Della vita e del pensare 1. Se non fossimo altro, tutt’altro, non esisteremmo quali uomini pensanti. 2. Al fondamento
sta l’altro che subito si dissolve, all’istante dissociando
noi dall’essere noi stessi. Nel Non ha esistenza
reale il tempo né preordinato né psicologico. Questi ordini
di tempo non hanno valore effettivo circa la creazione umana e post-umana.
Il tempo “vero” è quello che ciascun essere genera
da sé e che ordina come linea d’una vita cui non è
dato né inizio né fine, un tempo dell’esistenza
e della creazione. Non c’è altro tempo se non quello del
creare, crearsi, non ingombrare il mondo (di rifiuti correlati al tempo),
scorie inutilizzabili e soffocanti che vanno ad occupare l’orizzonte
degli infiniti. Di tutti i sensi,
le parole, le cose umane sono totalmente dubbioso. E dell’intero
universo che da quelle deriva. Del mancare del mondo insieme con l’essere
io e l’essere degli altri – esseri mancati e mancanti –
invece credo nel modo più assoluto.
Dalla parte di Homo s. Il pensare dell’umano
scaturisce attenendosi a quello stretto, vincolante spazio che sta tra
la cosa e il suo mancare assoluto: nel suo annunciarsi spontanea sorge
la domanda che sempre accompagna codesto gesto parziale: “Chi
è colui che tuttora è in procinto di parlare, sfidando
con la sua parola il connaturato, irrinunciabile, risolutivo assentarsi?”.
Finché esisterà
l’oggetto-cosa-mondo invece che la sua fine, non cesserà
la patologia umana pari alla schizofrenia.
Ancora per l’intelligenza
umana non è data la fine dell’oggetto-cosa-mondo. La reificazione
del reale – tuttora mezzo del vivere e del conoscere – segna
l’ambito patologico – la schizofrenia di specie –
in cui l’uomo si dibatte, condizione terrifica appena attenuata
dalla più o meno riuscita perdita che si verifica entro il campo
relazionale, con il concreto, espressione cui la coscienza, nel suo
lungo cammino evoluzionistico, è da poco giunta e ancora non
s’è abituata.
“Certo nell’esperienza
schizofrenica si vive un altro mondo incrinato dalla frattura della
intersoggettività, dalle trasformazioni spaziotemporali, dal
dilagare della irrealtà, dall’immaginario e dall’immersione
nella solitudine autistica, dalla dissolvenza della identità
e dell’unità dell’Io, dalle controrealtà dell’allucinare
e del delirare; e nondimeno in questo autre monde sono presenti strutture
di significato che, capovolte nella loro genesi ma temerarie nella loro
somiglianza, si ritrovano nella fenomenologia letteraria di Hofmannsthal
e di Pessoa: capaci di cogliere nella propria rabdomantica interiorità
le tracce e le indicazioni di quella scissione dell’Io che è
tale da trascendere ogni semplice connotazione psicopatologica e da
rientrare, come le estraneità, del resto, nell’area delle
possibilità immanenti alla condizione umana” |