III lezione 1992-1993
Trovate una lavagna1 più grande forse perché mi serve un
pensiero che si allarghi di più, perché il pensiero, il linguaggio
di cui vi ho parlato sta in un luogo che è anche molto piccolo, sta come
in nuce, sta in un silenzio, sta in un luogo che è vuoto, in un nucleo
che è vuoto.
Parlavo la volta scorsa del problema dell'unitarietà, di come l'inconscio
e in generale la struttura biologica dell'umano, com'è finora, si oppongano
a una strutturazione più unitaria, più complessa e più
vuota; di come tale fatto d'unità sia reso difficoltoso o persino impedito
da un mondo biologico che ha prodotto fenomeni di evoluzione che sono tuttavia
incompiuti per quanto riguarda l'evoluzione ultima dell'ominide, cioè
dell'uomo sapiens sapiens.
Senza saperlo ho appena disegnato sulla lavagna quasi la forma di una calotta
cranica con un centro vuoto oppure anche un segno o una raffigurazione dell'embrione.
Mi si aprono due, tre, quattro vie, numerose vie per esprimere quello che ho
da dire, da esperimentare. Sto parlando dell'evoluzione dell'ominide, ma il
discorso si ferma come se il parlare in termini prettamente biologici si arrestasse
in un punto e il mio pensare lo rifiutasse per il momento, cioè lo bloccasse
e lo buttasse indietro: parlo infatti di un'encefalizzazione molto particolare.
Intendo per 'encefalizzazione' anche ciò che si intende normalmente:
nelle fasi evolutive dal primate all'uomo c'è stato un continuo progresso
della strutturazione dell'encefalo fino al formarsi dei nuclei del linguaggio
i quali hanno influenzato a loro volta un'ulteriore encefalizzazione, cioè
un'ulteriore formazione del cervello, agendo come feedback positivo.
'Feedback positivo' significa che, a mano a mano che il linguaggio, che
l'evento culturale nasceva, che l'evoluzione 'spremeva la cognitività',
a sua volta la cognitività, la cognizione, la coscienza, il linguaggio
ritornavano a produrre un'ulteriore evoluzione: c'è stata una sorta di
cerchio, di retroazione. Il processo di encefalizzazione, il processo di complessità
del sistema biologico del cervello produceva a poco a poco la cognizione, anzi
la 'spremeva fuori', generava il linguaggio verbale che è l'ultimo evento
e, si dice, il maggiore dell'evoluzione: esso distingue l'homo sapiens sapiens
dall'animale anzi, probabilmente distingueva già le precedenti fasi
evolutive dell'homo sapiens o dell'homo habilis dall'animale;
a mano a mano che s'instaurava il linguaggio, esso influenzava lo sviluppo della
corteccia e a sua volta lo sviluppo della corteccia influenzava il linguaggio.
A un certo punto si è innescato nell'evoluzione un processo che ha accelerato
se stesso attraverso l'effetto di feedback. In precedenza l'evoluzione
aveva un'unica direzione: al cambiamento dell'ambiente, in generale, seguiva
il cambiamento del sistema biologico, cioè il sistema biologico si adattava
all'avvenuto cambiamento con la selezione di quegli individui o quei sottosistemi
idonei alla nuova relazione. Alla fine, invece, il sistema biologico ha prodotto
da se medesimo il cambiamento capace di influenzare sé e l'ambiente fuori
di sé: è nata la cultura, ultimo evento dell'evoluzione, la cui
espressione massima è il linguaggio, il linguaggio verbale.
Eppure, riguardo a quanto sto dicendo, è come se all'interno di me il
processo di tale pensare risuonasse e mi indicasse che manca un ulteriore linguaggio
più complesso. Dico che dall'analisi del modello evolutivo appare mancante
il piano sul quale porre la possibilità di riconoscere ciò che
ho chiamato il processo dell'assenza, che è un fatto silente, un fatto
che come abbiamo visto si situa nel silenzio, non si mostra, non ha il linguaggio
verbale, non ha alcun linguaggio evidente, è nulla, è vuoto: lo
indicherei come un nucleo centrale che è vuoto.
L'assenza è vuota, il linguaggio umano è vuoto, è un linguaggio
per simboli, è un linguaggio fatto di una serie di segni, di suoni i
quali vengono legati a determinati simboli, il linguaggio umano è una
delle espressioni più alte del processo evolutivo ed è un alcunché
di vuoto che si è liberato della 'cosità' della struttura biologica,
la quale invece è un'entità molto concreta, che si sviluppa in
miliardi di anni: da una sostanza inorganica nasce una sostanza organica la
quale è sostanza molto concreta, è fatta di cosa. L'ultimo esempio
dell'evoluzione è il linguaggio il quale rappresenta il momento in cui
la cosa è capace di diventare meno 'cosa', si sottrae: al suo posto nasce
una verbalizzazione, una simbolizzazione e poi ulteriormente nasce un linguaggio
concettuale, per cui non occorre la presenza dell'oggetto per intendersi, ma
è sufficiente nominarlo perché abbia quel significato per tutti.
Nel progredire dell'evoluzione, della selezione naturale, si è arrivati
a un punto in cui l'evento che era una cosa, il mondo concreto che era una cosa
hanno incominciato a tacere. L'encefalizzazione in un certo senso è un
processo concreto, il cervello è un ente concreto, la natura in generale
è una struttura concreta che scambia molto limitatamente, solo nell'ambito
del suo sistema: vive e muore l'animale, vive di fatti concreti, si nutre, ha
una socializzazione molto parziale, ma tutto è chiuso entro un sistema,
costituisce un sistema piccolo e nulla nella configurazione biologica naturale
esce dal sistema e dalle sue leggi.
La nascita dell'uomo significa in certo qual modo l'uscita della natura dal
suo alveo, dalle sue leggi: nasce la cultura, nasce il linguaggio verbale la
cui trasmissione da un uomo all'altro permette di conoscere, si impara ad adattarsi
meglio all'ambiente, nasce una memoria, nasce un'eredità storica. Perciò,
nel momento stesso in cui l'encefalizzazione si forma e nel formarsi 'spreme'
da sé la cognizione, la coscienza, si forma anche un livello dell'assenza:
con la cognizione, la coscienza e il linguaggio viene introdotto un alcunché
di vuoto rispetto al sistema biologico chiuso in se stesso che non produce nient'altro
che se stesso in continuazione. Il sistema aperto è un sistema capace
di scambiare linguaggio, di scambiare memoria, di scambiare affetto, di scambiare
distacco nei punti più alti del sistema: il sistema si è aperto,
è diventato 'meno sistema', è diventato meno sistematico e ha
acquisito gradi di libertà, si è fatto più vuoto, più
simbolico, più capace di assenza.
Se noi pensiamo al mondo come a una cosa, non pensiamo agli oggetti che hanno
già una forma, ma pensiamo al mondo bruto, al mondo della cosa, alla
'creazione' in un certo senso, al big bang, in campo scientifico. Il mondo è
una cosa, è un ente molto concreto, non ha forma: nel momento stesso
in cui dal nulla si forma il primo tratto della massima densità, come
nella situazione del big bang - che poi spiegherò più diffusamente
-, la cosa è solamente cosa, non ha prodotto nulla di diverso da sé.
Immaginatevi l'universo primordiale come se fosse un'entità assolutamente
priva di forma e quindi, in un certo senso, un non ente, un elemento ancora
molto simile al niente. Qualsiasi oggetto, la luna stessa, il paesaggio più
deserto del mondo hanno una forma e l'uomo nell'osservarli, nel produrre un
linguaggio assente rispetto ad essi ha prodotto nel mondo una forma.
Nell'origine possiamo dire che la forma non esisteva; dal punto di vista dell'assenza,
dal punto di vista di come io penso non esisteva nulla. Ciò che è
privo di forma, se lo pensate bene, è assolutamente privo di essenza,
è privo di identità, di naturalità, è privo di tutto,
perciò la cosa nell'origine doveva essere ancora il niente. E' come immaginarsi
codesta lavagna piena di un segno unico il quale non ha nessun anfratto, non
ha nessuna 'segnità' del segno, è soltanto cosa.
Diciamo allora che al principio non c'era niente. Su tale punto però
la scienza classica produce un errore grossolano poiché, se è
vero quello che sto dicendo, non può essere pensata una cosa la quale
produca non cosa e capacità di forma. La scienza classica dice che all'origine
ci fu una densità gravitazionale enorme in un punto solo, che la materia
si condensò in quel punto, cioè che da una fluttuazione del niente
si condensò la materia in un punto. Tale punto di densità totale,
di densità limite, di densità quasi infinita produsse un'esplosione
di sé: è il grande botto, il big bang. Una densità totale,
non vuota, una cosità totale produsse l'esplosione in seguito alla quale
si formarono una serie di elementi diversi dal precedente, da cui sarebbero
poi nati i vari componenti dell'universo.
Dal mio punto di vista, non è concepibile una tale ipotesi in quanto
la densità totale in un punto presuppone il fatto che un pensiero sia
capace di pensare una cosa assolutamente priva di interstizi, capace cioè
di essere totalmente in un punto, priva del niente, priva della possibilità
di essere un'anticosa, di essere una cosa un po' meno cosa.
Mi seguite?
Posso dire tutto ciò perché rispetto al sistema mi sono messo
in un punto - che sono io - al di fuori del sistema stesso, come ho spiegato
l'anno scorso; mi sono posto in un linguaggio che è molto più
vuoto del linguaggio encefalizzato in cui la cultura fino adesso s'è
formata. Posso vedere siffatti elementi, mentre l'uomo che vi è dentro
non riesce a vederli: un uomo non può pensare la cosa come ente completamente
chiuso in se stesso che deve esplodere perché non può esistere.
Una cosa assolutamente addensata, priva di interstizi, quindi incapace di produrre
in sé un'anticosa, cioè la diversità dalla cosa, è
un alcunché che non può esistere.
Allora succede quello che sto dicendo da tempo, che l'universo così com'è
concepito, non solo dal punto di vista teoretico, fisico, ma anche dal punto
di vista filosofico, logico, e così via, non esiste, non può avere
un'origine.
La resistenza che sentivo prima, quando parlavo dell'encefalizzazione o della
biologia o dell'evoluzione della specie, è un elemento che mi sento appiccicato
addosso mentre mi si formano gli argomenti nel cervello, per cui mi devo spiegare
partendo dal processo che è fuori dall'intero sistema. Sento che si forma
dentro di me la 'cosa' e la cosa mi toglie gli interstizi, mentre nella mia
norma io sono vuoto, sono totalmente vuoto: essendo vuoto posso prendere con
me l'elemento 'cosa', cosante, posso astrarlo, vederlo e dire in un altro modo
come potrebbe essere l'elemento dell'anticosa, l'elemento dell'antiorigine.
Comoda questa lavagna. Mi chiedo come abbia fatto la tecnica, avendo in sé
errori epistemologici, logici o l'assenza di vuoto, a costruire oggetti tanto
utili...2
Siamo arrivati a vedere la cosa e l'anticosa. Dico infatti che non esiste un
universo, esiste un antiuniverso che è niente, è vuoto: l'universo
che si è pensato normalmente è un universo il quale non ha interstizi,
in cui l'uomo continua a sbattere la testa anche perché il suo linguaggio
produce continuamente un 'battimento' nella sua testa.
Il fenomeno dell'encefalizzazione che ha prodotto il linguaggio il quale ha
prodotto a sua volta l'encefalizzazione, essendosi fermato in un certo punto
- come dico ultimamente -, produce una cognizione dell'universo che è
falsa, che è molto simile al niente, ma non al niente di cui parlo che
è un niente affettivo, un vuoto affettivo - intorno a me c'è uno
spazio che è vuoto ed è colmo di affettività, colmo di
un linguaggio luminoso. Il vuoto di cui sono intrisi il linguaggio umano e l'encefalizzazione
anormale che ha avuto l'uomo fino adesso, per un blocco di cui parlerò,
è invece all'interno dell'universo piccolo, all'interno dell'universo
che è ancora continuamente 'cosa' e siccome questa non è niente,
l'uomo continua a vivere la sua situazione esperienziale di niente, di vacuo,
di insignificante. Lungo la sua storia ha però fatto di tutto per liberarsene:
la grande cultura umana ha prodotto elementi che potessero liberare in qualche
modo l'uomo dal niente vacuo e potessero indurre invece quello che chiamo un
niente affettivo, cioè lo spazio, il distacco, la libertà. Ha
così incominciato a produrre altri linguaggi, per esempio il linguaggio
musicale che sto studiando in maniera particolare, il linguaggio artistico,
il linguaggio scientifico, il linguaggio teologico. La stessa storia umana è
un tentativo continuo di sottrarre peso alla struttura biologica, alla cosità
di cui è fatto il soma umano.
La storia consiste proprio in una serie di eventi, di tentativi umani di uscire
dalla trappola, di uscire dalla tana, di uscire dai linguaggi ristretti: dall'uomo
primitivo coi suoi linguaggi ridotti all'Egitto, al mondo latino, al mondo mediterraneo,
poi ai linguaggi del Seicento, alla nascita della scienza, fino ad arrivare
ai linguaggi del Novecento in cui la cosa è abbandonata. Finalmente nel
Novecento si abbandona la cosa, nasce l'arte, l'arte astratta - dico che nasce
l'arte per paradosso, perché mi sembra che l'arte vera sia soltanto quella
astratta ove la cosa è abbandonata -, nasce il tentativo di nuovi linguaggi
che siano assenti, che siano capaci di non produrre più sentimenti, sentimentalismi,
affetti, emozioni che sono, all'interno del sistema piccolo in cui vive l'uomo,
linguaggi chiusi, linguaggi sviluppatisi nella forma di encefalizzazione immatura
incastrata in un certo punto. Ed è, a mio avviso, il miglior secolo di
tutta la storia umana, in cui l'astrazione, l'astratto ha tentato di prendere
posto.
Nello stesso tempo, però, la storia umana nasce dall'elemento della cosa,
da un pensiero che si fa e che si erige intorno alla cosa, alla cosità
incapace di astrarre, incapace di essere nulla, se non per quello che riesce
a smangiare dalla cosa. Ammettiamo che la cosa sia questa3 : gli uomini primitivi incominciano a correre, a
camminare, ad agire, a tirare con l'arco, a parlarsi, a fare l'amore, ad uscire
all'aperto, a strutturare dei territori, ad inventare l'agricoltura e così
via; a mano a mano la cosa - l'uomo biologico è una cosa totalmente inconscia,
totalmente chiusa, ciò che chiamo l'inconscio - si smangia un pezzettino,
se ne smangia un altro, un altro ancora, tende ad andare all'interno e nasce
di nuovo il segno di astrazione - chiamo segno di astrazione una forma cava4
-, cioè continua a smangiarsi la cosa che
lui è, il suo soma e anche il suo spirito.
Devo precisare che, per me, soma e spirito sono la stessa cosa, cioè
lo spirito non è nient'altro che un'emanazione del soma. Si è
sempre contrapposto nella storia il soma allo spirito, ma nel mio sistema che
è molto più grande, che comprende un tutto, lo spirito non è
nient'altro che una piccola emanazione del soma che viene meno, è una
spremitura del soma, dell'encefalizzazione, della cognizione.
Allora - come dicevo le volte scorse - succede che, data una curva di continuo
procedimento culturale, di ulteriore 'encefalizzazione', a un certo punto essa
tenda ad arrestarsi perché la cosa viene meno e si è mangiata
lo spazio: il punto di partenza da cui l'uomo e la strutturazione encefalica
sono iniziati - nella dimensione filogenetica, cioè evolutiva, e dico
ultimamente anche nella dimensione ontogenetica, cioè nello sviluppo
dell'individuo dall'embrione, dall'uovo fecondato in poi - è il mondo
molto piccolo, per cui l'uomo a poco a poco si è smangiato il suo soma
- per fortuna dico - fino ad arrivare all'astrazione.
Nei primi decenni del Novecento l'arte astratta, la musica astratta, i linguaggi
astratti, la scienza, la tecnologia si sviluppano e anche quest'ultima in un
certo senso diventa astratta: il computer, anche se molto meccanico, è
un'astrazione appartenente alla quotidianità degli uomini, produce astrazione,
la tecnologia produce astrazione, la scienza produce astrazione, ma a un certo
punto si ferma.
Tutto ciò non basta più. Vediamo nel campo dell'arte che i linguaggi
tentano di moltiplicarsi, di fare qualche piccola cosa intorno al reale, ma
il reale rimane quello che è, non si modifica, non c'è un'entità
nuova che si produca5.
Mi sembra che anche la scienza, che d'altra parte amo, presenti un fallimento
e che la scienza stessa, l'arte e forse anche la storia abbiano al loro interno
un errore: le leggi di base di tutto l'universo pensato e quindi dell'universo
umano - non esiste infatti universo diverso dall'universo pensato - sono pensate
in un sistema piccolo, quindi l'universo è un sistema piccolo, è
uno spazio piccolo e l'universo pensato non ha più possibilità
di espansione quale ente reale.
Come dicevo la volta scorsa, nell'ambito della storia a un certo punto, intorno
al novecento, si è formata una frattura con la nascita dell'inconscio
e nello stesso tempo sono nati i procedimenti di astrazione del pensiero: in
musica Schönberg, la scuola di Vienna, in arte Kandinskij, ad esempio. Ma tale
mondo oltre a un certo punto non sa dove andare: la psicanalisi e l'inconscio
freudiano non sanno dove andare, cosa dire, non hanno più nulla da dire.
Anche la scienza in generale non ha più nulla da dire o probabilmente
ha da dire qualche cosa soltanto all'interno dei suoi specifici settori - la
genetica, la biologia molecolare, ad esempio - in cui lo sperimentalismo porta
notizie molto interessanti da certi punti di vista, ma tutto è confinato
in un mondo che è il mondo della cosa. In termini molto concreti, se
mi metto a leggere di scienza oggigiorno, dopo mezz'ora, quaranta minuti, alla
mia alta velocità di lettura, mi trovo saturato; il mio pensiero, il
pensare che è vuoto è diventato una cosa e allora incomincio ad
avere delle tensioni interne, un fastidio delle cose, della scienza, un fastidio
dei linguaggi che sono obsoleti.
Per riagganciarmi al discorso della volta scorsa, dico che la scienza, la filosofia,
la musica stessa, l'arte, al punto in cui sono, non sono più capaci di
produrre quel nulla che si è scavato nella cosa: non sono capaci di produrre
un nulla affettivo. I linguaggi in generale e in particolare quelli della scienza,
della filosofia, della logica sono totalmente anaffettivi e, a causa di tale
anaffettività, a mio avviso non producono altro, diventano sterili. La
cosa va avanti, diventa sempre più un'ipercosa, si svuota un'altra volta,
si riempie e si svuota: sembra un andirivieni, sembra l'atto infantile del bambino
che ripetutamente viene allattato e poi si svuota, sembra un atto sessuale sterile
in cui c'è l'atto e c'è lo svuotamento, c'è la eiaculazione
e lo svuotamento. E' un atto sterile, dove non c'è un linguaggio nuovo,
dove non si pone quel piano di cui sto parlando, che oggi si è situato
in un determinato punto ma che è presente ovunque, quel piano che è
vuoto, che può vedere, che non è sterile, il cui linguaggio che
esprimo, che pongo nei miei scritti, nella mia musica, nei miei quadri è
vuoto, è assente. Chi è capace di vedere, vede il vuoto, vede
il nulla, ma si tratta di un nulla affettivo, grandemente affettivo, in grado
di produrre una realtà che si muove nei vari campi e che sta producendo
il nuovo linguaggio il quale è linguaggio anche della scienza. E' come
se la scienza, la psicanalisi o l'analisi dell'inconscio dovessero produrre
un proprio linguaggio affettivo tale per cui il mondo della cosa possa aprirsi,
si possa aprire un varco dentro l'encefalizzazione, dentro l'immaturità
del cervello che è rimasta tale e quale per cause insite nella selezione
naturale e ha infilato una strada che ha portato a una condizione generale del
sistema umano tendenzialmente anaffettivo e immaturo.
Una delle ragioni fondamentali che credo abbia impedito uno sviluppo maggiore,
una complessità maggiore della coscienza, della consapevolezza, del sistema
largo delle cose è che, nell'evoluzione, la nascita della coscienza,
della cognizione, dell'affetto non è stata contemporanea e simultanea
alla nascita della possibilità della cognizione dell'assenza della vita
stessa. Manca cioè a tutto il sistema biologico la capacità di
conoscere in termini di coscienza affettiva la morte: non è capace di
conoscere il sé assente, il sé che viene meno, il sé che
cessa di esistere. Il soma, ossia la struttura della cosa tende e ha teso a
replicarsi, la cosa vuole stare ed essere cosa e nella storia umana possiamo
osservare il tentativo di resistenza al venir meno della cosa. Vediamo anche
nella situazione storica attuale il tentativo di ritorno alle origini dei popoli,
ma nelle origini c'è ancora molta cosa, c'è molta parte infantile,
c'è molto inconscio, ci sono le lotte tribali, c'è la famiglia
piccola, c'è il mondo oscurantistico, ci sono le religioni regressive.
La cosa non vuole venire meno, non vuole accettare e conoscere la propria morte.
Il soma, la coscienza, per come sono finora, non conoscono la propria cessazione,
non sono capaci di portare al proprio interno la capacità di essere assenti
rispetto a se stessi, di accettare quello che dicevo essere l'assenza, che è
il vuoto, il nulla, il nulla più puro, perché ciò significherebbe
accettare la morte, non come fatto distaccato, ma come fatto in sé, in
quanto nel momento stesso in cui c'è la crescita, c'è anche la
morte, c'è anche un altro linguaggio che è il linguaggio dell'assenza,
di quell'assenza ch'è similare alla morte.
Allora la morte è cosa ed è ancora più cosa di tutte le
cose; ed è un tema che riprenderò.
Avete tenuto un poco di più delle altre volte
dinanzi alla massa e alla profondità di informazioni che immetto nel vostro cervello nel
tentativo di encefalizzazione, di maturazione dei linguaggi affettivi. Si è sentito meno
l'inconscio, si sono sentite meno anche la resistenza, la fatica, anche se il tema - ne
sono consapevole - è molto difficile perché produco una quantità di informazioni molto
alta che credo sia una delle caratteristiche del nuovo pensiero il quale deve elaborare in
continuazione. Vi invito pertanto ad avere un'elaborazione costante di tale pensiero, in
modo che la cosa si svuoti il più possibile - parlo ovviamente dell'elaborazione
profonda, l'elaborazione interna, l'elaborazione dell'anticosa. Immetto le cose
nell'anticosa vostra, ammettendo che questa esista. [nello stesso istante P. Ferrari si
avvicina al pianoforte e suona il fa diesis e il mi bassi ]
19 novembre 1992
(La cosa, l'anticosa; la coscienza simultanea e assente della morte - assente - )