XI lezione 1992-1993
Stasera ho molto materiale da mostrare. Ciò significa che la ricerca
procede spedita o, meglio, come spero ormai sappiate almeno in parte, ci stiamo
addentrando a mano a mano entro il luogo del paradigma ordinario, delle regole
che sostengono la modalità normale con cui la vita è vissuta,
riconosciuta come tale, sperimentata e poi eventualmente analizzata in modo
che possa venire a conoscenza dell'uomo o, più specificatamente, del
sistema nervoso centrale umano, del cervello, ovvero dell'encefalo. Sembra che
negli ultimi secoli abbia preso l'avvento proprio la dimensione cerebrale encefalica
per la quale la conoscenza e, in particolare, la conoscenza scientifica è
fondamentale: in tale direzione ci stiamo muovendo anche nell'ambito della ricerca
che si basa sul livello dell'assenza.
Se a un certo punto del livello dell'assenza, che possiamo porre ovunque in
quanto assente, in quanto essere del nulla o assentarsi o astenersi ovvero essere
altro, vi era la libertà di dire come il pensare potesse agire, potesse
prodursi ancorché nell'assenza e limitarsi - nell'assenza più
alta, come ho già più volte spiegato, tale procedimento viene
meno, è altro, è totalmente altro -, addentrandosi ora verso l'organismo
biologico, nei riguardi della scienza, della medicina, nei riguardi di quella
che abbiamo chiamato la cosità del mondo, il materiale che s'incontra
è parecchio, talora anche pesante, e prima che esso si renda assente,
possa ruotare e mostrare l'altra faccia, occorre un grande lavoro, una grande
fatica. Talvolta si riesce, talvolta il lavoro può essere anche rimandato
in quanto il momento, il luogo, lo spazio e il linguaggio non sono ancora adatti
per muovere e per smuovere quel dato di realtà che finora è stato
il fondamento su cui la vita si è basata.
Fra il materiale che proporrò stasera, se riuscirò a farlo entrare
all'interno del discorso, c'è anche la musica. Ho composto stamattina
un pezzo, una piccola sonata che ho chiamato 'Astratta' e stasera vorrei proporla
accompagnandola anche con l'altro linguaggio, ovvero producendo simultaneamente
il secondo livello rispetto al primo livello già composto.
La proporrò a condizione che entri nel discorso, perché la difficoltà
nei processi che produco e che nell'ambito dell'assenza si debbono fare, è
che essi non siano mancanti di nulla, eppure siano di codesto nulla compiuti.
Se rivedrete le lezioni, osserverete che ognuna ha un compimento: nasce, si
svolge, decresce, si svolge ancora, muore, nel senso che cessa e si astiene.
Ogni lezione è tale non solo di per se stessa, nei suoi vari passaggi,
ma anche in relazione alle altre, nel senso che la prima lezione risuonerà
insieme con l'ultima, la penultima risuonerà con la seconda e così
via: in quanto la relazione è compiuta, è completa ed è
una relazione affettiva fra tutti i linguaggi di cui ci stiamo interessando.
La musica è uno dei linguaggi importanti di cui mi occupo; ho già
spiegato che spesso viene prodotta su due livelli, il primo dei quali è
un livello assente che si muove con un certo discorso melodico, incomincia,
si sviluppa, decresce, si assenta, cessa: ogni punto è comprensivo, A
finisce con Z e B con una lettera qualsiasi, con una L, una F, una O: i vari
punti hanno una relazione in quanto tutti di valore zero, 01, 02, 03, 04, 05,
ma essi sono altrimenti rispetto ad una successione numerica, nel senso che
01 potrebbe essere in relazione con 08 e 08
potrebbe essere in relazione con 02 e così
via: la relazione non è fissata una volta per tutte, bensì ogni
volta che viene ascoltata si forma da capo nuova, come tutti i punti che compongono
il corpus delle lezioni. La complessità di tale musica consiste nel fatto
che nel suo sviluppo nessun punto viene ripreso, ma ogni punto è variato,
costituisce un linguaggio successivo, nuovo, ulteriormente assente, ulteriormente
posto, la cui novità tuttavia non lo slega dal punto precedente, lo pone
nel distacco ma sempre nello stesso identico luogo; il distacco produce eventualmente
nell'insieme un luogo completamente differente.
La combinazione di codesti legami e la loro complessità compongono la
lezione, compongono la Lettera-saggio sull'Assenza di cui abbiamo parlato la
volta scorsa e alla cui lettura ed eventuale approfondimento siete stati invitati.
In essa un tipo di linguaggio più attinente al paradigma cosiddetto scientifico
si compone e a mano a mano, nello svilupparsi, si trasforma e diventa altro;
eppure esso passa attraverso una strettoia - la cruna dell'ago - che definirei
quasi 'molto ampia', ma che è pur sempre una strettoia: il tipo di linguaggio
che riesco a dare o che dall'assenza nasce fa sì che la strettoia stessa
diventi ampia, ma non di quell'ampiezza lassa che probabilmente caratterizza
la realtà vissuta quotidianamente.
In generale, la realtà vissuta normalmente nel quotidiano e anche conosciuta
dalla scienza, dalla storia, dalla filosofia, dalla matematica, si dice essere
sistemica, anche se non credo lo sia veramente. In termini elementari, 'sistemica'
significa che ogni suo componente risponde di una relazione con gli altri: muovendo
uno dei componenti del sistema, anche gli altri si mettono in moto relativamente
alla prima azione, alla prima modificazione: il sistema, cioè, è
correlato con tutti i propri elementi che fungono da variabili l'uno rispetto
all'altro. La concezione sistemica, dei grandi sistemi, dei sistemi e degli
equilibri complessi è una delle concezioni d'avanguardia degli studi
scientifici attuali e afferma che, mosso uno degli elementi della realtà
sotto osservazione, anche gli altri entrano in una nuova condizione e che, modificato
lo stato di un componente, si modificano anche gli stati degli altri componenti.
Credo che ciò sia vero nel campo della fisica, di una fisica tuttavia
ancora ancorata a sistemi obsoleti, a procedimenti rigidi, per cui esiste sì
la concatenazione, ma è un effetto troppo semplicistico, troppo legato
al tipo di relazione di causa-effetto.
In definitiva, mi sembra che la realtà che abitate sia fatta a maglie
molto larghe: mi vengono in mente delle losanghe fatte di grandi spazi vuoti,
di spazi assenti, tendenzialmente vacui, non abitabili, non abitati: la realtà
che si abita è una realtà che solo talvolta risponde a un'interrogazione.
Ammesso che il reale abbia un qualche elemento di concretezza - ora, contrariamente
al processo fatto in precedenza di non esistenza, di assenza del reale, ammetto
che la realtà esista - , entro in codesto campo e dico che esso esiste
e ha una sua concretezza, un suo significato, ma tale significato è come
se fosse composto di maglie molto larghe per cui, a una domanda o a una sollecitazione
di un punto, non risponde affatto tutto il resto, ma spesso la sollecitazione
di un punto provoca come delle 'vescicole', degli elementi vacui: la risposta
del reale non è una risposta sistemica, è una risposta che alcune
volte si attua, altre volte non si attua. Le varie componenti della realtà,
lo spazio stesso, la lingua, lo stesso pensiero umano, il modo di stare delle
cose, la fisicità, gli elementi concreti, la sonorità del pianoforte
o di altri strumenti, non rispondono immediatamente, simultaneamente quando
vengono interrogati o sollecitati: mi sembra perciò che non si tratti
realmente di un sistema complesso, caratterizzato da relazioni ampie e simultanee,
o almeno molto veloci.
Il sistema di cui sto parlando, invece, è il contrario: è un sistema
in cui - ve ne accorgerete nel leggere in modo più approfondito la Lettera-saggio
che ho composto - a una sollecitazione immediatamente ne risponde un'altra,
come in una sorta di sollecitazioni successive a fasi subentranti le
quali permettono che il discorso possa passare attraverso una cruna strettissima
e, avendo attraversato un luogo circoscritto, possa in seguito espandersi nuovamente:
tale espansione, e quindi il discorso che sto ponendo, differentemente da qualsiasi
altro tipo di discorso o di linguaggio usato fino adesso - linguaggi che abbiano
un rigore scientifico, che producano in qualche modo una realtà esistente
al di fuori del soggetto pensante - non occupa spazio. Il discorso scientifico
o filosofico o logico, anche il discorso ordinario tra le persone, la relazione
tra i corpi delle persone, occupano spazio, tendono a saturare il mondo. Al
contrario, il discorso che sto facendo, pur essendo un discorso ipercomplesso,
ipersistemico, in quanto che ogni punto reagisce all'altro punto ( punto contro
punto, il contrappunto ) in una rete, in una tessitura fittissima ove ogni movimento
è recepito dal successivo - penso continuamente in termini sistemici,
per cui dal primo all'ultimo tutti i punti anche microscopici sono in relazione
-, una volta che sia compiuto e che entri nello statuto generale di chi legge
e di chi pensa, non occupa spazio, anzi, a sua volta produce uno spazio,
un nuovo mondo: si tratta di una differenza fondamentale. Qualsiasi
tipo di discorso della fisica o della metafisica produrrà sì,
talvolta, un qualche linguaggio probabilmente libero, se passa attraverso codesta
cruna, se riesce a passare dal livello dell'assenza, ma tutto il resto otturerà,
produrrà una chiusura degli interstizi possibili.
Nel discorso che sto ponendo se da A vado fino a B, tutti i punti intermedi
sono correlati strettissimamente, quasi non si vedessero e come se A fosse A0,
A1, A2, A3, A4; tutti comprendono una sorta di cellula, poi un'altra e un'altra
ancora, e tutti i punti sono nello stesso identico luogo, in quanto, nel discorso
al limite, ogni punto è simultaneo a se stesso e, nella simultaneità
e nel pensiero che riesce a pensarsi, si rende assente.
Forse ho accelerato un po' troppo il discorso; d'altra parte ho il problema
di tenerlo tutto insieme e tenere insieme anche voi al suo interno: ogni vostra
combinazione encefalica - chiamiamola così - è tenuta insieme
nel momento stesso in cui espongo la successione degli argomenti.
Volevo ulteriormente aggiungere che, se da una parte abbiamo l'ente che ha una
sorta di unità, ove A arriva a B o a Z ed è comunque zero
perché non occupa - fino a poco tempo fa, era per me sufficiente che
tale elemento, tale argomentazione, considerazione, codesta complessità
fosse sussunta, fosse presa nell'unità -, già l'anno scorso, tuttavia,
avevo cominciato a porre sotto critica la condizione dell'unità, affermando
che l'unità non è adeguata, che è comunque appartenente
a un mondo monoteistico, che è un'idea troppo compressa, tenuta globalmente
chiusa entro un sistema solo, e che occorre un altro sistema che raddoppi l'unità,
che sia l''altro' rispetto all'unità. Ogni volta che si forma un alcunché
nel mio discorso, poniamo A, si porrà comunque al suo fianco un A0, con
B si porrà un B0 che è la sua alterità, anche se A e B
sono già diventati assenti, sono già diventati nulla.
Per cominciare a concludere il discorso perché temo che diventi troppo
difficile, se in tutto il sistema formo l'unità, contemporaneamente formo
anche la sua alterità, se formo il suo zero si forma insieme un
doppio zero o un'altra forma: nel formulare l'unità, formo
anche il suo essere niente, essere altro, essere diversamente da sé,
pongo continuamente l'altro, il fatto che esista la diversità. Così
come avviene in ogni discorso che compio, in ogni discorso fatto sul livello
dell'assenza, la lettera che avete letto, al suo concludersi finale, avrà
detto la sua unità perché è unitaria, perfettamente unitaria,
ma sarà pure ruotata perché avrà detto anche la
sua alterità, in quanto che simultaneamente si pone un'altra unità
che è vuota. La cosa straordinaria è che siffatto elemento, in
qualsiasi momento e luogo si ponga, in qualsiasi istante e con qualsiasi relazione,
è comunque diverso, diverso da se stesso.
Per andare un poco oltre, tutto ciò mi andava bene finché
eravamo nell'ambito della metafisica, di quello che era il vuoto, il nulla,
oppure nell'ambito dell'assenza, ma adesso vorrei che, all'interno del procedimento,
nella mente umana, nel contenitore umano, incominciasse a formarsi l'esistenza
di una 'cresta', di un andamento, di una melodia, di un contrappunto e che possa
formarsi nella testa razionale, nel capo umano il fatto del suo essere contrappunto,
del suo essere punto contro punto, del suo essere tessuto. Se ciò si
forma nell'individuo, nella specie umana, il contenitore della mente che è
rigida nei suoi elementi più compressi, più chiusi oppure più
lassi della realtà, assumerà al suo interno un nuovo valore di
realtà, comincerà a vedere il mondo in maniera diversa, perché
il suo tessuto sarà più fitto e molto più significativo.
Come si può notare, partiti da un punto abbiamo compiuto un giro e siamo
ritornati ai livelli diversi della mente, alla mente che deve accogliere, prendere
dentro di sé e che deve, per apprendere qualcosa di nuovo, far sì
che quello che stiamo dicendo circa il piano dell'assenza non vada cancellato,
ma incominci a rimanere. Perché ciò avvenga l'individuo si deve
applicare, è necessario che ci pensi e, preso un determinato testo, occorre
che lo produca nella mente in modo tale da poterlo replicare. Fino adesso
era come se tutto ciò potesse essere introiettato nell'individuo che
si trovava svuotato dei suoi vecchi elementi, quasi della sua vecchia natura
e liberato nel campo nuovo. Adesso, invece, occorre che oltre all'elemento di
liberazione - si tratta di una liberazione parziale tuttavia perché il
mondo viene poi di nuovo saturato completamente - incominci a formularsi nella
testa un procedimento razionale tale per cui il discorso possa almeno in parte
essere riformulato, replicato in modo anche piccolo, discreto, ma non parziale:
occorre la replicazione. Al discorso che sto facendo occorre che la mente dell'altro
risponda, possa replicarlo e dire un alcunché circa quello che sto dicendo
non soltanto nei termini di un unico punto, ma di un'articolazione d'insieme,
perché uno dei maggiori difetti della mente umana è l'incapacità
di una grande articolazione, di un'articolazione punto per punto e di tutti
i punti insieme, che poi si astraggono, diventano nulla e diventano altro. Ma
anche senza una tale capacità, per il momento è però necessario
avere la capacità di un'articolazione priva di frammentazione: il discorso
che faccio non è mai frammentato, ovvero non è mai frammentario,
è un tutt'uno che si articola nelle sue varie sottounità o sottocomponenti
o sottoinsiemi o particelle o piccolissime unità.
Adesso, potrei farvi sentire il discorso che ho fatto espresso nel linguaggio
musicale.
[ Pausa per preparare gli apparecchi per l'ascolto ]
Posso provare tramite la musica a farvi capire il fatto del raddoppio dell'unità.
Come dicevo, stamattina ho composto un pezzo per pianoforte che adesso raddoppierò:
su un livello A che si sviluppa secondo una certa linea, stasera porrò
un altro livello il quale è come se fosse l'elemento simultaneo che lo
fa ruotare, che lo fa compiere ulteriormente; anche il primo livello è
compiuto, ma il secondo, che una volta era come se facesse ruotare completamente
tutto il sistema e lo ponesse vuoto e assente, adesso è quello per cui
anche la parte sovrapposta può rimanere e possa formarsi come un'articolazione,
una cresta, come se fosse un distacco, si ponesse un ulteriore distacco. Ciò
è un anticipo di quello che stiamo studiando e su cui stiamo lavorando
con il mio amico Carlo Balzaretti, qui presente come studente; probabilmente
una volta suoneremo insieme direttamente, Carlo lavorando su un livello che
poi replicherò, raddoppiandolo, sull'altro livello.
Adesso raddoppierò me stesso di un pezzo composto stamattina.
Nel discorso, è necessario introdurre ancora un altro punto. Nel sistema
unitario, capace della sua complessità unitaria e insieme anche della
sua simultaneità e della sua assenza simultanea, nel compiersi, nasce
in me la domanda, che mi pongo nella seconda lettera che sto scrivendo, di come
- si tratta della premessa dell'inizio della lezione - il livello di cui parlo
possa entrare all'interno della vita: oltre al fatto del pensare, del conoscere,
dei linguaggi assenti, dei linguaggi posti stasera, dei linguaggi della mente,
perché la vita prende forma? in che modo, nel suo assentarsi, nel suo
essere altro, risponde la vita? E' il problema che sto vivendo con me stesso:
una volta, come vi ho detto, ne avevo l'esperienza su un livello in cui tutto
era vuoto e assente; adesso il procedimento è più interiore, più
fisico, quasi più biologico: sto interrogando la struttura biologica,
anche il metodo della medicina, il linguaggio relativo alla fisicità,
al cosiddetto io fisico che mi chiedo come e perché possa rispondere
in un sistema più complesso e come si possa porre.
Uno dei grandi temi a cui sto arrivando è che, nel livello alto dell'assenza
o anche in quello che stiamo esplorando adesso, molto probabilmente la sensorialità
è totalmente cambiata, la dimensione sensoriale - una delle dimensioni
prime che si formano nel contatto del bambino con la madre, con l'oggetto -
è uno dei livelli che nella nuova condizione d'assenza viene totalmente
meno, ovvero si trasforma completamente, diventa altro, e non solo la sensorialità,
ma anche i suoi correlati o quello che costituisce la struttura un po' più
complessa, la percezione; come se in tutto il movimento che sto andando a formare,
a disegnare, a comporre anche nei linguaggi profondi del sistema nervoso centrale,
quest'ultimo, l'encefalo, cioè, avesse preso in mano il pallino, come
se il discorso cerebrale avesse preso in mano i linguaggi dell'evoluzione della
specie. Sintetizzando, perché diversamente diventerebbe un discorso troppo
ampio, è come se nell'evoluzione delle specie, dal mondo vegetale, animale,
al mondo umano, la caratteristica principale fosse stata la natura fondamentalmente
somatica, corporea e quindi sensoriale, dello stimolo-risposta elementare che
comunque si organizzava in funzione del mantenersi, del replicarsi per forza
di cose della vita: all'apparato sensoriale e all'apparato sessuale ha fatto
seguito nei sistemi un po' più complessi, nei sistemi umani, del bambino,
il principio di piacere, mentre è come se il principio di realtà
sia stato l'ultimo ad essere arrivato.
Con il Principio d'Inclusione, che ho posto come trasformazione del Principio
di Realtà, è come se il centro appartenesse ormai all'encefalo,
fosse dominante il cervello centrale, fosse la parte più astratta, il
linguaggio più astratto a dire la sua e a portare con sé l'evoluzione
e perciò la sensorialità nel nuovo sistema: la sensorialità,
che è comunque un vestito, una sorta di corpo ancora grezzo, chiuso,
incomincia a tacere, la percezione incomincia a tacere, tutto l'apparato sta
zitto; chi invece sviluppa la sua maturazione è la parte più astratta,
che diventa sempre più ampia, per cui si capisce abbastanza bene perché
il cervello dica che non c'è nulla, che non c'è niente, che è
il nulla. La sensorialità fa vedere gli oggetti, dà una forma,
il colore, la sostanza, e in un certo senso dà il tatto che produce la
contingenza degli eventi, mentre il cervello nel suo centro è
assolutamente assente, è totalmente astratto.
Ho introdotto codesto problema che è interessante e che sto sviluppando,
perché io 'sento' sul nuovo livello, non in termini di senso, bensì
con il cervello, ho esperienza attraverso il cervello, attraverso l'organo centrale
che ha superato la condizione di vita normale, ordinaria. Sul nuovo livello
anche i colori, le forme, i suoni - come spesso ho detto - assumono una valenza
diversa: il suono è altro, è silenzioso, però nel suo silenzio
il la è comunque il la diverso dal do, ma è silenzioso e quindi
ha un'altra qualità, molto più alta; il suono che 'sento' ha una
qualità altissima, è all'interno del sistema complesso, non passa
attraverso la sensorialità o la percezione che comunque sono filtri,
sono muri - almeno quando la sensorialità è molto sviluppata -,
sono quegli elementi della sensitività che tuttavia portano a una sorta
di isteria, di linguaggio vacuo, non certamente alla profondità del nulla.
Cercherò ora di porre, di produrre proprio codesto nulla attraverso i
suoni, i quali si combinano simultaneamente, in forme complesse, parlandomi
direttamente nel punto centrale: mentre parlo, parlo direttamente dal punto
centrale che è contemporaneamente il mio elemento ricevente, ma svuotato
dalla sensorialità, ovvero dagli apparati periferici: è come se
ricevessi continuamente sul centro e da esso parlassi - parlo infatti di simultaneità
centrale, di unità, di unità raddoppiata che sono continuamente
punti centrali. Nel centro, adesso, mi appresto a porre il discorso musicale
il quale, da un certo punto di vista, è anche sensorialità, ma
si tratta di una sensorialità molto semplice, nel senso che non deve
istigare il senso, ma deve far sì che esso stia zitto, mentre chi riceve
è il punto, è il mondo centrale che è comunque assente,
è l'astrazione dell'esistenza.
[ Inizia la musica, precedentemente registrata, e qualche secondo dopo, Paolo
Ferrari inizia il raddoppio simultaneo al pianoforte - il pezzo è di
circa 4 minuti ]
Spero di aver fatto comprendere l'intrecciarsi dei due discorsi, anche se gli
strumenti erano profondamente diversi, in quanto uno era uno strumento elettronico,
l'altro era uno strumento più aperto ed anche più sonoro. Non
so per quale ragione mi nasceva un maggiore canto rispetto a quello a cui sono
abituato, anche se posso anche immaginarne il motivo. Quello che volevo dire,
se l'ho detto, è come ogni nota ovvero ogni anti-nota ( come un'anti-cosa
) abbia il suo posto esatto all'interno del nuovo linguaggio e si combini con
tutte le altre e come il tessuto che si forma non abbia interstizi vacui o lassi,
non sia un tessuto molle, un percorso che non porta a nulla, bensì ogni
punto abbia al suo interno il significato, i suoni che si intrecciano abbiano
un significato, come un punto dell'encefalo il quale incomincia a dirigere il
gioco, a proclamare la propria esistenza al di là della sensorialità,
al di là dei linguaggi periferici, saltando direttamente il piano inconscio
il quale si forma invece attraverso una somaticità prevalentemente di
tipo tattile, di tipo sensoriale-periferico, appartenente ai linguaggi a diretto
contatto, in modo greve e grezzo, con i fattori esterni e le relazioni incapaci
di un distacco sufficiente. L'abbandono del piano sensoriale significa la capacità
di un distacco ulteriore, significa il fatto che la specie è capace
di distaccarsi dal soma, dalla struttura contratta, antica, obsoleta
che si è portata addosso per far fronte al cosiddetto ambiente esterno
e alle sue mutazioni: la specie si libera dalla necessità di una risposta
a un ambiente il quale è già totalmente modificato, è totalmente
altro, è ormai un ambiente fatto dalla cultura stessa di un encefalo
che ha imparato un linguaggio complesso, dall'articolazione verbale astratta.
13 maggio 1993
( Il suono raddoppiato e il centro dell'encefalo astratto: il nuovo distacco.)