20/1/94
IV SEMINARIO 1993-1994
Paolo Ferrari: Questo
seminario voglio impostarlo, almeno come nota iniziale, relativamente al III
Saggio sull'Assenza che ho appena finito di scrivere e che stamattina ho
spedito all'Editore.
Se il seminario si fosse svolto ieri o l'altro ieri o nei giorni precedenti
anziché oggi in cui è avvenuta questa sorta di distacco dalla
scrittura di cui è composto questo saggio, sarebbe stato per me molto
più difficile parlarvi: come se il linguaggio orale contrastasse con
il linguaggio scritto a tal punto da interferire l'uno con l'altro e per me
essere quasi impossibile se non di grande fatica, aggiungo di dolore, dovermi
esprimere in un linguaggio strutturato, razionale e affettivo nel mentre i due
linguaggi sono facendosi o meglio, il linguaggio scritto si sta facendo.
Mi sono chiesto perché in questi giorni di lavoro intensissimo su questo
tessuto che si è fatto, mi sono chiesto anche perché, mi sono
domandato anche perché, per esempio, non potessi assolutamente occuparmi
di suoni, tanto che i suoni mi procuravano una sorta di dolore fisico; quando
io dico 'fisico' è ovvio che non è la fisicità ordinaria,
ma è una fisicità più interiore, più astratta, anche
se il dolore che io provo è comunque dell'ordine fisico, per quello che
noi siamo abituati a conoscere come di ordine fisico, anche se risuona in questo
caso di una fisicità che è diventata astratta, che è diventata
campo non di ordine materiale cioè di ordine tattile, ma dell'ordine
del pensiero fisico.
Da quando stamattina questa lettera, questo saggio anzi - non è più
una lettera, è un saggio -, perché ho preferito in questa ulteriore
fase di sviluppo del pensiero sganciarmi in un certo senso dal lettore e raccogliere
più il saggio come un entità quasi a sé stante, come un
ente che si staccasse, che non avesse più gli appigli dell'elemento discorsivo;
dicevo, questa scrittura che ha occupato grande parte dei livelli a me dati
dall'Assenza è una scrittura che doveva farsi e disfarsi in continuazione
in modo probabilmente da arrivare a un tessuto il quale si fa e si disfa nell'istante
in cui è posto: sembra la tela di Penelope e da questo punto di vista
mi sembra interessante interpretare questo episodio dell'Odissea e comprendere
da questo lato il significato del fatto di un tessuto il quale di giorno si
crea e di notte si disfa. E' la stessa sensazione, è la stessa elaborazione,
è la stessa relazione che io ho avuto con questo scritto, con questo
tessuto che doveva formarsi, per cui in un certo senso di giorno si formava,
io avevo una specie di élan, di spinta, di creazione: questo si
formava, si allargava, prendeva lo spazio giusto, poi dopo poco, attraverso
la notte, il giorno dopo questo spazio non era più quello, non era più
quello giusto, mi si spostava di un attimo, di un frammento, di un tratto, per
cui il brandello, ma che era già un'unità che si era composta,
era ormai disfatta, cioè era resa zero (0), era diventata 0 e perciò
in questo 0, in questo farsi e disfarsi io dovevo in un certo senso eliminarla,
anche se il concetto del fatto che il tessuto si mostrasse di questo tipo cioè
della sua capacità di diventare 0 - in fin dei conti lo zero è
il segno, è uno dei segni dell'Assenza - è stato un fatto molto
interessante per la mia esperienza di costruttore di questo ente dell'Assenza.*
Ovvero, creare o generare uno spazio
il quale di giorno si forma, ha un tessuto e questo tessuto in questo spazio
di notte scompare - esco dalla metafora: in uno certo stadio esso compare, esiste
e sono certo che esistesse, in un altro stadio questo perde della sua esistenza
ovvero si annulla, diventa 0 senza (più) la sua esistenza ma ruotando
ancora una volta e ponendosi ancora a 0 - è stata da un altro versante,
adesso che a mano a mano capisco che cosa sia successo, un'esperienza molto
interessante, anche se dal mio versante di costruttore di questo un fatto molto
doloroso, quasi al limite della sopportazione; cioè, il fatto che questa
lavagna si riempisse di segni e di linguaggi che avevano una loro validità,
sicuramente una loro validità, e che questa lavagna poi ad un certo punto
si girasse dall'altra parte e questi segni cadessero tutti per terra e io non
trovassi più nulla, anche questo è un fatto di grossa frustrazione.
Ma questo 'più nulla' non un nulla generale, non un nulla grande, non
un nulla prepotente, ma questo che era diventato, si era trasformato - questo
0 era diventato uno 01 -, questo si spostasse leggermente, ritornasse alla sua
categoria di 0 ma appena spostato di fianco, questo è stato un elemento
di grande difficoltà, di frustrazione, cioè di accettazione di
piccolissimi spostamenti di un tessuto fatto in un certo modo, di un certo tipo
di linguaggio che si spostava leggermente e per questo suo spostamento, questo
suo spostamento anticipatore, io direi adesso, cioè che mi anticipava,
voleva assumere come un'altra qualità dello 0 e di per sé stesso
scomparire e accettare il nulla, accettare un nulla, un altro livello del nulla.
Vi sto raccontando tutto questo perché mi sembra un esempio molto concreto
che io ho vissuto in questi ultimi venti giorni, per farvi capire cosa vuole
dire costruire - siccome è un seminario -, cosa significa per me e, dico,
in generale costruire un'entità che abbia in se stesso questo valore
di 0, per cui questo valore che ogni volta che si forma è capace di sparire,
cioè il fatto di questa sua potenza, chiamiamola così, - quando
voi leggerete poi questo numero della rivista*
che uscirà fra una settimana circa - il fatto di come questa entità
sia capace di sparire, come già gli altri scritti erano capaci di sparire,
ma in un modo ulteriore, della sua scomparsa, nel fatto di non avere certe maglie
molto strette; mi sembra un discorso che è abbastanza largo, abbastanza
ampio, ma che alla fin fine al suo interno è intessuto di tante maglie
quasi circolari, profonde, le quali formano un tessuto che è al di là
del linguaggio verbale, non solo verbale, del linguaggio scritto. E si è
formato un livello profondissimo di un linguaggio che è quello che io
costantemente ascolto, con cui sono continuamente in relazione, 'la relazione
per Assenza': quello con cui sono in relazione, per esempio, qui questa sera
con voi, come quando spiego certe cose, sento, vivo, ho l'esperienza di una
relazione vuota, di una relazione che è attraverso il vostro pensiero,
la vostra fisicità, la vostra mente che man mano si svuota, che assume
un altro livello del linguaggio.
Perciò io credo in questo saggio di essere riuscito a formare (un livello),
un tessuto, un subtessuto, una subassenza quasi, la quale si esprime secondo
quello che è la mia intenzione nell'ambito delle espressioni nella mia
relazione con le persone: la mia relazione terapeutica, la mia relazione affettiva,
la mia relazione intellettuale. Racconto questo perché è interessante
il vedere, il formarsi: quello che noi vediamo in un seminario oppure in una
lezione oppure in una situazione musicale fatta della musica da me composta
è fatto di tutto questo lavoro, cioè di questo lavoro che vi sto
raccontando relativamente alla formazione di un saggio, anche perché
un saggio di poche pagine, di quattro o cinque pagine, oppure potrebbero essere
di dieci o quindici pagine, sintetizza senza perdere nulla, anzi producendo
moltissime cose in più rispetto a un libro che fosse di duecento pagine:
cioè questi saggi hanno una intensità interiore, una intensità
di linguaggio, intensità d'informazioni tale per cui possono coprire
completamente l'area di quello di cui mi sto occupando. Il problema infatti
è che il discorso che io faccio o il seminario che si compone o la lezione
che si compone anch'essa oppure il pezzo di musica che si compone, il raddoppio,
come abbiamo visto le volte precedenti, e così il saggio comunque possiedono
l'entità assente della loro completezza, della loro unità: cioè
essi stessi sono un universo, un universo vuoto, un universo che è capace
di essere assente.
Questo fatto mi è sembrato alla fine una cosa molto, io dico, carina:
che il fatto di poter vedere un'altro tipo di discorso e un altro tipo di linguaggio,
un altro tipo di tessuto che non fosse il tessuto inconscio, ma un tessuto altro,
un tessuto più assente ancora, ma fatto di un linguaggio nuovo che mi
sta molto a cuore, con cui io entro in relazione con le persone o con gli avvenimenti
di cui mi occupo, si fosse formato; alla fine, formatosi questo, io ho pensato
che questo era il livello giusto entro cui dovevo stare.
Questo vi serve, è significativo per comprendere anche meglio come per
esempio si compongono i raddoppi che abbiamo fatto, come abbiamo visto la prima
volta, come stasera vedremo con il Carlo come poter fare un raddoppio della
stessa musica dell'Assenza, in quanto Carlo suonerà il pezzo per Assenza,
che era la Sonata Astratta che ha suonato l'altra volta, e io suonerò
simultaneamente il suo raddoppio; e quindi come due livelli dell'Assenza si
intersechino e come la produzione di questi due livelli sia capace di produrre
un ulteriore linguaggio che molto probabilmente è vicino a questo linguaggio
di cui sto dicendo, come se nella produzione della scrittura si formasse prima
un certo tipo di discorso o di linguaggio - il quale linguaggio ha il suo valore,
almeno quando ha la sua modalità giusta di porsi, il suo valore di 0,
di 01, - ma questo ancora una volta assumesse ulteriormente delle ulteriori
qualità di Assenza nel momento stesso che io mi interseco e produco un
ulteriore linguaggio il quale va a porsi insieme col linguaggio precedente.
Perciò come questo livello di cui io sto parlando fosse una categoria,
fosse un insieme, uno stato, una condizione pressoché infinita, cioè
in cui è possibile continuamente produrre conoscenza, affetto, emozione,
storia, linguaggio.
In questo lavoro che ho fatto sarebbe interessante analizzare le vie, i percorsi
che a mano a mano la scrittura, il tessuto prendeva e con esse procedeva, e
vedere le varie vie che, pur procedendo e avendo pure uno spazio interessante
di formazione, dovevano essere abbandonate, cioè venivano per questi
leggerissimi spostamenti a un certo punto staccate come un frutto si staccava
dall'albero e queste venivano abbandonate, quasi lasciate andare, perché
mancava il luogo giusto entro cui dovevano formarsi, molto probabilmente il
luogo di questo livello di cui sto parlando. C'è da fare attenzione al
fatto che del livello di cui io sto parlando io ho saputo alla fine, cioè
a mano a mano che si sviluppava il discorso io ho saputo alla fine che si stava
formando questo livello: man mano che io procedevo, questo nuovo fatto io non
lo conoscevo cioè nel procedere, come nel procedere di questo discorso,
come nel procedere della musica, nel procedere di tutta questa storia, nel procedere
dell'Assenza in generale, non è conosciuto prima il suo farsi, il suo
farsi è conosciuto nel momento in cui si fa; ma questo momento in cui
si fa non è un fatto casuale, non è un fatto caotico, non è
un fatto disordinato, ma è un fatto che è già ordinato
al suo interno ma del quale io osservatore non ne so nulla; io osservatore l'unica
possibilità che ho è quello di seguirlo e di avere metodo, di
assentarmi rispetto al discorso di questa lingua, di questa musica, di questa
storia che si sta facendo, assentandomi, accettando questa rinuncia, obbedendo
a questo fatto che è in formazione: allora questo tessuto, questo discorso,
questo livello è capace di farsi.
E' interessante notare come questo processo dell'azzeramento che poi è
il processo che io spesso uso, cioè questo fatto che mi si formava nell'insieme
di questa scrittura, non è un fatto nuovo: in un certo senso era un fatto
nuovo il fatto che si spostasse continuamente di un piccolo tratto e io dovessi
ancora ricominciare da capo e produrre l'idea. Il fatto che si formi questo
livello di 0 è uno dei fatti fondamentali che io uso, che in me si forma
nel momento stesso in cui entro in relazione con una persona oppure entro in
relazione, per esempio, nella musica che io raddoppio; anzi una delle leggi
generali di questo processo di cui parlo è il fatto che una certa musica,
un certo linguaggio, una certa poesia, un certo discorso filosofico, un certo
ente anche biologico ha validità soltanto in quanto è capace di
essere vuoto, cioè nella relazione con questo tipo di Assenza, nella
relazione con questo processo che io compio è capace di tacere. Una delle
cose che si verifica, per esempio, nella relazione con me è il fatto
che a mano a mano tutto ciò che è quello che è al di fuori
o al di sopra,*
che è un discorso vibratorio, che è un discorso che può
essere timbrico, che può essere degli intervalli musicali, che può
essere di un cervello eccitato, che può essere di una depressione, che
può essere di un'angoscia, a mano a mano questo livello incomincia a
tacere e incomincia a formarsi questo 0 e quindi incomincia a formarsi una relazione
di questo tipo, una relazione molto più ampia immessa in un universo
molto più ampio. Come vedevamo qualche seminario fa, quello che succedeva
della musica di Brahms nel raddoppio era il fatto che a poco a poco la musica
di Brahms poteva lasciarsi tacere, poteva dimenticarsi di dover esistere, poteva
lasciare la sua dimensione timbrica, emotiva, il suo stesso suonare, tale per
cui il risuonare si faceva a mano a mano vuoto man mano che le note del raddoppio
di simultaneità e questo raddoppio vuoto accoglievano e prendevano in
sé questo tipo di musica costruita secondo determinate leggi, secondo
determinate categorie, secondo determinate strutture mentali di una mente non
capace dell'Assenza. E quanto più una musica, una composizione - dico
una musica, una composizione, un discorso filosofico, un discorso scientifico
- quanto più questi discorsi sono capaci di essere silenti e cioè
di abbandonare le loro armi, che sono la tendenza, la tensione all'evidenza,
tanto più secondo quello che è questo lavoro di cui mi occupo,
questi enti, queste manifestazioni di espressione umana sono validi, cioè
hanno dentro di sé la capacità di diventare assenti, hanno la
capacità di dimenticarsi di sé, hanno la capacità di non
essere prepotenti o preponderanti, di un ego preponderante, e così come
ogni individuo: l'individuo nel momento stesso in cui non ha più bisogno
del suo ego preponderante, della sua identità fatta di cose, questo individuo
diventa capace maggiormente di un'assenza e quindi incomincia a diventare di
una qualità migliore, più ampia, più affettiva.
In questo saggio io mi spingo molto in avanti, anche se è un approccio
- il titolo è III terzo Saggio sull'Assenza, un approccio non noto
alla differenza dal ciclo di vita e di morte consueto -, cioè mi
spingo molto in avanti nel senso che entro nella relazione profonda, entro nella
relazione anche con la struttura biologica stessa, la quale struttura biologica,
il pensiero biologico, il pensiero scientifico biologico è uno dei pensieri
più concreti che esistano al mondo, il pensiero dell'evoluzione è
un pensiero estremamente concreto, l'evoluzione stessa, il concetto evoluzionistico
è un pensiero di estrema concretezza; le specie che si sono evolute sono
le specie che sono più adatte, le specie che sono più capaci di
evidenziarsi, quelle più capaci di produrre abilità, produrre
conseguenze, trasformare gli ecosistemi in cui sono immesse; la specie umana
di tutte queste specie è quella che è in grado di maggiore evidenza,
è in grado di maggiore lavoro sull'ambiente, però ha ricevuto
un nuovo livello il quale livello invece di essere un'evidenza, invece di essere
un braccio, un occhio, una gamba, una parte somatica, è un'idea, cioè
è capace di fondare un'ideazione e di produrre un'ideazione la quale
ideazione per la sua stessa consistenza, sostanza, è fatta di niente
e cioè è vicino a quello che io dico che è il campo dell'Assenza.
Dicevo che mi sono spinto avanti, perché circa questo, circa l'ideazione,
circa la struttura biologica, circa il ciclo di vita e di morte in cui l'uomo
è immesso so parecchie cose; so parecchie cose rispetto a questa dimensione
così ciclica, così dura, così rigida, come ancora l'uomo
è strutturato, è chiuso attraverso la sua composizione somatica.
Io dico in un certo punto di questo saggio che il guaio principale della condizione
umana è il fatto che, pur avendo questa capacità ideatoria, ideativa,
non sa dove metterla, cioè nasce questa capacità ideativa, il
cervello si sviluppa, il cranio si sviluppa, le cellule nervose si sviluppano
- noi abbiamo miliardi di cellule nervose -, ci sono delle relazioni molto sottili
fra una cellula e l'altra, abbiamo milioni e milioni di relazioni dentro il
cervello, ma queste non sanno dove stare. Cioè io pongo questo elemento,
questa intuizione che elaborerò, che ho già elaborato nelle lezioni
degli anni passati, ma che a mano a mano diventa sempre più concreto,
diventa sempre più vicino a questa storia biologica, a questa storia
della materia, a questa storia concreta che è il paradigma dominante,
cioè il paradigma dominante - paradigma significa il pensiero generale
della scienza della filosofia, della società umana - dice che le cose
esistono, che le cose sono concrete, che le cose sono fatte di enti sostanziali,
sostanziosi. Io dico che questo cervello si sviluppa grandemente, ma non ha
un luogo dove stare, cioè il problema dell'ideazione umana mi sembra,
per una sua parte, il fatto che la struttura somatica generale, il nostro corpo
in sintesi, è quello che domina ancora, per cui dominano le pulsioni
biologiche, domina la materialità, domina la configurazione fisica, mentre
l'idea è rappresentata entro un piccolissimo spazio che è la nostra
testa: noi ci rappresentiamo tutti l'ideazione dentro la testa, l'ideazione
non è nei piedi. Su questo altro livello di cui sto parlando l'ideazione
è da tutte le parti, cioè l'ideazione che sto ponendo non nasce
soltanto qua dentro, nasce da tutte le parti del corpo. Cioè il corpo
ha smesso di essere l'elemento pulsione, l'elemento fisico, l'elemento biologico
preponderante, dominante della storia evolutiva e si è messo a disposizione
dell'idea, l'idea che è diventata idea affettiva, la quale si muove nel
senso in cui tutto il sistema è diventato vuoto, è diventato ideatorio,
è diventato capace di ideazione; mentre di solito nella situazione umana
c'è una dimensione corporea grande*
e c'è un elemento piccolissimo dell'idea, qui dentro, per cui tutti quanti
fanno fatica a creare, a generare, pensare, a fare, fare e disfare perché
c'è questo elemento che è dominante che occupa, e il più
delle volte la testa è staccata da tutto il resto del corpo e tutta la
testa è compressa, è chiusa quando è staccata, quando il
corpo non sa pensare con la testa. Io dico che è successo il fatto che
si è sviluppata tutta questa parte della corteccia, tutto questo pezzo
del cervello e qui non è successo ancora niente, non è sceso*;
questo corpo, questo soma non è stato capace di trasformarsi, di trasfigurarsi
in funzione dell'idea, cioè l'idea che è un vuoto, che è
un'assenza rispetto al soma, ancora se ne sta da una piccola parte - l'idea,
il pensiero, la coscienza, l'autocoscienza e tutte queste categorie prettamente
umane.
Allora questo è un discorso molto ampio, è un discorso che può
portare da un punto di vista anche medico a delle conseguenze molto interessanti,
dal punto di vista, per esempio, del fatto che chi domina dal punto di vista
biologico, dal punto di vista della difesa dell'organismo sono dei vecchi sistemi
biologici: il sistema immunobiologico, il sistema immune, cioè il sistema
attraverso il quale il nostro corpo si difende, si difende dai cosiddetti nemici
esterni attraverso dei meccanismi molto sottili, anche molto interessanti dal
punto di vista analitico dello studio: il sistema immunobiologico funziona benissimo,
si blocca, entrano determinati animaletti, questi vengono mangiati, poi vengono
bloccati, succedono un po' di cose, attraverso i linfociti, attraverso varie
sostanze del sangue escono e sono capaci di andare a bloccare tutti questi cosiddetti
nemici. Però il fatto è che la struttura corporea umana è
ancora quella che domina, cioè il sistema immunobiologico non è
molto diverso dal sistema immunobiologico dell'animale; perciò l'uomo
è ancora difeso da un sistema che è privo di idea, cioè
non ha nessuna immaginazione, non ha nessuna idea, l'idea non è entrata
nei suoi sistemi biologici, cioè non è diventata un'idea maggiore,
non è maturata. Perciò l'uomo si trova il fatto che da una parte
ha un'idea, ha un cervello che pensa, questo cervello non sa dove scendere,
dove stare, dall'altra parte c'è un sistema che è completamente
animale anche dal punto di vista della difesa, per cui anche l'umano si trova
nel fatto che è in un ciclo spazio-temporale di come è fatta la
natura e da questo ciclo è determinato, per cui muore, cresce, fa, briga,
si moltiplica, si ammala, secondo quello che è un ciclo generale di uno
stato naturale, ma non attraverso quello che è la possibilità
del nuovo elemento che è nato, che in fin dei conti è nato come
Assenza: cioè il pensiero è un'attività assente, non è
una cosa concreta, è un' attività che non ha concretezza, che
potrebbe avere alla sua radice, alle sue origini la capacità dell'Assenza,
la capacità di essere altro, di essere diversamente e quindi di prodursi,
di entrare in questo soma, di entrare in questo mondo materiale, materico e
trasformare questo elemento materico in una dimensione assente, in una materia
di una proprietà diversa, di una proprietà simile al nulla, come
d'altra parte i fisici stanno pensando che la materia sia originata da lì.
Allora in questo caso ci sarebbero anche molto meno problemi dal punto di vista
della sofferenza, dal punto di vista del dolore, dal punto di vista di quello
che fino adesso è la situazione umana, anche perché la situazione
umana non si è evoluta insieme a quello che è il suo cervello;
e cioè il suo cervello non è capace di emettere, di produrre una
sostanza capace di entrare nel suo corpo, dentro la materia e di instaurarsi
dentro questa materia e di produrre un'idea che nasca anche dai piedi, che nasca
dal sesso, che nasca dalle orecchie, che nasca dal naso, che nasca da tutte
le parti, che nasca da terra. E questo sarebbe il primo passo verso un'evoluzione,
verso un ampliamento del fatto che il mondo a poco a poco diventa vuoto, perché
il mondo - ripeto tutto quello che ho già detto - è pieno perché
noi lo vediamo pieno, perché abbiamo il pieno in testa, perché
abbiamo un corpo pieno; se noi avessimo un corpo vuoto vedremmo tutto vuoto,
mi sembra talmente ovvio; cioè noi abbiamo dei vecchi sistemi, noi avendo
questi vecchi sistemi fatti di questo corpo che è vecchio, che è
fatto dall'evoluzione, noi vediamo tutto pieno, se noi avessimo il corpo che
si è svuotato che è diventato un'idea, capace di un'idea, di un'ideazione
vuota, il mondo sarebbe vuoto e sarebbe costruibile in maniera molto diversa,
molto più affettiva, capace di questo 0 di cui sto dicendo.
E questi sono gli spunti che sto cominciando a produrre dal punto di vista anche
molto concreto, molto terra terra: 'terra terra' significa che, man mano che
si sviluppa questo sistema dell'Assenza in una struttura organica biologica,
l'individuo - io sono molto di questa idea - la smette di ammalarsi in maniera
così idiota, come si ammala fino adesso, perché il sistema non
è più difeso a valle ma incomincia ad essere difeso a monte, cioè
entro un sistema diverso, ad esempio. E poi tutto questo a mano a mano porta
ad una serie di idee, di nuove comprensioni, per esempio, di tutto questo organismo
il quale organismo pensa la morte in un certo modo perché è fatto
in un certo modo, e la morte si comporta in un certo modo perché l'organismo
è fatto in questo modo. E questo testo incomincia ad avere in questo
scritto un nuovo tipo di approccio a tutti questi elementi che sono nati su
una struttura evolutiva, biologica, umana fatta di temi vecchi, per cui la morte
è nata insieme con lo sviluppo biologico della produzione, lo sviluppo
biologico di quando gli organismi hanno incominciato ad organizzarsi in un certo
modo, le cellule hanno incominciato a stare insieme, lì è nata
la morte, perché le cellule dovevano rinnovarsi e quindi dovevano cedere
il passo, e questo sistema della morte funziona ancora così: perciò
con tutto il cammino evolutivo che è avvenuto fino adesso non si è
spostato, e noi pensiamo sempre nello stesso modo, e tutto questo deve essere
pensato in modo diverso, dev'essere creato e generato in modo diverso. Ed è
quello che io sto ponendo, sto ponendo anche in questo seminario, nel senso
di dire: “Adesso vediamo anche tecnicamente, concretamente che cosa fare, come
pensare per esempio il tema della morte, il tema della malattia, il tema della
fisicità, il tema della musica e così via”.
Adesso anche se ci siamo spostati, io proverei a fare questo pezzo, anche se
siamo andati un po' in là verso una dimensione biologica, fisica.
Io a questo raddoppio poi volevo aggiungere alcune cose.
Questa qui è la Sonata n° 8.
Carlo Balzaretti: Sì, la n° 8, quella che l'altra volta però
ho eseguito da solo, oggi al tuo fianco.
(Carlo Balzaretti suona al pianoforte la Sonata Astratta n° 8 di Paolo Ferrari
il quale simultaneamente ne esegue il raddoppio alla clavinova - durata circa
6')
Carlo Balzaretti: E' una cosa incredibile come questa volta riuscivo
perlomeno a sentire tutto quello che facevi; e siamo sempre stati su un diatonismo,
cioè questo pezzo ha pochissime alterazioni, eravamo sempre in diatonismo;
poi suonando mi sembrava continuamente di fare un pezzo ciclico quasi, un continuo
ritorno; c'erano dei punti, per lo meno venivano fuori una serie di assonanze,
continuava a girarsi intorno questo pezzo. Penso sia venuto bene questa volta,
almeno, a me è piaciuto.
Paolo Ferrari: Sì. Infatti il punto che mi ero posto ieri, quando
ho incominciato a pensare di fare questo tipo di lavoro e questo tipo di raddoppio,
perché oltre tutto quando si forma una sonata, poi si struttura, poi
si distacca da me, non ne ho più il possesso, allora mi rimaneva il dubbio,
mi rimaneva il problema di come potesse essere ancora suonata nel momento stesso
che questa era stata già essa stessa un raddoppio di un'altra sonata
di Brahms, di un altro pezzo per pianoforte. E poi ho pensato che siccome anch'essa
era diventata un ente, quindi era diventata una piccola sonata, che questa potesse
comunque essere suonata; però mi ponevo il problema del fatto di come,
siccome questa qui era diventata una sonata con pochissime alterazioni - le
alterazioni sono i diesis e i bemolle, per chi non sa queste cose, cioè
sono i tasti neri -, siccome questa sonata per sua specificità, seguendo
come dicevamo l'altra volta un certo tipo di pensiero di Brahms, era diventato
invece quasi tutta di tasti bianchi, come potesse essere ulteriormente elaborata
attraverso soltanto i tasti bianchi, quindi senza delle alterazioni, quindi
senza i mezzi toni, in un cero senso, e quindi come potesse cantare senza ulteriori
mezzi toni.
Carlo Balzaretti: Almeno, a livello di soluzione mi sembra che quello
che sia risultato, almeno a livello di note, è che è venuto fuori
un procedimento molto a 'parti lato', cioè prendevamo un po' tutta la
tastiera; non so se vi siete accorti che in fondo le sonorità dalla parte
centrale della tastiera tendevano molto ad espandersi, per cui è venuto
fuori poi un discorso molto complesso nell'insieme, molto contrappuntistico;
ho notato in molti punti che ero sollecitato a scontrarmi con un contrappunto
che impostava, a cui io poi rispondevo. Vi ricordo sempre che io leggo delle
note già scritte. Poi una curiosità è che abbiamo finito
tutti e due con un sol esattamente nella stessa posizione.
Paolo Ferrari: Comincia a funzionare il sincronismo...
Carlo Balzaretti:...tanto che ho potuto notare il battimento tra il pianoforte
e la clavinova; l'accordatura è leggeramente diversa, minima, si poteva
notare in quel punto lì.
Paolo Ferrari: E volevo dire questa cosa circa il raddoppio, cioè
che il raddoppio in fin dei conti è quello che a me capitava, come dicevo,
in questa scrittura di questo saggio, cioè ponendo un determinato discorso,
questo discorso veniva poi ulteriormente elaborato, questa ulteriore elaborazione
era come se fosse un raddoppio di questo pezzo e questo pezzo quindi scompariva,
e mi scompariva un'altra volta. Oltre tutto in sintesi, per terminare, volevo
dire del fatto di come invece adesso per esempio io ho fatto questo pezzo per
pianoforte, che non ho registrato, non avevo voglia di registrarlo, ma avrebbe
potuto essere di nuovo un'altra piccola sonata in un certo senso, e questa dal
luogo dove si è formata non mi è costata tutto il lavoro pazzesco
di questo saggio; questa mi si è formata nel momento stesso in cui io
simultaneamente suonavo senza sapere neanche le note che stava suonando Carlo
Balzaretti, entrando simultaneamente in un rapporto di altro tipo che è
quel discorso, quel tessuto che io ho formato al di sotto di quel saggio. Ma
il saggio cosa comporta? Mentre il suonare, soprattutto la musica e i suoni,
i suoni per me sono un ente fatto in questo modo,*
cioè c'è una nota, poniamo che ci sia un do il quale diciamo che
ha questo segno fisico, è fatto così, questo è quello che
compare nel mondo; a me cosa succede? cioè io che cosa posso fare? Questo*
è tutto quello che compare nel mondo, io vado qua, taglio questo pezzo
che compare nel mondo, questo diventa 0, cioè diventa un no, si trasforma;
vado in questo luogo dove ci sono tutti gli altri infiniti do, re, mi, ecc.,
che poi sono le armoniche di questo do, cioè tutti gli altri suoni che
possono comporre poi questo do, ma questo è tutto vuoto, quindi è
tutto 0. Io seguendo il mondo dove il mondo non c'è, posso relazionarmi
con questo mondo in continuazione, in maniera simultanea dove questo mondo ha
bisogno di concretizzare in continuazione. Cioè, la radice di questo
do, di questa nota è una radice unica, il do in mezzo è quel do
lì e basta - ci sarà il do di violino, ha il timbro, ha l'altezza,
fatta in questo modo -, se io lo salto nel momento stesso che Carlo suona il
do, io vado qui sotto, io quello che vedo, vedo una zona vuota fatta di una
serie infinita di altri suoni che vanno a comporre questo do, ma non sono obbligati
a essere quel do; però non sono altro che la sintesi di tutti i suoni
che possono suonare in questa zona che è vuota, che è assente,
che non è obbligata a essere questo do. Perciò va la prima nota
qua, poi un'altra nota qua, un'altra nota qua; cioè io sono completamente
libero mentre, non so, per un compositore, un esecutore, questo do è
soltanto qua dentro questa radice; io andando sotto - oltre tutto, tutta questa
dimensione del suono che è vuota io la vedo luminosa, cioè questa
è piena di luce - io posso seguire questi elementi luminosi e mi si compone
come una grande composizione che mi dice: “Vai dietro a questa e questa si formerà
simultaneamente all'altra”, perché tanto è talmente più
complessa, talmente più affettiva, talmente più ampia, anche se
qui è una composizione di un altro tipo, comunque una composizione dell'Assenza,
e quindi questa era ancora più facile per me perché qui c'era
anche questo do, c'era comunque un do che sarebbe potuto essere anche un mi,
anche un fa, se l'esecutore, l'interprete, il compositore fosse stato capace
di pensare questo mi e questo do su questo livello in cui le differenze cambiano
di tipo di rapporto, di intervallo, di correlazione tra di loro, cioè
non sono quelle differenze che sono chiuse dentro la mente umana.
Non è facile da spiegare e comunque io muovendomi in questo trovo un
campo immenso in cui posso muovermi, le mani si possono muovere, posso andare
in relazione in questo campo che si è strutturato, che si è già
fatto in quell'istante e posso seguire e posso entrare in relazione con il Carlo
che sta suonando quell'altro pezzo, perché questo mondo che si è
formato è un mondo complessissimo in cui io so benissimo che non posso
fare un mi diverso da quel mi che sto facendo in quel momento, ma non mi costa
nessuno sforzo fare il mi giusto, anche se nello stesso tempo mi costa una concentrazione
massima, ma la stessa concentrazione che ho in questo momento: è una
concentrazione che di solito la mente umana ha in quanto chiusa qui, in quanto
ha qualche piccola ideuzza, qualche fumettino, mentre il mio corpo e quindi
questo universo che io abito è continuamente pensante, è continuamente
pensante in questo sistema affettivo per cui posso fare quello che voglio, quello
che mi piace, quello che mi sembra giusto fare.
C'è un altro fatto interessante di questi raddoppi che non so se avevo
accennato, ma è una cosa interessante perché fa capire la diversità
dei mondi in cui ci si muove, dove io mi muovo e dove mi incontro ed è
la difficoltà per cui un saggio mi costa così tanto, perché
è come travasare un mondo dell'idea umana fatta dentro a quel fumetto
dove gli vengono piccole idee che poi deve lavorare, continuamente lavorare
dentro un mondo così grande, travasare da uno all'altro in continuazione
per produrre poi un tessuto tale per cui il pensiero umano, il linguaggio umano
che è strutturato scientificamente, biologicamente, secondo i canoni
razionali in un certo modo molto ristretti, possa essere compreso e comprensibile
da chi legge questo saggio. Mentre la musica o la poesia o quelle che son dette
le arti per fortuna si sono fatte talmente libere e aperte, tali per cui una
persona può ad esse aderire senza dover passare attraverso la costrizione
mentale di antica specie, anche se per capire in fondo dovrebbe passare lo stesso
attraverso una struttura rigorosissima, tant'è che per arrivare, fare,
comporre un certo pezzo di musica o per suonare un pezzo di musica occorrono
anni e anni di lavoro per poter arrivare per esempio a fare una frase. Questo
rigore, questa altra dimensione in questo altro sistema è già
dato, è lì e io debbo ubbidire, cioè devo ritirarmi, non
devo essere più io fisicamente o quella fisicità vecchia, deve
essere quella fisicità nuova, svuotata la quale si adegua e incomincia
a suonare e incomincia a produrre una nota che è quella giusta.
Un'altra cosa interessante in questi raddoppi è che quando io mi metto
a suonare per esempio con un pezzo di Brahms o un pezzo di Beethoven, un pezzo
di Schönberg, e raddoppio questo pezzo e lo porto a me, cioè lo porto
a questo altro sistema, succede che nei giorni successivi e direi anche nei
mesi successivi, questo pezzo, l'autore - Beethoven, Brahms, ecc - ogni volta
che io metto su un disco o lo sento a un concerto, senza che io mi ricordi che
ho suonato insieme a Brahms, o insieme a Beethoven, o insieme a Schönberg o
Stockhausen, vado al concerto, sento un pezzo, ma anche un pezzo che non è
assolutamente il pezzo che ho raddoppiato - un pezzo per violino, un pezzo per
orchestra - lo trovo completamente povero, svuotato e non capisco perché,
perché magari fino a due giorni prima mi interessava, mi piaceva, tant'è
che l'avevo raddoppiato. Ed è un altro fenomeno che sto indagando, sto
cercando di capire: sembra il fatto che io essendomi mosso in relazione con
questo campo limitato del pensiero, questa struttura che è comunque questa
nota, è questo insieme di note*,
questi intervalli fatti in un certo modo, ma secondo certe leggi matematiche,
logiche, di un certo tipo, io avendo suonato su questo altro livello molto più
complesso, questo sia sceso su questo punto e tutto l'universo che era occupato
dal signor Brahms, dal signor Beethoven relativamente a quel campo, si sia prosciugato.
Fino a poco tempo fa mi stupiva moltissimo, perché per esempio a me piacciono
moltissimo le sonate di Beethoven, avevo a un certo punto suonato insieme con
la Sonata 110, mi sembra, e per diversi mesi non ho potuto più sentirla
perché non suonava: sentivo come se tutte le note invece di scintillare,
di produrre quello scintillio che anche il suono produce, cioè la luce
produce, la luce si fosse comunque potuta concentrare per poter suonare su questo
altro livello, per poter integrarsi su questo livello, ed era prosciugata. Ora
questo qui ogni tanto è il mio timore della mia relazione con le persone,
con gli altri, col mondo, ecc...e dico: “No, no, per carità che il mondo
non si prosciughi” perché io ne ho bisogno, ho bisogno di continuamente
pensare con questo. Può essere il fatto che si siano prosciugati gli
elementi in più, cioè si siano prosciugati gli elementi timbrici
in più di un certo tipo di orchestrazione, certi elementi, certe altezze
dei suoni che Beethoven ha usato per riempire un certo spazio, ma perché
non era l'ideazione giusta in quel momento; possono essere una serie di fenomeni
di questo tipo, perché poi dopo invece, passato un mese, due mesi, tre
mesi, questo suono ritorna, ma ritorna in un certo senso rinnovato, cioè
lo risento in maniera nuova.
Cose, fenomeni di questo tipo mi capitano anche con la pittura, mi capitano
anche in altri campi quando osservo profondamente, soprattutto coi suoni. Ma
questo è interessante perché nella relazione per esempio con gli
umani, con le persone, il fatto che se questo è vero, cioè se
con le persone a poco a poco si forma questo livello 0, cioè scompaiono
gli elementi in più, gli elementi negativi, gli elementi concreti, questo
elemento a poco a poco si forma - dico del mondo -, a poco a poco dovrebbe far
sì che, prosciugandosi gli elementi in più, gli elementi eccitati,
gli elementi di questa concretezza biologica, a poco a poco ritirandosi, ponendosi
al suo interno, a poco a poco si potesse formare questo elemento, cioè
potesse esserci un corpo che a poco a poco è capace di scavare attraverso
questi continui azzeramenti che io chiamo Assenze,*
ma che quasi a livello biologico si possono formare; questi continui azzeramenti
è il fatto che questa testa che prima aveva un posticino e quindi che
questo pensiero, questa mente incomincino a poter penetrare e penetrare nel
mondo in modo che il mondo faccia spazio, invece di essere occupato da tutti
questi altri meccanismi, faccia spazio a questo elemento molto più astratto,
molto più sottile, affettivo, molto più lieto in un certo senso,
molto più allegro, con dentro l'ideazione, quella di cui ho esperienza
in continuazione che è bellissima, che è di una grande libertà
e che è capace di generare soprattutto, perché genera la musica,
genera tutto questo, genera nell'istante in cui si pone. E con questo ho finito.
Ci vediamo mi sembra giovedì 17 febbraio.
Arrivederci.