Le proprietà - di fine-del-mondo

 

 

Di nulla avrebbe necessità il cervello-mente di Homo, se non d'un mondo capace di recepire e in sé conchiudere la complessità realizzata da quell'organo, capace di fine-del-mondo.

 

 

Il ritirarsi dell'Essere contribuisce all'esistenza di mondo - di fine del mondo.

 

 

Il finire di mondo contribuisce all'esistenza di mondo, al Dasein.

 

 

Se il cervello-mente non avesse come sua costante lo stato - o esperienza basale - di fine del mondo, non sarebbe possibile alcuna rappresentazione di mondo e di realtà.

 

 

L'(esperienza di) fine-di-mondo è al fondamento di ogni Dasein; l'angoscia che ne scaturisce è strumento per la presa - sensibile e conoscitiva - sulla fine-di-mondo, o anche riduttivamente sul-mondo.

 

 

Nessun animale può avere l'esperienza di fine del mondo.

Nessuna macchina, nessun aggeggio computazionale può accedere alla condizione di oblio, può interagire ed essere modificato dalla fine-della-cosa (mondo).

 

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Del cervello umano e delle sue proprietà

 

 

Il cervello umano - e perciò il genere Homo nella specie sapiens - ha la proprietà di bastarsi (d'essere sufficiente a se stesso), senza dover dipendere per il suo nutrimento da alcun oggetto esterno, a meno che una scelta di tal genere non derivi da una decisione che nasca all'interno di sé.

 

 

L'organizzazione (felice, finita) di mondo non è altro che organizzazione del cervello che ha raggiunto il suo compimento.

 

 

Non esiste mondo che il cervello (mente) umano non abbia (già) deciso, nel suo definire la fine.

 

 

Il teatro in-Assenza deve esprimere la dissipazione che s'ingenera ogni volta che l'oggetto-cosa interno, contenitore e fornitore di morte concreta, impara a cessare del suo onnipotente ingombro. Il gesto di quel teatro dovrà essere dissipativo - e non conservativo. Di perdita - e non d'accumulo. Di non necessarietà anziché di contenimento. Di libertà controllata - autodefinita -, con accesso allo stadio della morte-mancante (assenza di morte concreta).

 

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se la realtà cedesse il pesante oggetto - di cui in eccesso è costituita - in Homo si verificherebbe l'esperienza catastrofica della perdita totale - l'esperienza di fine del mondo.

La realtà ha come sostrato il pesante oggetto - del tutto analogo a quello che il soggetto schizofrenico vive - la cui necessità e fissità sono sostenute da una mente incapace di pensare diversamente - staccarsi - dalla necessità di comportarsi quale strumento cognitivo finalizzato, condannata perciò anch'essa per lo più a dover essere mantenimento della cosa, essa stessa cosa tra le cose.

 

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

Della schizofrenia e dell'assenza

 

 

Il muro della morte - oggetto-cosale che tutto assoggetta e niente lascia trasparire - è ciò che separa la schizofrenia dalla condizione in-assenza. Nella condizione di schizofrenia nulla è pensabile al di fuori d'una realtà fatta oggetto concreto e carico di morte; nella condizione d'assenza la morte cosale s'è fatta da parte, ovvero s'è tolta di mezzo - s'è astratta -, rilasciando il mondo del suo sterile e angoscioso procedere. Per esistere l'oggetto mondo ha ora perso la necessità di ripetersi e riprendersi allo specchio, copia d'oggetto cui è negato il mancare vitale.

Nella schizofrenia la realtà è oggetto cui nulla manca e tutto è mancante: è mancante la  fessurazione, la crisi di cui la cosa concreta ha necessità assoluta onde esistere mutata in quell'oggetto pronto ad essere oggetto accolto dall'atto pensante.

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Del mancare la cosa

 

 

Imponderabili e impercettibili oscillazioni intorno alla soglia, infinitesime punture di spillo concedono all'esistere il suo (giustificato e consapevole) Dasein.

 

 

"Che tu possa mancare (il bersaglio) d'un infinitesimo!". (Auspicio in-Assenza, per una vita meno incompiuta, non-infelice).

 

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il nulla e la cosa

 

 

Nulla non è nient'altro che la perdita d'una qualche sia pur minima cosa di cui fino a poc'anzi era costituito il mondo.

 

 

Nulla ha il senso d'un venir meno - sia pur una minima e miserevole scalfittura - della cosa con cui finora il mondo s'è costituito e nella sua onnicomprensiva voracità s'è mantenuto.

 

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Del perdersi della lingua in-teatro

 

 

Nel perdersi, nel non neutralizzarsi, ma neppure passando ad altro - che non sia sicuramente l'altro - la lingua impersona la sua mancanza e s'apre così al suo finire. Con ciò essa concepisce quel gesto che apre al teatro e alla sua condensazione: è materia dei corpi che, recitando e sfinendo, tendono a dematerializzarsi di quella vita stessa che, pur appartenendo ad essi - nell'espropriarsi di se medesima e nell'espropriare i corpi per mezzo del gesto pensante che nel teatro si compie - li realizza finalmente avendoli distolti dalla paternità che è fissata entro il corpo concreto della cosa.

 

                                                                                                 (P. F. da I nuovi Foglietti della scienza, 2002)