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Paolo Ferrari: Il titolo del Seminario di stasera è una domanda, come avevamo detto l'altra volta, che ci saremmo domandati e domandati di nuovo e domandati daccapo queste domande che hanno un valore, un significato di grandissima ampiezza e nello stesso tempo stringono verso alcuni punti cruciali che abbiamo osservato, abbiamo indagato, che abbiamo vissuto, esplorato anche in tutti questi anni. E questa è una domanda quasi per chiudere il millennio - noi ci rivedremo nel nuovo millennio - e la domanda è se sia il peso della traccia residua di morte concreta degli stati evoluzionistici precedenti la causa della resistenza al capovolgimento definitivo della vita pensante di Homo.

Stasera seguiremo questa traccia, sentiremo forse anche il peso di questa traccia...* , e dicevo - e già abbiamo sentito il peso di questa traccia - che seguiremo questo indirizzo andando a toccare questa traccia di vita-morte o di morte-vita concreta. Penso che su questa traccia poi Susanna seguirà e produrrà degli elementi dei vari punti nodali della rete intorno a questa traccia e a questo tentativo continuo di sottrazione di questa traccia [che] stiamo facendo, perché questa è la traccia che passa direttamente dall'animale a uomo e in questa animalità c'è, è insita la traccia di una morte, di un corpo-morte, di un corpo-morte contrario o non sufficientemente adeguato a quello che poi sarà ed è in realtà l'attività mentale superiore di Homo. La vita pensante di Homo è un'astrazione, ha dentro l'astratto; la vita dell'animale o la vita, diciamo, naturale si porta appresso questa traccia di morte che è la sua presenza corporale istintuale, come se la morte fosse in eccesso spostata in avanti e non si fosse sufficientemente spostata all'indietro, per lasciare un sufficiente spazio a far sì che la mente-corpo nuova potesse attivamente produrre altri sensi, in tutti i tipi di senso, sia nei termini di significato, sia altri tipi di sensorialità che non fossero quelle degli stati precedenti, cioè dell'animale o comunque della vita naturale in generale.

Mi riallaccio alla domanda interessante che aveva fatto l'altra volta Nicolò, del fatto di questa sensorialità, [e] vedremo, probabilmente anche stasera, come questo apparato sensoriale umano che, si porta appresso tutta la tattilità della traccia precedente e quindi questo elemento che possiamo chiamare di morte concreta in quanto si porta una massa, si porta un peso, non si porta una smaterializzazione quale è la mente umana, quale è il corpo-mente umano, questa tende a ingombrare l'attività e non lasciare quello spazio sufficiente perché tutto il sistema umano sia 'immentato', ma senza perdere dell'elemento corporale, ma l'elemento corporale incluso in un sistema nuovo. E penso che Susanna mi seguirà su questo.

Credo poi che Luciano, da quello che mi accennava, incominci a trattare tutta la questione degli spostamenti dei punti di osservazione che la scienza ha fatto in questi ultimissimi anni [dal]la scoperta della fisica quantistica in poi, del fatto di punti di osservazione diversi, di nuovi universi che vengono messi al mondo e questi universi che si portano dentro la smaterializzazione della traccia. Cioè è come se il campo fenomenico, che è il campo della fisica, si porti dentro un'idea nuova e si porti dentro quest'idea di una materia in un certo senso differente, la quale materia differente ha come sua natura fondamentale, fondante, una tendenza alla dematerializzazione.

Dulcis in fundo faremo un Raddoppio. Ugo, il nostro eccezionale percussionista con cui ho lavorato in questi ultimi tempi: lui è quello che aveva collaborato con me ai costumi per il balletto ed è un ottimo percussionista; abbiamo lavorato intorno a un pezzo, una base che avevo costruito e che servirà anche questa per il balletto, per la penultima fase del balletto. Stasera insieme, io al pianoforte, lui alle percussioni, raddoppieremo questa base costruita in un certo modo, che, se avremo tempo, spiegheremo, racconteremo. E questo è il percorso.

Vorrei introdurre già subito, all'interno di questo percorso, il senso di questo essere morte "altra" o morte "altrimenti", ovvero far comprendere come nella storia naturale evoluzionistica ci sia stato sempre, continuamente un equilibrio, un pareggiamento tra vita e morte e anzi che a poco a poco, come avevamo già visto, questo connotato di morte sia stato un elemento fondamentale, perché nello sviluppo della struttura somatica, della struttura corporale, dell'evoluzione della materia biologica, l'intervento di una morte particolare, che è una morte controllata, abbia permesso il fatto che le cellule potessero costruire delle strutture biologiche più complesse dalla struttura semplice da cui la vita era nata. Questo fenomeno si chiama apoptosi, che significa il controllo della situazione dello stato vita-morte tale per cui ci possa essere un ricambio continuo delle cellule che sostituiscono le cellule che hanno finito la loro funzione, e che questo tipo di funzionalità e di controllo delle vite e delle nascite possa produrre la costruzione di sistemi sempre più complessi. Cioè all'inizio della storia evoluzionistica, nei corpi elementari la morte in un certo senso era come se non ci fosse, cioè i corpi elementari erano ameboidi, erano dei corpi i quali andavano a finire per esaurimento, in un certo senso, senza alcuna definizione, come delle strutture non definite e non definitive, quindi diciamo delle a-strutture - non volevo dire a-strutture perché la a- è quella che poi io adopero invece nei sistemi più complessi -, delle mancanze di struttura, la quale mancanza di struttura ha, a un certo punto, prodotto una sua autorganizzazione tale per cui quello che era il fatto della non definizione, il non finire, a poco a poco veniva finito, entrava nel finire, entrando nel finire incominciava il controllo dell'equilibrio vita-morte. Questa possibilità del controllo vita-morte è quella che produceva il fatto della possibilità del ricambio della vita in base a determinati tipi di strutture di controllo, e questo ha permesso a poco a poco il fatto di poter costruire dei sistemi sempre più complessi.

Allora, all'interno di questo procedere naturale evoluzionistico si è arrivati alla struttura di animali complessi come sono i mammiferi, dai mammiferi c'è stata un'evoluzione ulteriore, dagli scimpanzé c'è stata l'evoluzione umana. Ma qui è avvenuta una cosa molto particolare, cioè si è formato un altro livello, si è formato il livello mentale, si è formato il livello del linguaggio, si è formato il livello dell'astrazione e in un certo senso in questo nuovo statuto la morte non sapeva più dove stare, cioè a livello mentale, a livello del linguaggio, a livello di questa nuova condizione sistemica o addirittura asistemica nel nuovo sistema in-Assenza, la morte-vita e questo elemento di ricambio che aveva permesso l'evoluzione del passaggio da strutture semplici a strutture sempre più complesse attraverso un controllo sui sistemi vita-morte, si è trovata in un certo senso a formare una barriera dove a mano a mano si era venuto scavando un altro elemento dematerializzato, un altro elemento il quale in un certo senso non aveva niente a che fare con questo elemento di ricambio vita-morte, e quindi si era formato un nuovo sistema, si era formata l'attività pensante, la quale attività pensante è un'attività astratta. All'interno di questo, il sistema umano - il quale eredita tutta la questione istintuale, tutta la questione anche biologica, genetica dell'animale - si è trovato come invaso ancora da uno stato morte-vita, che è ancora quello dell'animale, con in più un nuovo livello che era quello della neocorteccia della parte superiore del cervello. Perciò noi ci troviamo in una situazione in cui abbiamo un corpo, con una cosa nuova che è nata e che è questa neocorteccia, ma questo corpo è ancora quello dell'animale, in più si è formata questa neocorteccia; questa neocorteccia produce, ha prodotto un nuovo stato: sia stato il fatto di quello che abbiamo raccontato, che l'uomo si è alzato in piedi, che sia stata l'evoluzione che ha accettato la precarietà, che c'è l'animale bipede barcollante, in tutta questa situazione però la corporeità, la sensorialità, gli elementi percettivi sensoriali sono ancora quelli precedenti, per cui cosa è successo? Che in una situazione vita-morte, basata su certi equilibri meccanicistici naturali, si è formato un linguaggio, un linguaggio capace di nominare le cose, di avere una distanza dall'oggetto concreto della cosa, ma avere un corpo ancora fatto come se fosse una cosa, come una cosa animale, una cosa vegetale, una cosa biologica, una cosa cellulare, molto raffinato, ma biologicamente ancora quello dell'animale, per cui, all'interno di questo, avendo una sorta di aggiunta in cui c'era lo sviluppo di un nuovo linguaggio. Ma questo linguaggio non sa dove stare, per cui ognuno di noi si trova in una situazione di un linguaggio nuovo, di un linguaggio astratto, di un linguaggio smaterializzato in un corpo che è ancora materializzato, avendo una capacità mentale, di astrazione in un corpo percettivo sensoriale che è ancora di antica origine, e quindi avendo al suo interno un elemento di morte-vita, diciamo, portato all'esterno, cioè abbiamo un corpo che è un'evidenza, è un'evidenza cosante, è un oggetto, è un oggetto che si vede; la mente e il pensiero sono degli elementi che non si vedono, sono smaterializzati, nascono da un atto che comunque al suo interno ha una dematerializzazione, è svuotato. In un certo senso la mente, il cervello ha dovuto come produrre un qualche cosa, una sorta di svuotamento in questo corpo, cioè formarsi una sorta di nicchia, all'interno di questa nicchia poter produrre questo nuovo stato che si è portato appresso sì un pezzo del corpo, molto probabilmente perché un pezzo del corpo è astratto, cioè non abbiamo più il corpo totalmente animale, però la morte-vita ancora insiste, è ancora lì, biologicamente attaccata. Infatti una delle cose più difficili che vedo anche nel lavoro terapeutico è il fatto di far arretrare questi elementi istintuali, questi elementi pulsionali, far sì che la mente, la mente-vita o la mente-corpo di nuova origine possa stare all'interno di questa corporalità e questa corporalità arretri. Ma questo arretrare perchè tende a produrre questa resistenza? E' come se all'interno dell'organismo ci fosse ancora un comando del fatto che, nel momento stesso che ci sia un arretramento, quindi una smaterializzazione, una dematerializzazione, il corpo deve cedere, deve cessare, deve morire. In effetti, molto probabilmente uno dei processi fondanti di tutto il processo evoluzionistico per cui si è formato a poco a poco questo nuovo livello di dematerializzazione, di smaterializzazione, è quello che noi abbiamo chiamato Assenza, cioè si è prodotta un'assenza dentro ad un elemento della materia, si sono formati dei nuclei, dei microprocessi di assenza che hanno prodotto questa nuova sostanza che è in assenza rispetto al corpo "cosale" dell'animale, del vegetale naturale, si è formato uno spazio. In questo spazio si è formata questa nuova attività, questo nuovo livello, questo nuovo statuto sistemico; all'interno di questo, il nuovo processo di cui noi stiamo parlando e di cui noi parliamo è il livello nuovo in cui tutto il corpo arretra, tutto il livello vita-morte arretra e permette il fatto che questo nuovo livello assente si faccia strada e questa assenza diventi l'elemento fondante e quindi l'elemento pensante - che è comunque un'assenza rispetto a tutto l'elemento corporale - incominci a avere la prevalenza, e quindi tutti gli elementi di resistenza precedenti incomincino a cedere e incomincia a prodursi una conduzione rapida, adeguata alla nuova condizione, al nuovo statuto psiche-mente-corpo che è capace di questo nuovo livello in-Assenza. Qui mi fermo.

A te, Susanna.

Susanna Verri: Il tema di questa sera mi è sembrato centrale di tutto il lavoro che è stato svolto negli anni, perlomeno negli ultimi dieci anni, e anche di quello che poi è stato lo sviluppo di certi temi che abbiamo visto qui nei nostri Seminari. Sicché sono andata in questi giorni a rileggere alcuni dei primi Seminari del '91 e del '92* e alla prima formulazione, nell'ambito di un Seminario, del dominio in-Assenza: il tema vita-morte già si poteva intravedere, si poteva intravedere, all'interno della proposizione del campo in-Assenza, l'esistenza di una possibilità, che veniva proposta, di un'attività del pensare di nuovo genere, del vivere, ma anche di uno statuto differente della vita e della morte nei termini cui accennava poco fa Paolo, nei termini che poi nel '94 erano esplicitamente definiti all'interno di quello che era il III Saggio sull'Assenza*, che formulava "un approccio non noto alla differenza dal ciclo di vita e di morte consueto". Questo era quanto diceva poco fa Paolo; questa differenza fondamentale per Homo sapiens parte dalla formulazione, quindi dell'esistenza di un ciclo di vita-morte, di un rapporto stretto tra quella che è la vita e quella che è la morte. In un aforisma del 1997* infatti è posta questa corrispondenza: vita e morte si corrispondono in-Assenza su un certo piano, e cioè quelle che sono le caratteristiche del vivere si riflettono su quelle che sono le caratteristiche del morire. Al vivere concreto in eccesso corrisponde dall'altra parte la morte concreta: quanto più il vivere diventa capace di morire in vita, cioè di atti di cessazione al suo interno, tanto più sarà possibile un decremento anche del bisogno di morte concreta, quindi del bisogno di quella che abbiamo visto essere la presenza di una saturazione dell'oggetto concreto e la presenza quindi di questa sostanza-materia morte-concreta che è così fondamentale nel determinare quella che è stata definita altrove da Paolo Ferrari "la malattia più consistente di Homo sapiens". Cioè la morte concreta è elemento fondante di malattia, di quella malattia che è la malattia della specie di cui noi abbiamo visto la formulazione in vari saggi in questi anni, nei Seminari stessi. La specie, per quello che diceva prima Paolo, è ammalata di questa malattia; il peso di questa morte concreta nasce dall'ineluttabilità per Homo sapiens, dalla sua incapacità ineluttabile di distaccarsi, cioè di produrre quel distacco sia dall'oggetto generatore, cioè dalla madre, sia dall'oggetto proiettivo, cioè la cosa concreta, che solo consentirebbe di iniziare a cogliere in-Assenza la nuova materia, la nuova sostanza del pensare e  del vivere in-Assenza. In mancanza di questa capacità la specie soffre di una congenita - si può dire - incapacità a un pensare che sia più ricco e quindi si porta appresso una corporeità coi vincoli che vedevamo prima, sostanzialmente vive una condizione che è simile a una condizione schizofrenica, a meno che in questa condizione di specie non sia possibile fare un varco e quindi non sia possibile a mano a mano far entrare elementi di possibile interruzione di questa saturazione dell'oggetto concreto, e quindi di possibile interruzione di quel velo di oggettivazione continua, non di oggettivazione nel senso del processo di oggettivazione, ma del velo di concretezza continua che offusca lo sguardo e il pensiero di Homo sapiens.

D'altro canto una delle caratteristiche del procedere in-Assenza e quindi una delle caratteristiche di tutti i processi di astrazione in-Assenza è quella che, nel momento in cui questo equilibrio vita-morte, quindi questa compensazione continua tra gli elementi di vita e gli elementi di morte concreti possa recedere, cioè possa sbilanciarsi nel senso di un decremento del bisogno di morte concreta, il sistema si trova idoneo a un processo di astrazione, cioè il sistema si trova nella possibilità anche di relazioni di nuovo genere, perché sono relazioni che si aprono da questo squilibrio, cioè che cominciano a poter aprirsi a partire dal venir meno di quel piano di saturazione che sta a fondamento della malattia della specie.

E questo filo conduttore mi è sembrato poi fondante di alcuni dei temi principali che abbiamo trattato in questi anni, ma soprattutto anche di un nuovo modello di sanità, perché abbiamo parlato di una schizofrenia, abbiamo parlato di malattia della specie e di schizofrenia della specie e dunque la sanità della specie sta nella variazione di questo equilibrio di cui si diceva, si può darne una lettura in questo senso. Allora la sanità di Homo sapiens sta nella sua possibilità di accettare gradi sempre maggiori di disequilibrio al suo interno, di un particolare tipo di disequilibrio, cioè di quel disequilibrio per cui il sistema Homo sapiens cessa e muore ad ogni istante, ad ogni atto di pensiero.

Mi fermerei qui.

Paolo Ferrari: Luciano, a te.

Luciano Eletti: Trovo molto interessante lo sviluppo della fisica teorica nel '900 dal nostro punto di vista. Però, siccome intendo parlarne anche la prossima volta, vedrò di arrivare alla motivazione, al perché sia così interessante per esempio la teoria delle superstringhe, passando da lontanto, prendendo lo spunto dal tema evoluzionistico che è stato ripreso oggi, un punto che tendo a portare più sul lato della storia della cultura e a mostrare come ci sia un aggancio a questo mondo arcaico dell'animale, pur nell'esperienza della storia della cultura, e come comunque ci sia una forte oscillazione su un tema arcaico, dove si vede che lo spirito - direbbe Hegel - ha tentato in tutti i modi di sganciarsi da questo retaggio animale.

Un tema che, vedremo, è molto importante anche in fisica, è per esempio il tema del confine, che implica un'infinità di questioni. Si può dire, dal punto di vista della filogenesi, [che] il problema del confine sorge, come tutti sanno, dall'etologia: ogni animale ha il suo spazio a seconda che sia maschio o femmina, che l'età, l'epoca sia quella riproduttiva, che l'animale sia giovane oppure no, che riesca a trovare un suo habitat, una sua nicchia evolutiva particolarmente favorevole; per cui tutti gli animali sembra che abbiano quest'area. Anche l'uomo dovette avere all'inizio questo problema di limitazione da un punto di vista della limitazione naturale - ché fino a questo secolo la natura è sempre stata matrigna per l'uomo -, sia dal punto di vista del dominio del proprio spazio vitale, del territorio.

Abbandonando adesso l'uomo arcaico, prenderò due o tre punti che possono far capire in che modo il tema del confine sia il tema dell'oscillazione. Per tornare all'inizio della nostra cultura vediamo che per i Greci il confine non è una linea per cui un territorio è diviso da un altro: esiste una koinè linguistica per cui la Grecia è ovunque ci sia qualcuno che parla greco, per quanto un greco scalcagnato, quindi la Grecia effettivamente Magna, diffusa un po' per tutto il Mediterraneo e ogni greco che sente parlare un altro greco si riconosce; diversa è la situazione del mondo romano che ha un retaggio, da questo punto di vista, per noi ancora più pesante. Per cui vediamo [che] la Grecia s'è sganciata dal limite, sembra, dal punto di vista della filogenesi, del territorio dell'animale, perché considera una comunità più ampia che ha caratteristiche ormai pienamente umane, per cui non è nella capacità di percorrere un certo territorio nell'arco della giornata che crea dei confini più o meno esplicitamente pensati. In un articolo* apparso sul Sole 24 Ore di domenica Eco dice che Roma invece aveva l'ossessione del confine, nasce da questa ossessione e finisce con questa ossessione: Romolo traccia il solco della città quadrata e subito dopo Remo lo oltrepassa in maniera ignomignosa, secondo Romolo, e qui si ha il fratricidio. A Roma esisteva un tempio sulla rupe Tarpea intitolato a Terminus, che era il dio che proteggeva i confini, il congresso e la proprietà, il limite; Roma, come sappiamo, costruì vari limes, vari valli - Vallum Adriani, il Limes Germanicus, eccetera -, una struttura di fortificazione fortemente pensata e concepita, anche l'imperatore-filosofo Marco Aurelio muore combattendo a Vienna contro i barbari. Ora, questo non vuol dire un ritorno allo spazio dell'animale, solo molto più amplificato e molto più astratto, perché per un romano il limite, il confine è un fatto giuridico, è la civitas, cioè la cultura si definisce in antitesi col barbaro; mentre per il greco il barbaro è quello che appunto, come dice la parola, non sa parlare il greco - ché sembrava una cosa ovvia che si dovesse parlare il greco -, per il romano il barbaro è ciò che sta al di là del limes, è un barbaro perchè il barbaro non pensa un confine, non ce l'ha, vaga fino a cozzare contro il limes. Ma è anche un fatto giuridico, cioè le persone - le persone le inventano i romani -, il cives che vive al di qua del confine ha dei diritti: San Paolo, che era ebreo, era un cittadino romano, cioè non importava il luogo d'origine - a un certo punto, com'è noto, la cittadinanza fu ampliata a tutto l'impero, ma inizialmente era un diritto e poteva acquisire questo diritto al limite qualsiasi cittadino all'interno dei confini dell'impero.

La storia dell'Occidente questa faccenda del limes se l'è portata dietro: si pensi alla storia moderna, al formarsi degli stati nazionali che hanno dei confini discussi in maniera assolutamente precisa. Quando gli occidentali vanno in America trovano delle popolazioni non alla pari degli europei semplicemente perchè gli indiani americani vagavano per le praterie, le civiltà precolombiane non si occupavano tanto di confini, si sopraffacevano a vicenda senza tanto considerare i confini. Il confine acquisisce anche una forte carica affettiva nell'epoca romantica, lo si legge persino in uno dei testi più astrusi della storia che è la Scienza della Logica * di Hegel, dove si vede il nascere dello stato nazionale, non nazionalista, lo stato nazionale, per cui c'è una comunanza, come appunto nella Grecia, di persone che vivono sul territorio. Il fatto che noi siamo ciò che siamo è proprio perché non siamo l'altro, quindi viene fuori anche l'aspetto di definizione, di differenza che rende molto più elevato l'aspetto di origine arcaica dell'animale che, per forza di cose, può coprire solo un certo territorio e lo ritiene, chissà perché, cosa sua; per cui il tedesco è tedesco perché non è francese, per esempio, e questo contribuisce a un'identità attraverso questa differenza, un essere-per-altro.

Nell'Ottocento gli occidentali vanno anche in posti lontanissimi. Faccio un caso, di cui qui si è parlato anche altre volte, nel rapporto Occidente-Oriente, con la Cina: nell'epoca in cui un famoso storico francese* definiva un capitolo, quello della Cina crocifissa, gli occidentali nonostante tutto rispettavano i cinesi perchè i cinesi il senso del confine ce l'avevano, cioè quella grande muraglia, lunga non so quante migliaia di chilometri, che noi conosciamo è solo l'ultima muraglia, di epoca Ming, ma ce ne furono molte altre all'interno dei vari Stati Combattenti - così come chiamano i cinesi quell'epoca della loro storia -, per cui ciascuno poneva un confine al ducato vicino, e questi stati erano in perenne lotta, per cui alla fine chi unificò la Cina non fece altro che collegare i vari muraglioni che esistevano già. Quindi gli occidentali capivano i cinesi e difatti da questo punto di vista diventa molto chiaro perché quella cosa che a noi sembra stranissima, delle concessioni che gli occidentali avevano in Cina - anche noi italiani ne avevamo una a Jiang Xi, mi sembra -, per cui c'erano delle piccole Germanie, delle piccole Italie nel corpone del mondo cinese, per cui dieci centimetri al di là era terra del Celeste Impero, di qua era faccenda degli occidentali che vivevano in Cina quasi come se fossero a casa loro, anzi, come se fossero a casa loro. Allora, questa storia del confine dell'animale si è molto evoluta anche in rapporti di astrazione, appunto, di definizione attraverso la differenza, di acquisizione di un'identità giuridica. Un'altra cosa importante [è] che lo stato democratico, che nasce nell'Occidente nell'Ottocento, si basa sullo stato nazionale, quindi su dei confini; questo pone il problema di come potrà essere pensata per esempio la democrazia in un altro ambito che non si rifà più ai confini dello stato-nazione, che ormai sembra essere troppo debole e senza vera storia davanti.

Ora, ho detto tutto questo perché nella nostra epoca invece questa faccenda del confine diventa molto più complicata. Emblematicamante il muro di Berlino è anche un esempio di quello che si stava dicendo, cioè gli occidentali sono riusciti a dividere - anche i russi, a dire il vero, a questo punto - una città in due - anche Gorizia, se ci ricordiamo bene, era divisa in due, Vienna è stata divisa in due, ma quelli erano motivi bellici -: Berlino è rimasta divisa in due per molti anni e alla fine sembrava una cosa naturale anche per noi occidentali. Il muro è caduto, questa caduta del muro è stato il primo incrinarsi del confine; i mezzi tecnologici hanno eroso questi confini, la televisione ha ampliato enormemente la possibilità di comunicazione all'interno non solo delle stesse nazioni, in nazioni diverse: gli albanesi e i tunisini imparano l'italiano dalla televisione, per cui alla fine trovano normale venire in Italia; internet permetterà alla varie comunità sparse per l'Europa di poter avere continui rapporti senza neanche contatto fisico, per cui, come diceva Eco, ci potrà essere una comunità mussulmana a Gibilterra che via Internet ha un rapporto con una tamil in Estonia e - continua Eco - se questo non è ancora successo state tranquilli che succederà. Per cui il fatto che manchi, cominci a cedere già nella nostra cultura, che ha il senso del confine molto forte - "Montegrappa tu sei la mia patria", il Piave mormora che lo straniero non passa -, vacilla, ma sembra vacillare non solo in Europa, ma anche dai paesi da cui provengono gli immigranti, nel senso che evidentemente anche lì il senso di identità di appartenenza è molto meno granitico di quello che noi siamo abituati a pensare o a considerare. Penso che spesso siamo noi a considerare quelli che arrivano come ben stretti nella loro cultura, quando magari in gran parte questi invece se ne liberano di quella cultura.

 Allora, c'è un'oscillazione molto forte sui confini, quindi sul senso di ciò che siamo noi, di chi è l'altro, di come vadano posti i confini, di quale struttura sociale allora può essere pensabile che non induca semplicemente al caos, ché questi confini possano cessare, venir meno senza creare un ammasso informe, per cui comunque le specificità e le differenze rimangano. C'è un articolo su Il Manifesto che parlava - [come] se ne parlava su Micromega di due numeri fa, che io però non ho potuto vedere - del problema di questi che arrivano da noi che non si sognano di chiedere la cittadinanza, sia perché per loro la cittadinanza non ha quell'aura quasi sacrale che ha per noi, quindi non ne sentono neanche l'esigenza, loro vengono da un mondo comunitario che non si basa sull'identità della persona e sui diritti della persona e quindi non si sognano neanche di chiedere l'identità dopo molti anni che possono vivere qui. Allora c'è chi ha fatto notare che sbaglia sia chi tende a respingerli, che chi tenta di accoglierli indiscriminatamente, perché si rende comunque un fatto fissato che esista una comunità di appartenenza che sia superiore all'individuo, che quindi questi individui sono ingessati in quello che loro stessi o noi riteniamo che siano, mentre invece sembra venir fuori quello che viene detto in quell'articolo non nel senso dell'identità, ma una sospensione di identità, una scomposizione dell'appartenenza alle societas, alle comunità più o meno etniche, non tanto un tentativo, un desiderio di assimilazione, ma di differenza. Quindi sembra che il limes in tutta la sua travagliatissima storia di passi avanti, indietro, di oscillazioni sul limite, per cui questi confini sono continuamente dibattuti, diventa veramente la terra di sperimentazione e di frontiera paradossalmente, di come chi viene ospitato e chi dà ospitalità siano costretti ad oscillare, non si può dare per scontata che l'identità di quella persona sia così granitica come sembra in base alla cultura ufficiale, o che quelle persone in realtà siano così legate. Probabilmente questi tentano anche di trovare uno spazio che non è quello della comunità nazionale che li ospita, ma non è neanche più quello di provenienza, e chi ospita queste persone si trova ad oscillare, perché questo confine svanisce, dilegua, oscilla e quindi si è costretti a pensare diversamente tutto il problema.

E quindi arrivo alla fisica - che tenterò di sviluppare anche la prossima volta -, sui confini che si sono scoperti in ambito fisico. La scienza newtoniana era molto tranquilla da questo punto di vista, era - facendo un'immagine - come un biliardo su cui si muovevano delle bocce che prendevano direzione diversa a seconda dell'intersezione, degli scontri delle forze, e qui non entrava in gioco il tempo, non entrava in gioco nessun'altra considerazione strana. Perché la stranezza arriva dal confine che invece si è costretti a ipotizzare per venire a capo di alcuni problemi che la fisica ha mostrato e che sono ineludibili. E qui c'è un'oscillazione rispetto alla stessa corporeità umana, cioè se si fa caso alcuni esperimenti importanti del '900 sono ideali, nel senso [di] concettuali: si pensi ad esempio al gatto di Schrödinger, che questo sia vivo o morto dipende da come l'osservatore a un certo punto lo considera; il principio di indeterminazione dice che di un elettrone si può o conoscere la velocità o la posizione, non le due cose insieme; questa cosa faceva impazzire anche uno come Einstein, che pure aveva completamente fatto saltare la teoria newtoniana dello spazio come un piano assolutamente uniforme, dove il tempo era uguale in ogni punto. Questa mancanza di confine sia al limite alto che al limite basso della comune esperienza di homo, di quella che abbiamo tutti i giorni: ci sono dei confini che solo in casi eccezionali mostrano come il nostro modo di intendere la fisica quotidiana sia solo un caso particolare, che fa parte invece di una teoria che implica, per poter spiegare ciò che avviene ai limiti, ai confini e anche qualcosa al di là di questi, implica invece una concettualizzazione che per noi appare assurda. Si pensi cosa può implicare, rapportato al nostro mondo, quello che sta, dal punto di vista della meccanica quantistica, nei corpuscoli subatomici dove si arriva ad ipotizzare che i corpi possano oltrepassare altri corpi, che ci sia una fobia dello spazio ristretto e che comunque non si possa determinare esattamente cosa sta succedendo lì in mezzo, pur adottando questa teoria che ha riscontri sperimentali completamente convincenti.

Allora sembra che la neocorteccia appunto essendo un gradino più in là del corpo che fa resistenza, sia costretta prima a pensare alla possibilità di un evento limite, del limes, e poi trovare il modo per verificarlo o, dal punto di vista popperiano, tentare di falsificarlo - qui si potrebbe anche dire qualcosa su Popper,* per quella strana idea che la scienza è tale perché consente la falsificazione, cioè un venir meno alle proprie credenze di prima. Per cui nella fisica del Novecento ci sono tanti esempi di come prima si ipotizza un caso limite e poi lo si vada a trovare e vedere se questo è veramente così. Un caso, per esempio, [è quello] famosissimo della riflessione della luce attraverso la gravitazione di Mercurio, che rispondeva alla teoria di Einstein* pensata anni prima per cui nella gravitazione di Mercurio il raggio della luce viene incurvato e lì si ha un'incurvatura dello spazio, della luce e anche del tempo, e che quello è solo un caso limite, ma che in realtà la materia deve essere pensata come continua curvatura di questo spazio-tempo che fa saltare tutti gli orizzonti dell'uomo barcollante, che qui barcolla più che mai perché il terreno fermo sotto i piedi è sempre parso all'uomo la cosa più tranquillizzante, pur barcollando. E adesso è costretto invece a ipotizzare un limite in cui quello spazio, che sembra assolutamente fermo è invece soggetto a strane incurvature, e spero le prossime volte di chiarire come può interessare dal nostro punto di vista.

Paolo Ferrari: Quello che sta venendo fuori, quello che è interessante poi è che si formi questa specie di dialogo anche tra di noi, così, con qualcuno degli ascoltatori. Potrei già subito dire alcune cose sul fatto di come questo problema, questo tema in-Assenza, [su] come condurre sempre più all'interno dei processi attuali, cioè come un tema così inattuale, inattuale nel senso che è futuro, è futuribile, è altro e che si pone continuamente nella differenza - io l'ho chiamata la differenza assoluta, cioè priva di legami -, a poco a poco produca continuamente questi legami e che la realtà attuale continui a produrre determinate formulazioni, tali per cui si formi questa specie di intreccio in un ambito della differenza, dove la mente pensante incomincia veramente a pensare. Cioè lo scrivevo in un aforisma, che poi ho messo anche nel video, un video breve, Il gesto pensante in-Assenza: "Il gesto per il cui tramite il corpo-mente pensa si nutre unicamente del folle scarto che è abissale apertura a sé: su niente poggia se non sull'infinita ricchezza che gli deriva dall'essere tutt'altro, compiutamente".* Ora, questo è come dire che l'attività, cioè il vero atto pensante, il vero cogito non poggia su niente se non su se stesso che è sottratto a se stesso, in quanto esso è tutt'altro. Allora, in tutto questo discorso cosa significa? Significa che questo nuovo gesto di cui stiamo parlando si pone in questa differenza, in questa sua alterità in questa differenza, però contemporaneamente - come diceva Luciano - tutta la fisica teorica del Novecento va verso questa differenza. Noi avevamo un limite, questo limite viene sorpassato, oltrepassato, ci si trova di fronte, si pone una nuova questione limite, questa nuova questione limite viene oltrepassata e viene come misurata e dice: "Tu esisti, tu resisti a questa mia concettualizzazione anche virtuale, a questa sperimentazione, a questa sfida dell'attività mentale", come se l'attività mentale fosse continuamente, adesso sempre di più, sottoposta al fatto che sfida se stessa e in questa sfida incomincia a sottrarsi, incomincia a venir meno e con questo a produrre il venir meno di questa vecchia corporeità, di questa arcaicità di questo corpo il quale invece vede tutto il mondo in termini di evidenza, cioè lo sguardo, il guardare è continuamente annacquato, saturato dal voyeurismo, cioè tutti quanti vedono il corpo, vedono la materia, le forme. Su questi elementi, le forme, la materia - no, la materia no, non è visibile -, i corpi, gli oggetti, le cose sono continuamente visti, nel momento stesso in cui sono visti questi diventano elemento cosante del corpo, del corpo-mente, del corpo-mente di homo, per cui nel momento stesso in cui il corpo-mente di uomo vede o sente, in quel momento esso, almeno per una parte che non è pensante, ma è percettiva e sensoriale, diventa un oggetto, diventa una cosa. Diventando questo oggetto, diventando questa cosa, proprio per una delle definizioni di schizofrenia, il soggetto pensante accetta, cioè viene meno al suo statuto di essere pensante e diventa cosa e diventando cosa diventa schizofrenico, cioè incomincia a frammentare e a concretizzare, a diventare questo elemento di morte concreta, di questa sua mancanza di abisso mentale, di questa sua mancanza di differenza.

Adesso io ho detto della vista, ma l'udito è la stessa cosa: l'udito generalmente, anche se molto probabilmente è più sottile, per certi versi, soprattutto nel musicista, ma comunque anche l'udito, nel momento stesso che accetta questa vibrazione sonora - la vibrazione è un ente molto concreto - di un certo suono, di un certo rumore, lo incamera e lo riconosce, nel momento stesso che lo riconosce oltre al fatto di pensarlo e quindi riconoscere e quindi averlo come oggetto separato da sé, è un oggetto che incamera, è un oggetto molto concreto - il suono è un elemento molto concreto - e in quel momento, nel momento stesso in cui riceve questo suono, questo suono diventa cosa e fa diventare cosa chi ha pensato, chi è l'uditore, chi è l'ascoltatore.

Non parliamo poi del tatto: il tatto è uno degli strumenti, una delle vie più arcaiche del sistema umano. Io presuppongo che nel vedere, nell'udire, nell'olfatto, ci sia questo elemento saturante, questo elemento prevalente della tattilità, la quale tattilità è uno degli elementi più arcaici della vita animale. Ma questo elemento della tattilità è quello che fa vedere il mondo come un qualche cosa di concreto, come qualche cosa di esistente, se venisse sottratta la tattilità homo sapiens avrebbe paura di perdere tutto il mondo che lo circonda. L'animale ha questi elementi tattili, si crea il suo territorio attraverso gli elementi tattili, attraverso gli elementi dell'olfatto, attraverso l'elemento di una recinzione, di una vista limitata, di un udito limitato anche se l'udito è molto acuto, ma comunque il territorio ha sempre un limite. L'uomo scopre l'infinito, scopre il non finito, ma nel momento stesso che scopre il non finito questa scoperta è comunque anche questo un oggetto: il non finito nel momento stesso che diventa un concetto, viene riconosciuto come concetto, assume il suono, assume la tattilità, assume tutti questi elementi che sono poi del bambino piccolo, in quel momento il soggetto diventa un oggetto e quindi diventa elemento cosale e diventando elemento "cosale" si ammala, è ammalato della malattia della specie, della specie umana e quindi vive la sua infelicità di sempre. 

Ora, questo discorso, cioè il sistema in-Assenza cosa significa? Significa il fatto che né l'oggetto, né la cosa, né il suono, né la vista, né il concetto stesso, questi mai possono diventare elementi cosanti o cosali perché, come dicevamo, hanno un foro al loro centro, non hanno l'elemento di fermata, non sostano, ma passano continuamente e interagiscono continuamente con un corpo-mente, il quale corpo-mente contemporaneamente si è fatto corpo-mente capace di "immentarsi", cioè di svuotarsi, di diventare questa cellula in-Assenza avendo prodotto la desaturazione o il distacco dall'elemento morte-vita che è l'elemento della vita passata, della vita evoluzionistica passata, ovvero nell'uomo il fatto dell'assunzione del distacco dalla madre, del distacco dal padre, del distacco da tutti questi elementi che sono i vari passaggi che homo sapiens fa nella sua vita, e anche, in un certo senso, del distacco dalla morte. La morte è uno degli elementi che comunque segna un distacco, un passaggio tra una situazione vita-morte e una situazione che è mortale, è mortifera, è un elemento mortale; questo elemento di morte, nel momento stesso che è capace di deconcretizzarsi, anche questo - la morte - in homo sapiens diventa una morte di tipo diverso, diventa una morte astratta, diventa una morte vuota e quindi produce, all'interno di tutto il sistema pensante, questo abisso, questo non essere, questo non essere della morte stessa che altrimenti sarebbe uno degli elementi di saturazione, di schizofrenia della specie.

Questo discorso lo riprenderò la prossima volta con Luciano, se lui riprende l'elemento della fisica teorica riprenderò questo elemento della saturazione di morte. Cioè in un certo senso la vita, quello che noi chiamiamo la vita, è dove questo elemento saturante di morte, questo elemento di morte concreta è venuta meno; nel passaggio da animale a uomo c'è stata una desaturazione di questo elemento vita-morte che è la concretezza, che è la percezione, che è la sensorialità, che è il territorio piccolo, che è l'udito che concretizza la cosa, che è la vista che è voyeuristica. Tutti questi elementi sono venuti meno e quindi la vita-morte è diventata vita pensante perché vita-morte hanno fatto un passo indietro e cioè rispetto alla natura, rispetto a tutto il sistema naturale il sistema umano è quello che in un certo senso ha saputo astrarre, astrarsi e produrre un distacco e produrre un vuoto dove c'era questa saturazione di una morte concreta non capace di diventare astrazione e quindi attività pensante.

Adesso passiamo alle domande.

Una cosa che volevo dirvi è il fatto che ci sono questi pannelli: questo è l'elaborazione che ho fatto di una fotografia di Lisetta della testa di Ezra Pound; ce n'è un altro là fuori, nella sala. E' un lavoro che abbiamo presentato a Genova a una serata, a una discussione intorno alla poetica di Ezra Pound, e sono state presentate le fotografie - una bellissima serie secondo me - di Lisetta di Ezra Pound che, quando poi passeranno da Milano, le esporremo anche qui per vedere da dove è nato poi questo lavoro. Questo lavoro di trasformazione anche della fotografia - come abbiamo già parlato l'anno scorso - è uno degli elementi di desaturazione del linguaggio, anche del linguaggio fotografico, che ha un aspetto di questi elementi di fissità o di fissazione, anche se secondo me le fotografie di Lisetta hanno una grandissima libertà al loro interno, per cui mi è permesso su questo di lavorare e lavorare abbastanza in pace per potere trasformare, per potere dare questo ulteriore elemento di oscillazione sistemica, di oscillazione fotografica, di oscillazione della fissità che altrimenti la fotografia avrebbe e quindi produrre questo asistema nell'ambito della storia fotografica.

Va bene. Adesso passiamo alle domande, poi suoneremo con Ugo.

Beh, allora incomincio a presentare il pezzo. Dunque, il pezzo è una base, cioè alla fine sarà un pezzo per pianoforte raddoppiato due volte, percussioni varie di tipo etnico e non, strumenti elettronici, sintetizzatori, soffio umano, rumori microfonici. Ovvero la base di tutto questo è stato un lavoro fatto con gli strumenti elettronici in cui già in questi c'è ci sono, oltre agli elementi dei violini, degli archi, una serie di elementi percussivi elettronici. Dati questi elementi percussivi e questi elementi degli archi è stato fatto da me un raddoppio, un lavoro sopra questi attraverso il pianoforte, altri strumenti percussivi in questo caso, invece, acustici, anche con suoni direttamente sulla struttura del pianoforte, alcuni suoni direttamente sulle corde o delle percussioni all'interno sulle corde e quindi una miscela, un intersecarsi, un materializzarsi e smaterializzarsi tra gli elementi dei sintetizzatori, gli elementi elettronici e gli elementi acustici, in più gli elementi quasi di materia sui microfoni usando della carta argentata per dare questi rumori, perché questi rumori fossero poi assorbiti all'interno di questa costruzione che veniva fatta, poi un lavoro attraverso dei soffi miei e delle vibrazioni basse della voce in modo che si formasse tutto questo piano. Questo piano appunto [è stato] già raddoppiato, ho detto, due volte, ma probabilmente è stato raddoppiato una terza volta attraverso questi vari passaggi successivi per dare questo elemento di base sul quale adesso Ugo e io lavoreremo, io un'altra volta col pianoforte, per cui è il secondo livello di raddoppio del pianoforte, e lui con le percussioni di tipo acustico, con questi vari tipi di percussioni, anche con questo magnifico strumento che è uno strumento che non è facile da trovare costruito poi anche in questo modo: [è un] tamburo a fessura, perchè da questa parte ha una fessura, una fessurazione e quindi ha un suono secco e cavo. Tra le altre cose Vittorio Zago, che è il compositore che lavora con me, in un pezzo per orchestra aveva proprio usato un suono di questo tipo, mi aveva detto [che] l'ultimo lavoro che aveva fatto era stato a Tokio, [e] aveva, in vari punti di passaggio, questo strumento percussivo, questo tamburo a fessura.

Ecco, andrei al pianoforte. Tu vuoi le cuffie?

Ugo Brancato: Tu?

Paolo Ferrari: Io no.

Ugo Brancato: Facciamo senza, così sentiamo quello che sentono loro.

Paolo Ferrari: Sì.

[Paolo Ferrari e Ugo Brancato eseguono il raddoppio del pezzo preregistrato composto ed eseguito da Paolo Ferrari; durata 7 minuti circa]

Paolo Ferrari: Allora, se volete fare domande, osservazioni...

Nicolò Ferrari: Io volevo chiedere una cosa riguardo anche alla musica e a questo pezzo musicale. Forse in un certo senso si potrebbe dire che questo pezzo musicale, non avendo uno spartito, non ha dei confini preordinati, però i confini se li crea e nel momento in cui li crea nello stesso tempo li dissolve, cioè è qualcosa di finito senza finire come un elemento di concretezza.

Paolo Ferrari: Sì. In realtà uno dei suoi elementi, diciamo, astrutturali, acostruttivi è questa possibilità dell'autorganizzazione.

Tu come ti eri trovato stasera a fare il pezzo?

Ugo Brancato: C'era troppa gente, cioè quando siamo da soli è diverso.

Paolo Ferrari: In effetti mi è sembrato che ci fossero degli elementi di minor intimità di rapporto fra le note, fra certi tipi di note, per cui un minor elemento di simultaneità straordinaria che io ho trovato soprattutto alla prima prova della prima sera che abbiamo fatto, in cui ci sono stati dei momenti di simultaneità assoluta, nel senso che nel momento stesso che io rallentavo col pianoforte, che la base rallentava, si svuotava, Ugo la svuotava passandogli attraverso e poi di nuovo accellerandola un attimo prima e riempiendola un attimo prima che questa si riempisse e quindi anticipandone il tempo. E questa io l'ho trovata una cosa straordinaria, tant'è che ho fatto sentire questo pezzo a Vittorio Zago, il quale [è] compositore di musica scritta, ma di una scrittura rigorosissima, anche un rompiscatole pazzesco per certe cose, nel senso che se la sua musica non è suonata fino alla 999,999 millesima nota non va bene; lui scrive molto per le percussioni, nel campo della musica contemporanea. Alcuni di voi hanno sentito il pezzo In-divenire ulteriore, che è una partitura scritta fatta da me e da Zago, in cui è venuto un percussionista di orchestra di musica contemporanea leggendosi  la partitura; anche lì appunto c'era qualche elemento che non andava bene, siamo arrivati al punto in cui quasi non si poteva registrare questo pezzo perchè mancavano alcuni passaggi, poi alla fine siamo riusciti. Allora, facendo sentire a Vittorio questo pezzo dell'altra volta, lui è rimasto colpitissimo, nel senso che per lui era come se fosse una partitura scritta, cioè come se io e Ugo avessimo seguito una partitura scritta, tanto gli elementi erano contemporanei, erano simultanei in questi vari passaggi e questi vari punti di svuotamento e di riempimento, che poi era svuotato sul fondo. Ieri l'altro musicista con cui collaboro, Carlo Balzaretti, che voi avete conosciuto, di sopra, sentendo questo, mi ha telefonato dicendo che era una magnifica musica che sentiva, con chi stavo suonando, chi era il percussionista; e Carlo Balzaretti è uno che ha l'orecchio assoluto, interno ed esterno, lui gioca con la musica, la costruisce, la fa, la disfa.

Allora, per rispondere a Nicolò, per andare a intrecciare questa osservazione, quello che è interessante di questa musica - sono pienamente d'accordo - è il fatto che questa ha un suo livello di organizzazione, di possibilità di autorganizzazione al suo interno, cioè vive, è posta in una differenza; essendo posta in una differenza, e quindi non posta dentro alla struttura delle logiche strette di una partitura in cui c'è un linguaggio metronomico fisso, questa ha al suo interno il fattore tale per cui ha la capacità di lavorare in costante in-Assenza, tale per cui chi entri nel rapporto con questa, lui stesso trovi una dematerializzazione all'interno della sua attività mentale e quindi sia capace di decostruire e quindi di costruire contemporaneamente a questa musica, a questo elemento, entrando in questo sistema che è questo nuovo asistema, e di organizzare il linguaggio musicale all'interno di questo sistema, producendo un'attività tale come se fosse stato questo costruito a tavolino. E quindi questo fatto, cioè diciamo che questa base, questi suoni, questa musica è come se ponessero continuamente un antisuono, quello che io chiamavo l'antiantisuono - e la prossima volta lo vedremo ancora meglio con Luciano -, di queste particelle anti, di questi suoni anti, di queste scritture anti, questi linguaggi anti e quindi di questa differenza dove si pongono e in questa differenza, chi entrasse in questa differenza può produrre una organizzazione nella sua attività e quindi nel suo raddoppio in questa ulteriore possibilità di costruzione, basta che entri all'interno delle logiche, all'interno diciamo dello spirito, del genius musicae di questa costruzione in-Assenza. E quindi qualora il confine oscillasse, qualora in-Assenza oscillasse questo confine, qualora le persone si ponessero all'interno di questa oscillazione in-Assenza, questa oscillazione in-Assenza che è molto di più che non l'oscillazione limite, di quella che noi stiamo vedendo... infatti in un discorso con Luciano dicevo, a proposito di questa immigrazione, di questo ospite-ospitante, [che] a mio avviso non esiste né più ospite né ospitalità né chi deve ospitare, cioè che l'unica possibilità di un'evoluzione dei processi mentali umani, delle specie è il fatto che non ci sia più un ospite, non ci sia più un ospitante o un ospitato, cioè il fatto che la differenza sia intrinseca, cioè la differenza sia nell'ospite e nell'ospitato.

La Commedia a cui noi stiamo lavorando, la Commedia che ho scritto, l'Astratta Commedia, è il luogo di questa differenza, dove ogni personaggio scambia la sua essenza, il suo essere con l'altro personaggio e a sua volta diventa l'altra persona, la quale altra persona è priva di questa persona perché poi la scambia con gli spettatori, con gli ascoltatori; gli ascoltatori diventano questa a-persona e contemporaneamente il soggetto è privato della sua ospitalità in quanto persona, quindi non è neanche più ospitante. Allora, in generale, io dico il fatto che nella cultura di tutti questi movimenti, di questi grandi movimenti di immigrazioni e di questi luoghi che vengono di nuovo coltivati da capo, il fatto è che secondo me non si possono fare le previsioni, e cioè dire che questo è perché... la multicultura... chi ospita e chi è ospitato... quest'altro perde... eccetera. E' vero questo come premessa, ma il punto di arrivo molto probabilmente, ammesso questo processo in-Assenza, questo processo di perdita dei confini, perdita della persona come appartenenza a sé, come proprietà privata di sé, questa proprietà privata per cui nessuno più è ospitante e l'altro è ospitato, a mano a mano che ci fosse questa perdita di proprietà intrinsecamente la proprietà - non la proprietà privata in termini marxiani, anche probabilmente, ma la perdita della proprietà di questo problema di possesso o di appartenenza a sé, che è uno dei processi in-Assenza -, allora tutta la società si svilupperebbe in altro modo, nel senso che la relazione sarebbe con la differenza, e si porrebbe una società dentro la differenza, essa stessa sarebbe in-differenza, nella differenza, essa stessa sarebbe questo non essere - per quello che portiamo il monologo di Amleto negli scritti, "essere o non essere" -, si porrebbe in questo non essere. In questo non essere allora è possibile la civiltà, la cultura di altro tipo, è possibile questo altro tipo di musica, questi altri tipi di linguaggio, ma molto probabilmente anche un'altra lingua, un'altra lingua mentale, ma anche un'altra lingua parlata, probabilmente, quindi un altro sviluppo del linguaggio su piani di astrazione più complessi. Quando parlo di astrazione non parlo dell'astrazione razionale, quella rigida, parlo di essenza, parlo in termini hegeliani come luogo di ricezione, di elaborazione-ricezione anche immediata, anche dell'intuizione profonda dell'oggetto, il quale oggetto nel momento stesso che è portato all'interno invece di diventare cosa, diventa essenza, quindi si smaterializza e quindi diventa ente astratto, ente non soggetto a quell'elemento di morte concreta e quindi di morte schizofrenica.

Con questo io finisco. Se c'è qualche domanda... Finiamo il millennio con questa non-morte schizofrenica. Ringrazio Ugo.

Ugo Brancati: Prego, grazie a te.

Paolo Ferrari: Ci vedremo altre volte.

Ugo Brancati: Me lo auguro.

Paolo Ferrari: Va beh, allora ci vediamo prossimamente.



* P. Ferrari chiede che venga spento un faretto la cui ventola di raffreddamento produce una vibrazione molto fastidiosa.

* P. Ferrari, Le lezioni dell'Assenza. Le vie (assenti) del nuovo pensare, I ciclo 1991-92, Campanotto Editore, Pasian di Prato (Ud), 1994.

* P. Ferrari, III Saggio sull'Assenza. Un approccio non noto alla differenza dal ciclo di vita e di morte consueto, in Le lezioni dell'Assenza. Le vie (assenti) del nuovo pensare, Campanotto Editore, Pasian di Prato (Ud), 1994.

* P. Ferrari, A-meditazioni in-assenza, 2000-2001.

* U. Eco, La fine del confine, "Il Sole 24 ore", 17 dicembre 2000.

* G. Hegel, Scienza della Logica, 1812-1816.

* J. Genet, Il mondo cinese, 1972.

* K. Popper, Logica della scoperta scientifica, 1934.

* A. Einstein, Sulla teoria della relatività ristretta e generale (esposizionedivulgativa), 1916.

* P. Ferrari, Aforismi in-Assenza, 2000.