28/10/93

I seminario 1994-1995


Paolo Ferrari: Allora siamo qui per il quarto anno ad aprire un Seminario.
Come vedete mi sono spostato da un lato per lasciare più possibile spazio agli altri. Come sto pensando in questi ultimi due giorni mi sembra di dover liberare le radici del 'pensiero dell'assenza'. Cioè fino adesso ho lavorato molto appresso a dove scaturiva il nuovo linguaggio, con me stesso, con gli altri, e con tutti i linguaggi che ho usato: dal linguaggio poetico di Europa al linguaggio musicale, ai saggi, alle lettere saggio, alle terapie, alla formazione dei miei allievi. Mi sembra che proprio in questi ultimi tempi debba spostarmi un pochettino di lato: prima ho occupato saltuariamente la zona centrale, il luogo centrale, e prima la sedia era posta lì, il primo anno in compagnia di Susanna Verri, che ha fatto da mediazione, da importantissima mediazione a questo livello che io andavo assumendo, questo linguaggio assolutamente astratto di cui non c'era alcuna mediazione se non delle mediazioni mie precedenti attraverso un lunghissimo lavoro che avevo fatto, con quelli che sarebbero diventati poi miei allievi, nei Corsi precedenti quando dirigevo il Centro di corso Venezia e ancora prima in Università, quando avevo incominciato a fare i Seminari sul linguaggio della nascita, sull'inibizione e sull'attivazione. Mi occorre fare un po' di storia perché mi sembra che il processo - questo procedimento, questo luogo, questo tòpos, questo altro - si stia sempre più storicizzando, allora io ogni volta ne faccio un pezzo di storia e ne dico un pezzo di storia. Da ultimo, come dico da quarantotto ore a questa parte, mi sembra che io debba ancora più distanziarmi e lasciar libere le radici.
Per voi non credo che sia molto chiaro che cosa dire, che cosa significhi lasciar libere le radici, ma per me è un concetto assolutamente definito, nel senso che prima - fino a pochissimo tempo fa - era come se io fossi appresso allo scaturire, all'originarsi di questa assenza, di questo livello sensorialmente, percettivamente, intellettualmente, affettivamente vuoto, e stessi lì ad ascoltarne il linguaggio o a formarne il linguaggio. Adesso sempre di più è come se questo linguaggio, questo nuovo intelletto, questa nuova mansione umana, questi atti si stessero organizzando in modo diverso, in modo più aperto e io non dovessi assolutamente coglierli al loro originare per il timore che questi si perdano; probabilmente come un padre o come una madre che si allontana, che si distanzia e che dice ai propri figli di andare per la loro strada, anche se il distacco, questa complessità del distacco di cui ho sempre parlato era anche questa all'origine, cioè anche se i luoghi erano identici, anche se lo scaturire del linguaggio era dove io ero, eppure per paradosso e nel paradosso io ero assente, il linguaggio era assente, la distanza era all'infinito. Anche questo penso che voi non possiate capirlo, ma io lo enuncio lo stesso, cioè quello che io ho fatto in questi anni è di enunciare una serie di principi, di assiomi, di lingue, di espressioni, di modalità, perché certe cose potessero, anche se soltanto mentalmente, soltanto concettualmente, essere comunque assunte, prese e lasciate lì e lasciate riposare. Quello di cui ho avuto bisogno in tutti questi anni di lavoro è il fatto che ci fossero in un certo senso dei contenitori, i quali contenitori potessero contenere, potessero assumere, potessero mediare questo linguaggio che stava nascendo. Io dico linguaggio, ma è un'assenza, è un vuoto, è un nulla, è un'alterità, una diversità rispetto a quello che è stato fino adesso il modo umano di pensare le cose; e anche qui è un'imprecisione quel che dico, non è il modo umano di pensare le cose perché l'assenza è anche molto di più, perché quando io dico pensare non è certamente il pensare che voi conoscete - il pensare che voi conoscete sono dei concetti, sono delle formule, sono delle idee messe una insieme all'altra, una in relazione con l'altra, sono delle parole -, quello di cui io parlo è molto più astratto, molto più vuoto, non ha parole, non ha simboli, non ha orecchi, non ha linguaggio, non ha suoni, se non suoni di un altro tipo.
Allora in un certo senso io forzo il campo, cioè ho dovuto forzare il campo, cioè io dico: “Parlo della distanza all'infinito, di un concetto come il distacco all'infinito”. Ovviamente nella mente umana il distacco all'infinito non esiste, perché esiste in qualche modo un concetto di infinito, un concetto di distanza, ma che insieme non stanno, eppure io li penso insieme, ma non solo li penso, li esperisco, li esperisco in tutto il mio corpo, in tutta la mia mente fin dalla punta dei piedi, dalla pianta dei piedi con cui mi appoggio per terra, fino alla cima dei capelli, ma anche oltre, al di fuori di me. Io adopero delle vie della conoscenza, delle vie della relazione, delle vie che sono assolutamente sconosciute, ma in questi anni mi sono abituato a parlarne con gli altri e con chi faceva da mediazione. Chi innanzitutto principiava come mediazione, come per esempio Susanna Verri, faceva da mediazione per cui io dicevo una serie di concetti, lei mi elaborava questi concetti dal punto di vista della dimensione strutturale umana e allora cercavamo di comprendere attraverso questo quale campo si potesse formare tra un campo che era quello vuoto, quello assente - ma quello assente di un assenza speciale e adesso ci arriverò - e quello che è invece il campo della cosa, della cosità del mondo. Ora anche questo discorso è molto strano, cioè, io dico assente, ma quello di cui sto parlando è la totalità presente, per cui è un paradosso, per cui è una contraddizione in sé, ma io dico assente perché come io vedo questo tappeto, come vedo quel pianoforte, come sento la musica, come mi relaziono con voi è un campo che non ha relazioni attraverso le cose, attraverso i canali fatti di cose, fatti di sensi, di emozioni come avete voi, come ha normalmente homo sapiens. Io funziono in altro modo, ma questo funzionare in altro modo non è perché sono un marziano, sono venuto da un'altra parte, è perché attraverso una serie di condizioni, di superamento di condizioni, di fenomeni che ho vissuto, che ho voluto conoscere attraverso i linguaggi dell'intelligenza, della modalità di come sono messi a posto il mio cervello, la mia corteccia, i miei due occhi diversi, la mia struttura fisica ecc., io a un certo punto son riuscito a pensare certe cose, ma a pensare, a vivere, a esperire certe cose diversamente da come era stato fatto fino adesso.
Ripeto, ma questo non attraverso i sensi, le emozioni, normalmente, ma arrivando a certi punti in cui i sensi, le emozioni, il contatto sono completamente diversi da come sono stati posti fino adesso. Allora io dico che non ho mai pensato, non mi è mai passato per l'anticamera del cervello il fatto che questo fosse soltanto un'esperienza mia personale; ho sempre pensato nella mia vita, man mano che si formavano questi livelli, queste nuove condizioni per cui le spiegavo, per cui formavo dei gruppi di ricerca, di lavoro, che questi fossero dei fatti che erano assolutamente naturali, assolutamente biologici, potevano essere portati e presi all'interno degli uomini per cui l'uomo, gli umani avevano una relazione diversa con le cose, meno occupata, meno ingombra, più complessa, più vuota, più libera rispetto a come l'avevano avuta fino allora. Per questo ho chiamato 'assente', campo 'assente', nel senso che è assente in quanto se tocco questo portamicrofono, nel momento stesso in cui lo tocco, io ho un rapporto con questa asta del microfono completamene diversa da come io l'avevo precedentemente in me - perché io la conosco com'era, poi a mano a mano si è trasformata -, per cui toccando, io sento una distanza infinita tra me e quest'asta, nel senso che io la tocco, nel momento stesso in cui la tocco non c'è una fusione tra me e quest'asta, rimango io diverso da quest'asta, ma nello stesso tempo in un contatto che è un contatto vuoto, che è un contatto libero, cioè non sono occupato da questo elemento tattile che è l'asta che mi dovrebbe prendere, cioè non lo sento tattilmente, lo sento immediatamene attraverso dei processi mentali astratti, affettivi-mentali astratti direttamente. Mentre normalmente cosa fa una persona? Lo tocca, sente il freddo, il caldo, ecc., elabora, passa sensazioni, percezioni, la mente organizza. L'organizzazione in me avviene immediatamente, sento questo, questo si organizza, questo sta da una parte, io sto da un'altra parte e dico: “Comprendo questo, cioè vivo un universo in questo contatto”.
Allora, io dico che in fin dei conti quello che è cambiato fondamentalmente è il rapporto tra me e l'universo, tra me e le cose, ma come di solito cambia il rapporto tra il bambino e le cose, tra il bambino che cresce e le cose, tra l'individuo che è maturo e le cose - l'individuo che non è maturo, che rimane un bambino e non ha un rapporto giusto con le cose, l'individuo che è immaturo oppure l'individuo che invece sviluppa l'intelligenza, l'affetto, l'emozione, il senso della musica ecc. e ha un rapporto diverso con le cose rispetto a un altro che invece ha un rapporto molto più materiale. In me si è sviluppato un livello in cui la materialità é scomparsa, per cui questa asta non esiste, per me è vuota, io sono vuoto, la materialità é scomparsa; ma questo vuoto non significa la vuotaggine, significa un'intensità estrema della relazione e questa relazione non è concreta, non è materiale, ma è profondamente astratta, profondamente - io l'ho detto negli anni passati - 'affettiva', per usare un certo termine, nel senso che ne sono totalmente coinvolto, pur essendo perfettamente separato.
Ora quello che sta avvenendo, e quello che ho voluto dire nell'introduzione di quest'anno del Corso, è che questi concetti, che prima sembravano delle cose astruse, sembravano delle cose di cui non si capiva assolutamente niente, invece si incominciano a capire, ma non solo a capire concettualmente. All'inizio dicevo 'concettualmente' nel senso che le mettevo lì - la distanza all'infinito, il distacco, la cosa che occupa, che non occupa ecc. - tanto perché ci fossero dei contenitori, dei recinti: l'assenza come elemento vuoto diventa un elemento vuoto-pieno perché è un coinvolgimento perfetto, invece che essere l'assenza come è intesa normalmente - il fatto che l'individuo è assente vuol dire che l'individuo non partecipa a delle cose, che non è nelle cose -, o un concetto di astrazione che io ho adoperato in maniera completamente diversa da come viene usato nei termini linguistici, o nei termini della filosofia, o del simbolismo.
Allora, all'interno di questo abbiamo fatto tre anni di Corsi, due anni di Lezioni, un anno di Seminario; adesso avviene anche una cosa interessante, cioè che i primi due anni abbiamo la possibilità di pubblicarli, verranno pubblicati da Campanotto Editore che è l'editore che si occupa della pubblicazione di questo nuovo procedimento. Ci stiamo lavorando, c'è Anna Lafranconi che si sta occupando di tutta la revisione, del passaggio dalla lingua orale a una possibile lingua scritta, ma che mantenga l'oralità, perché le Lezioni sono state fatte attraverso una lingua orale; ne stiamo facendo una revisione su una revisione, su una revisione, stiamo arrivando a degli elementi conclusivi e mi sembra molto interessante. Luciano Eletti ne sta facendo un'introduzione e mi sembra un'ottima introduzione. Carlo Balzaretti è stato quello che ha incominciato a interpretare questa musica che scaturisce in questo luogo e che ha delle forme molto precise, molto particolari, molto specifiche, e che mi aiuta a sua volta avendo come sua cultura un certo tipo di cultura musicale, mi può fare da contenitore per questo tipo di musica, per questo tipo di linguaggio e me la può rimandare filtrata attraverso un'altra musica, un altro linguaggio musicale; e questo a me serve moltissimo perché ho uno scambio e dico: “Va bene”. Allora a questo punto lui me lo rimanda in questo modo, allora io allargo il mio modo, trovo il linguaggio per poter dire certe cose che prima non era possibile dire, ma non solo nella mia musica, ma nella musica in generale, come vedremo dopo.
Da ultimo, proprio recentemente ho mosso un'altra pedina - io chiamavo queste le trappole umane - e ho detto che questa musica, questo linguaggio doveva essere cantato: avevo provato io, non con un canto, piuttosto con un'espressione, con un'espressione linguistica particolare, ma sentivo l'esigenza di un canto di donna, di un canto femminile, come il luogo da cui nasce, da cui scaturisce, si dice, da dove scaturisce l'universo. Almeno, io dico, il pensiero femminile, l'astrazione femminile mi è sempre sembrato un luogo, un contenitore, infatti la donna è contenitrice anche per sua natura specifica; ho fatto un quadro - è uno dei primi quadri che ho fatto - che si chiama 'Astrazione femminile', in cui io ritengo la donna, la capacità di astrazione di una donna, un'astrazione molto più affettiva, più sottile, capace di contenere invece che espellere, invece che dirigere. Questo tipo d'astrazione mi ha sempre interessato, infatti chi lavora con me in campo terapeutico, chi è rimasto, ha lavorato e lavora, e io ritengo molto bene, è Susanna Verri e ha un pensiero femminile, ha un'astrazione femminile che a poco a poco è fecondata da questo altro livello. Ha fatto da contenitrice, io dico che il pensiero femminile è contenitore, allora mi serviva, io volevo un canto; cioè una delle cose che sempre di più mi aveva fatto avvicinare il senso umano, il senso della musica è stato il canto, ma non il melodramma, il canto lirico, piuttosto il canto antico, il canto gregoriano, oppure il canto del '400, del '300 o del '500, ma anche la musica contemporanea, la musica moderna, certe canzoni con cui io sono cresciuto negli anni '60, sia americane sia italiane. Ma allora è successo che nel momento stesso in cui questa esigenza si faceva, si faceva importante, improvvisamente ho trovato chi, all'interno del gruppo delle persone che lavoravano con me, poteva cantare. E questo è un altro fenomeno abbastanza particolare di tutta la questione che sto portando avanti, cioè che quando questo processo di pensiero - questo che io dico pensiero, ma come dico è un'altra cosa, è un'attività, un'attività pensante - ha diciamo delle esigenze e occorrono delle cose, queste cose si trovano, ma certamente non per strada, non per via semplicistica, ma per via molto complessa; per via molto complessa però queste cose a un certo punto si sono presentate, e allora in questo canto io ho trovato un'ottima partner cantante in Patrizia Brighi, la quale mi ha accompagnato, io l'ho accompagnata attraverso determinati processi musicali, in un certo tipo di linguaggio musicale che usciva dai canoni usuali, dalla struttura armonica usuale e io anzi all'inizio portavo fuori, cercavo di portare fuori questa voce e portarla fuori in altri luoghi, proprio in luoghi sconosciuti. Quello che cercavo era il fatto che a un certo punto questa musica, questo mio linguaggio potesse essere concretizzato attraverso dei suoni, i suoni della voce che io ritengo, ma non soltanto io, come uno dei luoghi più duttili, più profondi, più capaci di espressione della vita umana. Il luogo del canto, il luogo della formazione della voce è in fin dei conti quel luogo dove io all'inizio avevo posto l'assenza, che era l'attivazione, quando i miei pazienti dovevano passare attraverso di sé, passava attraverso la voce e attraverso la voce passava nel campo psicologico-fisico, e in questo punto in cui si formava la voce, che era il luogo, il principio dove c'era la mente e c'era il corpo, in questo principio si formava poi il suo principio di nascita. E così nella voce femminile io ho trovato questo iniziale principio di nascita e occorreva che questa musica potesse essere musicata, prodotta, fatta, espressa da una voce femminile. Questo nello stesso tempo produceva in me il fatto che io potevo allontanarmi, cioè avendo trovato delle radici, delle forme dello scaturire di questa lingua musicale - e come ho sempre detto la musica è uno dei linguaggi da me preferiti per l'espressione di questa condizione - io potevo in un certo senso allontanarmi, allontanarmi dallo scaturire astratto, dallo scaturire troppo vuoto, io dico adesso, di quello che era e di quello che è questo livello.
Contemporaneamente trovavo Loretta Gasparutti, la quale veniva da tutt'altra esperienza, da un'esperienza più concreta forse e nello stesso tempo anche più astratta, che è il canto gregoriano, avendo cantato nei cori gregoriani, ed era quella che per prima aveva recitato un pezzo drammatico, un melologo che avevo scritto tempo fa. E mi è interessato moltissimo anche questo elemento del canto gregoriano, o diciamo all'incirca intorno al canto gregoriano, perché non ci siamo soffermati o non siamo entrati soltanto nell'ambito del canto gregoriano, abbiamo fatto un'operazione, anche qui un certo tipo di operazione: cioè il canto nasceva su un certo tipo di linguaggio gregoriano, questo si allargava, ma senza debordare eccessivamente, all'interno di questo canto ponevo la mia musica, il mio suono del pianoforte, il mio linguaggio astratto e questo linguaggio astratto, questo linguaggio dell'assenza entrava a far parte della struttura del canto quasi portandolo fuori da quello che era la sua struttura originaria, cioè producendo un connubio - una congiunzione, una conjunctio, come la chiamo - tra questo mio modo di esprimere linguaggio musicale che è vuoto, che è assente e questo canto, scavando dentro a questo canto ma lasciandolo in pace, cioè producendo una simbiosi fra i due elementi, una simbiosi che però contiene come sempre il massimo livello del distacco, perché comunque la mia musica, il mio pianismo è assente.
A questo punto c'è un'altra questione, come vedete nell'avviso, c'è la questione che è stata fondata una Associazione, che è il Centro Studi Assenza; questa Associazione serve per il sostegno di questa ricerca e questa ricerca non viene fatta in paradiso anche se alcune volte il linguaggio è anche paradisiaco, ma è fatta in terra e questa ricerca ha dei costi. Doveva introdurre questa questione Susanna che si occupa, diciamo, della struttura, della modulazione culturale di questa Associazione, ma è meglio che vada avanti io perché abbiamo tante cose da fare. Occorre un aiuto da parte di tutti perché questa Associazione possa avere uno sviluppo; è un punto importante perché un'Associazione è comunque un luogo diciamo del momento sociale, del fatto che poi non sono più le singole persone, non sono soltanto più io o i miei allievi, cioè c'è un modo di aprire, di produrre un'organizzazione diversa sia di questo luogo, sia di questo Centro, sia di questo pensiero, e ci siamo arrivati dopo tanti anni, dopo un'Associazione che si era formata prima in Corso Venezia, ma fatta di pochissime persone - io e alcuni miei collaboratori -, poi è arrivata in questo Centro in cui adesso vogliamo allargare questa possibilità, questa possibilità del pensiero, proprio del pensiero, dell'affetto, proprio dello scaturire di un nuovo mondo.
Sto lavorando molto a questo 'Canto dell'Assenza'; è stato distribuito stasera un fascicolo che contiene i testi di quella che io ho chiamato 'Commedia Astratta per voce di donna'. Sono testi molto particolari che passano da testi in cui c'è la ricerca della parola come radice, come al suo scaturire, che ho pensato specificatamente per una cantante e per l'altra, per una recitazione o per un'altra recitazione, in cui era importante la parola, la sillaba, la vocale; ci sono dei testi invece più articolati in cui c'è una forma di ballata. E comunque stiamo dando luogo a un teatro, a un luogo teatrale, in cui, in questo nostro discorrere, in questo nostro dire, c'è proprio il fatto del teatro all'Artaud in un certo senso, cioè un teatro della vita, un teatro della vita assente, di una vita che si sottrae, si presenta, si sottrae, si presenta, che si trasforma, che è vita, che non è vita, che è morte, che è altra morte, che è morte astratta, che è altro linguaggio, e appunto su questo sto lavorando, stiamo lavorando molto intensamente. E quello che io sto vedendo sono dei fenomeni particolari, specifici, per cui in un certo momento un certo tipo di canto funziona, per me va bene, dopo due giorni questo canto non va più bene perché sono passate quarantotto ore, il campo dell'assenza si è spostato, è entrato in un altro luogo, oppure la persona che aveva cantato quel pezzo si è spostata in un altro luogo per cui quel pezzo lì risentito dopo due giorni o dopo tre giorni non funziona più, oppure un pezzo che non funzionava prima incomincia a funzionare dopo. Cioè si sta vedendo anche in questo modo come i moduli del pensiero siano completamente diversi, cioè non c'è nulla di fisso, è tutto in divenire e non solo è tutto in divenire, ma in questo divenire ci sono continuamente degli spostamenti, ci sono delle radici nuove, cioè il campo non si ferma mai, la radice continua a modificarsi per cui un canto in un certo momento va bene, in un altro momento per una serie di effetti, di fenomeni che sono all'interno di noi stessi, sono all'interno del mondo, sono all'interno della realtà, della relazione nuova con le cose, è modificato per cui in quel momento il canto sta zitto, non può parlare, non può dire niente e non dice niente.
Io adesso, stasera, in un certo senso sto ancora enunciando questo discorso; vorrei che fosse possibile che questo discorso fosse enunciato a mano a mano da voi, dai singoli presenti, da quelli anche che stanno lavorando a questa ricerca, da altre persone che ormai seguono da alcuni anni questo nostro lavoro, persone anche nuove che possono dire la loro, che il fatto si faccia collettivo, sempre più collettivo, anche perché come dicevo all'inizio, mi sconvolge il fatto che ci siano persone che stanno capendo, cioè che per delle vie nuove, completamente nuove, alcune persone stiano parlando un linguaggio che io ritengo, che io sento, che io vedo, che io riconosco come similare a questo che io conosco, che ritenevo impossibile, che ritenevo quasi prematuramente nato, quasi impossibile da dirsi, mentre le persone adesso lo stanno dicendo. E io credo che siano successe delle cose per cui questo gruppo a poco a poco, ognuno di voi, questa lingua incomincia in qualche modo a parlarla: c'è chi riesce a parlarla di più, e questo mi stordisce quasi perché non me lo aspettavo, perché dicevo che occorrono quattro milioni di anni, cioè occorreva un'era, occorreva un passaggio evolutivo. Adesso alcune persone parlano questa lingua, anche se - aggiungo questo fatto - la lingua che io ho scelto adesso per procedere è una lingua in un certo senso facilitata, non è la lingua totalmente astratta, totalmente vuota che io conosco, che ho conosciuto, ma è come se l'avessi abbandonata, come se l'avessi lasciata stare per entrare in una lingua che sia diciamo più congiunta, che abbia questa congiunzione con la lingua umana.
Adesso mi ritiro, ho già parlato troppo, avrei tantissime altre cose da dire, lascio la parola agli strumenti, lascio la parola al maestro Balzaretti che va a suonare il suo pezzo.
Carlo Balzaretti: Cosa vuoi sentire allora? Io sono indeciso tra la 'Sonatina' e il primo pezzo dei pezzi lirici, sono indeciso tra i due, trovo che entrambi vadano bene per aprire, quindi lascio a te la scelta. Infatti quando li ho rivisti mi sembravano la cosa più adatta.
Paolo Ferrari: Fai la 'Sonatina' allora.
Carlo Balzaretti: Va bene! Devo dire è stato molto interessante affrontare questa 'Sonatina' perché appartiene a un periodo compositivo del dottor Ferrari. In poche parole l'elemento di questa 'Sonatina' è una piccola scala discendente che diventa una specie di elemento, potremmo dire, ripetitivo all'interno della composizione, ma che viene trattato sempre in modo diverso. Nella musica classica, cosiddetta consueta, di solito noi troviamo degli elementi ostinati, nelle passacaglie e nelle ciaccone, in cui abbiamo in poche parole delle strutture che si ripetono, ma si ripetono sempre rigidamente identiche, qui invece questo materiale viene trattato in modo completamente diverso - d'altronde siamo in un contesto musicale completamente diverso. Da questa scala discendente nascono delle continue armonie diverse, cangianti; attraverso il gioco degli armonici, dei vari suoni, attraverso anche un attento uso del pedale che si deve fare nell'esecuzione nascono continuamente delle sonorità diverse, anche se in fondo le note sono sempre le stesse insomma, e trovo che questa sia la caratteristica di questa composizione e di altre composizioni che sono state più o meno composte, pensate subito dopo l'estate. Sono tornato una settimana dopo e il linguaggio era cambiato un'altra volta, per cui ancora da capo, e questa è la cosa abbastanza simpatica del seguire questa ricerca. Vi faccio sentire allora questa 'Sonatina'.
[Carlo Balzaretti esegue al pianoforte la 'Sonatina' composta da Paolo Ferrari, durata 2'45"]
Paolo Ferrari: Circa poi il fatto del metodo compositivo, di altre questioni forse potremo parlarne meglio altre volte. Cioè, quello che mi interessava discutere con Carlo Balzaretti è il fatto poi di vedere mano a mano di trovare il minimo comune denominatore di queste varie composizioni che si sviluppano nel tempo, e che ogni volta variano e variano proprio di tòpos, di luogo: c'è un mondo dove c'è la pura astrazione, c'è un mondo dove c'è il notturno, c'è il mondo dove nasce la piccola sonata che è tra il mondo dell'astratto e quello del notturno, del pezzo lirico; e io so che all'interno del mio linguaggio ha dei moduli, ha dei canoni, ha dei contenitori, ha delle astrazioni molto ben precise, molto precisate, molto precisabili. A mano a mano mi interesserà sempre di più vedere come questo discorso si possa fare nell'ambito del linguaggio musicale corrente, come il linguaggio musicale corrente si possa esso stesso allargare e farlo compenetrare, far compenetrare i due linguaggi, cioè il mio linguaggio musicale e il linguaggio musicale, diciamo, corrente e come uno possa contenere l'altro e l'altro possa contenere il primo.


Carlo Balzaretti: Discorso difficile!


Paolo Ferrari: Quello che volevo soltanto accennare, se era possibile, è il fatto per esempio della differenza tra una sonata astratta e un notturno, un pezzo lirico, e il problema di queste cellule - come io le chiamo -, come se alla base di ogni pezzo musicale ci fossero delle cellule sonore, le quali cellule sonore ogni volta scaturiscono, hanno un'origine differente, ed avendo un'origine differente producono un linguaggio sensoriale, emotivo, razionale diverso.


Carlo Balzaretti: Ma, secondo me prima di tutto dovremmo fare una netta distinzione da come di solito viene utilizzato il termine 'Sonata', diciamo nel contesto della musica classica, pensando per esempio al classicismo viennese in cui si ha a che fare con una struttura architettonica estremamente rigida, molto ben definita se vogliamo; in fondo la Sonata è proprio a mio avviso, a livello formale, il prodotto dell'Illuminismo, è un'architettura. Qui secondo me siamo davanti al discorso Sonatina, perché quella che ho eseguito oggi è una Sonatina, mentre ho già eseguito una decina, undici o dodici Sonate, se non sbaglio, tra le Sonate Astratte, che sono invece delle composizioni molto più complesse e in cui forse sarebbe più chiaro esattamente delineare che cosa si intende in questo linguaggio per forma sonata; ma in linea di massima le Sonate, rispetto per esempio ai Notturni, sono delle composizioni sicuramente più complesse, in cui a mio avviso, si tende a sviluppare di più il materiale che si propone. In fondo questa scala discendente, tutto questo elemento che si ripete all'interno della Sonata, anche se è una Sonatina, viene continuamente sviluppato, viene continuamente portato avanti - se vi siete accorti -, viene trasformato, ci sono dei punti in cui si cambia probabilmente tonalità, anche se non possiamo parlare di tonalità vera e propria, però in linea di massima si tende a sviluppare un elemento, sicuramente con un progetto speculativo più complesso rispetto per esempio che ai Notturni, in cui direi si gioca forse di più su un colore, su un'immagine, su una situazione timbrica - non so se sei d'accordo. Perché poi in fondo, vedevo anche in questi giorni che i Notturni sono realmente uno molto diverso dall'altro, però la mia impressione è che nei Notturni si tenda più a lavorare su una piccola situazione, su un accordo e da lì il discorso musicale prosegua, ma prosegua con una maggiore libertà, direi meno direi incentrato che sulla Sonata. Sulla Sonata in fondo si sviluppano degli elementi: qui, in questo caso, c'è la scala discendente, in altri casi c'erano per esempio dei piccoli trilli, delle piccole situazioni melodiche, anche dei piccoli contrappunti che si riproponevano, però sicuramente la Sonata è un progetto più ambizioso dal punto di vista compositivo; il Notturno invece è forse più un canto lirico, è più quasi un momento compositivo, non saprei come definirlo.


Paolo Ferrari : Sai cosa sarebbe interessante? Come tu hai fatto una volta con me, provare, fare un pezzo diciamo della musica dell'Assenza e confrontarlo con un pezzo similare, come si sarebbe potuto sviluppare invece con la musica classica normale, secondo le leggi dell'armonia.


Carlo Balzaretti: Certo, uno prende una cellula ad esempio...


Paolo Ferrari: ... prendere una cellula e vedere come si sviluppa una da una parte, come si sviluppa una dall'altra.


Carlo Balzaretti: Si può fare tranquillamente anche sul pezzo che abbiamo suonato, cioè in fondo quello che io faccio è questo; in linea di massima tutta questa sospensione, questo senso di continua evoluzione, divenire che ha una composizione come quella che ho suonato, si basa proprio sul fatto di non incentrarsi su quelle che sono le regole rigide della tonalità. Questa composizione ha un continuo evolversi, non si sa realmente se è in sol maggiore o se è in do maggiore, continua a fluttuare. E' molto semplice: io posso prendere una cellula di questa composizione e provare per esempio da una via consueta, quindi cominciare a fissare quelli che sono gli assi portanti della tonalità, cioè la dominante e la tonica e ricondurli a un discorso. Si può fare tranquillamente subito.


Paolo Ferrari: Adesso no. Però adesso potremmo andare avanti. Questo nello sviluppo successivo, pensavo, adesso volevo provare, mostrare un po' il Canto.


Carlo Balzaretti: Ah, va bene!


Paolo Ferrari: Patrizia vuoi venire?


Patrizia Brighi: Proviamo. Che testo proviamo?
Paolo Ferrari: Qual'è che vuoi tu? Scegli tu.

 


Patrizia Brighi: Proviamo 'Attraversando cum pace'.


Paolo Ferrari: Non adoperare le cuffie.


Pubblico: A che pagina è?


Patrizia Brighi: Undici.
Paolo Ferrari: Dove arriviamo?


Patrizia Brighi: Facciamo questo pezzo '... languidi anni... linguacciuto'.


Paolo Ferrari: Sì.


Patrizia Brighi: Leggo anche il titolo?


Paolo Ferrari: Sì, ti do io il segnale poi.


Patrizia Brighi: Sì.


[Patrizia Brighi canta il pezzo riportato sotto della 'Commedia astratta per voce di donna' accompagnata da una composizione simultanea di Paolo Ferrari al pianoforte ]
“'Attraversando cum pace'
Estroso momento, cum pace / oplà
atto secondo, secondo
genito, in falsetto, ah...ah...
miagolar i...i
(pausa)
muggir e fuggir via.
(pausa)
Seguendo strade e strade,
marine e fuochi,
otto lune, otto mesi
otto anni, languidi anni....
ah (forte) a debole a (linguacciuto)”


[durata dell'esecuzione: 3'50'' circa]


Paolo Ferrari: Abbiamo la cantante un po' emozionata.
Carlo Balzaretti: Posso capire, scusate, non è facile, santo cielo! Io soffrivo per lei, perché di solito sono per lo meno abituato, dovrebbe più o meno essere il mio mestiere, è stata brava altro che storie, è dura!
Paolo Ferrari: Ma doveva essere un pochettino più espressiva, come è nel suo stile, perché questo pezzo racconta una cosa varia, c'è questa storia di otto mesi, otto anni, ecc. con queste...


Patrizia Brighi: Ah sì, sono stata un po' carente in questo senso.


Paolo Ferrari: ... un po' di giochi, perché questo...

 

Carlo Balzaretti: Poi il cantante si deve scaldare la voce, insomma!


Paolo Ferrari: ... perché poi questi pezzi sono stati scritti appositamente, un pezzo per Patrizia, un pezzo per Loretta. Dai Loretta.


Carlo Balzaretti: I compositori pretendono sempre.
Loretta Gasparutti: E' a pagina 15.


Paolo Ferrari: La maestra.


Loretta Gasparutti: E va beh, è vero!


Paolo Ferrari: Tu che dici, suonando qua si sente lì o da fastidio?


Carlo Balzaretti: Questa sala non crea tanti problemi, si sente sempre bene, sentiamo dai!
[Loretta Gasparutti canta il pezzo riportato sotto dal titolo 'Atto secondo' accompagnata da una composizione simultanea di Paolo Ferrari al pianoforte]
“Amor,
Amòr.
Candide.
Sole - homo et mulier.
Raccontai speranza
(parole semplici e vuote, silenziose): canto
mia lezione; mia emozione
nascente
actus secundus: per mano
tristis deus, tragicus
homo fragilis.”


[durata dell'esecuzione: 4'30"]


Paolo Ferrari: Allora abbiamo fatto gli esempi dei due tipi di canti delle due figure femminili che si incrociano in questa 'Commedia Astratta'. Stiamo lavorando anche al fatto che queste voci poi duettino insieme e ognuna canti: una A canti con una B, una A prima canti con una A seconda, e come questi due luoghi, questi due luoghi dell'assenza possano incontrarsi, uno diciamo entro la condizione della consonanza scavata, svuotata, e l'altro invece in una maggiore libertà compositiva. In questo ultimo caso, come nel caso di questo pseudo canto gregoriano lavoravo dal punto di vista pianistico con le scalette, come più o meno ritornavo...


Carlo Balzaretti: ... elementi diatonici.


Paolo Ferrari: ... elementi diatonici, tranne in punti in cui entravo poi con un altro tipo di elemento per poterlo eventualmente scavare, cioè come entrare più nel centro e far che la voce si allargasse, in un certo senso. In un duetto su cui abbiamo lavorato è stato interessante - poi una di queste volte potremmo anche sentirlo in registrazione se sarà il caso -: è un duetto in cui c'è il canto di Patrizia e poi c'è l'intervento di Zizine, con una voce recitata che intercala al canto in italiano la lingua francese. Questo è un altro tipo di lavoro, di esperienza che stiamo facendo sui diversi tipi di lingue, come questi tipi di lingue possano entrare a far parte del discorso complesso in cui, lasciandole nella loro originaria lingua, nella loro radice linguistica - come vediamo il francese, come l'inglese e come poi vedremo anche il cinese -, pur in questa radice poter porre questa altra radice così movente, così libera di muoversi, quella radice che io sto ponendo relativamente alla lingua dell'assenza, tipicamente nel poema di Europa e poi anche nei Saggi, in cui il tessuto è continuamente cangiante, per cui è stata inventata in un certo senso una modalità linguistica, così come nella lingua diciamo parlata, nella lingua scritta e poi nella lingua musicale. Allora stiamo andando a vedere tutti i tessuti, come questi tessuti possono prestarsi, i tessuti mentali, i tessuti affettivi, nell'ambito della clinica - stavo vedendo oggi dei fenomeni molto importanti, molto interessanti che si sviluppano nella clinica, che per me non è più clinica, ma chi ormai fa terapia con me fa una terapia, diciamo, nella ricerca dei nuovi componenti dell'attività mentale umana.
E con questo ho finito e vi saluto.


Susanna Verri: Il prossimo appuntamento è giovedì 24 novembre.


Paolo Ferrari: Comunque alla fine per chi volesse fare degli interventi io sono qui, non scappo. Sarebbe utile anche che chi volesse potesse intervenire anche circa quello che è successo durante la serata, anche circa le sensazioni che ha avuto - anche se ovviamente per me il campo su cui lavoro non è quello sensoriale o percettivo, però mi sono abituato al fatto di poter cercare di trasformare quelle che sono le sensazioni, le percezioni dell'altro in un linguaggio più articolato, più complesso, diciamo più affettivo-mentale su di un altro livello -, proprio per lavorare insieme a far sì che questo processo sia sempre più alla portata di mano, sia in un certo senso più accessibile, come storicamente, realisticamente sta avvenendo in un modo che io poi normalmente sto seguendo, di cui mi accorgo; mi accorgo che entra nel mondo, nello spazio, me ne accorgo nello spazio dove c'è questo linguaggio, questo linguaggio più complesso, più astratto, più assente, ma proprio nel contorno delle case, tra una casa e un albero, tra un oggetto e l'altro, tra un uomo e il rapporto che ha con questo tamburo. E perciò chi vuole intervenire può intervenire, anzi fa un piacere, dobbiamo slegarci in un certo senso da certi timori, da certi timori d'incomprensione anche.
Va beh, prepariamoci per la prossima volta. Arrivederci.