Una realtà non più cieca. O della nascita del nulla subliminale e affettivo

Avendo Iddio creato tutte le cose del mondo, compreso l’uomo – che suscitò per altro da un misero pugno di polvere -, giunto nel giorno del suo giusto riposo s’accorse improvvisamente - e probabilmente non senza un divino dispiacere -, d’aver dimenticato qualcosa di assolutamente importante. Tutto era scaturito dal nulla, ma il nulla non era stato affatto generato. S’era conservato ancora quale luogo terrifico, da cui la vita fosse condannata a  dover fuggire in preda all’angoscia, pena la sua scomparsa definitiva dalla faccia del mondo ancor prima d’aver compiuto il ciclo che le era dovuto.

Pensò perciò di provvedere immediatamente a questa mancanza e si mise di buon grado a creare anche il niente: e il niente si generò con una sua particolarissima presenza. Aveva difatti perduto di quella sua indefinitezza e aridità; era sì abisso profondo ma aveva acquisito alcune proprietà speciali, del tutto differenti da quelle che gli oggetti del mondo creati nei primi sei giorni del divino intervento avevano ricevuto quale viatico per esistere.

Si verificò tuttavia qualcosa d’inaspettato anche per la mente di Dio. Tutto - ogni oggetto del mondo, dal giorno alla notte, dai verdi prati al libero volo degli uccelli - incominciò a trasformarsi, attratto da una differente inclinazione, compresa la mente umana che, tuttavia, non apparve ancora pronta al nuovo stadio di creazione. Il mondo siffatto era continuamente attraversato da impressionanti folate di quel niente sottilissimo che tutto lasciava trasparire: la realtà fenomenica - preparata soprattutto ad essere recepita dai sensi e che era apparsa nei primi giorni di creazione - si svuotava, liberata a mano a mano dal suo originario massiccio corpo sensibile; si faceva docile a una nuova ricezione, attraversabile in ogni suo punto e aperta su tutte le direzioni e in contatto permanente con l'infinito, invisibile ed estranea tuttavia ad un’osservazione fatta da una mente - com'era quella attuale - non sufficientemente evoluta, perché sottomessa all'imperio troppo materico degli apparati sensoriali. Soltanto Dio poteva contemplare lo straordinario paesaggio che ne era sortito e gioirne essendone perfettamente consapevole e beato, nella sua mente libera da tracce sensibili d'antica specie. Accadde però che, sollecitato dalla bontà smisurata che lo contraddistingueva, Dio non sopportasse d’esserne l’unico fruitore - almeno in una certa accezione che interpreta quei fatti dell'origine. Secondo un’altra interpretazione, altresì molto umana, si considera invece che egli mal sopportasse d’essere così solo nella mistica contemplazione di quel mancare, nella quale egli aveva creato l’espressione somma del non essere, un nulla che accoppiandosi con la sua trascendenza, l'aveva annichilita in un'ulteriore assenza dalla bellezza e verità sublimi. Pensò perciò opportuno intervenire ancora affinché quel mondo nuovo e inaccessibile, almeno per un certo periodo di tempo si mostrasse; almeno qualche indizio fosse dato, qualche cenno di quella somma consapevolezza non dileguasse totalmente nella dimensione di luce perfetta e di nulla compiuto. Pensò che di quella assenza un contenitore, diverso dalla pura essenza-assenza divina, potesse essere costruito; e si accinse a un diverso rapporto con la mente degli uomini: questa nel mondo delle cose era comunque l'oggetto meno concreto, più prossimo all'immaterialità del nulla appena creato.

Ciò avrebbe certamente cambiato in profondità l'intero universo - egli ne era consapevole. E così si mise all'opera. La mente umana incominciò a interrogarsi per mutare e accogliere il nuovo nulla; l'universo non fu più così certo delle coordinate del proprio spazio-tempo: doveva adattarle ad essere meno concrete, meno asservite alla vibrazione che solitamente è emanata dalle cose al fine di magnificare la sensibilità dell'apparenza e accomodarsi in tal modo entro la passività degli organi deputati a ricevere l'influsso degli stimoli esterni, secondo vecchi schemi cognitivi, eredità d'una natura primordiale satura di oggetti non pensanti e non pensati.

La mente umana incominciò ad osservare fuori di sé un universo fecondato da quel nuovo nulla, non più fissato dalla coazione di azioni ripetitive: gli organi di senso, stabilì Iddio, che fossero infine impregnati di quella sua mente sublime, anch'essa ora incessantemente attraversata dal vento del nulla libero da morte, veicolo e sostrato di nuove vie del vedere, di nuove istanze dell'udire, di ulteriori modalità del sentire. L'organismo umano s'era fatto testimone e latore d'una realtà non occupata da materia insensibile e vana: essa ora ad ogni suo mostrarsi accettava di cessare, senza accumulare in tal modo pesanti memorie fatte di oggetti-cose, spesso inafferrabili al pensiero più sottile, alla lingua più duttile, nutrimenti malsani per un essere che aveva preso la strada del conoscere e dello scambiare intelletto e affetto.

In particolare incominciò ad accadere - non senza sconvolgimenti profondi nell'essere vivente - che gli organi sensoriali con i loro apparati - costruiti sulla base d'un'evoluzione durata milioni di anni, nei quali lo stadio somatico s'era vieppiù affinato per meglio contrastare l'eventuale nemico, e più in generale, per scongiurare il pericolo d'un mondo difficile e spesso ostile, e proficuamente adattarsi all'ambiente che mutava - incominciassero a perdere della loro efficacia millimetrica. Questa s'era costituita entro un progetto finalistico - così si poteva scorgere a-posteriori; il mondo con cui s'accoppiava era fatto di oggetti da asservire ai propri bisogni, alle necessità d'un gene egoista, per nulla disposto a estinguersi.

Come sarebbe stato il mondo, dunque, senza la visione retinica, quella veicolata dai meccanismi esatti dell'organo di senso della vista? Quale ascolto sarebbe insorto, una volta che fosse superato l'udito che ha origine dalla deformazione della membrana acustica e dalla vibrazione finissima degli ossicini dell'orecchio interno sospinti dall'onda aerea, che si genera in seguito al rumore o al suono?

Come cogliere l'esistenza effettiva d'una realtà, eliminando l'ingombro d'una sensibilità tattile d'antica specie propria d'un corpo che ha il bisogno e la voluttà d'un contatto immediato e concreto, nei primissimi momenti della vita, perché la forma e il volume d'uno spazio possano essere distinti nello sviluppo successivo di quell'essere?

Come concepire l'esistenza d'un mondo senza doverlo immaginare costruito secondo la modalità concreta degli oggetti fisici che corrispondano a una rappresentazione mediata - e condizionata - dai sensi, propensi a cedere ad un piacere non aperto, non scambievole, che dipende dalla saturazione talvolta all'eccesso dei ricettacoli da parte d'una materia sanguigna e appiccicaticcia?

Come gustare un cibo delizioso, come assaporare un vino potente e aristocratico, come vivere la voluttà dell'amplesso amoroso senza subire l'ingombro nocivo d'una corporeità ancora involuta perché non ben accoppiata con una mente-cervello, votata a percorrere in ogni dove lo stadio che mena all'altrove, che ha necessità d'essere il più possibile sgombra d'oggetti che occupano?

Il nulla d'un ulteriore eventuale stadio d'evoluzione era dunque generato; la morte era partorita. La mancanza terribile che emana dal vuoto increato era forse sanata. Il niente stava cessando d'evocare uniformità senza senso oppure caos impotente; non era asservito all'idea, allo stato anomalo che impedisce alla realtà d'avere una forma compiuta e che costringe la mente dell'uomo a fuggire terrorizzata timorosa dell'abisso senza scampo e senza requie. Il nulla non era più un oggetto informe, sinonimo di una morte senza fine, voragine attanagliata dall'oscurità e dell'assurdità del male che ne consegue. La morte aveva perso della tentazione, che sempre in essa è consistente, di emergere quale oggetto senza vita che s'installa entro i tessuti nobili dell'organismo dell'essere pensante e, come una mina vagante, ne condiziona le aspirazioni opponendosi alle variazioni sottili dello spirito; da sempre è spinta ad occupare con il proprio ingombro - per la parte di sé carica del niente increato - i gangli nervosi, i nodi d'una rete amplissima e pluristratificata altrimenti predisposta con ogni probabilità a lasciarsi attraversare, senz'opporre resistenza, dal flusso ininterrotto della consapevolezza d'una realtà non ottenebrata né abbacinata.

Rimaneva irrisolta la questione - tutt'altro che semplice - di come potesse verificarsi nella sua complessità quel congiungimento auspicabile, se non necessario, tra l'universo delle cose che stava mutando - in accordo con il nuovo nulla da cui era fecondato - e l'essere umano, costituito d'una mente-cervello, capace sì di linguaggi assai sofisticati, di pensieri anche sublimi, ma non supportata da un'integrità con la componente somatica di cui la mente medesima è parte e contemporaneamente espressione.

Quale nuovo stadio dell'essere? Quale nuova materia dei corpi doveva essere pensata? Quale vita e morte, libera da oggetti cosa, poteva essere esperita da chi già abitava la Terra? Quale cambiamento ci si doveva aspettare nella coscienza, nell'interazione tra pensiero e cosa?

Poteva essere concepita ed esperita una forza assimilabile all'energia astratta e senza materia che fonda l'atto pensante, pure nel suo normale essere e comunicare, in particolare quando esso è profondo, entrato nello stato di meditazione, in cui si coglie l'interezza della realtà nella piena consapevolezza? Si trattava forse dell'esistenza d'una dimensione più complessa e silenziosa - oltre la coscienza ordinaria -, dove il soma s'addentra, il sogno tace e il cervello s'acquieta, nutrendosi di forme e di energia a noi ancora poco note?

E' altresì vero che gli uomini, avendo elaborato teoremi e avviato sperimentazioni che confermassero la validità di alcuni assunti con cui descrivere la proprietà di certi fenomeni naturali, erano giunti a dover accettare conclusioni più che paradossali, addirittura assurdità logiche, inaccettabili a una mente razionale. Il che fece esclamare ad Einstein: "Dio non gioca a dadi!". Una materia che c'è e al tempo stesso manca o è d'altra specie, come la sostanza della luce; essa consiste dei quanti - pacchetti d'energia che ubbidiscono a leggi di grande complessità e prossime all'assenza - le leggi quantistiche - e contemporaneamente si comporta, come qualcosa di assolutamente diverso, un'onda vibratoria, regolata da leggi conformi. E poi s'erano scoperti i quark, oggetti misteriosi, emanazioni provenienti dalle galassie lontane. E i neutrini, sostanze pressoché immateriali, capaci di attraversare la materia, ma anch'essi costituiti d'una materia concreta, misurabile, d'una certa quantità di peso ... Gli studi della fisica teorica stavano perciò orientandosi nella direzione di teoremi che ammettessero la presenza d'una materia pari al nulla ... la mente umana s'era avvicinata a quella di Dio - capace d'essere Altro, tutt'altro - e una materia senza sostanza aveva fatto capolino nell'universo tuttavia ancora fatto di cose. Ma anche queste scoperte non s'erano rivelate risolutive al fine d'una diversa esperienza corporale, fisica del mondo: non si era passati dal modello teoretico, elaborazione astratta d'una mente ancora troppo separata dall'esperienza del soma, a un'esperienza viva d'una realtà di differente consistenza e qualità nei suoi aspetti quotidiani.

Nella materia vivente evoluta ancora non s'era instaurata in modo permanente e definitivo quella qualità specifica che la fa essere materia pensante a tutti gli effetti. Il gesto del pensare ancora non apparteneva in modo del tutto naturale ad Homo e al suo essere fatto d'anima e corpo inscindibili; e pure l'universo delle cose, che dal pensare di quell'essere prende forma e significato, ancora si mostrava difettoso della qualità che porta in sé una differenza - quella che è intrinseca all'atto del pensare: un mancare fecondo - simile a un nulla generatore; l'universo delle cose era penalizzato da una sua eccessiva concretezza fenomenica, una specie di barriera con poche vie di passaggio: la loro struttura impediva di accoppiarsi in modo adeguato nella relazione con le proprietà d'una mente-cervello capace di linguaggio complesso e affettivo. E se avessimo interrogato il corpo della specie evoluta, nei suoi organi periferici aperti all'esterno, esso si sarebbe mostrato libero da materia concreta, analogo al linguaggio astratto nel cogliere le variazioni del mondo? Oppure la coscienza ancora non era stata concepita per far parte integrante della sensibilità periferica, rimanendo appannaggio dell'organizzazione centrale - luogo sì più vuoto, meno ingombrato e ingombrante e deputato all'astrazione, ma confinato unicamente entro le circonvoluzioni della corteccia contenute nella testa di uomo?

Il soma - la parte più concreta dell'uomo - era ora forse disposto ad essere totalmente investito e modulato dal linguaggio, così da trasformarsi, diventando della sua stessa sostanza? Era pronto a farsi compenetrare da quella disposizione eccezionale che è l'astrazione, libera di sostrato concreto che è caratteristica normale di ogni atto del pensiero? Basta pensare una cosa, pronunciarne il nome e voilà, eccola qui, intera e concretizzata, senza averla dovuta trasportare con tutto il suo peso, la sua inerzia, magari accumulatasi in millenni d'immobilismo, di mancato sviluppo a causa d'un errore banale nel trapasso evoluzionistico ...

Una valenza, questa del linguaggio umano davvero possente ... Una capacità che potremmo chiamare in-assenza: la cosa non c'è, poi, d'un tratto, è qui con tutta la sua presenza. Avrebbe dunque potuto essere questa la via d'ingresso privilegiata per il nulla neogenerato, oppure anche questo veicolo è tuttora condizionato dai meccanismi che gli sono congeniti? Nell'universo delle cose esiste la disponibilità perché esse se ne stiano in sospeso, affabili nell'attendere il richiamo adatto e vero e nel frattempo fluttuare silenziose e assenti, senza ingombrare? Ma quanto descriviamo non è forse un mondo fatto di niente, meno soffocato di cose concrete e tangibili, da un uso smodato di queste? Un mondo della stessa sostanza d'un sogno - come anche dice Prospero nella Tempesta -, oltre la soglia del tempo e dello spazio, eppure non incongruo come quello, più vero del vero, reale più della realtà che ogni giorno è sperimentata e resa tangibile e inflessibile nel suo ripetersi identica a sé? Non è forse un mondo in cui gli oggetti-cosa si sono fatti così lievi - eppure così visibili ad altri occhi -, da non dover più occupare né spazio né tempo, espressioni oscillanti e libere d'una mente non assoggettata alla concretezza degli stimoli quando questi si fissano supini entro gli organi di senso?

"Tu scrittore, che cerchi la via migliore per raccontare la nuova condizione dell'essere così diversa, eppure così in accordo con quanto è la vena più vera di Homo, non pensi che il vuoto di cui scrivi, generatosi un nuovo nulla - sottraendo stilla a stilla la materia cieca d'un nulla che lo ricopriva e lo occultava agli occhi d'una realtà più vera e più viva - sia in effetti troppo vicino al senso d'abisso che la morte è solita evocare, con tutto il sentimento d'angoscia - l'orrore del vuoto - che ciò comporta?". "Altra essa s'era fatta; la morte era sanata dell'antica malattia contratta lungo il cammino dell'evoluzione".

Il nuovo nulla era dunque generato, originato al posto del vecchio e incompiuto nulla che rendeva la realtà cieca, nonostante fosse piovuta luce a iosa su di essa quando, durante i giorni della prima fase di creazione, Dio ordinò "Luce sia fatta!", e luce fu, così che la terra non fosse più né informe né deserta. Ora un nuovo stadio dell'essere e del pensare s'era ingenerato da un niente - un niente speciale, capace d'altro senso, capace d'assenza. Già grandi filosofi, e straordinari veggenti avevano paragonato l'essenza divina a un nulla eccezionale, in quanto posta oltre ogni cosa sensibile e nominabile. Il nuovo corso era ora lasciato quasi interamente alla coscienza degli uomini e alla loro volontà; li invitava a rendere immateriale, più sensibile e affettiva la cosa del mondo agendo tramite le loro inclinazioni più amorevoli, i loro atti più nobili - non finalizzati a uno scopo immediato, i gesti generosi non bisognosi di ritorno compensatorio e cumulativo - che la civiltà, la storia, le culture di differenti origine e concezione, gli sviluppi del pensiero libero, non asservito all'aggressività di thanatos - la morte, non ancora rigenerata - avevano già in parte introdotto nell'universo.

Con l'essersi generato daccapo il nulla - nell'universo delle cose e dei pensieri, fattisi propensi al nuovo mancare e cessare - , s'apriva la strada ad un altro non tetro morire, ad un diverso inverarsi - un soffio di niente che rende feconda la vita e non minacciosa la morte. Ondeggiante sotto la volta del cielo, sotto la superficie della terra e del mare, subliminale alla coscienza degli uomini, al loro comunicare linguaggio e affetto, avanzava un afflato simile a uno straterello mancante - ora pacato, ora più impetuoso, pronto a congiungere la realtà di uomo alla complessità d'uno stato di diversa specie; in esso il mancare, il deficit, l'handicap non erano più terribili segni d'un destino avverso, bensì possibili vincoli da cui trarre quel segno nuovo, il novello mancare, quel mitigare l'oggetto cosa, operando su esso perché, meno superbo della sua evidenza spesso chiassosa, si trasformasse in altra entità, più consona a una realtà ricca paradossalmente d'un lieve e dolce venir meno: questa s'apprestava a dar forma a un insieme di relazioni in cui l'universo delle cose non risultasse più così alieno nella sua implacabilità d'oggetto mercificato, intoppo ad un ulteriore evoluzione dell'atto pensante.

Si sarebbe mutata la mente così da congiungersi più profondamente con il corpo: più sottile e d'altra materia e sensibilità si sarebbe fatta l'aura del pensare entro il corpo; sarebbe scesa dalle stanze anguste della testa fin entro le anse più periferiche del soma: lì avrebbe fecondato gli organi periferici, trasformandoli in parti coscienti, d'altra attività e affettività, non essendo essi unicamente strumenti - d'alta specializzazione e abilità, ma poveri del leggero mancamento, di quell'impercettibile ma significativa fluttuazione che li avrebbe mutati in vie di differente e velocissima conduzione in accordo con un universo nel quale ogni sua componente si colloca in un punto dell'infinito in contatto con la nientità perfetta dell'assoluto.

Mancare a causa di quel niente per cui ogni cosa sa fluttuare dell'essere e del mancare. Ogni essere più mansueto, libero dall'antico vincolo del doversi fare parte concreta, affrancato dal comportarsi come cosa senz'anima, non più strumento della violenza che l'oggetto porta in sé, quando sia difettoso d'un senso più completo ricco di affetto: questa via è in grado, nel suo maggior respiro, di tracciare una sorta di solco, un mancamento necessario perché la morte - il nucleo oscuro, malato e distruttivo di thanatos - si ritiri almeno d'un poco, così che il mondo più chiaro risponda. Sia luogo d'un'opera aperta e non ripetitiva; non più cieca la realtà si lasci vedere, toccare, sentire e nominare da una mente uscita nel mondo, libera ora di narrare oltre la vista, l'udito, la parola, diversamente da ogni legame che si trattenga in un corpo-essere, prigioniero d'una storia passata e incompiuta, incapace, come fino allora era accaduto, d'inverarsi nell'esperienza consapevole dell'altruità, quale soggetto-ente che apprende a cessare del bisogno di coincidere unicamente con sé.

                                                                                                                               Paolo Ferrari