Aforismi attorno al fare in-Architettura

1. Teorizzare mentre si procede alla progettazione d'un oggetto architettonico (in-Assenza) non solo non è espressione teorica per lo più facoltativa, ovvero un assunto teorico che spesso è confinato entro se stesso, estrinsecazione di un bisogno del progettista (forse addirittura dell'architettura in toto, bisogno di ordine psicologico e mentale, atto a formulare una congerie di relazioni causa-effetto che giustifichino certe scelte formali scartandone altre sul filo di memorie tipologiche e di citazioni non affatto libere - qualora i dettami della funzionalità presunta non abbiano avuto già il sopravvento), è invece a nostro parere un atto dovuto, un'azione necessaria, un evento relazionale perché emerga la giusta collocazione, si faccia giusto il luogo e il miglior spazio possibile apra le sue maglie entro l'oggetto fisico della realtà.

Si tratta del generarsi di uno spazio fisico e mentale che, mentre apprende a far recedere fino a estinguere la propria originaria e naturale indifferenziazione, simultaneamente apprende l'emergenza nuova d'una specifica beanza. Ovvero impara ad essere vuoto, di quel vuoto che è caratteristica dell'essere spazio in architettura, capace così di ricevere e di dare ordine complesso al costrutto (oggetto architettonico) relativamente al quale s'è formato l'idoneo accoppiamento.

Il progettare - teorizzare a priori in progress lungo l'iter dell'idea pensiero che si fa oggetto progettuale -, è una vera azione idonea a produrre la prima e la principale pre-condizione relazionale, l'evento primario da cui possa estrinsecarsi l'insieme costitutivo del manufatto (anche nel senso di Le Corbusier).

In ciò si implicita che il teorizzare-progettare è un atto equivalente all'antecedente-astratto in architettura che è condizione necessaria perché il luogo, lo spazio che sono da definirsi e da costruirsi secondo l'oggetto architettonico imparino ad ubbidire (accettino il sistema metodologico adatto) al tratto complesso (futuribile) del pensare. Ciò dato è possibile attuare la condizione idonea a che si verifichi un decremento della concretezza-resistenza di quello stato indifferenziato - che equivale all'entità prespaziale - non ancora pensato entro il progetto architettonico.

Il fatto di progettare un tratto della realtà e perciò pensarla entro un ordine complesso produce un evento specifico -il manufatto extranaturale-, in conseguenza del quale quel tratto (pre-spazio, pre-luogo) s'è fatto permeabile all'attività astratta del pensiero costituendosi quale pensiero-astrazione-manufatto: spazio estinto -> spazio vuoto -> progetto concreto (spazio costruito-oggetto architettonico), risultandone quale ente adatto agli accoppiamenti formali e funzionali relativi allo stadio complesso del sistema Homo, spazio-tempo-luogo pronto per essere abitato e fruito interamente secondo i criteri di tale sistema capace di ulteriore evoluzione nella direzione di processi in-astrazione.

Progettare in Architettura (in-Assenza) si costituisce quale veicolo di senso secondo il quale produrre un alcunché di astratto e concreto mirato specificatamente alla relazione con l'altro e alla sua esistenza in tutte le sue peculiarità.

E' sperimentazione-esperienza dell'atto mediante il quale (atto-mediazione) emerge la probabilità dell'ingenerarsi del luogo-spazio-manufatto dalla proprietà specifica della beanza e del vuoto astratti, accoglienti a sufficienza per quel complesso strutturale e funzionale che è il sistema Homo sapiens: entro la definizione di realtà così attuata è possibile disporre il tempo dell'esistenza di chicchessia il quale, partecipando di codeste aree e specificità, decida di comporre la sue peculiari spazialità e temporalità in accoppiamento con quanto è possibile attuare, dati i vincoli non ostruttivi del manufatto architettonico così progettato e realizzato.

 

 

2. Il progetto in-Architettura deve generare innanzitutto un luogo-spazio (-tempo) adeguato. Lo spazio che i nostri sensi solitamente recepiscono e la mente per abitudine elabora non ha esistenza a priori data la quale ed entro la quale costruire l'oggetto architettonico: lo spazio è da generarsi poiché allo stato naturale non ha esistenza. Quello che siamo soliti vedere e percepire, anche nei luoghi aperti sull'infinito, è spazio occluso, perché occupato dalla concretezza dell'essere esso ente non svuotato nella sua centralità, non reso a sufficienza capace dell'essere niente (rispetto all'oggetto-cosa-materia).

Non esiste in natura il luogo idoneo al silenzio (della cosa), pronto a quella trasparenza (iperconduzione) propria del rapporto mente-spazio (-tempo) evoluto, che dovrebbe essere il fine o almeno la tendenza di ogni progetto in architettura (in-Assenza) che aneli esprimere l'esistenza d'un mondo non fittizio.

 

3. Lo spazio che osserviamo solitamente e che abitiamo con le nostre vite non ha esistenza propria, non esiste cioè come oggetto a priori, come oggetto già fatto. Anche quello che ai nostri sensi apparisse il più aperto o il più libero possibile è occupato nel suo centro dalla sua stessa mancanza di forma e di sostanza definite (rispetto a un'unità dai rapporti complessi).

Occorre un accoppiamento idoneo, ovvero sono necessari più accoppiamenti successivi tra chi osserva (colui che progetta lo spazio) e lo spazio medesimo (la realtà osservata) perché si generi la nuova entità che è capace di vuoto (maggiormente de-finita) nel centro. Dato ciò allora abbia principio (fonte) quello spazio-luogo che è il risultato di ogni progetto concepito secondo il metodo dell'accoppiamento progressivo per successivi svuotamenti (kenòsi) del centro dello spazio non ancora formato: occorre liberare lo spazio informe e in eccesso concreto della mancanza di idoneità a recepire l'impronta dello spazio reale (capace del giusto accoppiamento in una mente-cervello pronta a determinarsi in funzione della trasparenza (assenza) delle cose).

 

4. Non esiste dunque uno spazio inteso come scatola vuota da riempirsi, e cioè come ente passivo da manipolare, così com'era inteso nella fisica classica newtoniana.

C'è invece una condizione da esplorare passo a passo così che esso da oggetto inerte quale solitamente comporta si trasformi in luogo di ricezione (di accoglienza) si compiano pertanto attraverso l'atto del cervello-mente(-corpo) quegli accoppiamenti adeguati tali per cui il centro del sistema in architettura s'esprima vuoto (beante) e così, quale fonte generosa e inesauribile, generi tutt'attorno e in modo continuativo lo spazio da vivere e pensare nel modo più ampio e libero possibile senza dover ricorrere alle usuali misure della relazione fra soggetto-corpo e oggetto realtà.

 

5. Fare architettura significa scoprire la fonte sorgiva da cui uno spazio scaturisce costantemente rinnovantesi.

 

6. Fare architettura è (il tentativo) di precedere il momento in cui il mondo si è costituito quale ente concreto e reale (fenomeno): dato un siffatto anticipo (tentare di) indirizzare il nulla (lo stato in-Assenza) ad assumere le forme e i costrutti capaci d'intrecciare il tessuto di un sistema complesso d'ordine architettonico favorevole al sentire d'un cervello-mente pronto a partecipare di ogni nuova esperienza che gli si mostri valida per il suo diveniente costrutto.

 

7. In fondo progettare in architettura significa prospettarsi la costruzione di mondi oggettivi reali e possibili: c'è l'occasione di aprire (de-materializzare) lo spazio (occupato) nel suo centro (buco nero della realtà) per disporsi a cogliere il punto dove esso s'è introflesso perdendo così ogni speranza di luce.

8. Fare architettura significa sgombrare lo spazio dei suoi orpelli d'eccessivo ingombro perché nato informe da una natura matrigna.

 

9. Pensare in architettura e realizzarne le forme e i costrutti deve permettere che le cose dello spazio d'un mondo antiquato, dapprima imparino ad arrendersi al gioco sottile e mutevole di una mente-cervello che le sfida giocando drammaticamente con esse e subito dopo lasciar trasparire il nulla luminoso e nuominoso che esprime la faccia nascosta del cosmo-cosa in eccesso concreto, a causa di una fissità nata entro l'anfratto buio e angusto della primitiva caverna.

 

10. Alla base del pensiero dell'architettura in-Assenza sta una forma-costrutto peculiare: essa non si rifà alla geometria degli oggetti astratti iniziali del mondo.

La forma in-Assenza è quell'espressione di luogo-costrutto dove lo spazio, a braccetto del nulla quale suo ottimo compagno, apre la voragine del mondo attraverso la quale costruire il gioco delle cose che cessano di occupare lo spazio a favore (della mente-cervello evoluta).

 

11. Il metodo in-Architettura. Ogni architettura (in-Assenza) rappresenta uno sviluppo complesso, atto a non esaurirsi in se medesimo, bensì pronto ad aprirsi costantemente ad altro.

La semplicità del particolare o di un ambiente deve accompagnarsi alla complessità del tutto; l'armonia e la consuetudine della struttura alla discordanza e alla discontinuità possibile, persino al disordine; l'umiltà d'un singolo spazio al segno imperioso del gesto costruttivo; la certezza del piano progettuale al caso e alla necessità del volume simbolico.

Il costrutto finale (parzialmente finale) deve risultare come ente prodottosi per successive stratificazioni così come avviene per un tessuto urbano che procede nel tempo per sedimentazioni sovrapposte di epoche diverse. Ovvero secondo il metodo con cui è proceduta l'evoluzione biologica: essa, di tappa in tappa per tentativi e successivi affinamenti, costruisce organismi la cui morfologia e funzione portano inscritto un insieme di fallimenti catastrofici e di realizzazioni assolutamente specifiche nate sulle rovine di quelli.

Al termine ogni architettura, così come porta il segno della sua nascita, dovrà contenere (forse mostrare) altresì il gesto di quel nulla peculiare che l'ha generata, così che s'attui nello spazio la forma del tempo non fisso che s'è impresso alla base del volume-puzzle di cui questo genere di progetto è espressione ben riuscita.

 

12. Circa il perfezionismo dell'oggetto architettonico. L'architettura - il fare in-architettura - deve staccarsi dalla tentazione costante di costruire l'oggetto perfetto e inattaccabile (dal tempo e dalla morte): occorre che questo genere d'oggetto sia sempre pronto ad aprirsi, ad includere ciò che la realtà diveniente continuamente produce. Deve poter entrare ed essere elaborato anche l'errore e ciò a cui esso rimanda, e cioè la finitezza delle cose e del tempo, così che l'architettura non appaia il baluardo a difesa d'un corpo(-mente) sempre timoroso d'essere o di divenire niente.

 

Che cos'è architettura?

 

13. Non esiste luogo senza progetto; non esiste spazio senza una mente-cervello-(corpo) che lo includa progettandolo. Il progetto architettonico è costruzione-esistenza di luogo, in accoppiamento con esso.

L'architettura è inclusione di luogo-spazio tramite un progetto, cosicché quel luogo assuma effettiva esistenza.

 

14. Non solo occorre che il luogo naturale si faccia artificiale per poter parlare di costruzione architettonica nelle nuove cultura e società del 2000.

Occorre che l'artificio, ovvero il sistema manufatto (architettonico), che è espressione dell'accoppiamento tra la mente-cervello dell'uomo (osservatore) con il luogo (osservato), venga superato secondo una procedura maggiormente complessa, così che esso - il luogo costruito: l'architettura - risponda a quelle tensioni, ovvero a quelle aspirazioni che prospettano una realtà finalmente altra (distaccata) da sé, e cioè diversa da quella fondata sui vincoli in cui l'arcaico e superato cervello dell'uomo(-animale) l'ha per ora destinata.

 

15. Occorre che il luogo si faccia vuoto, e cioè capiente, adatto ad accogliere il manufatto che vuole interagire con i processi complessi delle attività superiori del sistema nervoso umano; ad esso corrispondono costrutti e spazi non necessariamente vincolati ad emozioni, a sensazioni d'un corpo-cervello d'arcaica origine animale.

 

16. Lo spazio (architettonico). Non esiste uno spazio lì fuori già bell'e che pronto, fatto per essere subito usato; lo spazio non è un contenitore (vuoto) da riempire, così come anche Newton pensava, è bensì un ente da generare attraverso degli atti specifici del cervello-mente umano.

 

 

 


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