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Paolo Ferrari: Il titolo del Seminario è: "Sulla via dell'Assenza: come credere in-nulla?".

E' un titolo provocatorio. Anche questo titolo fa parte dell'asistema, della provocazione dell'asistema. Sulla via dell'Assenza è come sulla via di Damasco, come sulla via della seta, è come sulla strada, sulle vie del mondo. Non vuole avere nulla di aulico, anche se ce l'ha. Si presenta come qualcosa di questo cammino, ma in questo senso è anche un elemento, così, di provocazione, di gioco. Infatti come si fa a credere in nulla?

E' che se uno riuscisse a credere in nulla - quasi come la conclusione del "Libro blu"* che scrissi vent'anni fa, venticinque anni fa, dove dicevo: "Se riuscissi a pensare d'esser morto", pensare era come esperire-pensare d'esser morto, "avremmo potuto fare quasi veri progetti, senza altro discorrere dei corpi" -, e cioé se questa morte, se questo nulla, se questa Assenza fosse riuscita a entrare nel sistema vivente, non soltanto da un punto di vista cellulare - come abbiamo già visto le altre volte - cellulare-biologico, in cui le cellule sono capaci di sacrificarsi in funzione della popolazione generale, ma se il sistema psicomentale avesse la capacità di questa cessazione al suo interno, e quindi riuscisse a pensare d'esser morto ovvero di essere altro ovvero di essere questo nulla ovvero credere in nulla, allora potrebbe farsi un altro stadio che è questo asistema, il quale asistema è nulla. E' nulla nel senso che non ha nulla a che fare o ben poco a che fare con il sistema vigente.

Anche se, a mano a mano che procedo nell'indagine dei processi umani, sembrerebbe che gli stadi più alti, più complessi - come abbiamo già visto - dei sistemi pensanti, riescano realmente a pensare - i grandi pensatori, letterati, pittori, musicisti - quando e qualora questo essere, rinunci all'essere in evidenza o nell'evidenza della somatopsiche, questa rinuncia, ovvero questo essere in-nulla, riesce a penetrare, e penetrare tutto il sistema [in modo] tale per cui nasce l'opera.

Qui, in questi fogli di presentazione di questa sera, nella prima pagina c'è quello che dovrebbe essere la copertina, ovvero uno dei manifesti dell'Astratta Commedia* che verrà data a ottobre o a novembre a Milano, al Teatro Out Off.

Questa copertina rappresenta questi due uomini, di origine probabilmente extracomunitaria, peruviana, appoggiati al marmo del Duomo di Milano di cui si vede, in alto, una formella. E' una fotografia che ho scattato circa un anno fa, e mi interessa per questo tipo di contrasto tra questo marmo del 1300, con questa formella, e questa situazione attuale dell'immigrazione; e quindi il mondo che si fa luogo di frontiera, il Duomo che si fa punto d'appoggio dove queste persone possono appoggiarsi; e al di sopra di loro si muovono alcuni eventi, come la carta millimetrata - come al solito -, questi segni, i piccioni, che fanno parte della formella ma che in realtà sono dei piccioni che passavano da quelle parti.

E già tutto questo insieme mi sembra una commedia, ed è una commedia astratta, astratta nel senso di trarre, di sintetizzare, di produrre un'essenza ovvero, al limite, di produrre un'assenza.

Il tema di questa sera è, come sempre, questo tema di questa capacità del cervello d'essere nulla; ovvero noi riusciamo realmente a pensare in quanto questa nullità, questa mancanza, questa rinuncia, questo svuotamento del nostro cervello c'è già. Ma il cervello non è capace di credere a questo suo svuotamento, a questo essere in mancanza di sé. Ovvero, questo non è del tutto vero perché nelle filosofie orientali, nello Zen c'è il nulla, nell'induismo c'è questa dimensione molto più facile alla morte o al nulla, perché nell'Occidente c'è l'essere e il nulla, perché c'è tutta la problematica relativamente al tema dell'esserci piuttosto che il nulla.

Oppure, anche nel campo della scienza che qui adesso citavo, leggevo proprio qualche ora fa in questo libro di Richard Dawkins, che è un notissimo evoluzionista inglese - credevo fosse americano, invece è inglese - di grande cultura, anche umanistica, in cui, proprio nell'introduzione, dà - vediamo se trovo la citazione... ah, è proprio all'inizio, nella prefazione - una definizione di scienza che mi piace, cioè che getta veramente la persona umana, l'individuo, la storia, nel suo spaesamento.

"Noi siamo i figli del caos, della struttura profonda di una trasformazione costituita dal decadimento. Alle radici vi è solamento il degrado e l'inarrestabile ondata del caos. Non vi è più un fine, tutto ciò che rimane è la direzione. Questa è la desolazione che dobbiamo accettare se guardiamo attentamente e con imparzialità il cuore dell'universo".

E questa credo sia una citazione relativa a un libro che parla del secondo principio della termodinamica in cui si vede - dal secondo principio, cioè dalla nascita della scienza, della tecnologia moderna - il fatto di come tutto quanto sia all'interno di questo processo caotico, e cioè del decadimento dell'energia, della trasformazione dell'energia, la quale ogni volta che si trasforma... quando il vapore si trasforma in moto meccanico per la locomotiva c'è una dispersione, c'è una perdita di organizzazione, l'organizzazione viene acquisita dalla locomotiva che corre, per cui c'è una trasformazione in lavoro dell'energia, però questo implica un decadimento dell'energia in generale: la trasformazione produce continuamente una perdita dell'organizzazione generale energetica, della forma e dell'energia del cosmo, dell'Universo, fisico e biologico. C'è una direzione perché, data la trasformazione dell'energia in lavoro, cioè trasformo il vapore in una capacità di produrre un movimento, una volta che ho prodotto il movimento non posso ritornare indietro alla trasformazione precedente, per cui ho l'indirizzo, una direzione, ho introdotto la freccia del tempo nelle dinamiche dell'Universo  attraverso le leggi della termodinamica, la seconda legge della termodinamica. Cioè nessun processo che è stato trasformato, nessuna energia trasformata in lavoro può tornare indietro alla fase precedente.

E questo ha introdotto tutto il grande problema dell'entropia, e cioè del fatto che il mondo, a mano a mano, in trasformazione, trasformando energie, il mondo biologico, il mondo fisico, a poco a poco aumenta il decadimento energetico, aumenta il procedimento caotico, il movimento caotico molecolare. La seconda legge della termodinamica introduce, ci butta dentro a questa situazione in cui, ogni volta che c'è una trasformazione, questa trasformazione produce un ulteriore elemento di caos. Dopo di questo è avvenuta un'altra serie di leggi, le quali leggi hanno detto: "Ma questo caos potrebbe anche essere capace di autorganizzazione"; e ci sono state le leggi dell'evoluzione, alcune leggi dell'evoluzione; però ciò che è dominante ancora è questo essere stati buttati, gli uomini, il mondo, entro questa dimensione caotica, e cioè il fatto che c'è un continuo decadimento dell'energia.

Adesso sto prolungando troppo questa introduzione perché io devo anche suonare, prima di introdurre.

Allora, però, volevo dire questo, nel senso che la scienza, da questo punto di vista, mi piace molto, nel senso che ci butta in faccia, dice: "Toh, guarda, c'è questo decadimento, c'è questa freccia del tempo". Però mi pongo anche da un altro punto di vista e dico: "Toh, guarda, è successa una serie di situazioni particolari dentro al cervello tale per cui questo cervello è riuscito a pensare e a combinare una serie di elementi che sono realmente rivoluzionari rispetto a certe leggi che lo stesso cervello ha inventato, che sono le leggi della termodinamica o altre leggi di questo tipo".

Questo cervello, che è questo cervello in-Assenza il quale ha introdotto al suo interno il suo mancare, il suo perdere, la sua perdita, la perdita completamente del fatto del rispecchiamento, questo cervello sta producendo delle nuove leggi, e queste nuove leggi sono introdotte, sono spiegate nelle varie pagine di questa presentazione, sono introdotte nei vari scritti, sono introdotte in questa Commedia, sono delle leggi nuove, le quali leggi dicono: "C'è una dimensione caotica, su un certo piano; questa dimensione caotica, se un cervello è capace di organizzarla, quanto più un cervello è capace di disorganizzarsi, e se è capace di disorganizzarsi e di riorganizzare, tanto più la situazione caotica viene meno". Cioè, quanto più ho le capacità di poter vivere un disordine al mio esterno, e quindi ricevere informazioni di tutti i tipi, tanto più il mio cervello sarà capace di autorganizzare queste varie informazioni e di produrre un ordine che non è certamente l'ordine precedente o l'ordine, diciamo, conosciuto. Questo cervello nuovo sta producendo nuovi ordini che non sono gli ordini conosciuti; sono ordini di altro tipo; e questi ordini sono tutto questo lavoro, faticosissimo, che stiamo facendo per poterli descrivere, anche con la matrice del vecchio cervello. Allora, come credere in nulla? E' come se questo nulla fosse l'organizzatore di questi nuovi fattori.

Abbiamo visto la volta scorsa, attraverso il libro sulla struttura vivente di Ameisen,* il fatto di come la morte, ormai, nelle teorie attuali, e quindi in questo caso nella struttura biologica, la morte cellulare, o la morte di certi sistemi biologici complessi, sia elemento di creazione e non sia un elemento di caos. Allora le diverse varie condizioni stanno andando verso la direzione di leggere il tema del caos, il tema del disordine, in un altro modo: come il caos possa essere un elemento capace di organizzare forme in altro modo. Dico forme ma non è giusto perché non ci possono essere più delle Gestalt di questo tipo, ci saranno delle Gestalt di altro tipo che sono queste forme che noi continuamente introduciamo in questi Seminari.

Questa copertina è una di queste forme; questi segni producono una trasformazione di queste forme, rompono questa forma; la fotografia produce una forma, produce una Gestalt; questi piccioni che entrano già all'interno della formella - e non si capisce se sono piccioni dell'era romana, ellenistica o medioevale -; oppure questi soggetti che sono posti in questo modo rispetto a questa colonna; il fatto di questi colori che sono posti in un certo modo e che hanno delle leggi di relazione fra di loro, questi producono un'organizzazione di nuovo tipo; possono essere anche una disorganizzazione: non c'è più la differenza tra organizzazione e disorganizzazione, di vecchio tipo.

Allora arriviamo a un altro elemento: anche la musica che volevo far sentire questa sera ha queste modalità al suo interno.

Adesso sentiremo un pezzo che ho fatto appunto per l’Astratta Commedia, in cui ci sono tutta una serie di rumori del mondo, del mondo fisico e del mondo umano, dalle piallatrici a colpi di martello, a rumori d'acqua, o a rumori di macchine, insieme con un lamento di una viola, il lamento della viola di Zago - che è uno dei musicisti che collabora con me -, che ho introdotto in questa musica. Questa musica dovrà essere lo sfondo per l'attività degli attori di questa Commedia. L'introduzione di questa viola in questo modo, di questo lamento per viola, produce un'organizzazione particolare di questi suoni e di questi rumori. D'altra parte, a un orecchio di questo tipo, di questo nuovo tipo di organizzazione, al mio orecchio, i rumori non sono differenziati dai suoni. In un'organizzazione di questo tipo il cervello continua a disorganizzare, a scomporre tutti i vari elementi dei rumori e li riorganizza in suoni, in continuazione.

Già l'orecchio umano, normalmente, prende un suono - il suono, per esempio, di una viola, di un pianoforte -, lo disorganizza, lo scompone in tutte le sue armoniche e poi lo ricompone. E allora, nel momento stesso in cui lo ricompone, riconosce che questo è il timbro del pianoforte, il timbro della viola, il timbro della tromba, il timbro della fisarmonica e così via. Lo fa persino per un'orchestra. Però, di fronte ai rumori i quali hanno una disorganizzazione già degli elementi sinusoidali delle onde sonore, all'orecchio umano dà un po' fastidio la disorganizzazione dei rumori; e infatti ha chiamato questi, rumori, distinguendoli da quelli che sono i timbri, invece, degli strumenti. La musica contemporanea ha ripreso questi rumori e ha detto: "No, un momento. Qual è il limite tra rumore e suono?". Ed è incominciato il dibattito.

E adesso farò questo pezzo e lo congiungerò con dei rumori-suoni degli strumenti elettronici.

Alla fine del Seminario - se ci arriveremo perché ormai mi sto dilungando all'infinito, ma sono temi appassionanti - suonerò con Lisetta un pezzo che anche questo è sulla strada, è nella strada. E' un pezzo che ho costruito intorno al pensiero musicale di Janácek, [intorno] a un pezzo che si chiama Sulla strada, in cui c'è la metafora della vita, c'è la passeggiata in una strada, una strada particolare, c'è il presentimento di una morte, e poi c'è la morte di questo individuo che andava su questa strada; e c'è l'ultima parte che è la fine.

Janácek l'ha dedicato alla memoria di un giovane che andava lungo una strada - credo che fosse uno studente, non lo so esattamente - e che si è trovato all'interno dei disordini che c'erano stati in Cecoslovacchia nei movimenti di liberazione dall'Impero austroungarico, e c'era un austriaco che aveva sparato e aveva ucciso questo studente, questo ragazzo. E lui ha scritto questo pezzo in cui si vede questo movimento, questo camminamento lungo questa strada che potrebbe essere anche la simbologia di un cammino della vita, fino a che, a un certo punto, c'è un presentimento - ma già durante il cammino si sentono degli accordi gravi di fondo, un po' come nell'Incompiuta di Schubert, mi sembrava, per certe cose -, è come un presentimento di morte, poi a un certo punto c'è la morte, e poi c'è la fine che è un momento invece più profondo, più classico: il dramma si arresta e poi c'è la fine, c'è una sorta di contemplazione drammatica.

Prima di mettermi agli strumenti elettronici volevo dire di una delle premesse che ho fatto. (Una) [La prima citazione] è: "Io è morto. Assenza sia fatta!" che deriva dall'Astratta Commedia. Poi: "Vi sono molte più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto non sogni la tua filosofia" che è dall’Amleto di Shakespeare,* e poi c'è una citazione da Wittgenstein* che uso spessissimo: "Le mie proposizioni illustreremo così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettare via la scala dopo che v'è salito).

Egli deve superare queste proposizioni, allora vede rettamente il mondo.

Ciò di cui non si può dire, si deve tacere".

E cioè, dopo aver percorso, in vita, tutto il cammino, nel Tractatus logico-philosophicus, che è un trattato strettamente legato al discorso, all'analisi del discorso, all'analisi del linguaggio, ponderato, sottile, fermo, Wittgenstein dice: "A questo punto buttate via pure la scala. Dopo esserci inerpicati sulla cima di questo cammino logico-filosofico, quindi molto ben strutturato, adesso possiamo abbandonare questo cammino e poter avere questo afflato di fronte a questo nulla".

Anche qui si propone un nulla, questo iato; però, contemporaneamente, si invita chiunque al fatto che se qualche cosa non può essere detto, questo deve tacere.

Allora, da un altro punto di vista, questo continuo lavoro che stiamo facendo, che sto facendo, dalla Commedia, alla musica, agli Aforismi, alle citazioni, ai Seminari, è il fatto che questo nuovo cervello, questa nuova sede, questo nuovo iato del cervello, questo suo essere in-Assenza, questo essere sulla via dell'Assenza, questo credere in nulla, possa essere fatto, possa essere compiuto, possa poter parlare; e allora, una volta che parli, questo incomincia ad avere un suo fondamento logico-filosofico, se entriamo nell'ambito della logica e della filosofia; un altro fondamento se entriamo nel campo, lasciamo questo campo, buttiamo la scala e ci inerpichiamo un'altra volta nel campo in-Assenza.

Adesso voglio suonare questo pezzo.

[Paolo Ferrari esegue un pezzo musicale per strumenti elettronici, accompagnato da una base preregistrata. Durata 7 ' circa]

Paolo Ferrari: Va be', semmai ne parleremo dopo.

A te, Susanna, la parola.

Susanna Verri: Sul tema di questa sera, circa anche questa via dell'Assenza, ho proseguito il racconto che anche nell'intervento del mese scorso avevo iniziato a delineare; e quindi di nuovo ho lavorato col "lungo racconto", che si chiamerà In-Assenza, e che sta rielaborando Paolo Ferrari e, di nuovo, come compagna di strada per un breve tratto, ho pensato di avere una poesia di Rilke.

L'altra volta avevamo letto un pezzo da un suo romanzo; questa volta è distribuita, insieme a tutto l'altro materiale di questa sera, una poesia che, a dire il vero, riprendere adesso, dopo tutto l'ampio discorso che faceva Paolo, con i richiami anche così presenti alla fisica, alla scienza, quindi a tutto l'andamento dei tempi nostri moderni, non è semplicissimo.

Però, brevemente, questa lirica di Rilke, il cui titolo è Orfeo Euridice Hermes,* è per me un emblema, cioè una piccola citazione di quello che è un magnifico esempio poetico della condizione umana, di un aspetto della condizione umana che a me interessava per questa sera e per questo discorso che poi farò, e cioè di quello che è la condizione dell'essere umano di fronte alla morte, una delle condizioni dell'essere umano di fronte alla morte, cioè questo porsi della morte come limite invalicabile; e come ci sia quindi tra regno dell'Ade e regno in cui tutti viviamo, della vita reale, esistente nell'attualità, questa soglia non percorribile, e che Orfeo aveva invece, secondo l'antico mito, tentato di percorrere per amore; perché aveva tentato, come moltissimi di voi sapranno, di riportare dall'Ade Euridice, che era la sua donna, la sua compagna, la sua sua sposa morta prematuramente, e aveva ottenuto dagli dei la possibilità di farlo, e aveva anche fallito, però, in questo intento.

Fallisce, come qui Rilke ci racconta; ma la bellezza di questa poesia, la sua delicatezza mi sembra stare in questa immagine di questo mondo dell'Ade che rimane comunque distante. Cioè Orfeo torna dall'Ade ed è descritto mentre col dio, con Hermes sta risalendo insieme ad Euridice: Hermes accompagna Euridice e davanti a loro procede Orfeo che non si può voltare, e che non riuscirà poi a resistere alla tentazione di voltarsi, e che quindi vedrà in questo modo fallire tutti i suoi sforzi perché Euridice dovrà ritornare indietro. Ma Euridice poi, cosa che m'interessa ulteriormente nel mio racconto, la vediamo colta dal poeta in questa sua alienazione; cioè lei è ormai già altra, non appartiene, non sta tornando a nuova vita mentre sale dall'Ade; ma Rilke la coglie mentre, pur risalendo dall'Ade, è trasognata, è ancora appartenente al mondo che in teoria dovrebbe stare lasciando, ma che l'ha presa interamente. Cioè è interamente pervasa dalla nuova morte, dice proprio Rilke a un certo punto, cioè è totalmente altra in questa alterità di questo mondo da cui proviene.

Dunque la morte come condizione, come limite invalicabile, e - leggevo in questi giorni in un testo che parla dei diversi significati della morte - come condizione di aporia per l'essere umano, cioè come condizione da cui non c'è alcuna via d'uscita per Homo sapiens.

Tutto questo per arrivare invece al tema del "lungo racconto", di nuovo; e quindi a questa astrazione della morte, o a questa trasmutazione astratta di cui si parla nel "lungo racconto" e che a noi tanto interessa in questa sede, pur nella ardua impresa che viene proposta perché, come è scritto proprio nell'avviso ai lettori, il lettore di questo racconto che seguirà questa esperienza, questo racconto, ma anche la fondazione di un metodo o di un asistema che su questa nuova accezione di astrazione si fonda, un'astrazione quindi che ha all'interno di sé la mancanza, quindi la morte, come ogni [altra] cosa acquisisce un nuovo tipo di astrazione, acquisisce questa trasmutazione astratta qualora possa mancare di sé, qualora quindi abbia la possibilità di esistere in-Assenza di sé.

Questo è uno degli assunti fondamentali dell'asistema di cui ci stiamo occupando. Questa è la sfida per Homo sapiens perché Homo sapiens non è affatto abituato alla mancanza e ne ha timore, come abbiamo visto moltissime volte, in questi Seminari, anche. E dunque il sistema in-Assenza, o l'asistema in-Assenza, propone questa sfida, e il credere implica questa sfida perché il credere, nel senso di porre fede, laica, in un qualche cosa o in un alcunché che sfida l'organizzazione sensoriale-percettiva di Homo sapiens perché ha al suo fondamento una sua evidenza, è quanto non solo il "lungo racconto" ci propone, ma tutti i nostri Seminari ci stanno conducendo ad esplorare, perché in questo por fede in un'Assenza, e quindi in questa capacità di pensare un venir meno, o di esperire un venir meno, o di poter temere meno un venir meno perché questo può cominciare a fondare, invece, una nuova condizione dell'esistenza, del pensare e del vivere di Homo sapiens, sta la nostra - dico ancora - sfida, o comunque sta quello che è lo spossessamento del nostro sistema consueto sensoriale-percettivo, e anche di conoscenza.

E tutto questo vogliamo porlo, o cerchiamo di porlo anche in questi Seminari, a fondamento anche di un sistema, o di un asistema che cerca di portarsi comunque dietro, in questa sfida, anche le categorie già esistenti del pensiero noto - questo è il nostro sforzo nei Seminari -, e quindi di dare a questo asistema in-Assenza una conoscibilità, un'esplicazione, una percorribilità anche sul piano logico-razionale consueto, purché all'interno del piano logico e razionale consueto si fondi o si apra o venga posta una iniziale possibilità di mancanza che è quella con cui ci confrontiamo costantemente occupandoci di un oggetto che ha, nella sua caratteristica fondamentale, l'essere in mancanza di sé, e quindi il venir meno a sé, continuamente.

Io mi fermerei qua.

Luciano Eletti: "Perché i poeti, in tempo di privazione?", si domandava Heidegger.*

Anch'io, allora, citerò il poeta principe per Heidegger, cioè Hölderlin, che è citato nella A-meditazione,* appunto, Cum-Hölderlin, che dice: "Ciò che non è possibile si dimostra (talvolta) via privilegiata a quel peculiare possibile o impossibile - che è in-Assenza".

"Dov’è l’impossibile - radicale è la mancanza - con pudore e determinazione si fa avanti la salvezza".

Allora, richiamo da Patmos* di Hölderlin - dove c'è anche un'altra aggiunta interessante -. Hölderlin dice: "Dove c'è pericolo cresce anche ciò che salva" e, più oltre: "Se qualcosa si perde non è un male, né se il suono vivo del verbo si fa muto".

Allora, queste strane parole di "salvezza" sembra che abbiano attinenza con un'area del credere. Io penso che si possa cominciare a disegnare una specie di a-teologia in-Assenza.

E ci sono altri punti in cui, nel "racconto in-Assenza" che è in preparazione... poi ci ritornerò. Per esempio, a proposito dell'attivazione: "L'attivazione era, attraverso il pronunciare la parola" - leggo, credo, le stesse parole adoperate -, "il credere e il pensare che una profonda e vuota parola nell'esatto insieme con chi pronuncia e nel silenzio compiuto di chi la pensa mentre in sé la pronuncia - compassionevole è la sua dizione -, che essa parola avrebbe potuto, all'istante pronunciata e pensata, cambiare la storia di una persona, la sua vita materiale e spirituale, che il mondo ruotasse e altro si presentasse". E questa è definita "azione salvifica per sé e per gli altri". Entriamo appunto in un'area che dovrebbe essere dominio della teologia.

Poi ho seguito il consiglio di entrare nel sito del Centro Studi Assenza perché adesso c'è un motore di ricerca che è interessante: uno digita una parola e ha un'elencazione di come la parola compare nei testi inseriti nel sito. Sarà sempre più interessante a mano a mano che più testi si potranno trovare. Credere, o credo - io ho inserito questa parola -, per lo più ha il significato - questo fa parte di quello che si pensava di fare: un lessico dell'Assenza -, in tutte le evenienze - ce ne sono circa cinquantacinque, e per lo più riguardano i Seminari -, credere è nel senso di pensare e ritenere; tranne in un punto - ce n'è uno solo, che leggo - che fa parte degli Aforismi in-Assenza del '98.*

"Tutto l'Universo visibile, anche quello non visibile, è espressione del sintomo di una malattia mai guarita. Il pensiero umano si ostina in modo coattivo a tenere in vita ciò che da sempre è finito. I corpi, le sostanze, le cose, tutte le realtà sono comparse concrete, materializzate d'una traccia che non s'è estinta, come avrebbe dovuto, nel momento in cui si è iniziato a pensare. Pensare significa credere che niente sia, ovvero non credere in nulla di davvero esistente".

Quindi è un "credere che niente sia" che non è solo un pensare, ha un significato maggiore - che poi cercherò di spiegare -, e questo non è certamente nichilismo. Difatti, immediatamente dopo, si precisa che non si tratta affatto, con ciò, di nichilismo. "Nichilismo è ancora la traccia d'un pensare che non vuole cessare insieme con la vita e la morte, che deriva da uno stadio evoluzionistico che la mente, che pensa ancora causa ed effetto, dice esistente".

Cioè nel nichilismo, per esprimersi in termini nietzschiani che son le parole che più hanno indagato questo fenomeno, il nulla entra in un altro modo; cioè, dice Nietzsche, l'uomo vorrebbe il nulla piuttosto che non volere. Quindi non è certo il tipo di nulla sottratto a cui noi pensiamo.

Ripassiamo dall'area teologica per poi uscirne subito. La via di Damasco mi fa venire in mente - anche se magari l'ho già detto, ma mi piace talmente che lo ripeterò - un sermone "tedesco" di Eckhart in cui appunto, dagli Atti degli Apostoli, Eckhart sposta completamente il significato attribuito a quel passo famosissimo in cui Paolo, anzi Saulo, cade da cavallo, apre gli occhi, non vede nulla. La cosa è passata sotto la lettura di milioni e milioni di persone. Però in quella via di Damasco Saulo, poi Paolo, invece vede diverse cose in quel momento in cui è abbacinato. Crede, secondo Eckhart ovviamente, che Dio è nulla, che le cose sono nulla, che tutte le cose sono nulla in Dio. E [così Eckhart] sposta completamente la lettura che si fa di quel passo.

E c'è un altro punto, dai Sermoni tedeschi,* intitolato Predica verbum, che ha qualcosa di simile al processo di attivazione - poi ne usciremo subito, però bisogna dirlo, per creare queste differenze. Nel Predica verbum - che poi è preso, non a caso, da una lettera di San Paolo - Eckhart tira all'estremo [il significato]; io in San Paolo non l'ho trovato questo significato se non... Eckhart lo estrapola completamente, per cui il Predica verbum vuol dire: pronuncia la parola, generala, esprimila. Questo ha una strana assonanza - in questo strano predicatore eretico, quasi - con l'attivazione che funzionava attraverso l'emissione di una parola che creava un salto che però, appunto, ha precedenti teologici, che non sono casuali, credo, comunque, per esempio nel "dic unum verbum", "dì una sola parola" e ciò consentirà la salvezza...

Ma in che senso, invece, noi lo spostiamo in modo a-teologico? Credere nulla fa parte del gesto del pensare, quello di cui abbiamo parlato la volta scorsa. Il gesto è ipso facto pensare, è un generare la parola, è un attivare, ed è un credere in nulla perché al momento che precede, o nell'atto del pronunciare la parola, non abbiamo alcun terreno su cui calcare il piede, è un salto; e allora "credere nulla".

Mentre, come avevamo visto l'altra volta, il discorso solito - almeno in Occidente, in Oriente funziona in modo un po' diverso, ma non entriamo nel dettaglio - procede per argomentazioni. Il logos consente, necessita di argomentazioni; esiste ciò che precede, ciò che segue da una determinata posizione; invece il credere in-Assenza è un fidare: quel "fidaare" di cui si parla nella Commedia, per esempio. Il pensare in-Assenza, che è gesto, è un credere in niente, è il pronunciare, nella Commedia, visto che ne abbiamo parlato: "Izetbegovich!", e quindi tutto ciò che questo nome del presidente bosniaco implicava ai tempi in cui l'Astratta Commedia veniva composta, contemporaneamente alla guerra nei Balcani, e guerre varie.

E' ancora un credere che è un fidarsi, un nuovo tipo di sperare anche. E' il fatto che questo gesto, il gesto, l'atto di questo credere in nulla non ha alcuna necessità di essere mobile, di agire nel concreto. Infatti questo è un altro passo che si ritrova nel "racconto", credo - sono due testi che sono in preparazione, i cui titoli cambiano: faccio una gran fatica a seguire i movimenti. E' quello di cui avevamo accennato anche l'altra volta, per cui il pensiero umano non sa e non immagina neppure che il pensare sia sotto l'orizzonte degli eventi, cioè di ciò che si pone all'evidenza. Mentre questo da farsi, questo credere in nulla è un salto, è il salto della cosa su cui non si ha appoggio né prima né dopo: "Il da farsi è totalmente immobile, totalmente nella contemplazione assente, nell'immobilità di qualsiasi mente, di qualsiasi condizione dell'essere umano". E' un salto che è una scommessa, di cui s'accetta la costante che è un fattore-meno; e quindi il credere in nulla è un atto complesso perché è un disoccuparsi che è una diversa presenza. Si accetta la perdita - come già fece Homo quando incominciò a barcollare - del terreno su cui occorre calcare il piede per tenerlo bene fisso: la terra che dà l'impressione di essere appunto il terreno sicuro. Quindi accettare questa perdita - sempre si ridice in questi due testi che stiamo esaminando -, che è senza il mancare della coscienza però, senza fuggire; e quindi implica un confidare, un fidare, che esce dal credere come sinonimo di ritenere o pensare. D'altra parte implica che il pensare di Homo sapiens, invece, difetti di questa capacità, per cui ha bisogno di percorrere punti ritenuti fissi - anche se poi è un'illusione -, uno dopo l'altro, ritenendo così di avere raggiunto la "cosa". Però, se questo non è vero, non avremmo più punti fissi su cui poggiarci sul camminare; quindi sarà un "fidaare", come si dice nella Commedia.

Ultima cosa, quel parricidio di cui parlava Platone nel Sofista,* il parricidio di Parmenide, la pietra angolare del pensiero dell'Occidente, secondo cui identico è il pensare e l'essere, e il pieno è il pensare. Già c'è qualcosa che si muove nel Sofista di Platone, per cui vengono dette queste parole, che occorre invece andare contro il padre Parmenide, occorre in qualche modo, dice Platone "forzare il non-ente, sotto un certo rispetto, ad essere, e l'ente, a sua volta, sotto un certo rispetto, a non essere... Il non-ente, nel senso di diverso, è".

Paolo Ferrari: Ah, dice così?

Luciano Eletti: Sì.

Paolo Ferrari: Coglie subito già l'altro, allora. E il non essere (? Parola incomprensibile all'ascolto) l'altro.

Luciano Eletti: Sì, son due punti del Sofista, [parole incomprensibili all'ascolto] il non essere come diverso, e il non ente, nel senso di diverso, è. Questo, nel dialogo, dice lo straniero che rappresenta uno scolaro di Parmenide, che però ritiene di andare contro il vecchio maestro, appunto di attuare un parricidio. Platone, che aveva una formazione eleatica, si trova costretto a uccidere il suo maestro altrimenti non si può rendere conto dell'immagine, del rapporto tra la verità e il fenomeno - detto in modo veloce.

Dal nostro punto di vista, invece, posto questo credere ragionevole, cioè questo credere che si fonda, credere con la ragione, credere che - ribaltato, smossa la pietra angolare per cui lo stesso è pensare ed essere -, il pieno è pensiero, allora bisogna essere conseguenti, e "il far esistere è soffio d'Assenza" - son sempre parole di quel testo.

Per cui, anche dal nostro punto di vista, si può dire che anche il gesto in-Assenza, il pensare, il credere in nulla pone un'identità tra pensare ed essere, solo che questo essere  è appunto diverso; diceva Platone: "E' un non ente"; è svuotato, e non importa neanche più a noi della differenza tra non essere ed essere, porla. Ma che - e qui la fine continua a sfuggirmi, però esiste, questa volta... è appunto che questa identità che sta nel gesto, per cui il pronunciare è un'azione, anche se non visibile, è un atto non evidente, è comunque questa identità tra il pensare e l'essere-non essere che sparisce; per cui credere in-Assenza, credere in nulla è tentare un grande salto. La rete non ce l'abbiamo sotto, ma non deve farci paura. Il credere in nulla vince la paura.

Paolo Ferrari: Il fatto, soprattutto, è che, appunto, non si tratta di temi, diciamo, di tipo emotivo, circa la paura o meno. Ma mi piace questa idea, cioè del credere in nulla che è un credere ragionevole. Cioè il fatto è che all'interno di questa situazione vengono, si manifestano parole che sono di ordine teologico, spirituale o spiritualistico - tipo la salvezza, tipo questioni di questo genere, tipo i livelli bassi e alti o il piano più alto o il piano più basso, cioè tutte queste varie categorie che hanno fatto parte, nella storia della cultura dell'Occidente, di determinati piani, di determinati livelli che sono quelli di certi legami, che sono dei livelli, come diceva Luciano, teologici. Il problema è che, una volta avvenuta una modificazione o un salto tale per cui  la parola ha soppiantato tutto quanto era ed è stato quell'elemento di thanatos, di morte all'interno di un organismo - il quale organismo si teneva addosso, appresso, l'essere invece di esserci la parola, invece che ci fosse l'atto creativo o il gesto pensante : c'era thanatos -, questo thanatos che, come più volte ho descritto, ho tentato di dimostrare, deriva da un'evoluzione non compiuta, e cioè deriva da un sistema biologico animale il quale non si è estinto passando all'interno di un sistema pensante, non si è estinto del tutto, e l'elemento istintuale animale, con tutta la sua storia di condizione vissuta nel campo evoluzionistico o prodotta nel campo evoluzionistico - in una evoluzione la quale ha avuto, almeno secondo alcuni autori, secondo il darwinismo, come centro il fatto della lotta per la soppravvivenza del più forte e dell'estinzione del più debole -, cioè tutto questo campo di grandissima lotta per la sopravvivenza è stato poi riportato all'interno del sistema Homo sapiens o al sistema Homo, insomma l'ominide il quale si è trovato a dover fare i conti con una parola che veniva inventata e veniva creata da un nuovo sistema e che si autogenerava in questo nuovo sistema insieme con gli elementi di thanatos, tutti gli elementi di morte o di aggressività - che poi sono la stessa identica cosa: thanatos e l'aggressività - che derivavano da una storia evoluzionistico-biologica, di milioni di anni, che non aveva avuto la possibilità di estinguersi nel momento stesso in cui la parola del discorso, la parola del linguaggio articolato andava formandosi. Allora questo ulteriore salto, e questo dell'attivazione, di questo sistema nuovo che avevo inventato, era il fatto che la parola sostituisse, per intero, l'attività biologica dell'organismo, cioè che il soggetto s'identificasse totalmente con questa parola, la quale parola perdeva del suo contenuto, cioè del suo significato: e perciò la parola non aveva più il fatto di dover passare attraverso la concettualizzazione - e cioè quindi il suo valore semantico, il suo valore significativo -, ma la parola veniva assunta soltanto in quanto gesto puro della mente. In questo è molto probabilmente simile alla questione orientale del gesto di Om; però questa l'ho sussunta nell'ambito della cultura occidentale che particolarmente m'interessa; ma nella cultura occidentale, come stiamo vedendo, son dovuto passare attraverso un campo che era quello teologico, poi attraverso quello filosofico, attraverso quello scientifico, attraverso quello musicale, attraverso quello della fisica, quello teatrale, per poter continuamente dare linguaggio a questa parola nuova che aveva sussunto, cioè aveva preso dentro di sé, tutta la storia biologica, l'aveva trasformata, era diventata la parola, e questa parola era diventata vuota, cioè aveva prodotto questo credo, in un vuoto. O, in altri termini, chiunque dica una parola... ma anche prima, appunto, quando Luciano stava parlando, mi dicevo: ma toh, guarda, sta parlando; mentre sta parlando, compie un gesto, dice una parola; si deve fidare del fatto che sta dicendo questa parola; non è che pensa prima di dire la parola. Spesso, vedo in alcune patologie, c'è il fatto che, prima di dire una parola, si pensa la parola che si deve dire, e quindi c'è un tempo secondo, ma in generale la parola viene detta in un tempo primo, cioè la parola 'casa', 'vuoto', 'animale', 'uomo', eccetera viene detta simultaneamente all'atto pensante che genera questa parola, e quindi il soggetto stesso vive in quel momento il fatto che lui è perduto, è una perdita; cioè deve credere al fatto che, nel momento stesso in cui dice la parola, lui esiste lo stesso perché simultaneamente sta dicendo la parola per cui lui sta diventando questa parola.

L'attivazione non era altro che questo fatto portato agli estremi limiti, perché questa parola era vissuta, era portata a un estremo limite di tipo emozionale; e io conducevo questo gioco, soprattutto in pazienti in cui c'era lo sfasamento fra la parola e il gesto pensante. Perciò quando non parliamo in maniera vacua, fatua, ma quando la parola ha un significato continuativo con l'atto pensante, con l'atto emozionale-pensante, in questo c'è già un credere di esistere, c'è già un atto essente che è già assente.

E tutto ciò mi sembra una dimostrazione talmente ovvia del fatto che il cervello già è capace di pensare così, soltanto che in questo perdersi del pensiero, del gesto pensante nella parola, poi l'individuo, il soggetto, Homo sapiens deve continuamente trovare dei punti d'appoggio perché ha paura di perdersi in questa parola. Allora la parola diventa vacua, diventa falsa; si scinde, si dice; diventa in secondo tempo. Oppure diventa una parola pronunciata attraverso le energie periferiche che sembrano centrali; ma se passasse attraverso il cuore dell'Universo di cui dicevo prima, si accorgerebbe che nasce da un luogo che è un luogo che si porta dietro tutto questo caos, cioè il caos delle origini, il caos che prima abbiamo fatto in musica, che però si è organizzato, che a mano a mano si organizzava. Si organizzava attraverso questo gesto della viola, si organizzava attraverso questo pulsare degli strumenti elettronici, ma che si disorganizzavano a loro volta. Anche perché l'atto di cui stiamo parlando è un atto mancante, è un atto mancato. In un certo senso è la sottrazzione di tutto l'universo e quindi il fatto è che noi comunque, esseri umani, in quanto esseri umani continuiamo a mancare, nel momento stesso che abbiamo inventato il linguaggio, nel momento stesso che abbiamo inventato questo gesto pensante.

Adesso abbiam fatto un altro passo, stiam facendo un altro passo: Homo abstractus ha inventato questo ulteriore passo, il quale ammette continuamente il fatto che lui viva continuamente questa Assenza. Se Homo sapiens vivesse questa Assenza ma senza riuscire a tradurla in parola che dice il gesto pensante, continuerebbe a perdersi, a non ritrovarsi perché dovrebbe vivere continuamente in un asistema. Però questo asistema molto probabilmente si sta organizzando già in questi altri tipi di forme, di linguaggi, le quali non sono forme né linguaggi, tant'è - come dicevamo prima - che tutta la storia della scienza attuale incomincia a organizzarsi intorno a questi nuovi concetti del fatto del caos, dell'organizazzione intorno ai limiti, sui margini, [intorno] ai sistemi complessi e così via.

Questo di cui stiamo parlando è un altro sistema che assalta tutti questi [altri], si pone in questa mancanza, si pone nella mancanza totale di universo; si pone, in un certo senso, nella fede in questa mancanza, però è essa stessa l'elemento del credere. Questo credere è questa parola stessa. Questo atto è un atto mancato, è mancante, e in questa mancanza quello che ho scoperto è il fatto che c'è stata tutta un'autorganizzazione del sistema la quale ha organizzato questa mancanza, totalmente, mentre Homo sapiens è come se avesse dei luoghi in mancanza e luoghi non in mancanza; invece si afferra poi a questi luoghi non in mancanza che sono quelli ancora del sistema precedente, del sistema biologico precedente.

Questo nuovo sistema invece è organizzato continuamente su questa mancanza ovvero su un linguaggio che è questo atto pensante che è capace ogni volta di identificarsi, di essere questa parola che si fa vuota nel cuore dell'universo. Ma vuota vuol dire vuota-piena e cioè fondativa di un altro universo il quale ha un cuore che anche questo è continuamente vuoto e in-Assenza. Ed è per questo che è nata anche una Commedia la quale, nella pronuncia delle parole "fidaare", "pensare", "cogito", si porta dietro questa nuova entità del linguaggio che è un linguaggio capace di essere assente, in-Assenza. Il soggetto che la pronuncia diventa soggetto assente, cioè soggetto che accetta la perdita di sé; ma non c'è il timore, non c'è il timor vacui; c'era, adesso non c'è più.

Qualche domanda, poi suoniamo.

Per esempio, dal punto di vista del linguaggio, quello che è incredibile in questo sistema nuovo è il fatto che adesso, avendo fatto tutti questi passaggi, avendo inserito questa parola, diciamo, nel nostro gruppo, io ricevo tutta una serie di processi che sono avvenuti e che stanno avvenendo; ma questi processi non sono pensati, cioè io non li penso, non li concettualizzo; li concettualizzo, in un certo senso, dopo; ma tutti questi processi che sono in atto, anche la stessa fatica, mancanza, cioè questa stessa fatica che - sono le otto meno dieci - comunque in quest'aula è pervasiva perché ci sono questi processi molto grossi ma anche energeticamente complessi, questa a me ritorna e mi arriva, ma non attraverso il pensiero: ma incomincio a sentire, a vivere nel corpo, nel cervello, tutta una serie di vibrazioni - le chiamo vibrazioni anche se so che scientificamente non è corretto, ma d'altra parte non so come spiegare -, una serie di elementi di ritorno che producono una modificazione di tutto questo sistema che incomincia a vibrare nella relazione con i fatti che sono avvenuti; ma anche [con] queste vibrazioni che vengono emesse o buttate fuori dai corpi che sono stanchi, che non vogliono tenere la stanchezza, ma che le buttano fuori.

Ma questo non è che passa concettualmente, questo è in quest'area. Sarebbe interessante avere una luce, una luce particolare che mettesse in luce tutti questi elementi, queste nuove funzioni di... questi campi di altra origine energetica in-Assenza, perché questa è comunque vuota, è nulla, è comunque sempre questo nulla, il quale nulla, per sua caratteristica, produce un determinato tipo di stato, di condizione, dall'altra parte dell'essere, nell'ambito del non ente. Una a-energia che però produce comunque delle condizioni del pensiero, del linguaggio, diverse.

Va be', suoniamo, perché il pezzo è un po' lungo.

[Lisetta Carmi esegue al pianoforte il pezzo composto da Paolo Ferrari intorno a quello di Janàcek, Sulla strada, mentre Paolo Ferrari contemporaneamente lo raddoppia al pianoforte. Durata 17' circa]

Paolo Ferrari: Allora, in questo pezzo, come dicevo, c'è prima il moto sulla strada che porta verso questa fine, con questo drammatizzarsi a mano a mano, del lato sinistro, che così intendevo, della parte dei gravi e nello stesso tempo invece anche con qualche elemento degli acuti, che invece tendeva a calmarsi, come se portasse dentro - quello che un po' diceva anche Luciano precedentemente - quasi questo presentimento della fine, cioè del finire, cioè questotimor vacui, horror vacui. Però, con la destra, con le parti acute della destra, portava, diciamo, il linguaggio nuovo in questo presentimento della fine; e poi alla fine c'è la fine perché questo studente muore ucciso da questo austriaco. E la fine Janàcek la pone in maniera drammatica e io sono andato dietro a questo elemento drammatico, questo elemento delle radici profonde dentro a questo sprofondare del nulla, anche se, questo, trasformato. Nel linguaggio in-Assenza vuol dire comunque un nulla in mancanza, vuol dire un nulla in mancanza del vecchio tipo di disorganizzazione caotica della morte.

E con questo ho finito.

La prossima volta penso che dovrebbe venire anche Enzo con i suoi ballerini a fare il pezzo del Raddoppio In divenire ulteriore fatto con due ballerini, più alcuni altri - così mi aveva detto -, ballato sulle punte. Qui non si può ballare sulle punte perché se no si rovinerebbe tutto il pavimento; balleranno con mezza punta.

Vi saluto.



* P. Ferrari, Paolo e il suo compagno senza morte, Edizioni Apollinaire, Milano, 1978.E' chiamato "Libro blu dal colore della copertina: il blu di Klein.

* P. Ferrari, Astratta Commedia, Campanotto Editore, Pasian di Prato (Ud), 1998.

* J.C. Ameisen, Al cuore della vita. Il suicidio cellulare e la morte creatrice, Milano, 2001.

* Shakespeare, Amleto, Atto I.

* Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus.

* R.M. Rilke, Poesie, ed. Einaudi, Torino, 1983.

* M. Heidegger, Sentieri interrotti, 1950.

* P. Ferrari, A-meditazioni in-Assenza, 2000.

* F. Hölderlin, Le liriche, Adelphi, Milano, 1977.

* P. Ferrari, Aforismi in-Assenza, 1998.

* Eckhart, Sermoni tedeschi, Adelphi, Milano, 1985.

* Platone, Sofista.