24/11/94
II Seminario 1994-1995
Paolo Ferrari:
Vorrei cominciare dal rendere vuoto il più possibile questo auditorio,
renderlo il più possibile astratto, il più possibile assente.
Vorrei incominciare il Seminario in sospensione, in levare - levare è
un termine anche specifico in musica che dà un senso della sospensione,
contrario del poggiare. Io credo che il levare sia una condizione molto interessante
perché indica anche il togliere, il non concludere in un appoggio, il
non concludere entro un sistema che si chiude su se stesso; levare, comunque
aprire.
Ora questi Seminari potrebbero essere dei fatti, delle condizioni di apertura,
di silenzio specifico particolare, di una sospensione, e in questa sospensione
poter porre tutte le vostre condizioni mentali, corporali, di assenza e di presenza.
Io sto cercando in questo periodo, ultimamente, proprio nelle ultime tre settimane,
dei mezzi, dei contenitori, dei media, dei veicoli che mi conducano direttamente
all'interno della condizione attuale della specie e della condizione attuale
della realtà, perché questa possa essere trasformata, possa diventare
altra, possa farsi più ampia. Sto cercando proprio dei mezzi molto concreti:
prima usavo dei mezzi, ho usato dei mezzi - ultimamente negli ultimi cinque
o sei anni - molto astratti, molto vuoti, e lo vediamo dal percorso delle lezioni
fino a questi Seminari che sono delle mediazioni più concrete, dei contenitori
più facili di ascolto, di recezione; e in questo contenitore che voglio
compiere in ogni Seminario, mi interessa che ognuno di voi o l'insieme del gruppo
si possa porre e in questo porsi possa procedere ed avere l'esperienza comunque
di un pensare l'assenza, di un pensare questo vuoto altro, questo silenzio altro.
Faccio soltanto un appunto: quello che vedo nella condizione di realtà
normale è che il fatto di parlare, per esempio, di vuoto, di silenzio
o di nulla o di fatti di questo tipo, sono sempre pensati attraverso una mente
e attraverso un corpo che comunque non sono vuoti, che non sono assenti, perciò
le persone con cui ho dei rapporti, che mi chiedono del Poema, mi chiedono della
musica, mi chiedono di altro, rimangono legati a certi vocaboli che io uso quali
il nulla, quali l'assenza, quali il silenzio, pensando che questi fatti,
che queste condizioni siano delle condizioni immediate come se il silenzio in
musica fosse il fatto che io faccio delle pause più lunghe, o che il
silenzio in Europa sia il fatto che ci sono delle parole molto più rade,
oppure le parole che sono più tranquille e che si legano meglio, che
sono più gentili, che diventano meno incombenti. E quello che non si
capisce bene di tutta questa vicenda, ma credo che ormai voi lo capiate, è
il fatto che invece il silenzio è tutt'altra cosa, come spiegavo l'altra
sera, per me un silenzio in musica è per esempio il fatto che io possa
fare un accordo [Paolo Ferrari esegue una serie di accordi al pianoforte], questo
per me è un silenzio, ma perché il silenzio non è il fatto
concreto degli accordi o degli elementi che ho messo insieme, che ho compiuto
insieme, ma perché il silenzio, perché questo insieme di elementi
sta zitto, perché nel momento stesso che il fenomeno musicale, l'evento
fenomenico si mostra, questo contemporaneamente, immediatamente sta zitto. Cioè
dentro di voi in un sistema più ampio, un sistema che probabilmente ancora
interamente non conoscete, però cominciate a mediare, questo che io ho
fatto, che è anche un'espressione in musica potente, chiara, anche in
certi momenti dissonante, questo all'interno di voi, su un sistema più
complesso, non immediato, ma mediato attraverso dei contenitori di assenza,
fa silenzio, non solo, ma non è dissonante, è consonante per altre
vie.
Così in 'Europa' il fatto che ci sia un estensione così ampia
di escursioni, di suoni, di relazioni, di colori, Europa sta zitta, ha dentro
di sé il fatto di un assoluto silenzio, di una precisione totale del
silenzio, un silenzio che è quasi più forte di me, di questo momento
in cui io sono, in cui sto indagando un silenzio minore, un silenzio più
interno, un silenzio forse più intimo, più mediato o mediabile
all'interno delle persone direttamente. Allora, quello che io voglio dire é
che questo levare significa il fatto di un elemento indiretto, cioè io
pongo un elemento concreto subito, pongo la mia presenza, pongo queste parole
che sono concrete, sono dei fenomeni, sono degli eventi, ma queste al loro interno
in un momento istantaneo con esso oppure in un momento anche secondo - oso dire
adesso - producono o stanno in un luogo che è assolutamente vuoto, e
questo vuoto voi ve lo ritrovate, ve lo ritrovate per altre strade, per altre
vie, andando in motorino per strada, oppure camminando e pensando alla fidanzata,
oppure giocando a pallone, oppure studiando una formulazione matematica o pensando
a un paziente e così via.
Allora io mi tiro un attimo indietro e vorrei che fosse posta qualche domanda
da questo inclito pubblico che potesse essere congrua con quanto sto dicendo
e poi successivamente a questa domanda possiamo dare inizio alle danze, suonare,
cantare. Mi piacerebbe appunto che ci fosse a poco a poco la disponibilità
da parte di questo illustre pubblico ormai educato alla complessità,
ma anche alla possibile semplificazione di certi problemi, di certi temi. E
poi all'interno di questo contenitore, appunto apriremo ad Superos, alle
musiche.
Mi ero dimenticato: Susanna, tu dovevi dare un'indicazione.
.
Susanna Verri: Per Trieste, sì. Appunto, dovevo fare questo annuncio
che è relativo a un appuntamento che abbiamo a Trieste il 14 dicembre
alle 18 al Caffè Tommaseo di Trieste; verrà presentato Europa
o l'Assenza.
Questa presentazione avviene dopo quella che abbiamo avuto qui a giugno, avviene
a Trieste in un luogo storico-letterario, in quanto il Caffè Tommaseo
appartiene alla tradizione dei Caffè triestini che svolgono attività
anche culturale dalla fine dell'Ottocento; in particolare il Caffè Tommaseo
dalla fine dell'Ottocento ha ospitato una società letteraria, una società
triestina di lettere e arti, credo, presso la quale noi stessi saremo ospiti
il 14 dicembre.
La serata avrà un'articolazione differente da quella che abbiamo presentato
qui a Milano perché terrà conto delle differenze intervenute nel
frattempo nel nostro lavoro e nel porsi e nel proporsi del lavoro dell'assenza
all'esterno. Ci sarà un dibattito con la presenza dell'autore e di alcuni
collaboratori del nostro Centro e nel corso della serata verranno proposti per
voci femminile, nelle traduzioni francese e inglese oltre che nella lingua italiana,
alcuni brani tratti dal 'poema', musicati e accompagnati al pianoforte da Paolo
Ferrari secondo i criteri della 'musica dell'Assenza' - vi ho letto in questi
termini anche il testo dell'invito che verrà spedito. Nell'occasione
di Trieste sarà anticipato anche il volume teorico delle Lezioni dell'Assenza
che abbiamo preparato e che è in uscita presso l'editore Campanotto.
Penso che questo annuncio possa essere considerato anche un estensione dell'invito
ai presenti e a quanti vogliono partecipare a quella serata.
Si svolgerà l'incontro alle ore 18, il 14 dicembre.
Loretta Gasparutti: Io vorrei porre una domanda, vorrei che ci spiegassi
come è possibile nel pensiero dell'assenza, relativamente al principio
d'inclusione che è di una così grande intelligenza affettiva,
per il fatto stesso che questo principio d'inclusione esiste al mondo in una
persona, per questo fatto sia data la guarigione.
Paolo Ferrari: Allora dovrei ricordare un po' che cos'è il 'principio
d'inclusione'. Ma come tu hai posto la domanda mi sembra che sia un po' troppo
stretta. Perché in un certo senso io non so, cioè so per via teorica
che potrebbe essere data la guarigione, dato un principio d'inclusione che adesso
di nuovo cerco di includere. Il principio d'inclusione è un principio
dell'assenza, è un tema, un criterio del sistema di cui mi occupo e che
grosso modo dice il fatto che se un sistema - un sistema è un insieme
di relazioni fra certi eventi, fra certi enti -, rispetto a un altro sistema,
un altro sistema esistente, se il sistema di cui si tratta ha più capacità
di relazione, ha maggiore capacità di astrazione, ha maggiore capacità
di vuoto e quindi di essere contenitore di relazioni, e cioè quanto più
un sistema è assente allora questo sarà in grado di contenere
l'altro qualunque esso sia e di trasformarlo. Questo principio sembra lapalissiano,
sembra ovvio, per il fatto che dice che se io ho un contenitore più grande
e l'altro è più piccolo, questo contenitore più grande
piglia quello più piccolo. Ma non è poi così ovvio perché
io parlo di un contenitore tale per cui tutta la realtà esistente possa
essere contenuta. Allora è un concetto sottile, complesso, é un
concetto logico, matematico - potrebbe essere - il fatto che se io dico che
io sono in grado di produrre un sistema che è più astratto, che
ha meno bisogno di concretizzarsi, ha minor bisogno di vincolarsi a certe tendenze,
un sistema che è capace di quel distacco di cui ho parlato, cioè
di quel vuoto di cui ho parlato, cioè di starsi lontano a sufficienza,
per cui questa lontananza è infinita, tutti gli altri sistemi esistenti
possono cessare in esso. E anche non è così ovvio, nel senso che
il sistema di cui io sto parlando, il contenitore di cui sto parlando è
un contenitore molto più evanescente, molto più fioco, meno evidente;
ed è per questo che dico anche che è più astratto, cioè
che è più capace di relazioni, più capace o meno capace
anche di vincolarsi a queste relazioni, che ha più gradi di libertà,
ha meno necessità di evidenza; allora questo sistema può assumersi
al proprio interno quel sistema, che fino adesso ha contenuto la realtà,
o ha descritto la realtà. La realtà diciamo che sono gli uomini
e le loro idee e le cose che da queste idee sono nate, oppure anche il mondo
come è fatto, come è descritto, la terra come è fatta,
gli alberi come sono fatti, che sono comunque delle descrizioni, noi pensiamo
per descrizioni.
Ora tu ponevi la domanda specifica del fatto della guarigione. Ora io dico che
non so se è guarigione; io so che quello che sto sviluppando in questo
periodo, é il fatto, come dicevo, di una via di mediazione molto rapida.
So che per esempio, facendo quel pezzettino di musica prima, questo pezzetto
in musica é al suo interno in se stesso già compiuto, è
compiuto perché si compie nel momento stesso in cui si forma, in cui
si genera. Questo fatto di potersi generare nel momento stesso in cui nasce
è una cosa che nella realtà quotidiana, diciamo nella realtà
che conosciamo, non esiste. Allora io dico che questo pezzo di musica può
contenere tutti gli altri pezzi di musica, fatti, creati, generati, che non
hanno questa qualità di generarsi e di avere una forma - avere una forma
significa che sono capaci anche di finire. Cioè, uno dei temi fondamentali
dell'esperienza che io ho è il fatto che ogni volta che io dico una parola,
ogni volta che io dico una frase, ogni volta che comunico qualche cosa, ogni
volta che suono un pezzo, ogni volta che faccio un disegno, questo ha in sé
la sua fine, esattamente la sua fine, già subito è finito; mentre
una delle caratteristiche della mente umana - caratteristiche negative - è
il fatto di affacciarsi ogni volta a questa fine, di aver timore di questa fine,
di doversi costruire degli apparati molto complessi mentali per poter finire,
per poter finire un romanzo, per poter finire un pezzo musicale, per poter finire
un processo di ideazione, perché la conclusione, il concludersi, il farsi
nulla è un processo molto difficile, la mente non è capace di
fare questo nulla. Allora questo 'nulla' di cui parlo è ben diverso dal
nulla di cui si pensa: quando uno pensa 'nulla' pensa un 'nulla' che è
qualcosa di concreto, perché lo pensa col pensiero concreto; quando io
dico nulla, quando faccio un accordo al pianoforte, quando faccio un pezzo di
musica, quando produco una relazione, quando produco questo sistema, faccio
'nulla', faccio un 'nulla' che è certamente diverso da quel nulla che
voi conoscete perché quel nulla che voi conoscete, é un qualche
cosa di concreto, è un galleggiare, è uno stare lì, è
un indefinito; il nulla di cui io parlo è assolutamente definito.
Maria Luigia: Infatti io non riesco a fare il passaggio dal nulla diciamo
definito... mi vengono in mente le monadi e questo non ha senso.
Paolo Ferrari: Certamente, perché questo è il problema
di una qualità diversa, e questo...
Maria Luigia: Non riesco a superarlo.
Paolo Ferrari: Come?
Maria Luigia: Non riesco a superarlo.
Paolo Ferrari: Eh sì, ma siccome questo processo, questo atto
del nulla se tu fossi in grado di superarlo vorrebbe dire che in questo momento
sei capace di morire dieci volte, una volta che sei morta dieci volte allora
hai un pezzettino di questo nulla, quindi in se stesso dal punto di vista dell'esperienza
è pressoché, attualmente, direi improbabile che una persona possa
averne l'esperienza; però può incominciare ad avere un' idea del
fatto di non rompere le scatole coi suoi nulla, cioè di cominciare a
capire che tutto il nulla, il silenzio, le cose che ha pensato fino adesso non
valgono niente, ed è quello che poi la dottrina buddhista insegna, per
cui uno deve fare la meditazione per dieci anni, mille anni, centomila anni,
fare il karma, girare tutto quanto, perché allora arriva al momento del
fatto della atarassia oppure del silenzio e se ne sta lì.
Quindi, quello che dicevo prima, non si può pretendere il fatto che per
via immediata, così, uno sappia ideare un qualche cosa che non ha mai
potuto ideare homo sapiens il quale è attaccato a delle radici
concrete. La cosa che io dico per via diretta è questa: il fatto che
deve imparare comunque a far sì che tutto quello che ha pensato relativamente
a una serie di concetti o una serie di interventi o una serie di procedimenti
di ideazione o di analogia, tutto questo deve far silenzio, cioè che
ogni volta che pensa a un qualche cosa sappia che un pezzo di questo qualche
cosa gli manca; cioè che rispetto alla cosa non c'è l'anticosa,
rispetto alla nota non c'è l'antinota, lui non sa che cos'è l'antinota,
lui non sa che cosa è il vuoto della nota, però ci si può
avvicinare. Carlo Balzaretti lo sa benissimo perché in qualche modo ti
sei avvicinato. Oppure sto vedendo per esempio che Loretta cantando dei pezzi
che in questi giorni ho composto, si sta avvicinando con il canto a uno stadio,
a una monade, se vuoi così chiamarla, che è più vuota,
ma la monade che Leibniz ha pensato è piena per cui non funziona, l'atomo
occidentale non funziona, ma anche diciamo l'atomo orientale oppure la meditazione
orientale non funziona in questo senso, nel senso che la meditazione orientale
è ancora uno stadio che è il contrario di quello, non è
ancora il fatto che tutto si è scavato, tutto quanto è diventato
vuoto fisicamente, cioè che è comunque pensabile nella razionalità.
Cioè io tutto questo lo penso razionalmente, normalmente, e sono qui
totalmente vuoto e posso discorrere tutto questo e produrre un procedimento
razionale logico intorno a questo, liberamente, in quanto tutto questo è
completamente vuoto, ma il vuoto lo sento dalla punta dei piedi alla testa,
da tutte le parti. Ma questo vuoto - come dire - non è nulla né
di mistico né di mitico, è uno stadio dell'homo sapiens,
il quale si è evoluto, in un certo senso ha dato una risposta a quello
che gli mancava; cioè mancava un certo stadio, questo stadio mancava,
nel superamento di questo stadio homo sapiens muore, in questo superamento
è successo che la morte si è astratta da un'altra parte, è
successo un procedimento diverso, è stata una via diversa, e si è
formato un alcunché che è completamente diverso sia da quello
che è stato pensato nella filosofia orientale sia nella logica occidentale;
cioè il misticismo è soltanto uno stadio, ma che ha ancora le
radici dentro a un mondo concreto, non ha superato, non ha prodotto un'attività
pensante completamente diversa, alla quale attività pensante, come dico
tante volte, potrebbe non importare niente di tutto questo perché non
ha necessità, però la necessità si è creata in quanto
si è prodotto l'arbitrio tale per cui questo si possa dire, si possa
fare.
Allora per concludere un attimo, per arrivare più rapidamente, se no
non ce la facciamo, dicevo allora che il problema della guarigione - guarigione
in termini generali, il sanamento, il fatto che la realtà acquisisca
questo pezzo mancante - è molto più complesso; cioè quello
che sto vedendo è il fatto - sono le ultime scoperte, sono gli ultimi
concetti- che questo sistema è capace di aprirsi a tal punto per cui
tutti gli altri sistemi entrano dentro, per cui anche un sistema malato, oppure
un sistema musicale, o, da un'altra parte, una psicosi, una nevrosi, oppure
delle relazioni alterate, oppure un mondo che è fatto troppo concreto,
che è in eccesso evidente ecc., tutto questo mi sono accorto che posso
pensarlo e può essere pensato in questo sistema assente, senza dover
per forza di cose modificarlo allo scaturire dell'altro.
Facciamo l'esempio di una persona, ma anche del mondo, anche della realtà,
della genesi della realtà: il sistema d'inclusione può permettere
il fatto che in un individuo, in un sistema, in un sistema mentale, ma anche
in un sistema logico, tutto quanto possa essere incluso direttamente in questo
sistema, cioè che l'errore o la limitazione degli altri sistemi possono
tacere, cioè che io non debba prendere la musica di Mozart e doverla
combinare, trasformare e fare in altro modo, o quella di Beethoven e fare chissà
che cosa o quella di Stockausen e così via. Così un pensiero,
un meccanismo mentale, una struttura mentale che è autistica, che se
ne sta da una parte e non è mai entrata nel mondo, pezzi di mondo che
non sono mai entrati nel mondo, posso farli rientrare in un sistema assente
e farli avvicinare in questo sistema, facendo sì che possano essere fecondati
per il fatto stesso che sono compresi, cioè che il sistema assente è
aperto, lo comprende cioè lo porta a sé, lo lascia libero in sé
e allora, lasciato libero in sé, incomincia il discorso con quell'altro
sistema.
Cioè - è difficile procedere perché ci sono delle resistenze
- ci sono due momenti. Un momento è quello dell'accoglimento, dell'elaborazione,
il momento in cui il sistema ampio produce, sta o è nello stadio dell'assenza
e questo sistema ampio permette il fatto che un delirio, diciamo così,
per esempio, possa accedere direttamente senza doversi modificare; allora il
delirio in tutta la sua onnipotenza è compreso, il sistema assente lo
comprende, lo prende, lo lascia stare, non lo violenta, non gli impone la volontà
della presenza del sistema evidente o del sistema corrente. Soltanto in un secondo
momento, dopo che questo è entrato, che questo c'è stato, incomincia
il discorso con questo. Allora incomincia il discorso col fatto che il delirio,
in quanto sistema onnipotente, in quanto sistema non articolato, deve imparare
a diventare non onnipotente e ad articolarsi. Oppure - adesso io ho preso il
delirio come sistema limite, ma diciamo un altro sistema, che può essere
qualsiasi sistema, un insieme di relazioni, può essere un atto di pensiero,
può essere una realtà storica, può essere un'entità
musicale, può essere un'entità filosofica - questo viene accolto,
viene preso e nel momento stesso in cui è preso, ma è riconosciuto
come tale, non è preso in maniera indistinta, è riconosciuto,
é riconosciuto in un certo senso come limitato, eventualmente errato,
ma tutto questo é lasciato in sospensione, la monade è lasciata
in sospensione - viene portato dentro al sistema, lo si lascia entrare, l'altro
impara, l'agente di questo sistema impara ad aderire, a non essere in contraddizione,
non essere contrario, a stare lì, allora in quel momento incomincia il
processo di guarigione, incomincia il fatto che un sistema può allargarsi
all'altro e può incominciare il dialogo, un procedimento dialettico,
in modo tale che l'altro sistema, il quale è ridotto, è piccolo
ed è strutturato o è semplicistico o non è capace di vuoto,
incominci a potersi scavare di tutti questi elementi, senza dover passare attraverso
quella strettoia eccezionale che lo porterebbe a morte, eccezionale nel senso
che il mondo, che è articolato in un certo modo, produrrebbe su questo
sistema che invece funziona in un altro modo.
Questo io avevo spiegato, avevo raccontato di tutto questo nell'ultimo Seminario
dell'anno scorso, quando ho parlato di come rispetto a una serie di sistemi
che chiamiamo A, un elemento B possa essere riconosciuto, questo elemento B
che è altro, che è completamente diverso; come un certo tipo di
sistema A possa comprendere un sistema B che è completamente diverso,
che è completamente altro e possa raccoglierlo; e questo B - quello che
io so ultimamente - questo B potrebbe essere il sistema che è legato
alla morte. Il sistema altro per eccellenza per tutti i sistemi viventi è
la morte, è il suo cessare; se io come sistema vivente, come sistema
A, sono capace di accogliere questo sistema B e portarlo dentro di me e accettare
la sua diversità, allora questo morire non è più quel morire
con cui gli uomini hanno pensato fino adesso. E allora incomincia ad esserci
la guarigione.
E' stata un po' difficoltosa tutta questa questione dei sistemi. Adesso passiamo
alle danze, ai Notturni.
Carlo Balzaretti: Facciamo insieme o vuoi che lo faccia da solo?
Paolo Ferrari: Che dici?
Carlo Balzaretti: Come preferisci.
Paolo Ferrari: Vedi tu.
Carlo Balzaretti: Non lo so, non so cosa sia più utile; visto
che la settimana scorsa abbiamo fatte entrambe le versioni, non so; quello che
forse intendi sia più interessante presentare, anche perché questo
è un pezzo che forse è meglio eseguire una volta, non due.
Paolo Ferrari: Allora facciamola insieme.
Carlo Balzaretti: Va bene! Penso che se vogliamo presentare, sarebbe
interessante se accenni qualche cosa della differenza tra la congiunzione e
il raddoppio secondo me - visto che facciamo questo lavoro di raddoppio - come
in fondo possa essere il rapporto tra due pianoforti, come in questo pezzo avvenga
diversamente rispetto ad altre cose che hanno sentito attraverso registrazioni,
attraverso... Penso che sia interessante accennarne qualcosa prima magari di
iniziare.
Paolo Ferrari: E non potresti accennarlo tu?
Carlo Balzaretti: Ma, io posso dire quella che è stata la mia
impressione.
Paolo Ferrari: Dì la tua esperienza
Carlo Balzaretti: Mi sembra che nel caso di questa seconda forma di raddoppio,
che però non è più un raddoppio, mi sembra che in linea
di massima il secondo pianoforte in cui svolgi tu la parte non entra proprio
a trasformare completamente l'elemento musicale che c'è all'interno del
pezzo, cosa che avveniva per esempio nei raddoppi. Per esempio - proprio eclatante
era il raddoppio degli intermezzi di Brahms, in cui Brahms veniva veramente
trasfigurato, addirittura a ritmo interno si modificava. Anche nel caso della
congiunzione abbiamo, direi, una forma di dialogo, mi sembra che ci sia comunque
una chiara forma di dialogo, però mi sembra una forma di dialogo che
tende a non smontare completamente la sorgente, cioè la fonte della composizione.
Quelle che poi sono le tecniche é impossibile poterle descrivere, io
non sono in grado tecnicamente di descrivere che cosa avviene a livello armonico,
a livello musicale - diciamo la parte che forse più mi compete. Quello
di cui mi accorgo, ascoltando la composizione, è che mi sembra che la
composizione di partenza rimanga più presente, rimanga meno trasfigurata
rispetto al raddoppio. E' giusto o sbagliato, cosa ne pensi?
Paolo Ferrari: Il raddoppio che facevo prima era come se il secondo pianoforte
aggiungesse vuoto su vuoto, cioè producesse proprio come un incavo dentro
e che andasse in profondità e separasse - come, dicevo, se fosse il Mar
Rosso che si divide a metà e c'è il passaggio -, mentre questo
che ho chiamato 'congiunzione' è un sistema che invece tende ad ampliare,
tende sì pure a produrre anche un'ulteriore, diciamo, catena di svuotamento,
ma tutto in estensione, tutto in apertura e non in profondità, non come
un incunabolo, chiamiamolo così.
Carlo Balzaretti: E' l'impressione che avevo avuto io, anche perché
in questo pezzo ritenevi poco valida l'idea del raddoppio, in quanto questo
pezzo ha già una tale densità probabilmente a livello di discorso.
Paolo Ferrari: Sì.
Carlo Balzaretti: Che é impossibile pensare a un
raddoppio su una situazione che è già pressoché...
Paolo Ferrari: Sì ma anche perché adesso il raddoppio,
siccome proprio è un'altra fase, nuova, data questa nuova fase, avviene
questa congiunzione, mentre il raddoppio prima era come se fosse un rapporto
continuamente tra l'assenza e l'assenza, tra me e me, tra l'essere e l'altro.
Qui la congiunzione avviene, in un certo senso, tenendo conto proprio dell'attività
mentale dell'altro che sta suonando e quindi tengo conto delle cose ed entro
ad ampliarlo, non entro a trasformarlo, entro come ad abbracciarlo in un certo
modo.
Carlo Balzaretti: Mi sembra chiaro...
Paolo Ferrari: Dai proviamo!
[Paolo Ferrari e Carlo Balzaretti eseguono simultaneamente un raddoppio di Paolo
Ferrari su due pianoforti, durata 5' 20'' circa]
Carlo Balzaretti: Suona forse molto di più della settimana scorsa.
Mi son sentito avvolto da una sonorità..., hai suonato molto questa settimana?
Paolo Ferrari: Beh, abbastanza, accompagno sempre i cantanti.
Carlo Balzaretti: Molto più chiaro, molto più chiaro. Rispetto
alla settimana scorsa non mi sentivo, addirittura dalla mia posizione sentivo
poco il mio pianoforte. Non l'hai notato? Tu mi sentivi di volume?
Paolo Ferrari: Sì io ti sentivo.
Carlo Balzaretti: Si vede che c'è una posizione di ritorno di
suono, ma se ti metti lì e senti lo Steinway ti avvolge. Forse perché
è leggermente più avanti, quindi ti arriva tutta la sonorità,
e infatti sono nate delle relazioni diverse, non so se hai notato, no?
Paolo Ferrari: Sì, sì.
Carlo Balzaretti: Perché io ero posto in una condizione diversa
a suonare.
Paolo Ferrari: Ma credo anche perché ci sia la presenza delle
persone...
Carlo Balzaretti: Beh, questo senz'altro.
Paolo Ferrari: ...che gira diversamente.
Carlo Balzaretti: A dir la verità ho proprio cercato di pormi
il più possibile nella condizione di registrare, perché in fondo
quando..
Paolo Ferrari: No no, io dico proprio dal punto di vista della sonorità.
Carlo Balzaretti: Ecco è vero, il fatto che il mio pianoforte
è più vicino alle persone...
Paolo Ferrari: E' più vicino e quindi assorbe.
Carlo Balzaretti: E' più vicino e le persone assorbono subito,
sì sì è verissimo.
Paolo Ferrari: Però di qua si sentiva benissimo, da me.
Carlo Balzaretti: Io il pianoforte lì lo sentivo pochissimo, come
avviene spesso quando si fa musica da Camera, tenendo davanti il leggio, il
pianista non sente niente, sempre così, anche perché di solito
ci costringono a tenere....
Paolo Ferrari: Però c'era una notevole interazione.
Carlo Balzaretti: Ma no c'erano delle cose carine, molto carine; questo
è un pezzo estremamente complesso, molto complesso, infatti prima di
arrivare a leggere, cioè a saper tenere in mano un pezzo di questo tipo
ci ho messo un po' di tempo praticamente. Prima non mi azzardavo, adesso mi
butto. Bisogna avere anche un po' di coraggio insomma, all'inizio facevo fatica
con tutte queste frequenze scritte, non è una cosa facile, insomma.
Paolo Ferrari: Adesso io devo passare... cioè quello che mi tocca
stasera è un po' una peripezia, perché adesso passo dalla mente
del Notturno e dalla mente di Carlo Balzaretti alla mente di Zizine la quale
leggerà in maniera molto particolare un pezzo di Europa in francese in
un modo altrettanto particolare, l'accompagnerò con il pianoforte con
un accompagnamento del tutto nuovo.
Parlane tu [Zizine] per presentarlo.
Suzanne Delorme: Dunque stasera avete sotto gli occhi il testo originale
di Europa o l'Assenza e la traduzione in francese che è stata
ardua da trovare in quanto questo testo è molto complesso e molto ricco
soprattutto di relazioni assenti. E dunque è stato come se avessi dovuto,
mettendomi in relazione con il testo e con chi l'ha concepito, mettermi anche
in relazione o piuttosto in sintonia con la musica di questo testo e così
è venuta fuori una struttura molto ampia che parte dalle parole ma non
solo dalle parole, dalle sillabe di ogni parola e dunque dalla loro musicalità
e anche dal significato di queste parole, e poi dalla struttura di questi versi,
e man mano mi sono accorta che era bello, a parte che ho un rapporto particolare
con questo testo, io ho detto che amo questo testo, credo che sia una condizione
molto importante per riuscire a mettere in risalto e comunicare tutto quanto
contiene, almeno una parte di quanto contiene. E poi mi sono accorta che ha
un respiro, un respiro che non è soltanto dato dalla puntuazione e così
vedendo anche la settimana scorsa il lavoro che ha fatto un'attrice francese
per Orlando, ho cercato nella mia lettura di trovare quella voce mentale e dunque
il ritmo della voce mentale che questo testo riproduce.
Paolo Ferrari: Io adesso farò poi un accompagnamento che voi sentirete,
accompagnamento che non è un accompagnamento come al solito, che è
ancora una cosa diversa dal fatto della congiunzione, dal fatto del raddoppio.
Cercherò di scandire questo testo producendo nelle pause che Zizine fa,
ulteriori sensi di pausa, ulteriori elementi di sospensione pur facendo degli
accordi molto precisi, secchi.
Nel modo della sua lettura io non posso accompagnarla, accompagnarla vorrebbe
dire in un certo senso interrompere questa particolare assenza che la lettura
contiene, allora io devo usare il pianoforte anche abbastanza ricco armonicamente,
ma come contenuto, fermato immediatamente allo scaturire del suono.
Suzanne Delorme: Come va Lorenzo? Dimmi la distanza così va bene?
Un po' più vicino?
Lorenzo Giubileo: Sì.
[Suzanne Delorme legge una pagina di Europa o l'Assenza accompagnata
al pianoforte da Paolo Ferrari]*
Paolo Ferrari: E adesso come ultima danza invito la Loretta a fare la
Canzone dell'Assenza, il Canto dell'Assenza Canto 1 dell'Assenza.
E questo è il primo canto dell'assenza scritto in note dell'assenza,
i canti che abbiamo fatto in precedenza erano dei canti, diciamo se vogliamo
chiamar così, di improvvisazione o di relazione con la musica dell'assenza
che veniva fatta senza una scrittura notazionale. Invece questo è il
primo canto fatto con degli intervalli assolutamente quelli precisi, dell'assenza,
intervalli che producono, danno una relazione tra il pensiero, il corpo, la
voce, l'intelletto, i sentimenti, le emozioni, un fenomeno a mio avviso completamente
nuovo, completamente diverso. Io adesso sto preparando diversi canti dell'assenza,
alcuni fatti con la tecnica della clavinova, come ho già spiegato l'anno
scorso, e che quindi riproducono il suono della clavinova come se fosse il pianoforte,
per cui se io faccio un fa, questo mi segna il fa, scrive il fa, il computer
poi produce il fa, se scrivo un do questo produce il do. E quindi c'è
un atto, un atto tra me e la clavinova, un atto del pensiero, un atto del corpo,
un atto della relazione concreta tra un suono e un atto pensante in un sistema
complesso che adesso stasera non sto a spiegare, che avevo già accennato
gli anni passati, adesso sto elaborando ulteriormente questo, questo fatto.
Poi, adesso sto componendo invece per via manuale dei canti per cui, invece,
non adopero assolutamente gli strumenti, cioè tutto dev'essere soltanto
mentale, perfettamente mentale e soltanto nel momento in cui il cantante, la
cantante, l'esecutore, l'interprete suoneranno, questi si faranno, si faranno
fuori dalla mente; prima son soltanto entro la mente dell'assenza, cioè
sono all'interno dell'assoluto vuoto. M'interessa capire poi l'insieme delle
relazioni, come uno che è un atto assente, un atto concreto assente,
si relazionerà con un'altro che invece è una pura astrazione mentale
fatta per vuoti intervalli. Questo qui è fatto con la clavinova.
[Loretta Gasparutti canta il Canto 1 dell'Assenza accompagnata da una
composizione simultanea di Paolo Ferrari alla clavinova]
Carlo Balzaretti: Poveretta l'hai tirata.
Paolo Ferrari: E' in levare, non va bene, non va bene.
Carlo Balzaretti: Volevo dire una cosa, dai proviamo.
Paolo Ferrari: No, no, ha già provato.
Carlo Balzaretti: Così difficile, lo strumento ce l'hanno dentro,
è difficile, mamma mia ma brava...
Paolo Ferrari: Non funziona perché deve essere tutto vuoto, deve
essere tutto così astratto assente, legato, acuto.
Carlo Balzaretti: E' una cosa molto bella.
Paolo Ferrari: Va beh, allora abbiamo concluso. Ci vediamo il...
Susanna Verri: 22 dicembre.
Paolo Ferrari: 22 dicembre. Saluto tutti.