“Di quanto all’esterno – la realtà del
mondo – si concepisce e s’offre, il cervello-mente si
nutre onde fabbricare il suo habitat mancato, capace ad ogni tratto
d’un luogo pari a un oggetto-mancato, d’un tempo che
uguaglia la fine-del-mondo”.
(P. F., premessa al Manifesto del Teatro dell’Oggetto-Mancato,
2003) |
… Sono relitti, bucce d’uomini, che la sorte ha sputato.
Umidi di questa saliva della sorte strisciano su un muro …
(R. M. Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge)
Non una metamorfosi continua, bensì un cambiamento a stretto
contatto – qui e oltre quel muro – d’un continuum
– un continuo mancare: una linea di fondo, una superficie, un
volume, un intero universo in-relazione, battendo i piedi veloci su
un pavimento – sostegno del giusto venir-meno.
(P. F.)
Piccolo-finale
“Di quale distanza, di quale incommensurabile
distanza … entro quale infinitesima vicinanza siete in grado di
tessere buone trame, o uomini, uomini mancanti, capaci di pensare alla
fine oltre il vostro minuscolo recinto?”. Le luci si spengono
su queste parole, dell’ultimo essere qui in-transito, pronunciate
prima a bassa voce, poi sempre più forte, in un incalzare subentrante.
Esso va all’incontro di se medesimo – e di ogni altro -
, vivi sostrati di quel “vivo” mancare che permette loro
un pensiero talvolta persino leggero e fecondo.
(P. F. Dal Manifesto del Teatro O. M.)