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La realtà s'è svuotata: era là vacua, priva di sensi, io di qua e di là, ugualmente vacuo, privo di sensi ordinari: ma ricco, ricchissimo di mille altre potenzialità e sensitività.

Ero vuoto; sanato, come salvato di tutte le malattie, delle imperfezioni che affliggono l'umanità: purissimo, lucido come un fendente, brillante come una lente attraversata da un raggio vivissimo di sole.

Libero e assente; in me raccolto e muto nel silenzio più ampio e leggero, più aspro quel silenzio di qualunque altro mai esistito.

Oltre il tempo dell'oggi: appartenente a tutti i tempi del passato e del futuro. Non un io mistico legato a un qualche stadio materiale o a qualche essenza divina; invece vincolato a me essendo io morto, passato al di là e al di qua del tempo e dello spazio.

Così attualmente sono e mi sento, mi ascolto; negli ultimi tempi in modo anche più umano - un modo che appartiene maggiormente a una condizione umana, benché trasfigurata. Sono qui come morto, e altrove nello stesso istante; dall'altrove mi colgo di nuovo partecipe in questo luogo del tutto vivo e conscio; vigile d'una realtà che mi circonda, in sé e in me pronta a compiersi e terminare.

Perciò scostato e affrancato da me, sul limitare del reale, e tuttavia interamente disposto nell'unità di quel reale lì fuori ed esso entro me, io assente.

Ma, nel medesimo tempo, assolutamente presente e attivo, consapevole d'esistere oltre la condizione dei viventi: come dissi una volta: "Essere non-uomo, oltre l'uomo"; s'è perduto per sempre l'uomo; è un essere-cosa condotto all'estinzione. S'è generato in seguito a un errore e in questo è sopravvissuto; è diventato idoneo, forse, proprio a causa d'una mancanza a dar vita anche a costruzioni ed espressioni d'una certa validità, non prive di senso e di spessore. C'è tuttavia da considerare il fatto che queste conquiste, così faticosamente ottenute, il più delle volte si mostrano illusorie, essendo deficitarie di quel nulla germinatore in-assenza.

Homo  in me s'è assentato; sono divenuti altri il mondo e l'essere che pensa il mondo.

Il mondo s'è fatto diverso dall'essere oggetto a misura di uomo che lo pensa: perciò se ne sta talvolta lì fuori, appartato e acquattato, per proprio conto, ammalato di povertà, d'una povertà triste, spesso addirittura squallida - com'è sempre stato; occupato nel centro da una vacuità, fatua così da rendere vane tutte le cose che da lì scaturiscono.

Il mondo è inesistente, assurdo, privo di un'idea che gli stia a fondamento; se ne sta lì inerte senza espressione a meno che, all'improvviso senza premesse, sgorghi da sé l'Idea nascente, ed è subito altro; vibra in-Assenza, si rinserra, si apre dando origine a forme, colori sfavillanti ed energici, parzialmente liberi da morte.

Ma anche così ritengo la realtà essere mancante d'un sostrato; come se la non sufficiente integrazione di questo ci restituisse una realtà indebolita, fragile, mancante d'un livello nel quale porre l'inizio d'una vera esistenza: è, perciò, il mondo in parte inessente, appiccicaticcio, livido e depresso; dall'altra, talvolta etereo, caparbio, intrigante e vibrante di senso.

Mi sembra tuttavia che a poco a poco si costruisca daccapo; così che il senso di deficit, il nulla fatuo di cui ho il sentore, e del quale mi faccio carico, venissero meno, aprendosi al possibile altro, oltre l'illusione vacante.

Infine il mondo è qui ed è vuoto; appartiene al genere di vuoto ch'è carenza misera di sé; equivalente a una condizione di morte che purtroppo c'è ben nota. Ma è altresì vuoto di se stesso. E' da un lato vuoto di quel vuoto che in qualche modo lo nobilita. Equivale anche a un'idea che, s'è svuotata e che, affrancatasi da sé, dalla sua rappresentazione - e pertanto dall'antiquata modalità d'essere -, rinnovata accetta di mostrarsi senza affermare.

E' come dare inizio al mondo che ha fatto un passo a ritroso, senza vilmente recedere: è pari al generarsi di quell'idea che, priva d'immagine - perciò sgombra di sé -, si rende idonea a far nascere la cosa, e sia pur'essa vuota! Libera del suo passato, dell'origine data e del suo presente. Codesto vuoto è nulla; anch'esso è pronto a farsi vuoto, beante e beato.

Non perché il nulla sia più importante dell'essere, ma perché nulla significa non-pensare, non-divenire, non-comunicare, a-comunicare, più veri di come s'è abituati da sempre.

Pensare nulla significa creare-nulla; è lo spazio fondamentale entro il quale mondo si genera.

Nulla significa perdita  della dimensione di uomo; non essere né foglia, né alimento, né granaio; né parola, né forma; né dettato; né luce né coscienza; non persona; non dio.

Nulla significa pensare-daccapo entro l'attività ricchissima - e poverissima d'altra povertà - penía - che, avendomi assunto e in me compenetratasi, mi ha trasformato trasmutandomi in-altro.

Analogamente a un pensare potente e vasto oltre i limiti usuali, ma anche prossimo a me e alle cose, capace della critica giusta e talvolta feroce nei confronti di cose, di uomini e di dei.

Nulla significa esser-altro, esser-diversamente - in-differenza - , tutt'altro; e in ciò decidere e mostrarsi (il non essere-niente).

(Da: Paolo Ferrari, In-Assenza. La morte si fa assente: diario scientifico e racconto metafisico d'una trasmutazione astratta, 2001)