22/12/94
III Seminario 1994-1995
Paolo Ferrari: Allora
parli tu Susanna, introduci.
Susanna Verri: Per introdurre la serata, il Seminario di questa sera,
c'è la comunicazione dell'uscita del volume de Le Lezioni dell'Assenza
di cui molti di voi già sanno ma che vale ugualmente la pena di citare
come introduzione alla lezione.
Si tratta del testo che si chiama Le lezioni dell'Assenza, le vie assenti
del nuovo pensare uscito a dicembre in libreria già presso il Trittico...
Paolo Ferrari: Scusa un attimo Susanna. Lorenzo, guarda che questo [microfono]
qui è aperto a doppio ingresso, ti va bene?
Lorenzo Giubileo: Sì.
Paolo Ferrari: Perché io l'ho aperto per registrare; di solito
lo mettiamo a cono non a doppio, lì si sente bene? Non ci sono disturbi
di fondo? Perché io l'ho aperto in un altro modo. Scusa Susanna.
Susanna Verri: Allora vi dicevo del volume de Le lezioni dell'Assenza.
Stavo dicendo che è in libreria al Trittico in via S. Vittore, al Domani
in via Carducci, è richiedibile anche in altre librerie come la Feltrinelli.
Quello che mi interessava qui segnalare era la composizione, molto brevemente,
anche per via della sua natura di testo sorto da un lavoro collettivo di grande
impegno, che ha coinvolto tutta l'équipe che lavora qui al Centro e che
alla fine ha prodotto questo testo composito in cui compaiono le ventisei lezioni
dei primi due anni di corso, i quattro saggi sull'Assenza già pubblicati,
la traduzione di due saggi, una traduzione in inglese e una in francese, e poi
tutta una serie di introduzioni fatte da quelli di noi che hanno collaborato
alla stesura di questo volume, in cui ciascuno dal suo punto di vista porta
il suo contributo all'avvio del discorso sull'assenza.
I testi delle lezioni che compaiono sono poi ancora da segnalare perché
sono differenti da quelli che avete avuto quando erano stati distribuiti, in
quanto c'è stato un grandissimo lavoro di revisione, un lavoro proprio
sulla forma orale, che dopo una prima trascrizione è stata da Anna Lafranconi
rivista molte volte al fine di portarla poi in una stesura che mantenesse la
provenienza della forma orale pur presentandosi in iscritto in un modo facilmente
recepibile, il più piano possibile, accessibile senza perdere alcuna
delle informazioni presenti nelle lezioni dal vivo e anzi, se mai, acquisendo
l'elemento, diciamo, del testo che si presenta per iscritto pur non nascendo
come forma scritta, e che quindi deve essere intelligibile sulla pagina stampata
pur provenendo dall'origine orale. Anzi dopo tutto questo lavoro che c'è
stato, che ha implicato più di un anno di lavoro, forse anche di più,
la provenienza orale rimane semmai una facilitazione alla lettura in quanto
c'è l'immediatezza, c'è forse anche la maggior semplicità
di articolazione della forma del seminario orale rispetto, per esempio, alla
complessità di scrittura dei saggi che sono in appendice al volume, che
sono nati nella forma scritta quindi con tutta la loro maggior complessità
di linguaggio, non di contenuto parliamo, ma di forme di linguaggio diverso.
Interessanti poi le traduzioni che compaiono in appendice, sempre dei due saggi,
perché avviano tutto un discorso sull'esistenza di una lingua dell'assenza
e sulla possibile traduzione di questa in altre lingue: quindi la lingua dell'assenza
come lingua a se stante che ha perso la matrice di origine radicata in una lingua,
quella italiana, in cui si forma come prima nascita, proprio perché ha
perso questa matrice di appartenenza alla lingua in cui nasce, può essere
tradotta, può essere portata in altre lingue nel modo in cui la traduzione
deve principalmente nascere nel luogo dell'assenza, affinché l'inglese
o il francese o forse altre lingue poi possano essere recettive del tema di
cui si sta trattando; cioè la lingua straniera deve non essere straniera
all'assenza in qualche modo.
Questo è tutto un campo che si svilupperà in futuro, adesso è
ai primi passi; però abbiamo già visto alcune traduzioni di qualche
verso di Europa abbiamo visto nella presentazione a Trieste alcune traduzioni
di brani di Europa. Probabilmente c'è anche un progetto di traduzione
dell'intero testo di Europa in francese; avevamo visto nell' 'Interludio dell'assenza'
pubblicato tutto un discorso che si avviava su questo problema della lingua
dell'assenza e qui appunto in appendice al testo delle lezioni compaiono, presentate
dalle rispettive traduttrici, le due prime versioni di due saggi.
Ora io potrei anche parlare molto più lungamente di questo testo, però
mi fermerei a questo punto per lasciare spazio al Seminario.
Paolo Ferrari: Nel Seminario includiamo questa introduzione come sempre.
Ben volentieri che ci sia un'introduzione: tutte le Lezioni fino adesso fatte,
quasi tutti i Seminari, quasi tutti i Saggi sono introduzioni, perché
introducono al campo che, in quanto assente e quindi non essente, è soltanto
luogo-non luogo cui si può accedere o intuirne o sperimentarne delle
parti, alcune forme di base, alcune condizioni linguistiche attraverso continue
introduzioni. Noi ci introduciamo entro un campo che non ha esistenza, non ha
esistenza nella forma attuale del pensiero attuale, della lingua attuale. Come
già più volte ho detto, questo è il più grande paradosso
col quale ci si trova a misurarsi con il pensiero e con l'attività in
generale della vita e della morte - ho parlato di attività della morte
non per niente, perché si aprirà anche questo capitolo con cui
ogni giorno io mi confronto, i miei collaboratori si confrontano e voi con i
Seminari vi confrontate una volta al mese e poi quando incominciate a leggere,
a poter leggere, poter considerare il campo di cui parlo, di cui porto la lingua.
Per quanto concerne il Seminario di stasera, quello che è da dire con
un certo dispiacere è il fatto che manca Carlo Balzaretti con cui mi
ero abituato ormai a una dialettica che mi sembrava molto interessante, con
un lavoro pianistico che si svolgeva al Seminario, perché avendo vinto
il Concorso per una cattedra di pianoforte è stato per il momento spostato
da Milano a Campobasso, per cui insegna al Conservatorio di Campobasso i giorni
di mercoledì e giovedì e quindi lui non può essere qui.
Si pensa che questo duri per alcuni mesi, per i mesi di quest'anno e che il
prossimo anno possa essere di nuovo a discutere con noi del linguaggio musicale,
del linguaggio musicale dell'assenza, del linguaggio della musica quell'altra,
quella più nota per il momento. Io comunque continuo con lui il lavoro
perché ci incontriamo al martedì e potremmo anche sentire eventualmente
delle registrazioni che noi facciamo relativamente agli ultimi lavori che sto
componendo. Mi sento un po' spostato perché ero abituato ormai al fatto
che esistessero due pianoforti, che questi Seminari erano in gran parte, per
un loro aspetto importante la lingua della musica e anche della dialettica musicale,
da un lato quella della musica dell'Assenza dall'altra parte la musica diciamo
classica, quella usuale.
Quello che porteremo avanti probabilmente anche stasera è quella parte
della musica di cui mi sto occupando e che è la musica cantata. Sto scrivendo
alcune canzoni che Loretta interpreta, come dicevo anche l'altra volta. Queste
sono canzoni scritte secondo una modalità puramente e quasi perfettamente
mentale, nel senso che io scrivo queste note, non le misuro con gli strumenti,
se non con gli strumenti della mente: non mi interessano gli strumenti fino
a che questi strumenti non saranno verificati al momento della loro attuazione
fenomenica, al momento stesso in cui il canto si forma. Si formano soltanto
degli intervalli nella mia mente, degli intervalli di assenza nella mia mente,
io non faccio altro che prendere questi intervalli, dischiuderli sulla pagina
scritta musicale e mostrarli, offrirli nel campo fenomenico, passando attraverso
l'assenza, introducendoli nel campo, diciamo, della cosiddetta concretezza della
realtà così come è attualmente; nel momento stesso in cui
essi si pongono, a mio avviso essi hanno la grande possibilità di togliere
continuamente delle tracce perché, se sono cantati giustamente, questi
in chi ascolta producono una sorta di guarigione di quella che io chiamo la
ridondanza di vita, di morte, di sonno, di paura, di sesso concreto, di lamento,
di affettività non compiuta. Questi canti, questo canto, queste canzoni
dell'assenza producono in chi ascolta, se è capace di ascoltare profondamente,
come ho già accennato a Trieste relativamente a Europa, producono dei
pezzi di guarigione, dei pezzi di guarigione della specie.
Poi con Patrizia, sto portando avanti anche con lei delle canzoni, sono delle
canzoni più libere dal punto di vista musicale, si compongono più
immediatamente; cioè, io e lei lavoriamo nell'ambito della formazione
degli improvvisi, lei canta, io suono, lei ha ultimamente incominciato a lavorare
a un testo che ha voluto direttamente scritto in inglese, pensato in inglese
senza passare dalla forma italiana, anche perché, per avvicinare queste
canzoni a quella che è la dimensione più usuale attualmente, che
è quella della lingua inglese nella canzone, sono canzoni più
semplici, sono delle forme di ballata oppure anche delle forme di canzoni diciamo
che si potrebbero avvicinare di più a quello che è la cosiddetta
concezione della musica folk o anche la concezione della musica leggera ad alto
livello, anche se non riusciremo mai a passare dalla musica leggera comunque;
sono comunque delle canzoni molto astratte, che però prendono degli andamenti,
delle loro lentezze, delle loro accelerazioni, delle loro profondità,
delle loro melodie che si avvicinano di più a quello che possa essere
un discorso direttamente percepibile senza un a priori rielaborativo, senza
subito dover produrre in chi ascolta il fatto di un luogo assente, di un luogo
astratto - almeno io così penso, però non ne sono mica tanto sicuro,
perché abbiamo incominciato appena da poco su questo versante.
E' tanto tempo che non ci incontriamo in questa forma di relazione collettiva.
Nel frattempo per quanto concerne questo campo di cui mi occupo sono avvenute
moltissime cose.
Una delle anticose che sono avvenute è la presentazione di Europa a Trieste,
che mi è sembrato un luogo molto interessante, dove è stato posto
questa nuova forma, questo altro essere del mondo, questo altro essere di Europa,
questa altra lingua e dove mi sembra che sia stata calorosamente accettata,
affettivamente compiuta. E adesso dovremo occuparci a mano a mano della presentazione
di questo nuovo libro de Le Lezioni dell'Assenza e quindi anche a questo
proposito incominciare un tragitto, formare un tragitto. Per Trieste abbiamo
formato un tragitto che a mano a mano ha prodotto una sua traccia, la sua traccia
si è fatta assente, si sono formati i vari tipi di espressione delle
varie persone che hanno parlato, i diversi tipi di canto delle persone che hanno
cantato, i diversi tipi di musica che si è esposta.
Quello che sta avvenendo dell'assenza, come dicevo altre volte, mi sembra una
condizione molto favorevole, mi sembra che stiano avvenendo delle cose che non
mi sarei mai aspettato che avvenissero in tempo così breve; io pensavo
a centinaia di anni, migliaia di anni, milioni di anni. Invece avvengono delle
cose rapidissimamente, quasi come se il cervello umano fosse preparato in qualche
modo a ricevere questa nuova condizione; fosse preparato come se ci fosse una
condizione, una struttura di base, una forma-non forma nel suo iniziare, nel
suo nascere, nel suo formarsi; come se il cervello avesse già al suo
esterno un contenitore, questo contenitore poi nel procedere della vita dell'individuo,
per come l'evoluzione è andata fino adesso, abbia dovuto scegliere determinate
strade molto più tecnicamente evolutive, molto più legate alla
crescita, al linguaggio, al parlare, al camminare, al pensare, al tradurre,
al rapportarsi secondo certe regole. Mi sembra però che alla base di
tutto questo ci sia poi un contenitore molto astratto, pressoché invisibile,
diciamo non specializzato nella dimensione di come è andata fino adesso
l'evoluzione; o meglio, che questo contenitore si possa formare a mano a mano
che questa nuova forma dell'assenza si possa introdurre. Cioè io vedo
diciamo nella mia condizione di veggente, chiamiamola così, dell'Universo
nuovo, vedo il fatto che nell'Universo delle cose ogni cosa possa avere la possibilità
di questo contenitore, la quale la può rendere sempre più astratta,
sempre più vuota, sempre meno concretamente ingombrante o pesante o alterante
quello che poi sono le caratteristiche di un pensiero assente.
Io sono di fronte a una serie di fenomeni, a una serie di cose di cui mi sto
accorgendo che mi lasciano assolutamente stupefatto, di relazioni nuove, di
linguaggi nuovi, di vie nuove attraverso cui questo processo si sviluppa, malgrado
le nevrosi degli uomini, malgrado la psicosi, malgrado la pigrizia del pensiero
umano, ma malgrado il fatto che il pensiero umano sia fondamentalmente secondo
me, per la sua maggior parte, per la sua più grande caratteristica, fatto
malamente, fatto in maniera molto limitata, tranne quando poi si apre e costruisce
la grandi cattedrali del pensiero, degli affetti, della conoscenza, delle relazioni
nuove.
Questo discorso non vorrei che diventasse anche questo una specie di altra lezione
accademica, però è una cosa che preme dire, sto cercando di dirla
in maniera più semplice possibile: il fatto che ci sono come due tendenze,
mi sembra grosso modo, cioè una tendenza è che nella struttura
del pensiero umano c'è la tendenza alla concretizzazione, tendenza da
cui deriva poi fondamentalmente molta parte della nevrosi o molta parte della
psicosi, cioè come se il mondo fosse grandemente nevrotico, come Freud
già osservava che l'individuo proprio per la sua struttura di specie,
la sua struttura dell'inconscio è l'individuo nevrotico, cioè
l'individuo che non ha la possibilità di avere dei rapporti, avere delle
relazioni di scambio continuo, aperte, mature; ma Freud stesso ammetteva l'immaturità
della specie, ammetteva il fatto che la civiltà fosse un disagio, cioè
che l'individuo, la società, il gruppo sociale dovesse regredire rispetto
ai propri istinti, - tirarsi indietro, più che regredire - tirarsi indietro,
sublimare un alcunché, in questa sublimazione poter produrre quello che
è poi il pensiero, l'intelligenza, l'intelletto, l'affetto. Ma come delle
parzialità, cioè come se tutto il mondo fosse dominato dall'elemento
istintuale, dall'elemento nevrotico, dall'elemento pulsionale o dall'elemento
che poi è nevrotico come sua successiva immissione nella realtà,
come se in fin dei conti non si potesse uscire da una condizione, da un condizionamento
per cui il cervello o il pensiero umano o la psiche umana fossero dei fattori
fondamentalmente pulsionali; da questa pulsione l'individuo, l'uomo, la persona
accetta di decrescere, accetta di ritirarsi, accetta di contenere il suo elemento
pulsionale e in questo accettare di contenere l'elemento pulsionale c'è
la possibilità di formare quello che è la mente, di formare quello
che poi è l'oggetto del pensiero, questo sempre secondo la teoria psicanalitica.
A questo si sono sopraggiunte altri tipi di concezioni, successivamente, per
cui c'è dal punto di vista storico, della storia, in generale, il fatto
che in fin dei conti l'uomo è un essere buono per cui ci sono queste
pulsioni, c'è la sessualità da una parte, però dall'altra
parte l'uomo è intelligente, l'uomo ha l'anima, l'uomo è figlio
di Dio, l'uomo è frutto, è capace di pensare, ha lo spirito.
Io ho sempre ritenuto che la concezione freudiana fosse quella più giusta,
più integrante, più rivoluzionaria, e in effetti lo è,
e tuttora lo penso. Penso che l'altro tipo di pensiero sia un pensiero riduttivo,
sia un pensiero che deriva ancora dal fatto dell'identità religiosa degli
uomini, dell'idea che l'intelletto sia superiore ai sensi, che l'intelletto
sia di derivazione altra, che sia di derivazione animistica. Ora, invece, la
situazione secondo me è tutt'altra, non è né l'una né
l'altra, la situazione è molto più avanzata, molto più
complessa; cioè quello che io dico è che nell'ambito dell'evoluzione
si è formato in maniera contingente - si dice così nel campo degli
studi diciamo più avanzati dell'evoluzione il fatto che una serie di
condizioni, quella umana in particolare, si siano formate secondo certe contingenze
per cui la via evolutiva avrebbe potuto anche essere tutt'altra, che noi non
conosciamo; si sono formati invece un corpo, delle gambe, una faccia, una testa,
un cervello, il cervello ha prodotto un'entità astratta che è
il pensiero, che è il linguaggio astratto.
E questo è un discorso non finalistico, è un discorso molto coerente
dal punto di vista scientifico che in certo senso abbraccio; ma, giunto a questo
punto, il fatto che il cervello si sia costituito in questo modo, si sia formata
la neocorteccia, che la neocorteccia abbia prodotto poi il linguaggio, il linguaggio
astratto, io dico - quello che poi dico dell'assenza, di tutte le cose che ho
sempre detto - che però questo non basta, non è finito lì.
Cioè quello che torna ogni volta a rendermi stupito è che nessuno
abbia pensato il fatto che noi riusciamo a pensare in termini astratti, il fatto
che noi riusciamo a pensare in termini concettuali, che riusciamo a pensare
l'albero come elemento astratto generale, per cui noi tutti quanti c'intendiamo
su che cosa sia l'albero, e che questo non sia l'ultima tappa, ma che questo
sia soltanto un intervento per cui il cervello ha incominciato a pensare questa
cosa, il linguaggio si è sviluppato in questo modo e ha prodotto questo
alcunché che è l'elemento concettuale, è il discorso astratto;
ma mi stupisce sempre che non si sia pensato il fatto che oltre a questo elemento
dell'ideazione astratta non si possa andare, cioè che non si sia concepito
ancora il fatto di che cosa succede se ci fosse un'altra astrazione, un ulteriore
livello di astrazione: se questo albero o se questo corpo, se questo tamburo,
se questo muro sono bucati, si bucano, cioè non esistono in quanto tali,
in quanto pensati in maniera astratta sull'astratto, per cui l'astratto sull'astratto
è un astratto comunque che è più vuoto rispetto all'astratto
di prima. L'astratto in generale significa il fatto che l'albero che io riesco
a ideare è più vuoto, è meno concreto, è meno addensato,
è meno ingombrante del fatto dell'albero, non me lo devo portare qui
appresso, è meno sensibilmente accentuato, non è un fattore tattile;
perché io parlo di albero, non lo vedo tattilmente, non lo concepisco
tattilmente e quindi è un elemento che è vuoto; se io dico albero
a una persona, questa persona lo concepisce senza aver bisogno di vedere l'albero
tra i piedi. Ma se io vado oltre questo passo e non vedo neanche più
l'albero, faccio un ulteriore passaggio d'astrazione, che cosa vedo? Che cosa
succede? E' questo l'introduzione all'assenza. L'introduzione all'assenza significa
che il cervello ha imparato a fare un'altra azione, a fare un'altra azione in
cui non esiste più l'oggetto idea, l'idea si è fatta vuota, il
concetto si è fatto vuoto, tutte le cose si sono fatte vuote, si è
formato uno spazio, uno spazio molto grande fra l'ideazione, fra i corpi, fra
le cose, fra tutte queste cose che noi abbiamo assemblato in un certo modo;
questo universo assemblato così come l'abbiamo visto fino adesso non
esiste, cioè questa relazione come l'abbiamo vista fino adesso è
una relazione infantile, è una relazione ridotta, non è un' esperienza
di grande respiro, cioè oltre questa relazione c'è un altro infinito;
un animale non è capace di pensare l'infinito, un bambino non è
capace di pensare l'infinito, gli uomini hanno incominciato a pensare all'infinito.
Ultimamente, proprio oggi, mi veniva in mente questa parola 'infinito', infinito
non come incompiuto, ma infinito come compiuto, il buon infinito di Hegel, l'infinito
compiuto. Ma l'infinito compiuto come è stato pensato fino adesso è
comunque un infinito che sta dentro l'universo, l'universo già conosciuto,
per cui infinito significa fare, formulare una serie di elementi concettualmente
per cui ci sono una serie di oggetti numerosissimi, una serie di numeri numerosissimi
fino all'infinito, fino a un non finito supposto, anzi compiuto - io dico però
che il pensiero attuale non è capace di produrre questo compiuto - per
poter dire che questo universo non è chiuso qua; e allora gli uomini
si sono inventati questa parola 'infinito', come da un'altra parte hanno inventato
la parola nulla, hanno imparato la parola vuoto, ma non ne hanno esperienza,
del nulla non si ha esperienza, dell'infinito non si ha esperienza se non attraverso
la poesia di Leopardi, la quale presuppone l'idea di un infinito, ma presuppone
un'idea, non si ha l'esperienza di infinito. I numeri infiniti presuppongono
un' idea di infinito, ma non l'esperienza dell' infinito e questo di cui io
sto parlando, il passo ulteriore, è l'infinito vuoto perché l'infinito
che io conosco dato questo universo, dato questo universo del fatto di questo
tamburo, di questa cosa, di Lorenzo, dell'Anna, della Susanna, del Fabrizio,
di me, eccetera, tutto questo è un infinito vuoto, cioè le relazioni
che ci sono all'infinito, sono totalmente distanti una dall'altra ma questa
distanza non significa che non siano in relazione, sono in una relazione infinita,
in un infinito compiuto, a grandissima distanza, ma questa distanza non è
più cattiva di una distanza prossima, anzi è molto più
buona perché è compiuta; comunque quello che io sto illustrando
è in un certo senso un campo vuoto che in qualche modo colmo con altri
tipi di discorsi in cui però produco ulteriormente un altro vuoto. Quello
che è spesso l'obiezione a tutti questi discorsi è come mai se
il campo è vuoto perché ci metto ancora delle altre cose; le altre
cose non sono altre cose, queste altre cose sono anticose, sono ulteriormente
dei fatti vuoti, tutt'al più io posso dire che costruisco un campo vuoto,
poi costruisco un altro campo vuoto, poi un altro campo vuoto; e questi campi
vuoti in un certo senso possono indurre il fatto che il cervello, come si è
formato fino adesso, si possa ritirare dagli elementi psicologici, psicobiologici
di antica specie, si possa ritirare e possa produrre, incominciare a produrre
un nuovo vuoto compiuto, un nuovo infinito compiuto come non è stato
fatto fino adesso. Oltre tutto quello che è lo strano di tutto questo
è che io continuo a parlare il discorso degli uomini in quanto parlo
dell'infinito, infinito vuoto, è un modo, come dico, di procedere a questa
accelerazione enorme, con cui le cose stanno avvenendo, per cui i cervelli umani
stanno recependo questo nuovo infinito vuoto, quello che io ho chiamato il nulla
vuoto; perché lo chiamo 'nulla' dall'altro punto di vista, cioè
quello che io adesso a mano a mano riesco a capire sempre di più, forse
sempre meglio, è come una persona normalmente, con il cervello che ha
fino adesso, la psiche che ha fino adesso, l'anima, quello che ha, di solito
pensa, perché io essendo uscito dal sistema, poi faccio fatica a capire,
a concettualizzare quello che il vecchio cervello, il vecchio pensiero pensa.
Ma in questo modo io dico perché se io dico vuoto, se io dico nulla,
la persona si spaventa o ha un qualche cosa di timoroso oppure ha qualche cosa
che non riesce a capire bene? Perché io non ho capito perché per
me è vuoto, siccome io quello che vedo davanti, è questo campo
tutto vuoto, come se fosse un buco, ci fosse un buco all'infinito, tutti questi
oggetti, le persone, tutto questo spazio è un buco all'infinito, è
come se fosse, prendiamo, una grande sfera, oppure un cilindro, che è
bucata all'infinito, che è vuota. Tutti i corpi, tutte le cose sono continuamente
vuoti, sono continuamente questi cilindri o queste sfere che sono vuote, che
sono continuamente svuotate. Ma questo non è che tolga la bellezza o
la possibilità della vita, non toglie niente, anzi la produce, la produce
in continuazione. E' il vecchio cervello che dice no! Ma se io ho il vuoto,
non so più che cosa fare, perché il cervello che cosa dice? Il
pensiero normalmente cosa fa? Vede continuamente di fronte a se tutte le cose,
le cose sono un muro, l'universo delle cose fino adesso cosa ha fatto? Produce
un muro, per cui tutte le persone, tutti gli uomini fino adesso hanno davanti
ai propri occhi, vicinissimi, hanno un muro, un muro che è fortissimo,
un muro che è rigidissimo, per superare questo muro cosa fanno, cosa
hanno fatto? Hanno inventato la parola, il linguaggio, imparano la cultura,
imparano la filosofia, imparano la logica, imparano la scienza, si formano le
Cattedrali, si fa la musica, è tutto fatto per disegnare questo muro,
ma il muro rimane su, il muro di Berlino che rimane su è disegnato, dei
grandi bei segni, ben disegnato, gli uomini hanno dovuto per forza disegnare
questo perché c'è il muro davanti, il cervello non riesce ad andare
fuori da questo muro, oltre questo muro c'è il vuoto, c'è il nulla,
ma il nulla non è nulla, non è proprio nulla per il pensiero umano,
il nulla per me è questo vuoto aperto, questo infinito vuoto, per cui
posso essere qua, posso essere in altro posto, il processo è continuamente
aperto, questo è un'esperienza, il pensiero di cui parlo, fra le altre
cose, e di cui sto scrivendo è il fatto che ha continuamente esperienza,
cioè nel momento stesso che io penso, ho un'attività pensante,
la chiamo un'attività pensante, ho esperienza pensante, cioè nel
momento stesso che penso, ho esperienza di questo pensiero, cioè lo sento,
lo conosco, ne ho l'appartenenza fisica, anche se è la fisicità
di un'altra qualità, la fisicità di un vuoto, di un nulla, di
queste altre categorie di cui sto parlando. Mentre per l'uomo normale, se pensa
il nulla, il nulla, non vede niente; se io penso il nulla, vedo qualche cosa,
vedo qualche cosa che è vuoto ed è questo un paradosso, per me,
però finché non c'è questo passaggio non si capisce. Ma
questo non significa altro che alla fine di questo discorso, che vorrei che
a mano a mano potesse poi a poco a poco chiarire, più che chiarire produrre
nuove informazioni circa questo, che tutto questo alla fin fine, per quello
che io so di questo altro tipo di attività pensante superiore più
vuota, più astratta, alla fine non gliene frega niente. Io sono qui a
sforzare, a formare, a colmare, bucare, fare, eccetera, eccetera, ma alla fin
fine questo universo che abbiam fatto di linguaggio, di parole, eccetera, eccetera,
non è niente, è una contingenza, è una contingenza assolutamente
come un'altra, ma anche questo vuoto è una contingenza, cioè l'evoluzione
si sono formati tutti questi universi, si è formato questo universo,
probabilmente si è formato anche questo universo vuoto, è una
contingenza. Per cui il fatto è che è nata per caso una cosa,
poi la cellula si è fatta così, poi la cellula è morta,
la cellula si è cambiata, ha fatto tutto questo, tutto questo universo
ha prodotto questa cosa, finché si è prodotto il cervello, il
cervello ha pensato il linguaggio astratto, il linguaggio astratto ha incominciato
a pensare un'altra cosa, poi si è svuotato, io dico è intervenuto,
si è svuotato degli elementi di morte - quello di cui io sto parlando
- si è svuotato di un livello che è una morte concreta - di cui
ho parlato già l'anno passato e volevo parlarne stasera, ma non facciamo
in tempo - liberatosi di questo è libero di pensare al di là di
questo elemento, di questa contingenza, di questo muro di Berlino che ha davanti
agli occhi che è una vecchia vita, una vecchia morte che ha davanti,
ma anche questo è una contingenza perché alla fin fine sul processo
più elevato, più ampio che io conosco, se prendo la distanza all'infinito,
cioè vado veramente al di fuori, al di là di tutto questo, vedo
che tutto questo non è assolutamente niente, ma non è niente perché
non è niente. Si è costruito ma non come pensiero negativo, anche
con un sorriso, si è costruito molto, una cosa da pazzi, le cose, la
terra, il mondo, eccetera, eccetera, il big bang, il pensiero, le Cattedrali,
le filosofie, le storie, le matematiche, le scienze, i corpi, l'assenza pure,
ma tutto questo è niente, non è niente. Cioè c'è
stata questa evoluzione che ha prodotto la sua assenza stessa, il suo nulla
stesso, è ritornato al nulla, è nulla, è tutto nulla, ma
soltanto che nel pensiero umano, nel cervello umano uno pensa nulla come elemento
annichilente, il nihl, il nichilismo, invece non è vero, è
un distacco, un distacco è una distanza, una distanza giusta e questo
non è niente, ma questo niente non è negativo, è questo
muro di Berlino che è caduto giù e allora uno incomincia a vedere
e vede niente. Cosa succede? Perché vede niente - quello che sto scrivendo,
adesso, il prossimo saggio, ho già iniziato e sono a un buon punto -
è il fatto che si è liberato il cervello di un livello di morte,
di concretezza, di morte, di una morte involutiva, della morte animale, della
morte delle cose che lo teneva prigioniero. Allora riesce a pensare senza questa
morte che se l'è mangiato, questa morte che d'altra parte, anche questa,
non è negativa in un sistema più grande, in uno dei tanti sistemi
in cui io osservo il mondo, il fatto - quello che dicevo anche a Trieste - che
io vedo un laboratorio, per quello che l'ho chiamato anche Seminario-Laboratorio,
perché vedo un laboratorio immenso, laboratorio degli universi, in cui
le persone lavorano, muoiono, vivono, ma la morte stessa, che è morte,
non è un fatto negativo anche questo, la morte stessa biologica non è
negativa , anzi sto dimostrando in questo ultimo saggio che la morte biologica
ha prodotto a mano a mano il pensiero astratto; dal pensiero astratto si è
prodotto poi il pensiero, l'attività assente, la morte biologica - ogni
tanto mi sembra di essere San Francesco che dice 'mia sorella Morte' - la morte
stessa cioè l'annichilimento della vita, la vita che si ritira perché
muore, perché in un certo senso anche per frammenti riesce ad accettare
di morire e quindi di venire meno e quindi di essere assente rispetto a se stessa,
ha prodotto a mano a mano nell'evoluzione il processo vuoto che poi è
stato l'astrazione, è stato il cervello, fino ad arrivare all'assenza.
Perciò anche la morte nel suo sistema generale, in questo laboratorio
immenso dell'assenza, non è affatto un fatto negativo, tant'è
che nell'evoluzione si sa benissimo il fatto che a un certo punto le cellule
nei nei sistemi elementari per organizzarsi nei sistemi più complessi
, negli organismi più complessi, hanno dovuto accettare di regolarsi.
La cellula, la cellula dell'organismo accetta di ricambiarsi, perciò
accetta di morire: c'è il processo del ricambio cellulare, della mitosi
cellulare, della maturazione della cellula e la cellula alla fine fa un ciclo,
poi alla fine di questo ciclo muore, lascia entrare quell'altra. Gli organismi
per arrivare a produrre il sistema nervoso centrale che è quello che
riesce ad autopensarsi, a pensare tutte queste cose, ha dovuto accettare il
fatto di morire, di regolare la propria morte; quando la cellula non muore,
succede qualche cosa per cui la cellula diventa immortale, nasce il tumore,
il tumore è nient'altro che una proliferazione incontrollata della cellula,
la quale cellula non produce la sua maturazione.
Tutto questo è un grandissimo laboratorio che io sto mettendo in piedi,
cioè sto mettendo in piedi da un po' di anni e sto vedendo sempre più
che è di una grande unitarietà, di una grande integrazione, cioè
non ci sono degli elementi che vanno fuori da questo sistema, cioè riesco
a cominciare a pensarli nella loro globalità, non soltanto più
vuota, non soltanto più fatta di nulla, ma fatta anche di tutte queste
cose che diventano anticose, tutti questi villaggi, questi universi e, attraverso
questo, sto arrivando anche a concretizzare, a produrre una serie di ideazioni
circa, per esempio, le grandi malattie sistemiche, perché, come sono
in questo sistema grande, che cosa sono e perché esistono, perché
stanno al mondo, che cosa ci stanno a fare, che relazione hanno insomma. Io
butto dentro l'universo nuove relazioni, allora mi dico, mi domando: questa
cosa qua che relazione ha con queste relazioni astratte più vuote? Che
relazione prende? Che relazione aveva prima? Che relazione ha adesso? Come ruota?
Come diventa? La morte come diventa? Come diventa la morte astratta? La morte
astratta come diventa assente? Eccetera, eccetera.
Adesso possiamo cantare un po'. Allora con chi cominciamo? Mi gira un po' la
testa adesso.
Loretta Gasparutti: E' intensissimo.
Paolo Ferrari: Dai Loretta incominciamo, facciamo l'ultima, forse è
meglio fare col pianoforte perché con gli strumenti elettronici mi gira
un po' troppo la testa. Ho concentrato un po' di elementi.
Patrizia Brighi: Eh, sì, mi sa di sì.
Paolo Ferrari: Allora qui facciamo l'ultima canzone, una canzone che
mi sembra molto molto sottile, anche se adesso non siamo ancora arrivati con
Loretta a farla a livello compiuto; è diciamo a metà strada, siamo
arrivati a sgrossare le prime parti, stiamo arrivando sulle seconde parti, siamo
a metà strada. La prima canzone, volevo fare entrambe, la prima canzone,
la seconda canzone metterle insieme, confrontare le due versioni, perché
sono due universi proprio diversi, sono due universi; quello che è interessante
di queste canzoni, quello che chiamo le canzoni mentali che si formano in questo
livello dell'assenza, dell'universo bucato, astratto, sono, producono degli
universi vuoti a loro volta e allora era interessante sentire la prima canzone,
la seconda canzone, questi due universi così distanti e contemporaneamente
facenti parte dello stesso universo categoriale, di nuove categorie. Però
adesso conviene fare questa qui, tu che dici? Facciamo le due o facciamo questa
qua?
Loretta Gasparutti: Come vuoi tu.
Paolo Ferrari: Perché adesso questa sera era da parlare, è
un tema che si sta allargando moltissimo nella mia mente, nella mia esperienza
giornaliera, anche nel mio lavoro clinico terapeutico, nei saggi che sto scrivendo:
non voglio che si rimanga indietro, cioè, in questo discorso così
di ampio raggio perché si sta costituendo, si sta facendo nel mondo.
Insomma è urgente.
Loretta Gasparutti: Facciamo questo tema.
Paolo Ferrari: Sì, ma dicevo che quest'ultima canzone che ha diversi
titoli perché si può chiamare 'Corpo levantino' oppure quelle
prime due parole come si chiamano...
Loretta Gasparutti: ... 'Tuonava la luce'.
Paolo Ferrari: 'Tuonava la luce', è una canzone che è molto
lavorata dentro, è come se fosse fatta di polvere, di polvere vocale,
infatti quello che voglio è che a poco a poco Loretta arrivi al fatto
di polverizzarla dentro, polverizzarla non nel senso ovviamente annichilente,
ma come se fosse continuamente da [Paolo suona qualche nota al pianoforte]...
l'accompagnamento è più o meno questo - l'accompagnamento poi
io lo chiamo congiunzione -, cioè nell'accompagnamento classico di solito
appunto il pianista o lo strumentista appoggia il canto, fa da sostegno e scompare,
è un supporto, è servile rispetto al canto in generale. Io quello
che mi propongo è invece un accompagnamento in cui la voce e il suono
siano sullo stesso piano, e questa poi è stata la lezione anche wagneriana.
Wagner diceva che l'orchestra doveva essere sullo stesso piano della voce, ma
facevo per esempio l'analogia con Wagner, ma come entità, sono due entità
separate che si uniscono, che hanno la congiunzione in alcuni punti ma poi si
separano le note, si congiungono in altri punti e ognuno ha una autonomia, una
sua caratteristica interiore: in questo canto è un canto che come dicevo
è molto scavato all'interno, come polverizzato, come delle note polverizzate
con questi accordi che sono fatti, come diceva Carlo Balzaretti, di quinte eccedenti,
cioè di intervalli che sono degli intervalli che tendono a diminuire,
cioè una quinta sono cinque intervalli di cinque note, questo tenda a
diminuire, la quinta diminuita, un intervallo ha mezzo tono di meno e tutto
quanto è come se fossero tutti mezzi toni di meno, come se fosse un continuo
lavorio sulla struttura da intervallare.
Allora...
[Loretta Gasparutti canta la canzone 'Tuonava la luce' accompagnata da una composizione
simultanea al pianoforte di Paolo Ferrari]
Paolo Ferrari: Dai Patrizia, proviamo a far l'inizio.
Patrizia Brighi: Dopo un Canto così? Oddio!
Paolo Ferrari: Non tutta magari, un pezzo, mi dai la mia versione?
Patrizia Brighi: Sì, ce l'hai, ti do lo studio, tanto la so a
memoria;
Paolo Ferrari: La sai o poi la dividi?
Patrizia Brighi: Faccio la fotocopia?
Paolo Ferrari: No, va be' ti seguo.
Patrizia Brighi: Adesso ne facciamo un pezzetto, tanto non è lungo.
[Paolo Ferrari prova gli strumenti elettronici]
Paolo Ferrari: Datare gli strumenti da quelli che sono sopra mobili diversi.
Patrizia Brighi: Veramente, dopo questa canzone...
Paolo Ferrari: Dove vai? Devi andare avanti un po'.
Patrizia Brighi: Al microfono che c'è lì.
Paolo Ferrari: Sì, allora tu vuoi vedere mentre suono o ti metti
dritta di qua?
Patrizia Brighi: Si, mi metto inclinata così vedo te e anche loro.
[Patrizia Brighi canta la canzone 'This is the song' in inglese accompagnata
da una composizione simultanea di Paolo Ferrari al pianoforte]
Paolo Ferrari: Mica male!
Patrizia Brighi: E' diversa, sì l'abbiamo fatta poi tutta, ho
accelerato, nell'ultima parte, perché ha la particolarità che
è nata in un giorno questa canzone.
Paolo Ferrari: E che poi nasce anche dopo un passaggio attraverso un
Canto di un'altra condizione dell'attività pensante, un Canto molto vuoto,
molto astratto, un Canto che ha preso le mosse da canzoni che avevo sentito,
ascoltato, degli altipiani della Mongolia e che Patrizia ha incominciato a interpretare
in un modo suo tutto personale; non che fossero delle imitazioni della lingua
orientale, perché non avrebbe senso, ma come se fosse una via dal punto
di vista stilistico, dal punto di vista dell'emissione della voce e della posizione,
credo, delle corde vocali, di tutta la corporeità dissimile da quella
che si produrrebbe attraverso la musica concettualmente, fisicamente occidentale;
e credo che in questa canzone su cui adesso dobbiamo lavorare - questa qui come
diceva Patrizia è nata ieri, l'altro ieri - è il fatto che questi
due mondi, quell'altro mondo anche così assente, così aspro, così
vuoto come è arrivata a cantarlo, si possa congiungere con questo e far
ruotare ulteriormente, ne produco una maturazione e una sua liberazione interna
e una sua apertura, una sua dimensione di grande tipo di comunicazione, come
già in parte io sento che questo Canto si forma con l'impatto comunicativo
e vuoto di una voce che sa comunicare la possibilità dell'introduzione
anche questa in un campo leggermente o ampiamente più vuoto di quello
che è stato l'universo della musica o l'universo in generale, l'universo
delle relazioni come fino adesso si sono prodotte.
Era nostra intenzione anche stasera produrre eventualmente dei pezzi di quell'altro
Canto detto 'Canto Orientale', ma abbiamo già detto e fatto sufficienti
cose. Ci vediamo fra un mese, il 9 Febbraio.
Susanna Verri: Il 9 febbraio
Patrizia Brighi: Ciao Paolo.
Paolo Ferrari: Anzi, mi dimentico sempre di svolgere il problema delle
domande, cioè quando nasce il discorso così completo e compiuto,
diventa poi un discorso molto articolato, fatto su più piani eccetera,
mi dimentico del fatto di introdurre poi la possibilità di produrre domande.
Sono sempre a disposizione, sono ancora abituato a una legge di una compiutezza
astratta di questo tipo, senza includere ancora l'attività degli interrogativi
o delle interrogazioni, perché le domande possono essere rivolte a me
come alla Patrizia, come alla Loretta, o alla Susanna o a chi sta producendo
delle sue attività, alla Zizine; manca stasera Maria Luigia che aveva
fatto la domanda su Leibniz, sulle monadi vuote, perché è in viaggio
credo in India. Beh, allora io vado.
Ciao.