6/4/95

VI Seminario1994-1995

Paolo Ferrari: Anche stasera introduce il tema Susanna, come sta diventando consuetudine, un tema che faccia da mediazione, che faccia da ponte, che faccia da relazione complessa. Alla fine di questo tema vedremo poi che cosa si può inserire per andare ancora una volta nel cuore della faccenda, nel cuore dell'estinzione.
A te la parola.
Susanna Verri: Il tema di cui pensavo di parlare questa sera è un tema che ultimamente abbiamo - nel corso del gruppo -, se non trattato, incontrato più volte, ed è anche un tema che sto cercando di sviluppare per iscritto in una scheda di introduzione, di presentazione del Centro, che dovrà poi essere disponibile alle persone che vengono qui o a chi voglia sapere qualche cosa del luogo e dell'attività che vi si svolge.
Intendo quindi parlare del Centro come del 'Laboratorio dell'Assenza'. Questo termine, questo concetto di 'Laboratorio dell'Assenza', introdotto da Paolo alcuni mesi or sono, mi è stato subito molto caro, direi: è una bella immagine anche, mi sembra, è un bel concetto, perché il Centro diventa un luogo attivo, un luogo di attività, come già sapevamo, ma ancor di più l'intero Centro diventa luogo di mediazione, fabbrica quasi - tra virgolette, molto tra virgolette, non so se posso dirlo -, luogo di mediazione in cui l'assenza entra nella realtà; e quindi 'Laboratorio' perché punta avanzata del processo di congiunzione - dicevamo l'altra volta o altre volte -, luogo quasi di frontiera con una realtà esterna che entra quotidianamente, che è continuamente, costantemente in relazione con questo luogo e che in questo luogo si specifica acquisendo le relazioni di assenza che fanno parte del sistema nuovo, del sistema che ancora non conosciamo, del sistema che in questo grande laboratorio viene sperimentato, viene esperito, viene di volta in volta mediato con tutte le diverse attività, con le diverse esperienze, con le presenze, con le mediazioni di vario tipo che quotidianamente, che costantemente produciamo.
E le mediazioni che avvengono nel 'Laboratorio dell'Assenza' sono di vario livello perché interessano tutte le persone che vi giungono e perché ogni persona ne può anche produrre di nuove, probabilmente ne produrrà di nuove poi, a seconda delle sue modalità, dei suoi linguaggi, del suo pensiero. Le mediazioni che conosciamo, quelle più evidenti - più evidenti adesso perché siamo abituati a pensarla in questo modo - sono la musica, sono la pittura, sono i Seminari che noi facciamo, sono i gruppi - vi dirò poi perché il gruppo -, sono le terapie che si svolgono qui al Centro, sono tutte le interazioni che ogni persona produce in assenza o quando è alla ricerca del campo di assenza.
L'aspetto che mi interessava segnalare questa sera in merito alle mediazioni - una cosa a cui sto pensando ultimamente - è l'aspetto interattivo: cioè ogni persona che viene al Centro, che entra, che si mette in sala d'attesa, come vi dicevo due volte fa, recepisce qualche cosa del luogo, della struttura, dell'attività che vi si svolge e in qualche modo, stando in questo luogo, recependo questo qualche cosa, risponde; se si relaziona col luogo, con la struttura risponde perché diventa ricettivo e in questo diventare ricettivo si apre per un piccolo tratto al nuovo sistema, e quindi risponde. Questo è il processo interattivo di mediazione, è quello che in minima parte o in parte maggiore avviene in ogni attività, è anche il microprocesso che fa del Centro il 'Laboratorio dell'Assenza', tale per cui la realtà, la realtà in toto, tutta la realtà, non solo quello che noi esperiamo qui al Centro, ma l'intero sistema della realtà esterna già esistente, si arricchisce di queste microrelazioni nuove che avvengono e che non hanno valore soltanto qui all'interno, perché poi ogni persona vive qui, ma vive anche all'esterno, vive in un sistema più ampio e diventa mediatore, mediatrice di processi ad alta valenza, a mio parere anche culturale. Quello di cui poi tratterò fra poco è l'aspetto innovativo, ma dal punto di vista anche dei sistemi culturali, dei sistemi di pensiero noti, di tutto questo piano dell'assenza.
Quindi il Centro è un microsistema, è l'insieme di queste mediazioni che vengono prodotte, è un sistema - dicevo che era un microsistema: parlavo una sera al gruppo dell'esistenza di un piano dell'assenza, tale per cui ogni elemento in assenza non è fine a se stesso, non è esistente per se stesso, ma ha un senso all'interno di un progetto più ampio, più generale, che non è mai tale per cui ogni cosa significhi di per sé, ma in cui ogni cosa significa sempre all'interno di un procedere più ampio, quindi all'interno di un processo che abbia un senso in una realtà più vasta, in un sistema più vasto, in un macrosistema, in un sistema di realtà più ampio - potremmo dire - che abbia un senso, cioè come trait d'union, come conduttore di realtà d'altro tipo nella realtà che già esiste. Questo è il tema ricorrente perché non si può che pensare in questi termini, cioè il tema attuale del periodo che stiamo vivendo è questo e quindi ritorna continuamente in varie forme, perché è quello che stiamo sperimentando, è quello che stiamo vivendo ed è anche quello che stiamo producendo.
L'aspetto interattivo mi interessava perché sottolinea l'importanza di ciascun individuo anche, di ciascuna persona come mediatore attivo: la mediazione è un processo attivo, fatto di un processo che avviene e di una persona che lo riceve, che lo produce, che fa sì che avvenga. E il valore culturale di questo, il processo a larga scadenza di cui ancora probabilmente non cogliamo i termini perché appunto ha delle proporzioni di grossa portata, è quello - scriveva Paolo nel I° o nel II° saggio, mi sembra - della cultura del vuoto, della cultura dell'assenza; cioè tutto un sistema culturale dovrà modificarsi, tutto un sistema di pensiero, di vivere la vita, di pensare l'educazione dei bambini, di pensare i rapporti familiari, qualunque processo della vita corrente, dovrà o potrà modificarsi di un valore che è di altro tipo, di un valore per cui, per esempio, nell'educazione dei figli o nella funzione materna sarà cardine il valore dell'assenza. Allora voi capite - avete già intuito forse in altre circostanze - che questo rivoluziona tutto il senso: cioè la madre assente affettiva - una madre assente positiva, ovviamente, non una madre assente perché non c'è, una madre assente nel senso di tutta la complessità, la ricchezza e la novità del tema di cui stiamo parlando - è l'unica veramente capace di far sì che i figli possano crescere, possano svilupparsi, possano pensare, possano esistere. E anche solo questo concetto di per sé potrebbe totalmente cambiare, perché non è un concetto dell'evidenza, è un concetto altamente interiore e poi di un'interiorità capace di ritrarsi, di estinguersi, quindi è un concetto di una categoria che non è neppure più psicologica, parte forse dal campo di un'interiorità estrema e poi si apre a un sistema d'altro tipo; e allora un concetto di educazione dei figli, per esempio, o d'insegnamento anche, o di progettazione di altre forme sociali e culturali, basato appunto sulla capacità di estinzione è qualche cosa di mai pensato prima sicuramente, è un valore completamente differente da tutto quanto anche, credo, in termini educativi sia stato pensato fin ora.
Queste erano alcune note che poi potrebbero essere sviluppate e che si svilupperanno nel tempo. Ma a me adesso più che altro interessava dare uno spunto e dare anche un'idea dell'ampio arco di temi a cui si possono aprire tutti questi discorsi che noi stiamo trattando qui nella loro forma di origine, perché noi siamo nel laboratorio e quindi nel campo vivo di produzione o di immissione dell'elemento - una volta purissimo e sempre teorico, diciamo - alla fonte, e poi questo può svilupparsi nelle diverse discipline, nei diversi pensieri e quindi prendere tutta una serie di altre specificazioni. Mi fermerei qui adesso.
Paolo Ferrari: Per riprendere quanto dice Susanna, il tema che voglio affrontare, che stiamo affrontando, è come in concreto, sempre più in concreto, questo piano dell'assenza possa parlare. Cioè quello che in generale vedo, è il fatto che parlare come parlavo una volta di 'nulla', parlare di 'assenza' come stadi puri, vuoti è pressoché incomprensibile per ognuna delle persone qui presenti e in generale per le persone nel mondo credo, tranne che per chi abbia avuto, per esempio, una esperienza mistica, trascendentale, ma - come già dicevo il primo anno e poi successivamente - l'intervento di uno stato mistico è comunque occupante, non è 'nulla', non è la distanza o il distacco di cui sto parlando. Riguardo a quanto diceva Susanna di un'educazione in campo dell'assenza, si tratta di un'educazione che si occuperebbe fondamentalmente del distacco: la madre che diventa capace di distaccare nettamente i figli da sé, il padre che è capace di distaccarsi dai figli e a non tendere a volere un'imitazione di sé da parte del figlio. Una società di questo tipo implicherebbe un diverso concetto di relazione che molto probabilmente non sarebbe di tipo competitivo, di tipo aggressivo, perciò un mondo da ripensare, da ripensare da capo secondo questi nuovi temi culturali, questi nuovi temi relazionali. Ma questo di cui stiamo parlando è soltanto l'inizio perché il distacco di cui parliamo è un distacco ben più compiutamente radicale che non il distacco, per esempio, di cui ha parlato più volte la psicanalisi e il suo fondatore Freud, anche se la psicanalisi e Freud, avendo parlato del distacco, hanno introdotto questo tema fondamentale nell'esistenza umana: il fatto che ci debba essere uno spazio tra gli individui, tra gli affetti, che gli affetti sappiano fare quello spazio in mezzo tale per cui la mente di un bambino possa formarsi, quello spazio per cui il bambino possa accettare la frustrazione, possa accettare il fatto che la madre si allontana e possa quindi accettare il fatto di una presenza materna in termini simbolici, in termini affettivi astratti, piuttosto che una presenza concreta. La presenza concreta di una madre, il fatto che la madre non sappia staccare la propria presenza concreta dal bambino implica - anche da studi successivi a Freud, della Klein, Bion, eccetera - il fatto che non ci sia quella distanza, quella differenza, quel differire di cui anch'io parlo, quel differire per cui il bambino possa avere lo spazio, quello spazio vuoto in cui l'attività pensante si possa formare.
Con questo voglio dire che l'assenza di cui io parlo - voglio riprendere in mano questo tema un'altra volta - non è un campo del tutto inesistente, è un campo di cui gli uomini si sono occupati più volte e che anche recentemente, nella storia recente appunto, vediamo attraverso l'analisi, attraverso altre vie, oppure attraverso il campo vuoto del misticismo orientale, la via dello Zen, il distacco buddhista. Ognuno ha parlato nel suo modo, nel suo campo di questo elemento di cui sto parlando, di questo non essere, di questo essere altrimenti.
Ciò di cui vado parlando, però, è ancora un ulteriore passo che a poco a poco sto vedendo nell'ambito di una struttura complessa, come nel momento stesso in cui si forma un Seminario, un discorso, il rapporto interattivo tra quanto sto dicendo e quanto voi state ascoltando e siete mediatori non passivi, ma attivi di questo processo. Io dico che parlando, nel momento stesso in cui parlo, siccome parlo da questo altro luogo in cui ogni processo, ogni atto, ogni pensiero, ogni attività della vita è estinta nella sua radice, anche se all'apparenza appare un corpo, appare una mente, appare un fisico, appare una persona e io parlo, mi distinguo, sono, ho un'identità, tutto questo nel campo profondo, nel campo della realtà, nel campo più vero è estinto, cioè si è distaccato. Io uso il mio corpo, le mie mani, la mia testa, la mia faccia, la mia psiche forse - ma non credo neanche quella -, i miei piedi, il mio intelletto, la mia morte stessa per parlare, per comunicare, per svuotare, per relazionarmi, per relazionare questo campo che è vuoto; cioè attraverso questo fatto dell'estinzione di me, dell'estinzione di un processo, del processo vitale, di quello che ho chiamato la vita, di quello che si intende normalmente per vita, di quello che si intende normalmente per morte, essendosi estinte nel loro campo dell'evidenza, nel loro campo dell'apparenza, può parlare un altro livello. Questo produce un fatto interattivo: la relazione che si instaura tra me e l'interlocutore, tra me e gli altri, tra me e un gruppo uditore non è la pura passività, non è un vuoto passivo, dico che si forma un vuoto attivo, cioè io entro in relazione con gli altri, gli altri entrano in relazione con me su questo campo che genero o che si autogenera.
Ora davvero sarebbe interessante vedere una madre che è capace di produrre la propria estinzione nella relazione con il figlio e vedere, se il figlio ne è capace, quanto pensiero, quanta attività mentale, quanta attività d'altra vita potrebbe farsi elemento di ricchezza affettiva. Ma, come ho già detto ben altre volte, questo elemento ulteriore, questa estinzione, questo processo realmente fondamentale, assolutamente compiuto dell'estinzione, non credo che questa era lo possa riconoscere; è probabilmente riconoscibile su un altro livello, su questo tipo di interazione, ma che la persona possa compiutamente estinguere sé e produrre la propria estinzione, la propria relazione in campo vuoto, in campo di relazione vuota, in campo per cui l'altro possa esplicare un qualche cosa che è altrettanto vuoto, altrettanto affettivamente vuoto, non credo che attualmente sia possibile.
Però sono possibili una serie di fenomeni analoghi a questi. Come vedete io suono, pongo una relazione nel suonare con altri interpreti, con altri autori, mi metto in relazione con questo, entro in un campo assente, incomincio ad avere questo tipo di simultaneità assente nella relazione con altri, estinguo il mio suono e insieme estinguo il suono altrui, estinguo nella radice, non nella evidenza. A poco a poco sto lavorando in questo campo, nel campo della musica - prima ho lavorato con Carlo Balzaretti, adesso sto lavorando con Fabrizio Stangalini -, stiamo lavorando al fatto che intervenendo questo tipo di musica, la Musica dell'Assenza che estingue e si estingue in ogni momento, questa produce l'estinzione comunque dell'altra musica, cioè produce un'estinzione nella radice dell'altra musica. Ora se si riuscisse a far sì che tutto questo campo che è così astratto e nello stesso tempo così concreto, come lo vivo quotidianamente, entrasse in una forma educativa, in una forma sociopolitica, socioculturale, capite quanta rivoluzione questo produrrebbe, anche nelle sue misure parziali. In fin dei conti fino adesso non si è ancora parlato di nessuna altro tipo di forma famigliare se non la struttura famigliare che è ancora quella primitiva, quella originaria - quella di un padre, di una madre, di un figlio -, se non in certi tentativi estremi che si erano fatti nella cultura del '68 o nei kibbutz ebraici, ma non si è mai arrivati a nulla, non si è arrivati al fatto della possibilità che una madre possa comunicare al figlio la propria estinzione, il proprio non essere insieme con la propria affettività, il fatto di ritirarsi, il fatto di non essere ed essere completamente presente in quel modo, dall'altra parte. D'altro canto quello che vedo sia nel lavoro clinico sperimentale, sia nel lavoro clinico terapeutico, sia nel lavoro di formazione dei miei allievi, che sono gradini diversi, è il fatto che, in fin dei conti, attraverso queste parole che produco nell'altro si deve comunque produrre da una parte l'estinzione della sua patologia, [dall'altra] l'estinzione di un io sbagliato, di un io troppo evidente, di un io con meccanismi in eccesso, con dei sintomi, con dei corpi buttati fuori, di un io che deve ritirarsi e deve produrre un sé - come diceva Jung o come dicono gli orientali -, un sé profondo il quale deve scomparire, radicalmente sparire. Questo lo vedo nel lavoro clinico: c'è un'interazione, c'è un'interazione nella parola stessa attiva, vedo che c'è un'attività da parte del paziente o del mio allievo nella relazione con me e mi accorgo, in certi momenti avverto proprio il fatto dello scambio sempre più su un livello che è nulla, che è assente, cioè viene comunque in atto un' estinzione di quelli che sono i processi in eccesso di vita e di morte degli individui.
Allora tutto questo non è così alieno, non è così altro, non è così fuori dal mondo: l'estinzione, l'assenza, il prodotto interno per cui l'essere viene a mancare e dà lo spazio a un essere altro. Oppure riguardo al linguaggio - si formano linguaggi che sono di forma diversa, e allora io scrivo Europa, faccio queste lezioni, sto lavorando a un vecchio racconto che avevo scritto e lo sto correggendo -, questo altro tipo di linguaggio, che sia quello orale, che sia quello scritto, contiene in sé, ha in sé completamente i germi, i semi, le forme di questo essere estinti, di questo essere fuori dalla struttura ciclica vita-morte come si è strutturata fino adesso nella storia evolutiva: cioè questo è il passo evolutivo successivo.
Io poi insisto su questo fatto del linguaggio: in fin dei conti esprimo un linguaggio, parlo attraverso un linguaggio che è simbolico, che ha elementi della significanza, ha i suoi suoni, ha i suoi significati - significati di superficie, profondi -, ha una struttura grammaticale, sintattica, eccetera. Però questo linguaggio comunque è un rivestimento di un qualche cos'altro che si è estinto, quello che io parlo è un linguaggio estinto, cioè alla radice di quello che sto dicendo anche in questo momento c'è l'estinzione, c'è il nulla, non c'è niente, c'è niente, cioè il linguaggio, il vecchio linguaggio umano si è estinto; io parlo o al di là di questo linguaggio o sopra il vecchio linguaggio umano. Ma che differenza ha quest'altro linguaggio di cui parlo? Ha delle differenze fondamentali: spiegavo come è strutturato, per esempio, il mio poema Europa che è extratemporale, è oltre la dimensione temporale: cioè io entro nella relazione con l'altro al di là di quelli che sono i significati, i significanti, di quella che è la struttura del linguaggio, immediatamente sento o sono nella relazione altra dell'altro, nella relazione in cui l'altro è assente nella sua vera assenza, oppure è mancante e allora io vivo la mancanza, oppure è assente ed è in realtà invece vero: in questo tipo di relazione io sono e mi pongo in questo essere e pongo l'altro che incomincia ad essere al di là del suo morire, del suo essere-morire.
Probabilmente questo linguaggio è nato in me attraverso antiche forme che da bambino avevo, che sentivo attraverso quelle che i parapsicologi hanno indagato come forme di tipo extrasensoriale, cosiddette extrasensoriali; ho abbandonato l'extrasensorialità da un punto di vista per poter produrre poi una razionalità che è diventata extrarazionalità, cioè nel senso che il linguaggio, la mia razionalità non è la tipica operazione razionale, ma è una razionalità che diventa razionalità affettiva, cioè ha preso un certo tipo di consistenza. Questa consistenza è andata al di là del processo vita-morte, si è estinta; questa consistenza, che è una consistenza assente - e questi sono i paradossi -, mi permette di essere in relazione linguistica con le persone che conosco, con le persone che non conosco in via completamente nuova perché è fuori dal tempo, fuori dallo spazio: posso essere in un altro luogo, posso essere qui, posso essere in una relazione, ho delle forme linguistiche diverse da quelle che si usano normalmente, riconosco nella realtà determinate zone più piene, meno piene, un codice che è completamente diverso da quello che è conosciuto normalmente.
Ora questo nella storia di solito è avvenuto attraverso delle vie, attraverso, non so, gli indovini, la pizia, piuttosto che i maghi, ultimamente attraverso lo studio dei fenomeni parapsicologici, dei fenomeni sensitivi, eccetera. Tutto questo in me si è trasformato, è diventato silenzioso, cioè è diventato silenzioso tutto quello che era l'elemento extrasensoriale normalmente conosciuto: questo si è estinto un'altra volta e io ho potuto parlare e parlo questo linguaggio, che è il linguaggio di un'altra scienza più complessa della scienza normalmente usata, perché alla sua base è vuota; è come se tutti i fenomeni chiamiamoli dell'extratemporalità o dell'extraspazialità si fossero fatti vuoti anche questi, ed io posso vivere in un campo extratemporale, extraspaziale che si è svuotato e quindi non contiene quei germi vecchi, quei germi fusionali che sono tipici del mondo parapsicologico, oppure di tutti questi tipi di mondi che si sono accompagnati nella storia umana di fianco all'uomo fino a che la scienza poi ha prevalso, ha detto la sua e ha detto: “Proviamo a diventare oggettivi”.
Quello che a me succede è il fatto che tutto questo mondo, questo linguaggio che vedo è di una oggettività estrema: cioè quello che vedo, quello che sento, quello che avverto, quello che sviluppo razionalmente mi si forma oggettivamente al di fuori di me, in un campo del distacco più assoluto, mentre nelle componenti parapsicologiche - ma anche quelle psicologiche, quelle di tipo analogico o di questo tipo - l'elemento è sempre fusionale, il soggetto non è mai distaccato da sé. Tutto quello di cui parlo è il fatto che io sono totalmente distaccato da me, tutto quanto ha incominciato a far silenzio e si è oggettivato quest'altro tipo di relazione; questo altro tipo di relazione è quella che mi permette di parlare, di entrare in relazione con la musica, con questi altri tipi di fenomeni in maniera razionale, ma attraverso questo vuoto che si fa razionale, questo distacco, 'distacco all'infinito' che si fa razionale - dico 'razionale' perché non ho un altro termine, perché è la misura o l'unica misura che gli uomini hanno, la misura secondo me più completa, più complessa. Ma se togliessi questo razionale starei zitto, comunicherei attraverso il pensiero, attraverso altre vie, attraverso i miei piedi, attraverso l'intelletto che si è fatto vuoto, attraverso tutte queste altre vie, non attraverso la parola; la razionalità è comunque un campo che si può svuotare, che è vuoto, che comunque è limitato.
C'è un altro campo di una razionalità più complessa, che è quello che sto indagando, ma attraverso il fatto del problema della causa-effetto, della contingenza, dell'evoluzione, delle relazioni tra i diversi tipi di strutture, quello che è il campo scientifico razionale, quello che è il linguaggio conosciuto, quello che è il più possibile capace di rendersi oggettivo, anche perché sono individuo occidentale, razionale, culturalmente cresciuto in una certa era, in una certa fase in cui la scienza ha vinto; insomma la scienza è paradigmatica, è quella che fino adesso ha vinto la sua piccola guerra. Però all'interno di questo pongo gli altri linguaggi, i quali linguaggi sono quelli musicali, sono quelli pittorici, sono quelli poetici, ma tutto questo comunque ha la radice che è estinta, la radice che si è distaccata, cioè è come dire: “Io non sono”.
Questo non essere è quello che mi permette di entrare in relazione con gli altri, produce questo elemento interattivo col Seminario; le persone che sono qui presenti per me sono presenti ognuna individualmente e poi nella collettività, ognuna separata dagli altri in questo elemento di non essere che comunque viene indotto da questo processo che io induco, che si forma qui, che ha origine, che si genera, che si autogenera. Secondo me l'elemento più complesso dell'evoluzione, l'elemento ultimo dell'evoluzione, di questo ulteriore linguaggio che si è fatto è comunque autogenerantesi; io credo che dentro di me si siano organizzati dei sistemi che sono separati dai sistemi precedenti, dell'evoluzione precedente, e si sono autorganizzati in un sistema complesso e hanno dato luogo a quello che ho chiamato homo abstractus oppure homo absens, e così via, altri livelli ancora.
Quello che vedo in campo clinico, in campo sperimentale, nel campo della relazione, è che a mano a mano succede che le persone incominciano ad ascoltare questo livello verso il quale fanno meno resistenza, incomincia ad esserci una minore resistenza, al loro interno si formano dei processi di complessità autorganizzantesi, si formano comunque dei processi di autorganizzazione nuova, vuota, molto più vuota che non i processi che avevano in precedenza. Così penso che questo possa avvenire nella realtà: cioè quello che noi facciamo qui, siccome io penso in termini sistemici, penso comunque che nei macrosistemi della realtà - della realtà politica, sociale, culturale, generale - avvenga perché quello che avviene in un punto avviene anche negli altri punti, data la sistematicità di questo nucleo di cui sto parlando.
C'è un tema a questo proposito che è molto interessante, che sto indagando ormai da anni e che appunto voglio indagare sempre più razionalmente, anche perché il problema è che questo deve prendere molto distacco, ma non solo da me, deve prendere distacco anche perché nel momento in cui parlo di 'assenza,' di 'nulla,' di elementi di questo tipo o di 'condizionamento ' o di 'inibizione ' o di 'estinzione' è facilissimo, siccome questi elementi sono stati comunque parlati da luoghi ascientifici, che questi diventino poi di nuovo degli elementi che nel cervello di ognuno di voi - non solo di voi, ma in generale nella comune accezione culturale - entrano dentro dei sistemi di tipo inconscio, di tipo inconsapevole, di tipo pseudo-religioso, di tipo settario, di questi tipi, perché questa è stata la storia umana che è stata capace di formare dei processi razionali da una parte, dei processi analogici dall'altra, i processi della differenza da una parte, i processi della teologia da un'altra parte, senza poter compiere un passo unitario verso questi sistemi. La differenziazione c'è stata, è stata molto utile teoricamente, ma è mancato tuttora un passaggio ulteriore in cui tutto quanto si distacca, per cui non c'è più bisogno di separare la razionalità dall'affettività, non ha più senso perché tutti i sistemi sono distaccati, io dico che sono distaccati all'infinito. Comunque il tema che, come vedevamo anche l'altra volta, sto trattando molto è questo eccesso che io chiamo 'eccesso di vita e morte', come se gli uomini fossero impregnati di questo eccesso di vita e di morte, non solo di questo elan vital, di quel vitalismo di cui i corpi umani sono ancora impregnati, ma questo eccesso di vita si porta dietro anche un eccesso di morte; cioè insieme alla vita c'è sempre questo altro elemento di morte, perciò i corpi umani, gli esseri umani sono continuamente caricati, impregnati di questo eccesso vita-morte. Il problema è come estinguere questo eccesso di vita-morte ed è quello che stiamo facendo inventando un nuovo linguaggio.
Nell'evoluzione uno dei passaggi fondamentali autorganizzantesi è il fatto che la specie umana ha inventato il linguaggio, il linguaggio simbolico, concettuale e così via. Per assurdo, per paradosso, probabilmente la scimmia che avesse visto l'uomo che incominciava a parlare per concetti, che parlava di albero, avrebbe detto che costui che parlava di albero era un sistema 'magico', invece di pensare a un sistema concettuale, perché rispetto al suo sistema era molto più astratto, molto più etereo, molto più spirituale, diciamo così. E così questo elemento concettuale - io dico - lo trasformiamo in un elemento concettuale che è comunque un elemento chiuso al suo interno: se nel momento stesso che io pronuncio la parola 'albero' penso la parola albero , o l'immagino, ho comunque una parola nella mia mente, questa mente è comunque occupata dalla parola 'albero' e dal concetto 'albero', per cui sono continuamente occupato; che sia un elemento concreto o che sia un elemento concettuale, sono continuamente occupato.
Quello di cui parlo, il mio linguaggio, i miei scritti sono continuamente disoccupati, sono 'vuoti'. Questo vuoto a cosa serve? A far sì che, per gli altri, molti degli elementi in sovrabbondanza di vita e di morte incomincino a tacere: la vita-morte è quella che continua a caricare l'individuo, la popolazione, l'evoluzione, la storia. All'interno di questo tema un problema che stavo indagando, è perché è stato così significativo, nell'evoluzione delle specie, il fatto che le specie a un certo punto abbiano inventato questo sistema di autoregolazione per cui gli individui morivano per dar spazio agli altri individui, per dar spazio alle altre specie; come sapete, diciamo, così, nei termini della letteratura popolare, ci sono state le grandi estinzioni, dopo le grandi estinzioni dei dinosauri c'è stato anche uno sviluppo molto grande di nuove specie, come se la grande estinzione avesse prodotto un grande cratere, un grande vuoto all'interno del quale poi questa forma di assenza, quasi, avesse prodotto un grande gettito di nuove specie in una ricchezza genetica. Allora io ho avuto in questi ultimi anni il problema di come far entrare questo fatto della vita-morte; ma questa morte che è così "destruente" da un lato l'evoluzione l'ha inventata per poter produrre un ricambio nelle specie e, all'interno del corpo, poter produrre un ricambio delle cellule: voi sapete, più o meno tutti quanti, che le cellule continuano a ricambiarsi, perché se non si ricambiassero l'organismo non funzionerebbe, c'è un processo che si chiama mitosi, per cui c'è la crescita della cellula, la cellula cresce e poi muore, lascia spazio a un' altra e così via.
Questo grande cambiamento, questo elemento della trasformazione, della scoperta della morte ha coinciso con la scoperta della sessualità nelle specie, la scoperta dell'elemento del rapporto sessuale per produrre la nuova specie, mentre prima le specie proseguivano nel loro sviluppo segmentandosi invece che replicandosi attraverso la via sessuata che è una via più complessa. Inviterei tutti a leggersi qualche cosa sull'evoluzione perché altrimenti il tema diventa troppo vago; comunque dovete saperne un po' dell'evoluzione perché io faccio sempre riferimento all'evoluzione che è una grande scoperta scientifica, anche dal punto di vista metodologico è molto interessante, ancor di più che non la fisica, che non la matematica perché è un qualche cosa di strettamente metodologico legato alla vita e alla morte degli individui, delle specie.
Comunque dato questo fatto mi interrogavo sull'evoluzione di cui non si sa bene quale sia il motore, sul perché avvenga questo processo; Darwin ha parlato della selezione delle specie, della selezione del più idoneo, eccetera, ma non di questo fatto della morte che è rimasta nell'evoluzione, questo fatto della morte che è stata inventata dall'evoluzione, poi è rimasta, ma ha portato nell'uomo questo disastro, questa angoscia terribile che è l'angoscia di morte, questo eccesso di vita e di morte. Quello che ultimamente sto vedendo, sto cercando di capire e di conoscere è che mi sembra che la morte - questo spauracchio - sia necessario distaccarla, che la morte debba essere presa con grande distacco, cioè se viene posta a distacco e può essere osservata - non rimossa, ma messa a distanza e guardata -, si può capire che, come le grandi estinzioni hanno prodotto poi uno sviluppo delle specie e un arricchimento delle popolazioni viventi, se l'elemento della morte degli individui viene messo nella giusta distanza, si può arrivare a comprendere come questo eccesso di vita e di morte sia una condizione particolare che l'evoluzione ha avuto fino alla scoperta, fino all'invenzione del linguaggio umano, fino all'uomo. E cioè che la morte se non viene vissuta come questo elemento nero, questo elemento oscuro, questo elemento totalmente negativo, questo elemento totalmente 'destruente', alterante, entropico, che produce disordine, la si può anche intendere come un alcunché che, oltre al fatto di dare luogo come si è visto a nuove popolazioni - cosa che al processo dell'estinzione dell'assenza non è che importi molto, soprattutto nella fase attuale della sperimentazione, del laboratorio evolutivo -, in fin dei conti, la morte dell'essere umano, è il più grosso elemento di estinzione nell'evidenza che si possa attuare.
Io parlo di elementi di estinzione, parliamo del fatto che il bambino deve imparare a distaccarsi, che la madre deve distaccarsi, e sono tutti elementi di estinzione: la madre si toglie dai piedi, estingue sé, il proprio egocentrismo, lascia vivere il bambino, il bambino poi si separa, in mezzo si forma uno spazio vuoto, cioè uno spazio di estinzione, c'è il taglio del cordone ombelicale, eccetera; oppure il bambino che cresce a poco a poco impara il fatto che i suoi elementi istintuali possono essere meno grossolani, possono rientrare, possono fare più silenzio, possono entrare in silenzio e al posto di questo far venire fuori di nuovo il fatto mentale, spirituale, affettivo, emozionale eccetera; l'uomo adulto che impara a poco a poco a distaccarsi da quelli che sono i bisogni primari, oppure da quelle che sono le sue ambizioni oppure quelli che sono i suoi appetiti, appetiti sessuali o delle cose o degli oggetti, impara a staccarsi dalla cosità del mondo. Son tutti processi di distacco, di estinzione di sé, di questo eccesso di vita e di morte, perché l'eccesso di vita e di morte tenderebbe ad accumulare in continuazione ricchezza, nel bambino ad accumulare le feci, ad accumulare la propria corporeità, a tenerla stretta, a non poterla lasciare andare perché si ha paura di morire, perché si ha paura del distacco; il distacco estremo è la morte. Allora, se la morte è pensata così, come estremo distacco, comunque come luogo di estinzione, voi capite bene che allora la morte si capisce che cosa sia anche dal punto di vista umano: dal punto di vista umano è il fatto che un alcunché di grandemente sviluppato come l'intelligenza, come la psiche, come l'intelletto, come l'affetto, eccetera, a un certo punto scompare, sta zitto, muore.
Allora da questo punto di vista vediamo che la morte è il più grande campo sperimentale dell'estinzione, vivente sul campo: ci sono stati milioni, miliardi di morti . Ora voglio procedere scientificamente da questo punto di vista; certo non faccio l'apologia della morte, ma sto cercando di comprendere perché questo sistema è rimasto, che cosa è rimasto, perché di solito nelle specie le parti che non funzionavano sono state tagliate via, nella selezione naturale le parti che non funzionavano sono state tagliate via; è rimasto ancora questo sistema il quale, dal punto di vista della sperimentazione reale, è l'elemento che produce il più grosso livello di morte della vita. Però visto da questo punto di osservazione la morte non è più questa cosa terribile: la morte produce il fatto che a mano a mano gli esseri si sono estinti, sono morti per un processo molto complesso che adesso non vi sto a spiegare - lo spiegheremo altre volte -, attraverso il quale molto probabilmente si è formato quello che è il processo più astratto, il processo mentale, probabilmente si è formato il sistema nervoso centrale. Ma questo è un tema molto specifico ed è il tema di un saggio che devo continuamente scrivere e che non sono ancora riuscito, non ce l'ho fatta ancora a scrivere perché chiaramente implica delle grosse problematiche, anche interiori, cioè è difficile pensarlo. Ma quello che voglio dire stasera è il fatto che la morte, vista in maniera un po' distaccata, non è questo elemento terrorizzante, non è questo elemento totalmente distruttivo, è che ha in sé il fatto che può produrre l'estinzione di questo eccesso vita e morte. Però qui c'è un errore, c'è l'errore del fatto che ...
Sono già le sette e mezzo!
Susanna Verri: E beh! Non ci si può mica fermare...
Paolo Ferrari: ...sul più bello. C'è un errore grossolano nella specie, c'è un errore - o un errore c'è stato - di una rivoluzione non avvenuta ancora, c'è questo eccesso di vita-morte, per cui cosa succede? che alla fine della vita l'individuo muore in maniera troppo caotica, troppo sbagliata. Mi sembra che il cervello si sia sviluppato, abbia trovato il linguaggio, abbia trovato il linguaggio astratto, il linguaggio concettuale, filosofico, politico, sociale, ma non sia capace di condurre in porto la sua morte. Cioè questo cervello, che ha sviluppato in questo modo così completo e complesso l'universo e che si è inventato l'universo, non è stato capace di estinguere normalmente la propria vita, ha lasciato che venisse avanti questa morte biologica che è una morte antichissima, ancestrale che è nata - adesso io non so quando sia nato il primo processo cellulare, mitotico cellulare nei sistemi complessi, ma credo che sia nell'ordine di milioni di anni fa -, è nata milioni di anni fa; il cervello è arrivato a un certo punto e non è capace di autoestinguersi, non è capace di far silenzio e dire: “Adesso mi estinguo, mi tolgo dai piedi, lascio che un altro individuo avvenga” - ammesso che occorrano altri individui. Ma comunque il corpo umano, la storia umana subisce una storia di quattro milioni d'anni, mentre la sua storia è recente, mentre il sistema storico, il sistema mentale astratto è di centomila anni, centocinquanta mila anni or sono, cioè si porta dietro ancora una storia biologica antichissima, come questa di una morte non condotta, non pensata, in un certo senso: la morte non può essere pensata e l'organismo muore per virus, per tumori, per i batteri, per la peste, per l'AIDS, per tutte queste cose e il cervello umano tampona qua e là con la medicina, ma non ha ancora capito, non ha ancora trasformato un corpo, non è stato ancora in grado di trasformare un corpo, il quale corpo sappia difendersi in modo decente da tutto questo casino, sappia prendere una via diversa da questa che è la vecchia via biologica, che è la vecchia via evolutiva. Cioè dico che l'uomo è arrivato all'ultimo stadio evolutivo, non l'ha ancora compreso, non ha ancora fatto l'ulteriore passo ed è ancora attaccato all'animale e allora, attaccato all'animale, muore come l'animale, non ha fatto nessun passo e vive ancora come l'animale. Allora se gli uomini imparassero a estinguersi, cioè ci fosse un ulteriore passaggio per cui si estinguesse questo ulteriore elemento di vita e di morte, la morte [sarebbe diversa]; quella che per esempio io vivo tutti i giorni non è una morte, è un'estinzione: è un fatto assolutamente normale che il mio corpo fisico muoia da un momento all'altro o anche in questo momento, non ha nessuna importanza perché l'io si è estinto, si sono estinti tutti questi processi, la mia biologia non è più legata alla biologia passata o a quella storica o a quella evolutiva, si è staccata, la mia storia è diventata altra. Per esempio le grandi religioni l'hanno scoperto, l'hanno individuato, l'hanno capito: nella religione cristiana se un individuo è capace in vita di essere buono, che vuol dire che è capace d'affetto, è capace di amore, di essere distaccato, cioè di non essere attaccato alla bramosia delle cose, nella filosofia orientale se l'individuo è capace di distacco, di estinguere i suoi desideri e così via, tutti questi individui sono capaci, una volta che sono morti, di andare in paradiso da una parte, dall'altra di andare nel nirvana, cioè di essere nel nulla giusto. Allora le grandi religioni da questo punto di vista, dal mio punto di vista, dell'osservazione di scienziato, da quest'altro luogo dico che hanno capito: cioè se l'individuo estingue questo eccesso di vita e morte e questa bramosia, se è capace di produrre un distacco, è capace di affetto, quindi di un luogo vuoto, se è capace di dare invece di ricevere continuamente - in Oriente si dice che è capace che i desideri stiano zitti, che il corpo sia tenuto sotto controllo attraverso lo yoga, attraverso tutte queste varie tecniche - queste persone muoiono normali, muoiono giuste, cioè non c'è bisogno di un grande casino nel momento della morte e che debba passare chissà quanto tempo perché l'individuo morto possa estinguersi. Perché credo che quando il corpo biologico muore, probabilmente l'individuo non muoia: cioè c'è il problema che nel corpo fisico rimangono degli elementi che non si sono ancora estinti e non hanno prodotto questo vuoto, non hanno prodotto questa alterità per cui se il corpo biologico, il corpo mentale si stacca, questo è capace di produrre un vuoto, quindi è capace di estinguersi, quindi è capace di morire, quindi è capace di assentarsi e quindi è capace di far silenzio, sia in vita sia in morte. Cioè in altre parole in vita c'è ancora questo eccesso di vita e morte che viene da una storia biologica, evolutiva non compiuta che deve fare questo ulteriore passo; fatto questo ulteriore passo la vita biologica prende il suo posto giusto, non rompe le scatole, sta zitta e lascia che si sviluppi tutto quest'altro livello che è il livello dell'assenza, questo livello vuoto, questo livello molto più ricco, molto più sensibile, che è capace di estinguersi in ogni momento, che è capace di far silenzio. Comunque questo è l'inizio di una cosa che sto indagando, studiando, sviluppando e che sto sperimentando, conoscendo e che prenderemo in mano: è quello che l'anno scorso o due anni fa chiamavo 'morte astratta', di come potrebbe essere la morte astratta, di come nell'evoluzione potrebbe succedere che la morte invece di essere così concreta diventi più astratta, diventi più vuota.
Adesso volevo fare un pezzo; avevo pensato di fare ancora un pezzo di Stockhausen che mi sembrava che l'altra volta vi avesse interessato, un altro klavierstück. Poi vorrei fare un pezzo con il canto di Loretta, ma adesso provo a fare il pezzo per pianoforte, il klavierstück. Anche questo è uno dei primi pezzi di Stockhausen, che ha quella struttura a cellule successive secondo determinati ritmi o determinate strutturazioni quasi matematiche, che io raddoppierò in congiunzione, se ce la farò ancora ad entrare in quest'altro tipo di relazione, una relazione per assenza, per cui io suono insieme al signor Stockhausen, cioè a quello che Stockhausen sta inventando oppure al signor pianista, che non ricordo più chi sia.
Paolo Ferrari: [Rivolto a Lorenzo] Fai una lunghezza, che facciamo sentire come attacca.
[Lorenzo fa ascoltare per alcuni secondi il pezzo di Stockhausen. In seguito Paolo Ferrari esegue al pianoforte il raddoppio del klavierstück di Stockhausen (durata 4 minuti e mezzo circa)]
Paolo Ferrari: E' successa una cosa molto particolare, il fatto che, a differenza dell'altra volta quando la relazione avveniva secondo i canoni stabiliti da Stockhausen e io facevo da contrappunto - punto contro punto -, stasera avendo parlato di questo tema, essendo quindi entrato nella relazione col tema della sospensione, dell'estinzione di vita e di morte, era come se dovessi dal punto di vista del suono entrare completamente in una distinzione, in una differenza e produrre una differenza in modo tale che questo elemento di eccesso di vita e di morte - che si manifestava anche nella struttura pensante di questo tipo di musica di Stockhausen - potesse far silenzio, nel senso che io dovessi andare per la mia strada e abbandonare questo, e produrre questo distacco e, producendo questo distacco, produrre il fatto che la musica potesse essere aderente a quello che io stavo facendo attraverso una distanza mentale che è la distanza mentale che si era prodotta in questo essere il più silenzioso possibile dell' eccesso di vita e di morte.
Cioè, invece che seguire gli elementi di tipo timbrico, che potevano essere questi [P. Ferrari suona un breve pezzo al pianoforte], che potevano fare da contrappunto a questo tipo di musica, io dovevo seguire proprio un elemento di estinzione [P. Ferrari suona alcune note], come fare da conca, come poterlo portare con me, come producendo un distacco consapevole, una distanza, una extratemporalità, una ulteriore combinazione temporale, come uscire dal ritmo che veniva prodotto da questo tipo di sequenza temporale data dall'elemento vitale, vitalistico della musica di Stockhausen. Allora ho dovuto allontanarmene e ho dovuto prendere la mia strada, e non c'era niente da fare, non potevo assolutamente entrare in una situazione di puro contrappunto come ero partito e mi sarebbe piaciuto fare, ma ero nella mia situazione, nel mio linguaggio e dovevo seguire la mia strada.
Allora a voi la parola.
Fabrizio Stangalini: Dopo aver accompagnato quel brevissimo brano, o quel pezzo molto breve di un brano di Stockhausen, hai detto che nella musica di Stockhausen, forse specificatamente in questo brano, c'era un eccesso di vita e di morte. Perché?
Paolo Ferrari: Non dal punto di vista dell'evidenza, nel senso che l'eccesso di vita e di morte era dovuta alla stessa costruzione musicale, questa struttura musicale fatta così, a blocchi. Bisogna fare attenzione a questo, che l'eccesso di vita e di morte non è una questione evidente, cioè non è mica detto che sia evidente; l'eccesso di vita e di morte può essere una questione matematica, l'eccesso di vita può essere in una cattedrale romanica: quello che intendo per eccesso di vita e di morte è che qualsiasi combinazione umana, qualsiasi relazione umana, qualsiasi pensiero umano si porta appresso questo: il tentativo che l'umano ha fatto, che è stato da un certo punto di vista grandioso - quello che Freud ha chiamato la sublimazione -, di costruire continuamente o i teoremi o le cattedrali oppure la struttura economica del mondo, la società, la scrittura, la medicina è comunque il frutto che deriva da questo elemento che c'è in più e che non si è ancora estinto.
Quindi non è un fatto evidente, cioè l'eccesso di vita e di morte si può vederlo anche in una chiesa romanica perfettamente silente, in eccesso; il romanico cosa ha fatto? ha tolto tutti gli orpelli, ha fatto uno spazio silenzioso in modo che questo eccesso di vita e di morte facesse silenzio il più possibile; perciò dicevo che le grandi religioni hanno capito questo elemento in più, e anche la psicanalisi stessa, la psicanalisi che insegna il distacco. Stasera per esempio non ho parlato del sonno, che è un altro problema interessantissimo che sto vedendo da questo punto di vista, perché nel sonno la vita evidente viene meno, nel sonno si spoglia la vita, diminuisce il calore, diminuisce il battito cardiaco, la vita fisica evidente viene meno, il corpo entra e la mente entra nella situazione dei sogni, i quali sogni sono un meccanismo delirante di riproposizione della vita evidente; però poi, dopo il sogno, c'è ancora una fase del sogno che si spegne e quindi, in questa altra fase, c'è il tentativo o il bisogno del fatto che nel sogno o nel sonno si vada a tentare di estinguere questo elemento di eccesso.
Allora, dicevo, qui non è che fosse particolarmente evidente, ma diciamo che in questo elemento molto ritmico, molto [P. Ferrari suona qualche nota] pulsativo, questa costruzione è una costruzione di tipo seriale, comunque è una costruzione tenuta su attraverso determinati fili, certi ritmi di tipo quasi matematico. Per esempio a un certo punto ci sono quasi delle piccole vibrazioni che sono fatte con la mano destra mentre la sinistra invece suona su armoniche lunghe, basse e gravi: cioè il primo Stokchausen è tutto completamente costruito, costruisce perché se no gli si rompe il pezzo. Allora da questo eccesso di costruzione, che produce in un certo senso una mancanza di relazione o mancanza di affettività, io ero obbligato; essendo arrivato sul livello su cui io ero prima, non potevo rispondergli sullo stesso livello estinguendolo, sono dovuto passare completamente su un altro piano che era come un fondo, come una distanza che lo raccoglieva, anche se ogni tanto cercherei di rispondere in qualche modo.
Ma l'eccesso di vita e di morte, ripeto, lo si trova dappertutto, anche nell'opera più grande; certamente nelle questioni più brutali, più evidenti questo si manifesta, ma non è che nelle questioni più brutali ci sia molto di più che nell'altra, però nell'altra almeno si è imparato a tenerlo sotto controllo, si è imparato il fatto che nella vita e nella morte si impara a estinguere, cioè si impara a estinguersi prima, a lasciare quello spazio vuoto che è quello che poi ha prodotto secondo me l'evoluzione della specie e che ha prodotto, fra le altre cose, la storia, l'evoluzione storica.
Allora questo è quello che io faccio, quello che anche cerco d'insegnare a chi fa musica con me. Stasera non abbiamo fatto in tempo, ma volevo provare un canto che facevamo con Loretta, un canto mistico, chiamato Canto mistico proprio per il fatto del fraseggio, di questi tipi di intervalli che scrivo musicalmente, questi tipi di intervalli che producono all'interno della voce questo silenzio, questo tipo di estinzione: nel momento stesso che il pezzo si fa si estingue, si fa un pezzo e si estingue; infatti, dopo, la persona non può cantarselo, non può memorizzarselo, se lo canta, lo canta su un altro livello in cui non c'è l'assonanza, non c'è l'analogia del suono, non c'è la ridondanza del suono. L'altro elemento della musica è il fatto che c'è sempre la ridondanza del suono, l'elemento timbrico, quello che sto tentando di far tacere, cioè far venir meno passando su un altro livello, sul livello che è la Musica dell'Assenza .
Va bene, andiamo, ché abbiamo fatto un lungo discorso.
Ci vediamo tra un mese. Quand'è?
Susanna Verri: Quattro maggio.