo detto, al massimo si arriva a doversene difendere ed è una differente accezione di altro; l'altro come necessario è il fondamento del campo dell'assenza, è il fondamento della possibilità che venga immesso nella realtà un altro piano di consistenza differente, di esistenza differente tale per cui qui si dice che le cose non implodano, quindi non scoppino all'interno, non siano soffocate dalla loro stessa concretezza. E avendo poi fatte queste considerazioni è interessante il manifesto che abbiamo distribuito perché mi è sembrato in linea con questo discorso, perché in questo manifesto della 'Non arte, della non vita-morte' mi sembra si spieghi appunto questa necessità, cioè si pone, nell'emergenza del nuovo livello di realtà che abbiamo chiamato assenza, la possibilità anche di un'uscita dal ciclo di vita-morte del pensiero, dal ciclo vita-morte-pensiero, cioè dell'esistenza di un tipo di attività pensante che acceda appunto a questo stadio di cui si parla in cui tutto è già estinto, ma nulla è morto perché l'estinzione non coincide con la morte.
Paolo Ferrari: Col vecchio tipo di morte!
Susanna Verri: Questo era l'ambito delle considerazioni che avevo fatto.
Paolo Ferrari: Io raccolgo un po' di sollecitazioni. Tu, Anna, avevi un tema sul Raddoppio, se non sbaglio.
Anna Lafranconi: Più o meno. Avevo in mente il Raddoppio in quanto nell'ambito dello svolgimento dei Seminari abbiamo conosciuto il Raddoppio come una delle forme con cui l'assenza manifesta la propria differenza rispetto ai canoni consueti. Col Raddoppio vengono indicati l'atto e l'effetto di quel processo per cui due temi o due livelli di realtà separati e distinti suonano insieme in modo tale che il secondo apporti al primo un ulteriore livello assente. Il Raddoppio è il proporre, ma anche il generarsi di un altro livello più capiente e in generale più complesso di quella realtà di cui si decide il Raddoppio; quindi non è una ripetizione del primo livello con un qualche spostamento, bensì è l'introduzione di un nuovo fattore per mezzo del livello secondo, tale per cui tutto l'insieme risulti più assente, risuoni più assente - o meglio anzi -, più capace di tessere una trama di relazioni vuote non solo all'interno del campo ristretto della composizione stessa, bensì nel campo allargato che comprende anche l'osservatore o l'ascoltatore, che non è più un soggetto passivo, ma entro la struttura di spazio e tempo che si è instaurata. Quindi il Raddoppio equivale a dare luogo a un campo di relazioni complesse nel quale la modalità di relazione si ponga più assente e - come hai detto tu molto precisamente - più capace di alterità e di astrazione e quindi si introduce in questo modo un insieme che è maggiormente capace di esistenza . Nei Seminari noi abbiamo avuto modo di conoscere il Raddoppio in musica, che è appunto la duplicazione simultanea di una certa composizione musicale, con un altro livello costituito da un'altra composizione appartenente al campo dell'assenza, in generale. Ora, quello che mi chiedevo era se fosse possibile vedere, considerare quali Raddoppi le relazioni create qui al Centro dalle tele stesse, dalla disposizione delle tele, dalle relazioni tra le tele e gli altri oggetti esistenti al Centro e quali Raddoppi, per esempio, le nuove forme degli ultimi giorni, dell'ultimo periodo, create tramite gli specchi, con i disegni sugli specchi. Quindi mi domandavo e ti domandavo se è possibile pensare appunto quali Raddoppi tutte queste relazioni presenti al Centro Studi.
Paolo Ferrari: Ci sono altre domande? Se no incomincio a rispondere a queste.
Io risponderei con un allargamento del tema; cioè il problema che ho, o che il campo di cui mi occupo ha in sé intrinseco, è il fatto del crearsi e generarsi di un linguaggio, di un certo livello linguistico che è comunque una strada, cioè il formarsi di una strada: la specializzazione e la specialità di questo livello di cui ho parlato o di questa assenza, di questo pensiero assente, di questo pensare assente, in assenza o il pensare col distacco o la possibilità di essere altro, la fondazione di questo altro. Una delle proprietà, delle caratteristiche in cui mi sono immesso, in cui ho seguito il percorso è il fatto che questo campo da totalmente assente, da totalmente altro si è fatto volta per volta, si fa di volta in volta sempre più circoscritto, più circoscritto in una sua identità altra che assume e porta con sé i diversi linguaggi, i livelli linguistici che si sono usati fino adesso storicamente, culturalmente. Uno dei livelli linguistici, una delle manifestazioni linguistiche è per esempio il raddoppio; ovvero il fatto che, dato questo campo così assente, così vuoto - e in questo caso, stasera, assente significa pensante altro, essente altro, essente capace di essere altro o diverso da sé -, questo può includere, può partecipare e poi includere e assumersi la responsabilità, chiamiamola così, del posizionamento dei vari 'altri' che ci sono stati storicamente. Come diceva Susanna ci sono tanti livelli dell'altro: l'altro è quello che è di fronte a me, l'altro è l'alterità, quello che il poeta va cercando fuori dal mondo, fuori da sé, fuori da una realtà circoscritta, l'altro è quello che per il cristiano è la divinità o il paradiso, l'altro è l'altro mondo, l'altro è, per il pensatore psicanalitico, la nascita del linguaggio, l'altro è, per il bambino, la capacità di distaccarsi dalla madre e il riconoscere una realtà esterna a sé, diversa da sé e porre in mezzo il fatto che ci sia questa differenza; cioè l'altro è un capitolo molto ampio del pensare, del pensare umano. Ma quello che voglio fare capire sempre con maggiore precisione [è un altro] fatto. Prendiamo questo esempio: la scimmia, il pensiero, il cervello della scimmia, prima che la scimmia pensasse di poter parlare, di avere un linguaggio simbolico, ma anche lo scimpanzé più evoluto, più intelligente del branco non avrebbe mai capito che a un certo punto sarebbe andato a parlare, non l'avrebbe mai saputo, non gli sarebbe mai venuto neanche lontanamente in mente il fatto che a un certo punto avrebbe parlato, che avrebbe usato degli strumenti sofisticati o degli strumenti linguistici sofisticati, ma non solo, non avrebbe mai potuto capire il fatto che o improvvisamente o a un certo punto della sua evoluzione il mondo si sarebbe allontanato totalmente; lo scimpanzé viveva sugli alberi, nella sua tana, il mondo è circoscritto, come il bambino vive in un mondo circoscritto, vive un mondo intorno a sé, anche il bambino difficilmente pensa che il mondo gli sprofondi intorno e a un certo punto il mondo scompaia perché si fa distaccato. Quello che voglio dire, che mi sembra molto interessante in questo nuovo livello linguistico di cui mi sto occupando e che mi sembra semplice anche da spiegare, più facile di una volta, è il fatto che quello di cui sto parlando, questo livello dell'assenza, non è nient'altro che il fatto che [io], un essere, un essere umano, Homo sapiens è diventato adulto, è diventato grande e si è accorto che il mondo è molto più distaccato, è molto più vuoto rispetto a Homo sapiens il quale dice: “No, il mondo è qui, è qui attaccato e io sto attaccato qui, la mamma è ancora lì, il papa è ancora lì, io sto attaccato qui, anche se ho imparato un pezzettino di distacco, perché se non avessi questo pezzettino di distacco avrei tutta una confusione, avrei un mondo tutto attaccato a me e non avrei neanche imparato ad essere ente linguistico”. Come diceva Susanna, Lacan dice che il bambino in un passaggio diventa ente linguistico. Come cerco di spiegare ai miei allievi quando parlo di linguaggio, non parlo della voce, della parola o dello scritto, il linguaggio è il mondo, la relazione, l'interazione è un'interazione linguistica: questo microfono mi significa questo, vuol dire questo, mi serve a questo; la presenza di un'altra persona mi significa questo, mi produce questo, mi produce una serie di segni, da questi segni ho delle risposte, queste risposte mi producono un campo che è il campo linguistico dentro cui sto agendo; io ho un corpo, sono un corpo, sono un ente somatico, un ente pensiero; questo è un campo linguistico, io sono linguaggio. Il passo ulteriore dell'assenza è il fatto che il campo linguistico umano è un pochettino più evoluto di quello scimmiesco: la scimmia a un certo punto si è trovata il fatto che il mondo si allontanava, si allontanava e lo vedeva come un cannocchiale al contrario; poi a un certo punto l'uomo che nasceva - Homo erectus o i vari uomini, il bipede barcollante - cominciava a stare in piedi, ad arrangiarsi, a diventare sempre meno concreto e quindi anche a stare in piedi in maniera più astratta - in modo più barcollante vuol dire più astratto - senza dover attaccarsi gambe, mani e piedi, ma, dovendo stare in piedi, ad avere una stazione eretta che è comunque un processo più vuoto rispetto al fatto di andare a quattro zampe. Il bambino impara ad andare in piedi e quindi il suo campo diventa più vuoto rispetto al fatto di andare a quattro zampe; il bambino da una mancanza di linguaggio o da un linguaggio segnico incomincia a parlare, il campo diventa più vuoto, cioè il mondo si allontana e assume un distacco e allora il mondo in questo spazio nasce, si libera l'altro che non è più l'altro morto, non è l'altro morente, non è più la pulsione di morte lacaniana, che non mi è ancora abbastanza chiaro che cosa sia, se sia un elemento di totale fusionalità, se sia un elemento di simbiosi, una simbiosi dell'individuo con se stesso, una simbiosi dell'individuo tra sé e la madre, tra sé e il padre, se sia l'elemento simbiotico in sé che produce probabilmente una pulsione alla morte, cioè una pulsione alla degenerazione, alla aspecificità del processo, al non distacco e perciò se non c'è distacco non c'è ente linguistico.
Allora ritorniamo alla scimmia. La scimmia vede allontanare tutto questo, o meglio, nei vari passaggi dalla scimmia all'uomo - adesso non so i vari passaggi antropologici, non li ricordo mai - gli individui che passano hanno incominciato ad accorgersi di un mondo diverso e credo che fossero terrorizzati perché non erano organizzati in quanto ogni volta se ne apriva un altro: hanno avuto il tempo che hanno avuto, cioè hanno avuto un buon tempo. Quello che succede a me è che invece non ho tempo: mi succede il fatto che improvvisamente questo nuovo campo che sto esplorando, questo campo dell'assenza, che non è nient'altro che tutto il campo che a me era esterno, con cui avevo distacco, avevo distacco umano, è diventato distacco all'infinito, cioè il mondo è diventato vuoto, totalmente vuoto. Cioè come era successo per la scimmia-linguaggio-uomo, per cui il campo linguistico dell'uomo se l'uomo fosse rimasto ancora scimmia sarebbe stato un mondo completamente vuoto, così per me il campo è totalmente vuoto. Quello che sta succedendo è che sto capendo dal punto di vista antropologico, antropocentrico forse, ma liberandomi dall'antropocentrismo, che cosa sia questo vuoto, cioè sto applicando un campo linguistico a un campo che però ha superato già la lingua; allora questo sarebbe una contraddizione: infatti quello che dicevo gli anni passati [era] che non sapevo come fare, non sapevo come dire perché il linguaggio che noi usiamo, ma il linguaggio anche in termini più ampi, quello filosofico, logico, matematico, fisico, non può spiegare assolutamente niente, è un mondo piccolissimo. All'interno di questo allora ho inventato altri linguaggi: ho inventato la pittura, ho inventato il pianoforte, il raddoppio, gli specchi, sto inventando tutti questi elementi perché rendano un confine a questo linguaggio; però nello stesso tempo il mio linguaggio è continuamente vuoto: io parlo di questo, questo per sua fortuna lascia qualche scia, che è il seme che voi vi portate dentro, è il seme generativo, è il raddoppio, in un certo senso, di quello che è la realtà vostra che è ancora nel campo di Homo sapiens, di Homo. Questo seme cosa porta? Porta al fatto che a poco a poco si formi un distacco e si formi questo campo di niente - il distacco vuol dire un campo di niente -; ma questo campo di niente paradossalmente, ma in maniera molto interessante - l'ha detto anche Bion che è uno psichiatra francese che ha studiato i bambini psicotici -, questo campo di niente è il pensiero, cioè il pensiero non è nient'altro che il fatto che il microfono è qui ed io sono qui, il fatto che io sia qui [e che] io abbia un'interazione tra questi due elementi, questo è il pensiero. Perciò il pensiero non è niente perché qui in mezzo non c'è niente, c'è soltanto questa interazione. Allora, se io rendo l'interazione più complessa, massimamente complessa - e questo Centro è questa interazione massimamente complessa -, io fondo un altro pensiero. Ma questo pensiero è fatto di nulla perché non ha bisogno degli oggetti precedenti, non solo, ma si inserisce in uno spazio-tempo che non è più lo spazio-tempo di prima - infatti ho parlato di intemporalità -, potrebbe fare a meno dello spazio-tempo, ma non essere atemporale, perché comunque fonda un altro linguaggio, un altro livello linguistico che è il tempo capace di farsi assente, di farsi vuoto.
Io uso le categorie umane per parlare di questo altro linguaggio, ma io sono inserito in questo altro linguaggio, conosco benissimo il tempo che è vuoto, per cui una parte di me, per esempio, è continuamente vuota, è in un tempo vuoto e questa parte di me non nasce né muore, non le succede niente, è continuamente questo vuoto, spazio-tempo vuoto; l'altra parte invece, che segue le leggi storiche, biologiche, segue il tempo-spazio, accetta di vivere e morire, ma perché non gliene frega niente, perché si è formata questa divaricazione in cui l'attività vuota ha preso il posto dell'attività concreta: questo vuoto, questa attività vuota, questa differenza, questa interazione vuota per cui io sono qui, quello è lì e in questo spazio questo è l'altro, è l'alterità. Allora l'alterità è fondamentale. Dicevo già ai gruppi, anni fa, che se non si fosse fondata l'alterità in ogni Homo - Homo sapiens - l'uomo non potrebbe pensare perché non potrebbe avere uno spazio tra sé e l'altro, tra sé e sé; allora in Homo c'è già questo in bozza, in maniera ancora primordiale, questa alterità. Questa alterità è la sua capacità pensante. Allora diciamo che la sua capacità pensante in un certo senso deriva dalla situazione somatica, ma è anche separata, è anche tutt'altro; questo tutt'altro se è portato in un altro campo è anche la follia, perché la follia è l'espressione di un qualche cosa che è tutt'altro, di un insieme che, in certo senso, è diventato tutt'altro però è rimasto fuso insieme: è successo un connubio tra corpo, pensiero, psiche, questo è imploso su se stesso e in questa implosione è diventato altro, si è fondato in un certo senso questo altro [che] però non ha la libertà di essere capace di fondare un pensiero altro; è altro, ma non è capace di fondare un pensiero altro, cioè non è capace di pensarsi, non ha la capacità autoriflessiva che è quella di Homo sapiens, però - come dicevo l'altra volta - è comunque altro. Allora di questa alterità noi fondamentalmente ne abbiamo bisogno, Homo sapiens ne ha bisogno, perché non si fonderebbe mai il pensiero se un uomo non riconoscesse l'altro uomo diverso da sé. Questo è il principio dell'amore, questo è chiamato il principio dell'amore, ma non è niente di speciale, è un principio fisiologico: cioè l'amore è il fatto che uno riconosca l'altro come diverso da sé e interagisca lasciando lo spazio giusto e cioè lo riconosca come valido, come altro. L'altro può essere una persona, l'amico, la madre, il figlio, ma l'altro può essere anche il folle il quale altro è successo che è diventato altro. Allora, se io conosco l'altro, il folle come altro, totalmente altro e gli lascio la sua alterità, su questa sua alterità posso fondare il fatto che lui diventi capace di autoriflessione e quindi di fondare la sua stessa alterità - e questo è uno dei principi della mia terapia, cioè che l'altro diventi capace, data la sua alterità, cioè dato che lui è altro rispetto a me, dati tutti i suoi nuclei psicotici che comunque si sono fondati in maniera altra, che quest'altro diventi capace di fondarsi, di distaccarsi da sé e quindi di fondarsi come nuovo ente linguistico astratto-vuoto. Questo nuovo ente linguistico astratto-vuoto è quello che non ha più in sé il ciclo di vita e di morte, non c'entra più niente; come d'altra parte il pensiero umano, anche se attaccato al soma, in quanto si è separato, in quanto ha minimamente il distacco, in questo distacco non dipende dal soma, non muore nel soma, non implode nel soma, tant'è che si è fondata la scienza, si è fondata la filosofia, si sono fondate queste grandi categorie le quali non parlano di vita e di morte, non dipendono dal fatto che il tempo sta passando, però pur essendo distaccate hanno dentro di sé l'errore del fatto di non aver scavato dentro il tempo e dentro lo spazio da cui derivano, dal soma da cui derivano per cui fanno finta di essere distaccate, [ma] non sono sufficientemente distaccate.
A questo punto ci sarebbe da fare tutto un nuovo discorso [riguardo] alle reti telematiche, al nuovo mondo di esplorazione, al mondo digitale che è il tentativo di rendere il pensiero-mente umano immortale, in un certo senso, di renderlo come altro, come un'alterità, come un sostituirsi alla mente. Però lì c'è un altro errore fondamentale: che la mente non ha accettato ancora di poter morire e di distaccarsi da sé e di fondare un mondo - anche quello delle macchine - che possa non avere più queste radici vecchie da cui comunque deriva.
E io mi fermo, se no qui diventa... Vuoi andare avanti tu?
Susanna Verri: Io andrei anche avanti, ma...
Paolo Ferrari: Cinque minuti, perché poi devo suonare.
Susanna Verri: In che direzione? quella telematica?
Paolo Ferrari: E sì, su questa cosa qui; appena qualche cenno sulla depersonalizzazione.
Susanna Verri: In sintesi relativamente a una mostra che c'è alla Triennale che si chiama 'Oltre il villaggio globale' e che tratta tutti i temi dell'evoluzione tecnologica a fondamento di nuovi tipi di relazione uomo-macchina e uomo-realtà attraverso la mediazione dei sistemi tecnologici, ci occupavamo, dicevo in relazione a questo, di considerare il tentativo di astrazione che comunque sussiste in questo tipo di esperienza, in questo tipo di ricerche, nel concetto stesso anche di realtà virtuale, quando si cerca di produrre un altro tipo di realtà che non è quella concreta, esistente comunemente, reale, e non è neanche quella di fantasia - come leggevo nel catalogo -, bensì un tipo differente di realtà prodotta da un nuovo tipo di interazione tra l'uomo e gli strumenti tecnologici. Tra i problemi che osservavamo in questo tipo di procedere - che io osservavo come problemi e sperimentavo anche all'interno di alcuni giochi interattivi che ci sono alla mostra, ma che per gli esperti del settore sono obbiettivi, invece noi li possiamo considerare dei problemi per i motivi che adesso dirò e anche per quello che ha detto Paolo - [c'è il fatto] che tutto il progetto telematico opera producendo, per esempio, un nuovo tipo di realtà, cioè la realtà virtuale, in cui c'è una diversa esperienza e concezione dello spazio e del rapporto tra la sensorialità e la realtà. Cioè quello che avviene è che si è immessi in uno spazio - quello virtuale - che è concepito diversamente da quello della realtà cui noi siamo abituati perché, per esempio, è uno spazio allargato - si dice -, senza confini, in cui l'accesso è costantemente facilitato.
Paolo Ferrari: E' uno spazio aperto.
Susanna Verri: E' uno spazio aperto in cui, per esempio, non è dato tragitto, non c'è un percorso, non c'è il concetto di viaggio in questo spazio perché tutto è contemporaneamente lì, esistente, subito pronto; non c'è limite in un certo senso. Uno spazio aperto che, se l'uomo non sperimentasse la sua corporeità legata al sistema vita-morte, legata ai processi dei vincoli che ancora noi abbiamo, potrebbe probabilmente fruire in tutta la sua ampiezza, ma che, avendo invece ancora un corpo, un inconscio, un suo sistema concreto vincolato ai termini vecchi, diciamo, esperisce invece come un sistema aperto in cui comunque non può stare perché il suo sistema lo porta indietro. Comunque questo tentativo di uno spazio aperto, di una realtà meno esistente, astratta, avviene all'interno del termine telematico senza i passaggi necessari perché anche il corpo e la mente possano fare questi passaggi, cioè avviene con una specie io direi anche d'inganno dei sensi, perché questi sistemi della realtà virtuale sono studiati in modo da dare una percezione della realtà sensoriale realistica al massimo, in contatto con una realtà che però è virtuale; quindi inducono un senso di massima realtà all'interno di un'esperienza con una realtà che invece di fatto non esiste. E questo è un tentativo d'astrazione, però è anche un processo allucinatorio se noi lo vediamo da un altro punto di vista, può essere anche un processo di allucinazione. Quello che a noi interessa è che è anche un tentativo di distaccare il soggetto da sé, cioè di creare un sistema di relazioni in cui il soggetto non sia in primo piano, ceda il passo a una rete di comunicazioni, a un sistema accessibile a tutti, al 'villaggio globale' in cui il soggetto non è preminente, si fa da parte e valgono le interazioni orizzontali, potrei dire. Quindi è un tentativo che ha tutti e due gli aspetti: ha questa ricerca di un distacco da sé, in qualche modo, letto per lo meno dal nostro punto di vista, e insieme però il fatto che questa avvenga senza che siano maturate all'interno dell'individuo e all'interno della specie le condizioni tali per cui questo distacco da sé avvenga veramente sulla radice, quindi avvenga veramente sui sistemi vita-morte e non soltanto per l'inganno dei sensi, senza poi che i processi più profondi siano in grado di seguire, ma invece si trovino spiazzati senza che questo produca...
Paolo Ferrari: Cioè c'è una grossissima divaricazione, quello che osservo è una divaricazione molto grande tra l'immissione di questi processi che sono molto più astratti, molto più vuoti, [e la realtà consueta]. Il sistema digitale comunque io lo preferisco in generale, anche dal punto di vista musicale: per esempio io non registro con sistemi analogici, anche se si dice che certa musica dovrebbe essere [registrata] con sistemi analogici, con i vecchi sistemi a nastro; di gran lunga la mia musica l'ho registrata su sistemi digitali, perché il sistema digitale comunque implica un passaggio da quella che è la condizione naturale. Il sistema analogico è la condizione naturale, cioè il microfono è il sistema analogico: registra le cose, poi c'è una decodificazione ed è il sistema con cui noi sentiamo con le nostre orecchie; il sistema digitale fa un operazione in più: cioè fa una decodificazione, produce una serie di patterns, di set, di numeri [e quindi di suoni], all'interno di questi numeri ne vengono scelti alcuni, [e] alcuni, in un certo sistema di decodificazione, poi saranno quelli che rimarranno come forma definitiva sul nastro Dat - in maniera un po' grossolana [questa è] la questione. Ora non mi ricordo come funziona esattamente il Dat, ma comunque quello che mi interessa è il fatto che il Dat funziona nel senso che c'è un intervento sul numero e c'è la scelta di alcuni numeri rispetto ad altri. Questa scelta è comunque un atto di astrazione rispetto a quella che è l'emissione del dato puro naturale che il microfono fa rispetto a un nastro analogico dei vecchi sistemi di registrazione.
Allora, tutti questi sistemi a me interessano molto in quanto c'è la tendenza a un processo interattivo generale, cioè la tendenza a un'idea di unitarietà, a un'idea di insieme, un'idea di linguaggi simultanei. C'è un mondo che si sta muovendo in questa direzione, è un mondo che usa delle vie astratte, delle vie non analogiche, delle vie per differenza, delle vie che hanno come loro base lo zero (0) e l'uno (1), hanno il nulla o un qualche cosa. Questa via è una via che comunque, a mio avviso, produce una differenza rispetto a quello che era il mondo precedente: il mondo precedente era un mondo che funzionava per analogia, adesso questa incomincia a produrre una differenza. A me interessa questa differenza, però questa differenza si deve portare appresso il soma vecchio il quale deve accettare tale differenza; ma il soma vecchio non l'ha accettata affatto. Adesso a me non interessa se quest'altro sistema sia buono o cattivo, non me ne frega niente, dico [che] il sistema soma, il ciclo vita-morte non ha accettato ancora questa differenza e allora vediamo cosa succede. Ma a me interessa che questa differenza sia posta.
Adesso farò un pezzo che è l'ultimo pezzo del canto con la nostra Loretta, la quarta parte. Questa è la quarta parte del Canto mistico. E' anche il canto della differenza, cioè in questo canto viene data la differenza dal canto tradizionale: viene inserito il canto tradizionale o il lieder o il canto medioevale o il canto gregoriano o del canto del madrigale - ci sono molti elementi del madrigale -, però questo comunque è nel mondo digitale ormai, il mondo astratto; ed ecco la differenza: è esso stesso la differenza, si potrebbe chiamare, invece che Canto mistico, Canto della differenza. Anche perché è interessante, se potete seguirlo, il fatto di come viene fatto, per esempio, l'accompagnamento perché io non accompagno nel termine classico, cioè ponendomi accanto alla musica che ho scritto per voce, accanto e accompagnandola, cioè rendendola più armoniosa o più complessa, stando all'interno di essa. Io mi metto accanto a questa, ma la raddoppio cioè la rendo comunque più complessa, cioè produco un distacco ulteriore rispetto a questa voce che già è distaccata; e quindi anche nell'accompagnamento che faccio delle mie musiche comunque agisce questo tipo di raddoppio, che è il raddoppio che è all'interno di questo insieme che stiamo esplorando, insieme-afflato vuoto.
[Paolo Ferrari esegue il Raddoppio del Canto mistico cantato da Loretta Gasparutti (durata 4' e 15'')]
Allora chiudiamo qui con questo bel Canto della differenza.
Sarebbe utile che in questi mesi in cui non ci vediamo leggeste qualche cosa circa questo tema della differenza, questo tema del linguaggio, dell'alterità e chi vuole può passare qui dal Centro per avere poi delle delucidazioni sui testi da leggere, chiedendo di Susanna o di Anna.
E allora compiamo questo piccolo passo, questo primo, iniziale distacco.
Ci vediamo a ottobre. Arrivederci.