09/03/95

V Seminario 1994-1995

Paolo Ferrari: Anche stasera introdurrà un tema generale Susanna. Non è giusto il termine introdurre, forse, in questo caso: le introduzioni sono state quelle degli anni precedenti in cui il luogo dell'assenza era molto astratto, in una situazione di grande distanza, in una situazione di vuoto molto ampio; mi ricordo che in alcune lezioni del primo anno avevo chiesto proprio l'aiuto di Susanna perché facesse da tramite, da trait d'union, da mezzo attraverso cui poter fare il passo e attraverso 'un introdurre' poter parlare di questo luogo altro. Ora mi sembra che sia passato questo tempo, mi sembra appunto il tempo che abbiamo chiamato 'della congiunzione'; in questo tempo della congiunzione mi pare opportuno il fatto che Susanna esponga i vari punti, i vari luoghi della mediazione in cui il linguaggio assente dell'assenza assuma invece un linguaggio più presente, pur non perdendo i suoi connotati di luogo altro.
Quello che vedo è che in generale è sempre difficile determinare il fatto di come si possa parlare, come si possa esporre, come si possa enunciare l'esistenza, in un campo, di un linguaggio relativo qual'è il linguaggio umano, di un luogo altro che, in quanto altro - proprio perché cosiddetto -, avrebbe come specificità il fatto di non avere un linguaggio o di avere un linguaggio assolutamente incomprensibile essendo posto in questo altrove. Anche perché l'altrove gli uomini l'hanno cercato dovunque, l'altrove è il luogo dei poeti, l'altrove è il luogo anche degli scienziati che cercano i principi dell'universo, prima dei principi dell'inizio dell'universo cercano l'esistenza di un nulla, il quale nulla possa produrre un inizio; altrove è la ricerca mitologica, mitica di un luogo di provenienza, il luogo dell'età dell'oro, il luogo di Atlantide; nella letteratura l'altrove è quasi - si potrebbe chiamare anche talvolta - il luogo dell'infanzia cosiddetta felice. Perciò mi trovo spesso a dover discernere, a dover discriminare tra questo altrove, che gli uomini hanno mitizzato, e l'altrove di cui io parlo. L'altrove di cui io parlo è in atto e io sto parlando in questo altrove, perciò, in quanto in atto, in quanto presente, non è altrove; però io so perfettamente il fatto che come sto parlando, come sto pensando, come sto sentendo sulla pianta dei piedi, come sto percependo l'universo che sta intorno o gli oggetti, i luoghi, le persone, gli assenti e i presenti, questo non fa parte del linguaggio comune umano, è un altro tipo di linguaggio, è un altro tipo di segno, è un altro tipo di assenza-presenza.
L'opera di cui mi occupo - che può essere quella musicale, quella pittorica, quella scientifica, quella clinica, quella affettiva, quella razionale - fa parte di questo altro luogo. Ora sto cercando, in questi anni in tutti i modi, di descrivere, di poter portare, di poter parlare di quest'altro luogo e delle leggi che ha, delle leggi intrinseche che questo luogo ha; in fin dei conti tutte le lezioni che abbiamo fatto, i Seminari che abbiamo tenuto, le relazioni, i rapporti che abbiamo intrattenuto fra di noi, in un certo senso, danno come risultato il tentativo della descrizione di un altro luogo che è distaccato, che è assente, che è fuori dai confini del pensiero comune, ordinario. Il grosso problema, che mi rimane ogni volta, è il fatto che nella mente umana questo luogo altrove o luogo altro o pensiero diverso è immerso dentro l'immaginazione: può essere la luna per Verne, può essere quello che è la letteratura fantastica, la letteratura infantile, come può essere la letteratura degli altri mondi, la letteratura utopistica, può essere il mondo pensato come mondo iperuranico. Io sto cercando in tutti i modi, disperatamente quasi, di spiegare che tutto questo non è affatto di questi tipi di categorie, cioè non è fantastico, non ha nulla di immaginario, anzi tende ad essere vuoto: se guardo un oggetto, se sono in relazione con il mondo, o nel momento stesso in cui sono in relazione con la realtà cosiddetta esterna a me, la relazione è una relazione all'infinito, nel senso che ho come esperienza un luogo infinito, un luogo totalmente aperto, senza ostacoli in mezzo e che tutti gli oggetti che sono in questo mondo si presentano, ma non occupano, non occupano spazio, io ho questo luogo infinito in cui mi sposto, in cui vivo, in cui mi relaziono. Ma questo luogo infinito non ha degli oggetti fantastici, spasmodici, iperuranici: è semplicemente un infinito, è semplicemente un luogo che ha una distanza all'infinito, un luogo che non occupa, che non prende luogo, che non afferra, che non muore forse, e in quanto non muore, in quanto è infinito, in quanto ha queste distanze, in quanto io sono distante ho questa possibilità del distacco rispetto al mondo cosiddetto esterno - e dico cosiddetto esterno perché questo mondo non è interno né esterno, per spiegarmi. Avendo questo distacco, questo distacco permette il fatto di poter disegnare, poter creare, poter generare in questo mondo, poter avere un rapporto buono, se non ottimo, con le persone, poter vedere la persona che è di fronte a me, vedere la persona che può diventare esistente in questo altro, in questo mondo. Cioè io dico in generale che le persone, che sono i fattori di questo mondo di cui parlo, di questo mondo più ampio, che è il mondo, diciamo, ordinario che è diventato ampio, cioè è diventato infinito, è diventato vuoto, è diventato libero, le persone in un certo senso abitano questo luogo. E abitando questo luogo le persone umane in generale ho visto - quando c'è stato tutto questo passaggio e ho incominciato a vedere questi spazi molto più aperti, più astratti, più liberi - che non c'erano, le persone erano inesistenti, come morte, come mancanti di un'identità, di un fulcro interno; cioè io vedevo le persone che erano come fisse, come bloccate o come inesistenti, senza una presenza effettiva, senza una radice, e questo mi dispiaceva moltissimo perché mi sentivo anche solo, terribilmente solo e non sapevo con chi parlare - questo diciamo negli ultimi sette anni, dall'88 in poi quando c'è stato quest'ultimo passaggio.
Allora credo che il fatto di spiegare continuamente di questo universo, le sue leggi, la sua storia, il suo metodo, di poterlo avvicinare in qualche modo al metodo scientifico - essendo io derivato dai luoghi della scienza, avendo cercato questo luogo o avendo capito questo luogo, lavorando su problemi di tipo tecnico-scientifico, su problemi di estinzione di comportamenti -, credo che in questi ultimi vent'anni, venticinque anni, trent'anni in cui mi sono occupato sempre più specificatamente di questo luogo più astratto, di questo luogo per cui il mondo precedente mi è sempre sembrato molto piccolo, molto chiuso, molto inesistente, sia dovuto proprio al fatto di trovare compagnia, di dire: “Beh, un momento, io devo descrivere questo posto perché non posso essere da solo in questo luogo così libero, così aperto, così astratto, così anche talvolta colmo di luce o di coscienza, di identità”, non so come chiamarlo in altro modo. Ma, d'altra parte, di questa solitudine inesprimibile in quanto unico testimone, unico vivente in questo luogo, che, ripeto, non è che sia totalmente diverso da un luogo umano normale, soltanto che è totalmente diverso perché è come se fosse l'animale che vive, la marmotta che vive nella sua tana, lungo il fiume, eccetera, eccetera, rispetto a quello che è, quello che pensa la marmotta, rispetto a quello che pensa l'uomo che vive la foresta intorno, vive tutta la condizione e che ha inventato il pensiero astratto, il linguaggio gli affetti razionali, eccetera. Ma non è che il mondo umano sia molto diverso dalla tana della marmotta - per intenderci -: è un altra cosa, è questo mondo, questa tana che è diventata grandissima, che è diventata astratta, per cui gli uomini hanno imparato a inventare, a costruire, a modellarsi, ad attivarsi rispetto alla realtà, ad adattarsi, adattarsela e modificarla, e così quest'altro mondo è un passaggio in più in cui ho imparato a far sì che questo mondo a poco a poco si estinguesse in determinate parti sbagliate, se ne formassero delle altre più ampie, più profonde, con un linguaggio più aperto, con un maggior numero di informazioni, una realtà molto più ricca, che però non ingombrasse, che non mi rompesse le scatole, che mi lasciasse libero continuamente di generare pensiero, di potere entrare in relazione con la musica per cui improvvisamente ho imparato di nuovo a suonare, così improvvisamente ho imparato a descrivere cos'è il distacco all'infinito, piuttosto che a scrivere poemi o nuove leggi scientifiche, come mi sto apprestando sempre di più a fare. Allora, dicevo, il mio compito, il mio desiderio è stato quello di dire: “Un momento signori, qui bisogna fare qualche cosa, bisogna che gli uomini debbano esistere”, cioè si deve formare una radice, si deve formare una radice comune perché questa radice umana probabilmente ha la possibilità anche di accedere su una condizione diversa, cioè può andare oltre, può dire qualche cosa. Ma questo, come spesso dico, non per un fatto di amore del prossimo, di San Vincenzo piuttosto che amor cattolico-cristiano, la compassione orientale, ma credo che sia perché il dato di fatto è questo, perché è una realtà oggettiva, cioè la radice umana probabilmente da quello che sto scoprendo anche ultimamente - adesso arrivo alla fine del mio discorso -, ha la possibilità, se avvengono una serie di nuove condizioni, di accedere a un nuovo ordine di elementi, di processi, di complessità maggiori, di capacità di vivere in modo diverso; e siccome questo è un dato di realtà, io dico che vado dietro a questo dato di realtà, è una realtà maggiore che io conosco e gli vado appresso. Appena quindici giorni fa io dicevo come l'assenza avesse bisogno anche di un contenitore, e che il contenitore migliore non era certamente un gatto, né una pianta, né un bellissimo orizzonte di montagna, ma il contenitore migliore era comunque il cervello umano. Il cervello umano è fatto in modo da poter accedere, da poter contenere questo altro tipo di linguaggio, è il più affine, e allora che questa affinità possa venire fuori, che possa essere detta, che possa essere comunicato. A mano a mano il processo diventa più affine, diventa più simile anche se poi mi accorgo improvvisamente che questo, pur diventando più affine, in se stesso ha una radice, una radice che è ancora profondamente diversa perché è come se alla sua radice la morte fosse venuta meno, cioè certi elementi, certi problemi di interazione vita e morte fossero venuti meno: cioè quello che è lo stato umano, per cui l'uomo continua a doversi contrapporre a una sua morte interna, a una sua fisicità, fisicità-psichicità che ha thànatos, che è attanagliato da questo elemento morte per cui contrappone continuamente un tentativo di vivere, di vedere, di costruire una realtà - questa dualità vita-morte eccetera - all'interno di questo nuovo organismo di cui sto parlando, è venuta meno e si è formato lo spazio, per cui non è occupata da questo casino, da questa inutilità di contrapposizione vita-morte.
Ormai è da diversi mesi che sto pensando a un saggio che si occupi esattamente proprio di questo venir meno di questa condizione opponentesi vita-morte e di quanto invece l'elemento di questo poter venir meno degli organismi - per cui gli organismi hanno imparato anche a morire, le cellule hanno imparato a morire, gli organismi hanno imparato a morire, per cui hanno dato luogo all'evoluzione della specie -, come questo elemento della morte non sia una cosa così spaventosa come è stata sempre vissuta, ma è uno degli elementi che ha dato luogo all'evoluzione e poi, dopo l'evoluzione, ha dato il fatto che ha potuto estinguersi anche questo elemento di morte mortale; e allora parlavo di morte astratta eccetera. Allora stiamo cercando questi medium, queste mediazioni di questo mondo, di questo universo maggiore che è affine da una parte - come vi ho spesso detto - e d'altra parte non avendo una radice uguale a quella precedente, ma essendosi liberata, essendo diversa, essendo radicalmente diversa, ma biologicamente diversa, è altrove, è fatta, è costituita di mezzi diversi, di relazioni diverse. Allora stiamo costruendo con Susanna in questo Centro una serie di cose che possono comunicare queste relazioni diverse, possono dare al fatto che una persona, avvicinandosi a questo, possa a poco a poco avere delle relazioni diverse con i suoi oggetti esterni, con i suoi simili esterni a sé, con se stesso, possa appropriarsi di sé in maniera diversa, più compiuta, più vera.
Ti lascio la parola. Ho fatto io l'introduzione.
Susanna Verri: Sì, un'introduzione che mi porta a parlare più avanti di dove parlerei io, già in un campo stato aperto, più assente di quello che pensavo di trovare, perché pensavo di parlare all'inizio. Inoltrandomi allora in questo campo che è più aperto riprendo il tema che Paolo ha introdotto così ampiamente, così riccamente - cioè uno dei temi che ha introdotto, quello che io vedo di poter proseguire -, che è quello di quanto stiamo attuando qui al Centro perché avvenga quella che chiamo la formazione in assenza delle persone. Stasera intendo parlare di quello che avviene qui al Centro, delle realtà che sono esistenti, atte a far sì che al momento di apprendimento, al momento di elaborazione interna dei temi dell'assenza cominci poi a mano a mano a seguire un'attività: secondo me la formazione in assenza è infatti costituita da due momenti, da due momenti che possono essere anche simultanei, che comunque penso come una fase di ricezione e poi una fase di attività; in altri termini possiamo pensare a una condizione che diviene diversa, cioè l'individuo, la persona, si viene a mano a mano a trovare in una condizione di vita e di pensiero, di esistenza in cui quello che incomincia a intuire, a pensare in assenza, comincia a passare nella sua vita quotidiana, nelle sue relazioni, nella sua attività, nella sua realtà affinché questa realtà si faccia meno concreta di quel concreto vicino alla saturazione dei processi del ciclo di vita e di morte a cui accennava prima Paolo. Questo tema di formazione è estremamente complesso, l'esperienza cui volevo accennare questa sera è solo una, è quella collettiva che stiamo portando avanti. Stasera vorrei parlare di due cose in realtà: del gruppo di studio, quello del martedì sera che, vi dicevo, è esperienza collettiva che si produce da molti anni, e poi volevo fare un accenno - perché entra in questo discorso di formazione - al testo delle Lezioni dell'Assenza che entrano in questo discorso sulla formazione come luogo di studio, di riflessione, di meditazione per ciascuno; quindi abbiamo due momenti, uno individuale e uno collettivo della formazione. Il gruppo di studio - alcune delle persone presenti stasera ne fanno parte, molti di voi ne sanno probabilmente già alcune cose, quindi sarò sintetica - è comunque un gruppo che si è formato nel 1972 in corso Venezia per partecipare ai vari processi di formazione della nuova attività di pensiero che si stava studiando; è un gruppo che è stato condotto per molti anni da Paolo in corso Venezia e poi qui al Centro. Molti di voi hanno seguito le registrazioni, hanno ascoltato e studiato, stanno ascoltando le registrazioni degli anni dall'80 all'85 di questo gruppo; dopo l'85 c'è stata una variazione per cui sono cessate le lezioni tenute da Paolo e il gruppo di studio ha continuato la sua attività in qualche modo autogestita, formalmente condotto da me, ma in una forma collettiva in cui veniva meno la presenza e l'esplicazione ad opera di Paolo e in cui doveva iniziare a formarsi - questo era il progetto che abbiamo seguito e portato avanti in questi nove anni - un campo specifico di attività - in assenza adesso possiamo dire - di un gruppo di persone, all'interno di queste persone e poi in fase collettiva, in fase espressa e in attività di queste persone. Cioè si doveva formare - all'interno di ciascuno del gruppo e poi all'interno dei processi che avvenivano al gruppo e dei discorsi e delle attività del gruppo medesimo - un nucleo in cui procedesse il pensare in assenza in piccolo modo, o per lo meno parliamo di una mediazione, ecco, per lo meno dire 'pensare in assenza' è eccessivo, però una attività a fianco del campo maggiore dell'assenza, un'attività in cui ciascuno mediasse con la sue presenza, con la sua conoscenza, con il suo intelletto, col suo affetto, col suo studio, mediasse tra la realtà comunemente nota e la realtà nuova che si stava studiando, procedendo, immettendo al mondo, qui al Centro.
Mi piaceva parlare questa sera del gruppo perché adesso il gruppo è in una fase in cui, dopo anni di silenzio - nel senso che per anni e anni si sono studiati i gruppi precedenti, si sono acquisite informazioni, si è imparato a tacere prima di tutto e a elaborare interiormente, ad ascoltare, a seguire a mano a mano l'andamento della ricerca, di quello che avveniva di settimana in settimana -, dopo una fase, dicevo, di ascolto e di elaborazione interna, adesso, seppure con difficoltà, a volte con reticenza, insomma con una serie di processi non lineari, comunque inizia una presenza attiva, secondo me sta iniziando una presenza attiva del gruppo, cioè sta iniziando un esprimersi delle diverse persone già da un po' di tempo, ma di più ultimamente, quindi un poter entrare delle diverse persone a parlare, ciascuna nel suo specifico, ciascuna dal suo punto di vista, ciascuna all'interno della sua configurazione di formazione culturale, di persona, di attività, tutte le persone iniziano a parlare relativamente all'assenza, cioè a porre una volta di più questa mediazione. Dicevo l'altra sera al gruppo appunto che la mediazione per me è comunque prima di tutto una forma di relazione, quindi ogni persona ha imparato a relazionarsi in sé, con quello che ha potuto intuire o capire o esperire e tutte e tre queste cose dell'assenza e da questa relazione che porta dentro di sé e che al gruppo pone ulteriormente - perché ci si ritrova appunto con questo intendimento collettivo -, parla e si esprime e si differenzia e si specifica. E questo è un processo che stiamo seguendo, che stiamo vedendo iniziare, a mio parere di estremo interesse anche perché è un progetto di lunghissima provenienza - come vi dicevo - e che avrà ancora un lungo percorso in quanto poi, secondo me, quello che adesso è un prendere voce ed è l'evidenziarsi della voce dei singoli, della voce differente dei singoli, potrà anche forse diventare più avanti delle diverse attività specificate, portare anche, come già iniziato con il volume delle Lezioni, dei 'prodotti', diciamo tra virgolette. Il volume delle Lezioni - vi avevo già detto - è un testo collettivo perché l'impostazione comunque tiene conto della voce di più persone, tiene conto di un progetto a più voci; è composto con queste introduzioni che nascono direttamente dalla mediazione delle persone, cioè da quel processo, che vi dicevo prima, dove ogni persona fa da trait d'union e si esprime in questo luogo dove ha fatto dentro di sé la congiunzione: avendo fatto, almeno in minima parte, almeno parcellarmente, un pezzettino di congiunzione tra se stessa e quello che ha potuto intuire del piano dell'assenza, può scrivere e allora nasce una scrittura che per ogni persona ha la sua precisione e dice del suo campo, del suo pezzettino. Il testo delle Lezioni è fondamentale per ciascuno di noi e quindi a questo punto mi rivolgo a tutte le persone presenti al Seminario - perché il Seminario è l'altro ambito di formazione, a mio parere, ma poi questo sarà un discorso che magari riprenderemo più avanti -: a tutte le persone del Seminario penso si possa vivamente consigliare di studiare attivamente queste Lezioni, cioè di studiarle, di leggerle, prima di tutto, e poi di studiarle nel senso di prenderle con sé, di tenerle intimamente con sé, affinché lavorino dentro ciascuno, e quindi affinché tutto il lavoro fatto in quegli anni di Seminario, e poi fatto nel testo che è stato così lungamente elaborato, possa produrre un avvicinamento, quindi possa far sì che tutto quello che è il campo dell'assenza sia sempre più facilmente avvicinabile. Allora questo libro ha in sé questa facilità di accesso, appunto perché è stato così lungamente mediato da diverse persone ha in sé questa strada già aperta, quindi questo percorso facilitato in un certo senso, e allora vale la pena di percorrerlo - il percorso -, di seguire questa strada che viene offerta e di cominciare a cimentarsi col proprio pensiero, con il proprio intelletto, con la propria esistenza a recepire qualche cosa di questo piano nuovo e a vedere di acquisirlo, di maturarlo dentro di sé e di formarsi, appunto, al nuovo piano dell'assenza.
Paolo Ferrari: Una domanda che io ho anche con me stesso, che continuo a farmi, che continuo a cercar di vedere è il perché di certe cose; come mai il sistema umano - mi chiedo - in fin dei conti si è bloccato lì, su questo handicap vita-morte, perché persiste su questo sistema? che cosa gliene frega di aprirsi su un sistema più grande visto che questo sistema esiste? Ora io potrei dare tutte le risposte che conosco come medico, come psicologo, come terapeuta, come filosofo, come scienziato, ma è come se non ci fosse una risposta unica, non ci fosse una risposta definitiva fondamentale, cioè non riesco a conoscerla. Siccome adesso ne ho esperienza, siccome ho costantemente esperienza di questo altro luogo, di questa nuova funzione, allora da questo punto di vista mi chiedo: ma perché il sistema è bloccato lì? che cosa ci sta a fare, che cosa gliene frega di stare lì? La risposta più ovvia è che al primate per diventare uomo ci sono voluti milioni di anni, cinque milioni di anni e poi agli uomini nelle varie fasi, erectus piuttosto che sapiens. Credo che un denominatore di tutti questi vari passaggi, dei vari passaggi che poi sto esplicando, stiamo esplicando nel nostro rapporto con il Seminario o anche nel mio rapporto, chiamiamolo clinico, o queste Lezioni che cosa possano indurre, che cosa possono fare, che cosa possono dare relativamente a questo altro piano, ultimamente - in questi giorni proprio ne discutevo - mi sembra che sia il fatto che tutto quello che io propongo, quello che faccio, che cerco di fare avvenire e l'ambito in cui mi pongo e cerco di porre gli altri, è un ambito in cui sia possibile l'estinzione, cioè sia possibile l'estinguersi di un qualche cosa che c'è dentro gli organismi e che li blocca. Ma molto probabilmente sono gli organismi stessi che sono autobloccati e che si organizzano intorno a questo blocco: cioè, io dico, probabilmente c'è questo punto, c'è il punto vita da una parte,
* morte dall'altra parte e intorno a questo sistema si è formato tutto l'universo, tutto l'universo si è formato intorno a questo sistema vita morte, c'è questo sistema che si sviluppa e un altro sistema, un altro meccanismo che tende a farlo finire. Soltanto che questo finire, cioè sia questo elemento vita sia questo elemento morte non sono né profondamente reali - per come io dico -, né sono capaci di finire: la morte, che è questo elemento di fine rispetto alla vita, non è capace di finire, cioè non è capace di definire questo - finire vuol dire anche definire -, perciò ci si trova in una situazione di mezzo, l'organismo umano si trova in una situazione di mezzo in cui in questo sistema vita-morte - ma proprio in un sistema quale fosse un blocco, una palla fisica, psicofisica - si è andato a inserire quello che è il pensiero, quello che è la coscienza è andato a finire qui dentro. Andando a finire qui dentro questo pensiero, questa coscienza che a mano a mano si sono sviluppati, in un certo senso quella che è la struttura fondamentale della vita e quello che è il suo processo di decadimento che è la morte, non si sono modificate dalla radice, cioè le cellule funzionano più o meno come funzionavano prima, come funziona nei primati: la struttura genetica del primate è per il 98-99% uguale a quella dell'umano, per cui non è cambiato un gran ché. Questo non cambiamento è quello che produce probabilmente il fatto che tutti i sistemi umani, che hanno questo pensiero e questa coscienza che è sorta in questo sistema vita-morte, si devono organizzare in maniera strampalata, in maniera assolutamente assurda per poter contenere in qualche modo questo sistema precedente, questo sistema vita-morte che è un sistema coatto, coartato, bloccato, bloccato su un sistema naturale - chiamato naturale - che però non porta né al fatto che una vita inizi realmente né che una morte finisca veramente, cioè una morte che definisca e finisca la vita, cioè probabilmente è un sistema in cui, nella sua evoluzione, nel suo svilupparsi manca, è un sistema a brandelli, un sistema che non è arrivato fino in fondo.
Allora io credo che quello di cui ci occupiamo, quello che facciamo, quello di cui continuiamo a discutere, quello che io pongo in qualche modo passi, passi qualche cosa per cui la persona incomincia a pensare, incomincia a produrre razionalità, incomincia a distaccarsi, incomincia ad avere una maggiore coscienza, incomincia ad avere una maggiore indipendenza, una maggiore capacità di autonomia; ma sul fondo che cosa succede? Succede questo - questo segno che io incomincio a fare
* -, cioè succede che al fondo si incomincia a instaurare un altro sistema, il sistema che io chiamo 'sistema dell'astrazione', cioè che va oltre questo sistema vita-morte. Ma cosa fa? Fa sì che in qualche modo questo sistema vita-morte si estingua. Credo che in questo lungo lavoro che stiamo facendo si estingua una parte di questo elemento interno intorno a cui si organizza tutto il pensiero umano, tutta la vita umana, questa autorganizzazione che, come ho scritto nel poema, è in eccesso, è in sovrappiù per cui ci deve essere molta vita perché molto probabilmente c'è molta morte; sono sistemi che si rincorrono l'uno con l'altro per trovare degli equilibri, c'è un equilibrio in eccesso, c'è un equilibrio sopra le righe: per cui questo sistema invece deve incominciare a estinguersi e allora soltanto, estinguendosi, può incominciare a formarsi un qualche cosa che è libero da questo sistema vita-morte. Infatti nel sistema di cui sto parlando, che diciamo non è il sistema della storia fisica dell'organismo, l'organismo nasce, cresce e muore come anche nel sistema precedente, ma al suo interno non ha la fissità di una morte e di una vita come altre volte avevamo detto essere quella dell'animale. Cioè in fin dei conti il sistema vita-morte che c'è stato nella natura non ha mai pensato al fatto che dovesse ricevere al suo interno dei processi o svilupparsi in modo tale che nascesse da una parte il pensiero e insieme al pensiero la coscienza; il pensiero e la coscienza non hanno ancora modificato questo sistema vita-morte. Quello che noi introduciamo è un ulteriore pensiero, un'ulteriore coscienza in modo che questo sistema vita-morte un poco ceda, un poco venga meno e cioè incominci a estinguersi. L'estinzione di questo, che è data da questo segno*-, produrrà un sistema che è molto più ampio perché non è soffocato, non ha come il gozzo di questa vita-morte che ha bloccato completamente gli organismi, perché gli organismi si sono come organizzati intorno a questo sistema primordiale vita-morte, il sistema non si è evoluto, il sistema non è diventato un sistema vita-morte-coscienza; il sistema è ancora vita-morte e basta, e sopra questo si è inserita la coscienza o il pensiero, per cui il pensiero si trova completamente coartato da questa chiusura. Allora io dico che tutto il processo che io faccio in continuazione è di produrre estinzione, produrre estinzione di questo sistema antico, antichissimo, inutile.
Allora se una persona legge una frase, entra nel rapporto di una frase, per esempio delle Lezioni , oppure entra in una relazione complessa con i suoni che io faccio, oppure con le relazioni tra i quadri, oppure con le strutture architettoniche, oppure con il pensiero, nel momento stesso in cui entra in relazione con queste, un pochettino si distacca dal sistema precedente, cioè un pochettino muore di questo sistema vita-morte sbagliato. Il morire di questo sistema vita-morte è quello che produce un dato di guarigione, è un distacco, in un certo senso è un distacco da sé, è un distacco da questo sistema precedente, e in questo distacco incomincia a formarsi come un grande spazio, uno spazio di libertà. Ora voglio fare un esempio di questa specie di distacco: per esempio si può dire che la musica che io faccio è una musica che arriva direttamente al processo, chiamiamolo, allo stato di pensiero, cioè salta completamente questa vita morte, non è una musica che riempie - per esempio l'elemento del piacere, del piacere chiamiamolo gastro-sessuale come lo chiamava Vono
* -, non è un elemento che riempie e che fa restare zitto, che produce un'omeostasi dell'organismo, dell'organismo basso, bensì è la musica che va direttamente a dei processi complessi della struttura umana e fa saltare questo elemento vita-morte più semplice, più radicato con le antiche storie dell'evoluzione; è una musica, per esempio, è un insieme di suoni che rompe con le strutture precedenti anche sonore, è un suono-non suono e così - come diceva Susanna - queste Lezioni sono dei tratti caratteristici, devono essere studiate perché ogni volta ogni frase di queste Lezioni produrrà un elemento di estinzione.
Quello che sto cercando sono comunque delle vie che non sono quelle ordinarie, quelle comuni. Come mai? Sto cercando delle vie dal punto di vista mentale, dal punto di vista di questi altri livelli che conosco, che producano il più rapidamente possibile l'estinzione di questo vecchio processo. Il problema grosso è che anche quando si produca un'interruzione di questo processo,
* per cui viene prodotto un elemento in cui c'è una dissociazione, c'è un distacco da questi sistemi precedenti primordiali sui quali per esempio si è instaurata la nevrosi, si è instaurata la psicosi - perché la nevrosi e la psicosi si instaurano su questi elementi vita-morte molto primordiali, su una sessualità primordiale, per esempio -, non basta, cioè mi accorgo, lo sento nella persona, sento che questa si è distaccata e che ha quest'altro piano, sento che posso comunicare e che ha un piano vuoto, però succede che se questa persona non continua a coltivare questo piano, la realtà quotidiana, che è costruita su vita-morte, su questa dualità mai risolta, immediatamente ricuce questo strappo e allora di nuovo il processo un'altra volta si chiude, allora è come una lotta, è una lotta quasi contro il tempo. Io dico che le persone devono imparare a nascere, devono imparare a morire; è importantissimo che imparino a morire, importantissimo che imparino a nascere, altrimenti è un casino, l'umanità è troppo incasinata, ha troppi problemi, fin dal momento stesso in cui nasce, cresce: ha il problema di dover camminare, ha il problema di dover parlare, ha il problema poi di avere un rapporto affettivo con la madre e poi con il fidanzato, poi con la razionalità, e tutto questo è un casino, è difficilissimo perché c'è questa dualità, c'è questa vita-morte che non funziona; se questa vita morte funzionasse i bambini imparerebbero immediatamente a parlare, a camminare, a fare, ad abbracciare. Cioè questo è come se fosse un grandissimo ostacolo su un procedimento astratto che attualmente incomincio a poter pensare che nella struttura pensante umana ci sia, anche perché tutti questi anni stiamo lavorando perché possa esserci, possa esistere quest'altro livello, che non è nient'altro che un livello più vuoto: mentre questo è un livello che è continuamente compattato, duro, quest'altro soltanto è un livello che è vuoto, è un livello che è libero; essendo un livello libero il cervello, proprio umano, il cervello che si è costruito ha la capacità di imparare immediatamente.
Adesso volevo farvi sentire un pezzo, cioè una specie di esperimento, di esperienza quello che un criterio di questo tipo permette anche attraverso vie non note perché non sono note neanche a me. Per esempio, voglio provare a fare una congiunzione con un brano di Stockhausen. Stockhausen è un autore contemporaneo, di musica contemporanea, è ritenuto un genio della musica, ha molto lavorato prima su pezzi per pianoforte - questi klavierstücke che adesso cercherò di integrare in un sistema più complesso -, poi sulla musica elettronica, poi sulla voce ed è considerato uno dei più grandi pensatori musicali di questi ultimi venti trent'anni. Adesso metteremo su un disco in cui c'è un klavierstücke (klavierstücke vuole dire un pezzo per klavierstück, un pezzo per pianoforte) e ne vorrei proporre la congiunzione: come l'altra volta ho fatto il processo di congiunzione con un mio pezzo precedente, adesso lo facciamo con questo pezzo di Stockhausen, un pezzo che io non conosco, cioè ne conosco un frammento perché prima l'abbiamo provato con Lorenzo per regolare i livelli, ma è uno di quei klavierstücke che non ho mai sentito. Quello che è interessante è vedere come questo sistema, questo sistema pensante, questo sistema nuovo musicale, questa improvvisazione, questo improvvisare, questo poter creare all'istante possa congiungersi con un sistema in cui io mi metto in contatto in quel momento stesso e come questo misuri in un certo senso la simultaneità di questo processo. Nessun pianista al mondo potrebbe mettersi lì e suonare insieme con un pezzo di questo tipo senza conoscerlo prima e io penso che, siccome di solito succede, adesso vediamo questa congiunzione come avviene.
Quello che noi vediamo adesso, e anche l'altra volta probabilmente, è il fatto che ci sono dei problemi perché la musica registrata arriva dagli altoparlanti, mentre la musica del pianoforte è più diretta perché è uno strumento acustico a percussione diretta; quindi negli ascoltatori c'è una disgiunzione; se mai poi ne sentiamo un pezzetto registrato perché interessa anche a me vedere come è venuto.
Allora questo è il Klavierstücke N. 1. Lorenzo fallo partire, e poi se mai fallo ricominciare in modo che sentano prima come è il pezzo...
[Lorenzo fa ascoltare per qualche secondo il pezzo di Stockhausen]
Paolo Ferrari: Sono tante cellule musicali, si chiama una musica seriale. La musica seriale è quella musica in cui il compositore dà certi numeri alle note, le definisce secondo serie numeriche e finisce questa sequenza di note o di armonici o più sequenze di note in una certa cellula che poi ripeterà oppure porrà in sequenze temporali diverse; musica seriale perché è fatta di tante tante serie che sono rigorosissime per cui, ad esempio, la serie 1 3 5 7 8 si ripeterà tre volte, quattro volte in senso progressivo, in senso inverso e così via.
Quello che tento di fare con la musica dell'assenza su questa musica, che di solito è abbastanza rigida, è di riuscire a entrare dentro questa musica, dentro questo tipo di serialità, dentro queste cellule che si ripetono uguali, in cui però probabilmente - sentivo adesso - Stockhausen dà un elemento di variazione, di variabilità: il pianista cioè su indicazione usa un pò il pedale, per esempio in questa armonica bassa [Paolo Ferrari esegue una nota al pianoforte], lo lascia e prende la nota acuta. Ci devono essere delle segnalazioni molto precise sulla pedalizzazione, sulla tenuta delle note, perché probabilmente sfrutta gli armonici: gli armonici sono tutta la serie di sequenze per cui una nota in questo modo [Paolo Ferrari esegue una seconda nota al pianoforte] avrà tutta una serie di vibrazioni che si ripetono fino verso le note acute. L'armonico è un numero di frequenza nell'unità di tempo, ogni nota ha un numero di frequenza nell'unità di tempo e allora questi armonici vengono sfruttati nel senso [Paolo Ferrari esegue alcune note al pianoforte] che questo tipo di frequenze possono essere riprese su una nota alta invece che su una nota bassa e adesso sentivo qui che Stockhausen usava una nota bassa e poi lasciava subito il pedale e usava poi le note acute; credo che giochi molto sugli elementi armonici, cioè su questi tipi di frequenze che si ripetono, che si rincorrono.
Adesso voglio provare a vedere, suonando insieme, che cosa succede.
[Paolo Ferrari suona al pianoforte la sua musica in congiunzione con il Klavierstücke N. 1 di Stockhausen; durata 4 min. circa]
Paolo Ferrari: Quello che cercavo di fare è entrare dentro questo tipo di legge questa legge seriale che sentivo che era molto rigida, e anche di accoglierla e produrre un sistema molto più ampio, un sistema vuoto che stesse alla base, che potesse raccoglierla, potesse integrare in modo che il linguaggio fosse più ampio e questo elemento discorsivo che si cominciava a produrre tra me e il signor Stockhausen potesse avere uno spazio più ampio, uno spazio dialettico e nello stesso tempo di congiunzione, di relazione più affettiva.
Prova a farne andare un pezzo, voglio sentirlo.
[Lorenzo Giubileo fa ascoltare la registrazione del pezzo musicale eseguito da Paolo Ferrari in congiunzione con il brano di Stockausen]
Paolo Ferrari: Mica male! Vi assicuro che nessuno al mondo mai per migliaia di anni e di anni potrebbe suonare in simultanea un pezzo così integrato e questo appunto è la dimostrazione di quello che su quest'altro livello succede pianisticamente. Ma se mi metto in comunicazione con una persona, se penso a questa persona, se sto lavorando con questa persona, sto curando questa persona, sono in simultanea direttamente con tutti i suoi processi mentali, psichici, nervosi, quelli che saranno, quelli che sono stati. Oggi cercavo, a mezzogiorno, di spiegare un po' ad alcuni miei allievi-collaboratori quanto sia complesso questo sistema, quanto sia grande, cioè nel senso che proprio non ci si rende conto. Adesso non so se sono riuscito a spiegare abbastanza bene questa questione vita-morte perché mi ricordo che, già l'anno scorso, due anni fa, quando ho incominciato a spiegare questo sistema vita-morte, cominciavano a nascere una serie di resistenze, proprio come se l'organismo facesse resistenza. Infatti dico ma che cosa gliene frega? Si sa benissimo che c'è un altro sistema molto più ampio, molto più vuoto in cui si sta molto meglio, che può parlare in simultanea con tutti i linguaggi che vuole. Che cosa gliene frega di fare tutta questa resistenza? perché non può accettare di estinguersi, di estinguersi per un pezzo? Credo già però che in quest'aula un pezzo d'estinzione avvenga, perché se no anche un pezzo musicale così non si potrebbe fare, insomma, se fosse troppo disturbato.
Sono carini anche altri esperimenti che stiamo facendo: per esempio Susanna, che fa il secondo anno di pianoforte, si mette al pianoforte, fa una serie di note, io mi metto a suonare e le integriamo insieme; poi a mano a mano lo faremo con qualcun altro. Anche con Loretta ci mettiamo a suonare insieme, uno suona da una parte e si integra nella sua struttura complessa; come ho visto con Carlo Balzaretti che ha incominciato a suonare una serie di accordi o di relazioni sonore libere e anche lui, colto in una situazione di assenza, di quasi totale assenza, cioè libero da schemi, ha incominciato a suonare simultaneamente relativamente a questo linguaggio, il quale linguaggio, nel momento stesso in cui suonava, formava le sue leggi - questa qui diciamo è una legge di estinzione, così si potrebbe chiamare - e nel momento stesso in cui noi suonavamo veniva fuori questo linguaggio che è un linguaggio di estinzione. Quello che cerco di spiegare spessissimo anche a chi traduce i miei testi - ne parlavo con Zizine - è il fatto di stare attenti che nella traduzione non debba venire un qualche cosa in più, ma semmai un certo tipo di relazione che comunque ha questo elemento in cui il sistema vecchio vita-morte si estingue e quindi ha una legge sua propria: son leggi sue proprie, non sono leggi che noi già conosciamo, le stiamo costruendo, sto cercando di capire io stesso quali siano le leggi di questo tipo, anche le leggi stesse o che cosa ci interessa, perché, dove dobbiamo andare, che cosa significa, se significa, se basta che una testa diventi un campione, diventi un elemento di mezzo, un medium, una mediazione, se basta un individuo solo, se ne occorrono cento, se ne occorrono milioni. Non lo sappiamo, non sappiamo ancora che cosa sia, qual'è il mezzo migliore per veicolare questo, se noi dobbiamo entrare entro le leggi di mercato, se dobbiamo vendere questo libro o non dobbiamo venderlo, se dobbiamo fare dischi o non dobbiamo farli, che cosa dobbiamo fare non lo sappiamo perché sono leggi diverse, non sono certamente le leggi di mercato o leggi che noi conosciamo; sono le leggi di questo tipo, in cui c'è l'estinzione vita-morte che ogni volta cercherò di spiegare meglio - vedo che ci sono delle resistenze - perché adesso ho scritto una serie di punti e sto arrivando proprio al saggio relativamente a questo problema.
Intanto il disegnino è molto carino, insomma, la barchetta...
Va bene, chi ha domande da fare? Allora il gruppo incomincia a parlare, ma qui non comincia a parlare nessuno ancora.
Susanna Verri: Ho detto che è faticosa la cosa.
Paolo Ferrari: Si vede che sei più brava tu a farli parlare di me.
Susanna Verri: Eh no, va beh!
Loretta Gasparutti: Ma no, perché abbiamo tutto molto chiaro, non mi pare che ci possano essere delle domande..., se mai, non so, delle considerazioni più che delle domande, che mi pongo con me stessa relativamente a questo che è stato detto. Non è che non si voglia parlare, ma è molto...
Paolo Ferrari: ... da maturare, da comprendere nelle radici...
Loretta Gasparutti: Sì.
Susanna Verri: A volte bisognerebbe fare domande senza chiedere, in un certo senso.
Paolo Ferrari: Sì, fare delle proposizioni.
Susanna Verri: Cioè per porre un'altra relazione.
Paolo Ferrari: Sì, che poi si possono congiungere, raddoppiare, fare. Va bene, allora andiamo, va'. Ci rivediamo il 6 di aprile.
Susanna Verri: Il 6 aprile, sì.
Paolo Ferrari: . Arrivederci!