IV lezione 1992-1993
Voglio parlare della genesi del mio discorso, ovvero di come nascano le lezioni
perché si tratta di una condizione molto particolare che si viene generando
nelle diverse componenti della relazione da me posta tra il mio pensare, la
realtà, voi che ascoltate e il pensare in sé - quel tipo di pensare
che è al di là o al di qua di una linea che ho chiamato in certi
scritti l''emergenza', ossia l'emergere.
Poniamo che vi sia una linea di spartiacque1 sulla quale si pongono le
cose del mondo, tutte le cose vissute, esperite, conosciute avvengono nella
zona superiore. Parlo di 'emergenza' perché, rispetto a un valore zero
attribuito alla linea di spartiacque, esse soprassiedono, si pongono al di sopra,
emergono. E' il campo delle cose visibili e, aggiungo, anche delle cose invisibili
- visibilia et invisibilia - ove si pone tutto quello che è stato
pensato finora. C'è una discriminante di base a livello della vita la
quale, nella sua filogenesi, nel suo sviluppo dai primordi e credo dai primordi
della materia stessa, ha deciso che una serie di cose stavano al di sopra e
di esse bisognava pensare 'sopra'.
Il nostro pensiero, comunque sia, è un pensiero sopra, è un 'sovrappensare',
e ciò vale anche per il vivere. Noi viviamo - o almeno abbiamo vissuto
fino adesso - al di sopra di una certa soglia, mentre tutto ciò che avviene
al di sotto non è conosciuto, non è vissuto, ovvero il mondo,
la realtà stanno al di sopra della linea di spartiacque. Non credo sia
una combinazione che io abbia disegnato la linea infinita abbastanza in alto,
lasciando poco spazio al di sopra, giacché il pensiero di cui sto parlando
si pone per intero al di sotto e pure al di sopra di essa, ossia anche l'esistenza
della linea è stata oltrepassata, è venuta meno e tace.
Credo che già di primo acchito ciò vi possa dare un senso di enorme
libertà; mi chiedo infatti come l'uomo abbia potuto vivere fino adesso
nell'ambito di un sistema così chiuso, in cui la conoscenza si è
sviluppata, è finita ed è morta. Non è mai esistito un
pensiero il quale potesse pensare svuotato di sé perché è
un paradosso; non è mai esistita una vita che potesse pensare di sé
o esistere di per sé, libera da se stessa, non sostanziata, non materializzata
o materializzata in altro modo, altrimenti.
Nei limiti in cui è possibile nello sviluppo del nostro discorso, anche
nella relazione con voi penso di dover far sì che il sistema sottostante
possa avere uno spazio o avere un linguaggio, che possa essere intuita l'esistenza
di un linguaggio diverso da quello sovrastante e di un pensare diverso dal sovrappensare;
che l'assenza possa diventare, per piccoli tratti pure, un ente abbastanza naturale,
che si inserisca cioè nella natura biologica.
Il sistema sovrastante - come vedevamo la volta scorsa - è molto rigido,
duro. Il sistema naturale scandisce il tempo, scandisce i suoi atti, scandisce
la sua memoria in maniera estremamente rigida e così il ciclo della vita:
ci sono una nascita, una crescita, una morte scandite in quel modo biologico
che non lascia nessun tipo di altro interstizio se non la sua propria scansione.
A un certo punto di tale scansione così rigida è intervenuto l'uomo,
nell'evoluzione si è fatto l'umano: il sistema estremamente rigido a
un certo punto è riuscito a secernere, a spremere quello che noi abbiamo
chiamato il pensare, quello che poi sono stati la cultura e il linguaggio.
Ma tutto il linguaggio, tutta la cultura si sono messi ancora al di sopra: sono
un soprappensare, un sopravvivere, un 'sopra-vivere' ovvero la vita è
costruita in modo da conservarsi e da sopravvivere. Qualsiasi atto compiuto
nell'ambito della storia vitale viene fatto in funzione della sopravvivenza,
della propagazione della vita.
La vita, una volta instauratasi nel mondo, ha avuto un'enorme potenza, propagandosi
e impossessandosi dell'ambiente che si dimostrasse adatto: la vita all'apparenza
così fragile, ha avuto e si è costruita invece una potenza - un'onnipotenza
dico - enorme. Dalla vita e nell'evolversi della vita, a un certo punto si è
formato l'uomo: la vita da elemento sostanzialmente biologico, da elemento che
tendeva a una sopravvivenza elementare ha prodotto una sopravvivenza - dico
ancora 'sopravvivenza' - più complessa che è stato l'uomo.
Tutto il sistema tende dunque a sopravvivere che vuole dire propagarsi, vuole
dire trovare il modo di produrre un alcunché di simile a sé, e
ciò è la riproduzione sessuale. Il sistema umano, come tutti gli
altri sistemi biologici, è improntato alla sua sopravvivenza e uno dei
suoi sottosistemi fondamentali è quello sessuale fatto in funzione della
sopravvivenza della specie. Pertanto la specie umana, nonostante sia nato il
pensiero, sia nata quella che è chiamata la coscienza - la capacità
cioè di autoosservarsi, di osservare all'esterno e di avere coscienza,
conoscenza di ciò che si osserva -, costituisce ancora un sistema legato
alla sopravvivenza, in funzione della quale si configura tutta la sua struttura
biologica, psicobiologica di base. Nel sistema umano in un certo senso non esiste
il nulla, non esiste un sistema più ampio che vada al di là di
quella sopravvivenza che è fondamentalmente una cosa.
La volta scorsa abbiamo visto che il sistema umano che ha pensato il mondo ha
prodotto in esso fondamentalmente la cosa. Da un elemento primordiale, da un
luogo privo di forma, privo di vita, privo d'identità, l'umano ha prodotto
a poco a poco delle scansioni, come se avesse smangiato quella palla che era
la cosa, la cosità del mondo - immaginando l'elemento primordiale come
se fosse una sfera molto chiusa su se stessa, priva di forma. A poco a poco,
attraverso lo sviluppo del pensiero, attraverso lo sviluppo della civiltà,
attraverso le lunghe fasi primordiali di formazione degli uomini, la cosa ha
potuto venir meno e il mondo diventare un po' meno cosa, meno cosità.
A mano a mano è nato un procedimento d'astrazione per cui il mondo ha
potuto essere osservato, si è potuto avere coscienza del mondo, il mondo
ha preso forma.
La rigidità che gli uomini sentono spesso dentro di sé, nella
relazione con l'altro, nella relazione con le cose, nella relazione con l'universo,
è un residuo dell'elemento informe; il fatto che voi pensiate un oggetto,
un mondo, la persona che sta di fronte, è comunque un tentativo di far
sì che la cosa che vi sta di fronte diventi un poco meno cosa; se non
esistesse il pensiero, esisterebbero soltanto cose, cosità prive di alcuna
forma.
Persino la Genesi, nella Bibbia, indica in certo qual modo l'esistenza della
cosa primordiale. La Bibbia inizia col fatto che Iddio fece la terra e il cielo,
ma il cielo e la terra erano informi e deserti, esisteva l'abisso coperto di
tenebre. Il concetto fondamentale della Genesi, di codesta scrittura tanto importante
nella storia umana, è che la terra fosse deserta e informe come se all'origine
fosse una cosa e, in quanto cosa, fosse 'deserto informe' e pertanto non potesse
esistere al mondo. Era talmente minima l'esistenza della cosa, della terra e
del cielo, dell'universo, che Iddio disse: Sia fatta luce!
Interviene un ulteriore elemento che è il verbo, che è la parola
la quale produce un alcunché, la luce, che è un procedimento di
astrazione sulla cosa e da tale momento incomincia la creazione, la separazione,
il giorno viene separato dalla notte, il cielo dalla terra e così via.
Mi ha sempre colpito la cosmogenesi della Bibbia in quanto è come se
vi fosse delineato molto bene il grande capitolo dell'origine del pensiero,
più che l'origine del mondo: viene descritto come la cosa possa venire
meno, come l'idea del mondo, l'assenza, la capacità di sottrarre cosa,
cosità al mondo produca luce, produca la separazione e quindi le forme.
Sul piano della sopravvivenza c'è stato lo sforzo continuo dell'umano
di produrre un ente che fosse meno cosa, un ente più astratto. Come abbiamo
visto, il linguaggio è un'astrazione, l'affetto è un'astrazione
e, se l'affetto non è fusionale, esso è il riconoscimento dell'altro
e quindi è un'astrazione: i due corpi, i due enti stanno separati e possono
riconoscersi.
Uno dei passaggi fondamentali dell'uomo è quello per cui, in una certa
fase della sua vita chiamata 'fase edipica', c'è la separazione dal genitore:
il figlio si separa dalla madre, la figlia si separa dal padre. Prima di ciò
un elemento di fusione tra le due entità ne impedisce il distacco: il
bambino nato si lega alla madre e tenta di venire al mondo attraverso il seno
materno, ma deve aspettare una certa maturazione in modo che la cosità,
l'insieme delle due materie fuse l'una all'altra possa staccarsi, così
come la mela cade dall'albero ormai matura e tutti gli avvenimenti hanno bisogno
di una loro maturazione, di un procedimento di coscientizzazione. L'unione deve
a poco a poco astrarsi, deve encefalizzarsi, come dicevamo la volta scorsa,
si deve formare un affetto tale per cui il bambino sia capace di separarsi e
la madre sia capace di dire al figlio di separarsi: ciò avviene intorno
ai tre anni di vita ed è stata una grande scoperta della psicoanalisi
e di Freud.
In un certo senso il problema dell'inconscio, il problema edipico si è
posto al di sotto della linea di spartiacque perché è ente che
fa parte della non coscienza immediata; si è disposto attraverso piani
che sono al di sotto della lettura immediata della realtà. Tuttavia anche
la psicoanalisi si è collocata nella dimensione della sopravvivenza,
cioè la psicoanalisi ha letto quanto fa parte del problema della sopravvivenza
con una lettura posta da quella medesima parte.
I sistemi biologici immaturi, primitivi, i sistemi dell'inconscio primario del
bambino sono legati fondamentalmente alla sopravvivenza: la sessualità
attraverso cui il bambino si lega alla madre e la bambina si lega al padre è
un elemento della propagazione della vita, del sovrappensare.
La psicoanalisi ha indagato molto bene tale livello, affermando che fino a che
il bambino rimane legato nel modo fusionale e non si distacca dal padre e dalla
madre, non può essere capace di porre un pensare, di produrre la forma
di adattamento alla realtà complessa e quindi di porre il principio di
realtà.
Il problema che sto ponendo è che l'evento nuovo, l'evento dell'inconscio,
tutti gli eventi della sottoemergenza possano essere pensati in un campo più
vasto, più aperto e che il pensiero, il pensare possano essere introdotti
su un livello più profondo, ma non applicando un tipo di pensare appartenente
al campo dell'emergenza a ciò che esiste nel campo sottostante: non potrò
mai pensare con un pensiero che pensa in modo emergente, in modo sovrastante
quello che è al di sotto della linea che ho chiamato il livello zero.
Il pensiero diverso dal pensiero dell'assenza, il pensiero incapace di produrre
assenza, di scomparire, di scavarsi nel momento stesso in cui si fa, non potrà
mai indagare ciò che avviene, ciò che è, ciò che
esiste nel mondo del non essere, nel mondo che è la dimensione dell'anticosa;
potrà tutt'al più scavare la cosa, sfidarla, sfibrarla, portarla
fino ai livelli dell'astrazione massima, portarla vicino allo zero - zero 1,
zero 2, zero 3 - ma sarà sempre una cosa. Un pensiero che non sia capace
di sparire, di non essere nel momento stesso in cui si pone, non potrà
conoscere al di là dello spartiacque.
So che il discorso si sta facendo molto difficile.
Da un altro punto di vista dico che non è possibile pensare quello che
è mancante, assente nella vita, ciò che è la perdita della
conoscenza, ciò che è l'affievolirsi di un fenomeno, ciò
che per il bambino è la madre che si fa assente, ciò che è
l'interruzione di una certa continuità o di un certo procedimento, ciò
che abbiamo chiamato il divenire. Nello stato attuale del nostro pensiero, un
sistema privo del procedimento dell'assenza - la quale è l'assenza stessa
del pensiero -, un sistema che non abbia smesso di doversi adeguare alla sopravvivenza,
accettando di non essere più legato al riprodursi, e che pertanto non
può estinguersi e diventare nulla, è un sistema che non può
pensare una soluzione di continuità.
Mi spiego. Il fatto che un oggetto non ci sia più o il fatto che la madre
esca dalla stanza si dice che sia per il bambino un trauma enorme: il bambino
deve imparare a poter stare al mondo senza la madre la quale, uscita dal luogo
in cui il bambino sta, si è sottratta alla relazione immediata. Si dice
che il bambino deve imparare la mediazione, deve imparare a sottrarre l'immediatezza,
ad accettare la perdita dell'oggetto amato e perciò a mediare la realtà.
Il fattore della mediazione è un elemento fondamentale per la crescita,
per la maturazione umana: è ciò che permette che la cosa possa
diventare un po' di più 'anticosa', possa astrarsi, prendere forma. Tuttavia
i sistemi di mediazione che il pensiero umano ha inventato, a mio avviso - poiché
entro nel sistema dell'assenza della cosa - sono falsi. Se è vero che
il sistema deve continuamente sopravvivere e si forma al di sopra di un livello
di assenza, cioè non è capace di accettare di venire meno, di
morire, di estinguersi, esso non potrà mai pensare realmente l'esistenza
della mancanza dell'oggetto d'amore. Nella mente di nessuno di voi esiste il
fatto reale della mancanza: la mancanza è una fantasia, cioè il
sistema umano ha inventato qualche modo per poter dire che è capace di
vivere la mancanza.
La mancanza in effetti è un taglio enorme nella vita, è come se
fosse l'arrestarsi della vita; la mancanza, se fosse realmente vissuta fino
in fondo come accettazione del pensiero che viene meno, del corpo che viene
meno, addirittura come accettazione da parte della specie di morire e di venire
meno, produrrebbe la capacità del riconoscimento dell'altro, cioè
la reale mediazione.
Da un altro punto di vista, la mancanza dell'oggetto viene in qualche modo sostituita
tramite vari sistemi di reazione ad essa, processi di proiezione, di identificazione,
vari altri tipi di meccanismi; c'è inoltre il processo di maturazione
o la cosiddetta maturità in cui l'organismo impara a strutturarsi in
modo tale da recedere e da accettare la mancanza, fare a meno del desiderio,
dell'oggetto. Ciò a mio avviso non è del tutto vero, in quanto
il sistema ha creato una serie di artifici tali per cui può sopportare
l'assenza, ma è ovvio che se il sistema umano, del pensiero, della vita
non ha accettato di poter venire meno, di poter essere assente, non potrà
mai sapere che cos'è l'assenza. Chi non vive l'assenza, l'assentarsi,
l'estinzione, chi non vive la morte, chi non vive il nulla, non potrà
mai sapere che cosa sia tale cosa; perciò il bambino non potrà
mai sapere cosa significhi che la madre se ne sia andata dalla stanza, non potrà
mai sapere di essere rimasto lì e di essere stato capace di rimanere
lì, di essere stato capace di morire, capace cioè di vivere l'assenza.
Tutto ciò implica il fatto che il sistema umano, che si è retto
su princìpi nei quali manca il reale vissuto dell'assenza, continua a
vivere al di sopra dello spartiacque ove non può sapere veramente che
cosa sia successo e succeda nella realtà, ma non può altresì
costruire una realtà in cui il piano reale dell'assenza, il piano d'esperienza
della mancanza possa prodursi. La realtà e il mondo sono costruiti al
di sopra, mentre quello che c'è al di sotto non è mai stato costruito,
non c'è mai stato un sistema capace di accettare il fatto di venire meno
a se stesso, in quanto la vita è stata fino adesso nel modo più
totale prepotente e il pensiero non è stato capace di vincere la sopravvivenza
della vita: non c'è stato mai nessun sistema capace di produrre un pensare,
un atto della conoscenza che non sia stato in funzione della sopravvivenza.
Perciò, per concludere, il mondo per un errore fondamentale, per la mancanza
dell'atto fondamentale che è la coscienza dell'assenza, che è
la capacità di conoscere il venir meno del sistema, manca di un intero
livello. Ma il livello dell'assenza vive ugualmente nell'esperienza umana, nell'esperienza
del mondo: gli uomini vivono necessariamente l'assenza, perché la madre
non è mai nella stessa stanza, tuttavia per sopravvivere si inventano
una serie di meccanismi di sostituzione. Gli uomini vedono gli altri uomini
morire; l'uomo che muore chiude il suo sistema, la coscienza si affievolisce
e, nell'affievolirsi, viene comunque secreto qualcosa dal sistema, ma l'uomo
non è capace di prendere coscienza del suo venir meno, del venir meno
della coscienza. La coscienza è anch'essa un qualcosa di prepotente,
non è capace di assumere, di assimilare, di far proprio il fatto che
può venir meno, che può assentarsi, morire, perdere se stessa.
Il mondo che ha continuato a svilupparsi negli anni, nei secoli, nei millenni,
nei miliardi di anni è pure venuto meno perché le cose sono finite,
la specie si è evoluta, alcune specie si sono estinte, perché
nell'evoluzione alcune parti sono venute meno, perché il bambino nella
crescita estingue certi suoi processi e ne fa nascere altri, tuttavia il mondo
che si è estinto non è mai salito alla coscienza. Quello che chiamo
il mondo del nulla - che è al livello zero o sotto il livello zero o
oltre il livello zero - è stato escluso, la vita ha escluso quello che
le si opponeva e ciò ha prodotto la mancanza della coscienza reale dell'anticosa,
della cosa che avrebbe potuto ruotare completamente e farsi altra, farsi vuota
- vi mostro il segno del vuoto, che è anche il segno dello spazio cosciente
e illimitato.2
Spero che abbiate seguito il discorso perché esso produce notevoli scosse
nella coscienza, se realmente una persona incomincia a viverlo, a saperlo; genera
al proprio interno la volontà dell'evoluzione, dell'evolversi, la volontà
di una coscienza diversa da quella formatasi fino adesso, di una coscienza dell'alterità,
produce la possibilità di poter vedere l'altro in se stesso. Bloccati
nel mondo della sopravvivenza, non si può mai vedere il vuoto che c'è
davanti a sé e l'altro di fronte a sé separato; non sarà
mai possibile separarsi, ma si rimarrà sempre uniti nella fusionalità
globale con l'altro, con l'oggetto, con la cosa, con il desiderio; nel mezzo
della cosa, del desiderio dovrebbe nascere un abisso, un vuoto in cui allora
diventa possibile vedere l'altro, avere la coscienza dell'altrimenti.
Tutto ciò sembra tragico, sembra drammatico perché parlo di abissi,
ma una volta girato tutto il cerchio - e non so quando si potrà fare
- è un'esperienza, è una vita piena, un vita di una grande intensità,
di un livello di coscienza estrema, una vita colma di luminosità, di
intelligenza perché le cose non sono tutte appiccicate l'una all'altra,
gli uomini non sono appiccicati l'uno all'altro. Posso vedere l'altro, posso
riconoscere che è diverso da me, che si pone da un'altra parte e, nello
stesso tempo, avere quella relazione d'assenza che è colma di affettività.
In tal modo il tempo e lo spazio, per esempio, hanno una forma diversa, la vita
ha una forma diversa, è a maglie molto più allargate, è
molto più ampia.
E' stato faticoso anche per me compiere l'intero passaggio perché è
come traghettare le anime sull'altra sponda, la sponda della razionalità
cosciente, più ampia. Una volta chiamavo ciò il discorso della
'razionalità allargata' perché la razionalità si deve allargare
a ciò che è stato il mondo misconosciuto, il mondo della paura,
il mondo del vuoto, mentre se vissuto dall'altra parte diventa il mondo della
pienezza, della luce, del suono, di un linguaggio più ampio e la razionalità
diventa per forza più ampia altrimenti non apporta conoscenza, non capisce.
Ci vediamo fra quindici giorni; poi ci saranno le feste natalizie. Dopo Natale,
sto pensando di vederci ogni tre settimane, invece che ogni due perché
il discorso è molto intenso e voglio che sia più diluito, anche
perché implica per me dei tragitti, dei movimenti abbastanza intensi.
Stasera volevo parlare della genesi del discorso, di come il discorso nasca
ogni volta nuovo e invece non ne abbiamo parlato. Allora forse è meglio
fare come l'anno scorso e portare le lezioni a una ogni tre settimane per avere
uno spazio, un tempo più ampi. Devo ancora pensarci.
3 dicembre 1992